18 febbraio, 2012

Eraclito versus Democrito

Si racconta che Eraclito (Efeso, 550 a.C. circa, 480 a. C. circa) rispondesse allo spettacolo del mondo con il pianto, in netto contrasto con la solarità di Democrito (Abdera, Tracia, 460 circa, 370 a.C. circa).

“L’iconografia occidentale ha abbondantemente opposto il riso di Democrito, il poeta dalla scrittura chiara, alle lacrime di Eraclito, il bilioso, soprannominato l’Oscuro. E da Diogene di Sinope a Nietzsche, da Aristippo di Cirene a Michel Foucault, si ritrova, come tratto comune ai materialisti, edonisti ed altri grandi sovversivi della storia delle idee, questa capacità di ridere del mondo così com’è. Ridono solo quelli che prendono il mondo sul serio, proprio perché lo prendono sul serio.” (M. Onfray)

Sono stati scritti molti saggi sul riso come peculiarità dell’uomo (celebre lo studio di Henry Bergson) e, di là dalle differenti interpretazioni, talora forzate, si riconosce che sono proprio le contraddizioni del reale ad accendere la scintilla dell’ironia, della risata catartica, del ghigno amaro, del compiacimento, dell’umorismo pirandelliano.

Ci si chiede se la visione del mondo possa suscitare letizia o tormento. Quale mondo? Quello ancora tollerabile degli antichi o il nostro abominevole? La natura? Si afferma che la natura è perfetta: la considererei efficiente, non perfetta. Se l’universo fosse perfetto… L’umanità? L’umanità è talmente antinomica che non mi sorprende di constatare quali impulsi ambivalenti, irriducibili tra loro ci leghino ad essa e, nel contempo, ce ne separino. Prendere sul serio il mondo, come scrive Michel Onfray? Se veramente lo prendiamo sul serio, se lo consideriamo nella sua severità, abbiamo fondati motivi di dolerci: il riso rischia di essere la reazione istrionica di fronte all’incomprensibilità dell’essere. Mi pare che alcuni eventi siano refrattari al riso e non solo perché tragici ed assurdi (si entri in un nosocomio, in un carcere, in un ospizio, in un macello…), ma poiché denunciano l’insufficienza della condizione umana.

Così, paradossalmente, è più ironico Eraclito (ironia è proprio coscienza del divario tra reale ed ideale) di Democrito: le lacrime del filosofo efesio sono forse la consapevolezza del contrasto, dell’ineluttabile conflitto (pòlemos) universale. Nietzsche vide in Eraclito l’espressione dell’innocenza dionisiaca del mondo, di là dal bene e dal male, anteriore al declino moralistico socratico-platonico. Dioniso, però, è dio tragico per antonomasia: l’innocenza non è candore. Nel dio nato due volte non si distingue più tra la smorfia di dolore ed il ghigno sardonico.

Il pàthos sa essere grottesco; il ridicolo è patetico. Infine, di fronte alle realtà che trascendono le opposizioni, resta solo la domanda che subito si congela nel silenzio.

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7 commenti:

  1. Tutto starebbe ovviamente nell'interpretare le lacrime di Eraclito. Erano lacrime di dolore oppure di gioia? Trattavasi del cosiddetto dono mistico delle lacrime di fronte allo spettacolo della Natura?

    Gli antichi osservatori si erano posti il problema e magari sapevano - per lo meno quelli che lo conoscevano - del possibile duplice significato del pianto eracliteo o forse erano all'oscuro di tale fenomeno che talora fa seguito al risveglio della Kundalini?

    Si narra anche dello strano fenomeno della crescita dll'erba ai piedi di uno ieromonaco dell'Ortodossia di molti secoli fa: a forza di piangere - le sue lacrime erano talmente copiose! - costui aveva fatto crescere l'erba ai suoi piedi.
    Ma erano lacrime di felicità e non di dolore.

    Anche la posizione di Democrito si iscrive nella fenomenologia conseguente al risveglio della coscienza. Si parla delle grasse risate dei monaci Zen spiritualmente avanzati. Un riso che sopraggiunge spontaneamente e senza che vi siano interlocutori verso cui tale fenomeno possa rivolgersi.

    Io stesso assistevo tanti anni fa al riso pressochè immotivato di una persona nella Via della Palingenesi mentre colloquiava telefonicamente con me. Capivo naturalmente l'antifona.

    Insomma sia il riso che il pianto non si debbono necessariamanete interpretare secondo i criteri della mente dormiente. Entrambe i comportamenti sono leciti e giustificati e non per forza di cose dobbiamo loro annettere un significato appartenente all'emotività propria alla gente comune.

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  2. Grazie paolo per il commento.
    A che pro spendere energie per considerare l'umana emotiva tristezza una virtù o una giusta misura?

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  3. Di là dal riso e dal pianto, come partecipazione all'essere ed alla sua nuda inesplicabiltà, si situa la danza di Zarathustra. E' una danza sull'orlo dell'abisso e del silenzio, quel silenzio che solo esprime il vero, definitivo risveglio nell'arcana dimensione primigenia.

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  4. Si, è così. E non solo la danza di Zarathustra ma anche quella di Shiva si colloca al di là del Bene e del Male.

    Fatto sta che Eraclito, secondo quanto narrano i cronisti, alla fine della vita trascorreva le sue giornate giocando con i bambini sotto il porticato del tempio di Apollo. Segno quello di una riconquistata semplicità, appannaggio del quale nessun dio l'avrebbe mai più privato.

    Chiedo scusa dell'espressione 'grasse risate'. Ahimè, è 'crasse risate'. Ma a volte vado di fretta.

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  5. Certo, Paolo, avevo inteso il senso del tuo bel commento: le lacrime (di gioia?) del misantropo Eraclito brillano, mentre il riso di Democrito, pur sempre un materialista, mi pare meno significativo, ma è una mia opinione.

    Ciao

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  6. Scusa Zret se vado fuori tema, ma siccome so che t'interessi di ufologia, penso di fare cosa gradita a mandarti il link dell'articolo su quell'avvistamento avvenuto 10 giorni fa dalle mie parti. Ciao.

    http://freeanimals-freeanimals.blogspot.com/2012/02/il-bestione.html

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  7. Grazie della segnalazione, Freeanimals.

    Ciao

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