16 gennaio, 2012

Un'esperienza di pre-morte raccontata da Gregorio Magno (seconda ed ultima parte)

Leggi qui la prima parte.

“Un certo soldato della nostra città fu colpito dalla peste. Uscì dal proprio corpo senza vita, ma ben presto ritornò e riferì quel che gli era capitato. A quel tempo, queste cose accadevano a molti. Egli disse di aver visto un ponte sovrastante un fiume nero, lugubre, che esalava un olezzo insopportabile. Di là dal ponte, invece, erano dei campi meravigliosi tappezzati di erba verde e di fiori profumati, che fungevano apparentemente da luogo d’incontro di una folla vestita di bianco. V’era nell’aria un odore così piacevole, che bastava da solo a soddisfare quei signori che passeggiavano. In quel luogo ciascuno aveva una sua dimora piena di una luce splendente. Inoltre, vi stavano costruendo una casa di dimensioni sbalorditive, in mattoni d’oro, ma egli non riuscì a capire a chi fosse destinata. Sulla riva del fiume v’erano altre dimore, alcune delle quali contaminate dall’olezzo proveniente dall’acqua, altre nemmeno sfiorate da questo.

Il ponte costituiva il banco d’esame: se a cercare di attraversarlo era una persona iniqua, questa scivolava e cadeva nell’acqua scura e puzzolente, mentre i giusti, non essendo ostacolati dalla colpa, procedevano facilmente verso quel mondo di delizie. Rivelò di aver visto Pietro, un anziano della famiglia ecclesiastica morto quattro anni prima, nell’orribile melma al di sotto del ponte, oppresso da un’enorme catena di ferro. Alla domanda del perché, gli fu data una risposta che richiama alla mente tutto quanto sappiamo della vita di costui.

Gli fu detto: ‘E’ stato punito in questo modo perché, quando eseguiva l’ordine di punire qualcuno, lo faceva con spirito di crudeltà piuttosto che di obbedienza’. Chiunque l’abbia conosciuto sa quanto questo sia vero. Vide anche un presbitero raggiungere il ponte ed attraversarlo con tanta sicurezza nel passo quanta era stata l’onestà della sua vita. Sempre lì, pare abbia riconosciuto quel tale Stefano del quale s’è parlato prima: nel tentativo di attraversare il ponte, Stefano era scivolato ed ora la parte inferiore del corpo era lì penzolante. Dal fiume, degli uomini orrendi lo afferravano per i fianchi per tirarlo giù, mentre altri uomini splendidi, vestiti di bianco, lo tiravano su per le braccia. [1]

Durante questa lotta tra spiriti benigni e spiriti malvagi, lo spettatore di tutto ciò rientrava nel proprio corpo: così, non poté mai conoscerne il risultato. Quel che succedeva a Stefano, comunque, può spiegarsi in termini di vita: egli, infatti, era sempre stato conteso tra i peccati della carne ed i benefici della carità. Il fatto che venisse trascinato giù per i fianchi, ma contemporaneamente tirato su per le braccia, dimostra chiaramente che egli amava sì la carità, tuttavia non sapeva astenersi completamente dai vizi che lo trascinavano in basso. Quale aspetto ne uscisse vittorioso, non fu dato sapere al nostro testimone; né risulta più chiaro a noi che a colui che vide tutto ciò e ritornò alla vita. E' certo comunque che Stefano, pur essendo andato all’inferno e ritornato come si è detto, non corresse del tutto il suo modo di vivere. Di conseguenza, quando molti anni dopo egli lasciò il proprio corpo, aveva ancora da affrontare un combattimento all’ultimo sangue.

[1] Un angelo ed un demonio che si contendono un’anima sono descritti, tra gli altri, da Dante nel XXVII canto dell’Inferno. Qui l’anima di Guido da Montefeltro alla fine viene ghermita dal diavolo e precipitata nel girone dei consiglieri fraudolenti.

Fonti:

Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2009, s.v. Gregorio I Magno
R. Moody Jr, La vita oltre la vita, Milano, 1989, pp. 99-100


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2 commenti:

  1. La Manifestazione universale è di natura mentale, così almeno viene insegnato dai Maestri spirituali.
    E pare che esistano vari livelli di veridicità, per così dire, delle esperienze fatte dalle anime nei mondi della Maya.

    Si direbbe che è più reale ovvero più concreta la natura del mondo fisico nel quale siamo immersi prima di morire che non il dominio del sogno o quella dimensione che attende la stragrande maggioranza degli esseri umani appena attraversano il velo che li conduce all'Otretomba.

    Nessun dubbio che nelle immagini esperite dal moribondo possano figurare simboli, archetipi nonchè proiezioni di terrori e paure derivanti dalle idee inculcategli e da esso recepite quand'era ancora in vita.

    Di solito - e prevalentemente dunque - esperienze di natura mentale alle quali non dobbiamo assolutamente riconoscere valore normativo o peggio ancora - assoluto -. Roba che ha senz'altro un fondamento ma da prendere sempre con le pinze.

    A meno che il morente non incorra in una vera e propria esperienza di risveglio spirituale, con il che cambiano di molto la prospettiva ed il giudizio.

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  2. Ritengo che molte immagini e situazioni descritte dai redivivi siano "materializzazioni" di archetipi culturali. Questo spiegherebbe perché i Cristiani raccontano di aver visto il Messia, gli induisti un Avatar etc. Resta da stabilire il confine tra oggettività e soggettività in queste esperienze, con la consapevolezza che oggetto e soggetto sono due facce della stessa moneta.

    Ciao

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