30 marzo, 2013

Racconti di mare

Narrano rari viaggiatori, sbarcati su questa terra cinerea, di capitani che vollero salpare verso l’infinito. Essi immancabilmente descrivono alberi spezzati, vele logore, stelle sparpagliate nel buio, come pula nel vento. Quei marinai non desiderarono intraprendere avventurose traversate negli oceani: cercavano l’esilio dal rimpianto che corrode l’animo, a guisa di salsedine.

I visitatori raccontano di implacabili bonacce, di marinai che, gli occhi vacui, fissavano albatri spettrali. Evocano onde che formicolavano pigramente sulla chiglia, lo stridio delle gomene, simile a voci di sirene agonizzanti.

Quei capitani credettero di incontrare la morte liberatrice, fino a quando salì una nebbia livida dal precipizio del mondo. Nel giorno ammainato, sul ponte deserto girava a vuoto il timone…

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

28 marzo, 2013

Papa Francesco I, al secolo Jorge Maria Bergoglio: un imbroglio stellare?

Stelle sfilanti

13 marzo 2013: il conclave elegge al quinto scrutinio il nuovo pontefice, Francesco I, dopo che il giorno 11 febbraio ha abdicato papa Benedetto XVI. Non ci interessa, in questa sede, indagare sul passato del nuovo vescovo di Roma – ad altri l’ufficio di scovare (eventuali) scheletri nell’armadio – piuttosto ci preme evidenziare un aspetto su cui di solito non si è indugiato, ossia l’arma di Francesco I.

In primo luogo possiamo definire l’ex Cardinale Jorge Maria Bergoglio “Papa nero”, in quanto appartenente alla Compagnia di Gesù, inoltre il nome da lui scelto, più che richiamare Giovanni Francesco d’Assisi, figlio di Pietro Bernardone e della catara Giovanna (detta la Pica) di Bourlemont, potrebbe riferirsi a Francesco Saverio (1506-1552). Francesco Saverio fu un religioso spagnolo. Di famiglia aristocratica, fu compagno di studi di Ignazio de Loyola ed entrò nell’Ordine nel 1534. Fu missionario in India, Giappone ed India dove morì.

Osserviamo ora il blasone di Francesco I: d’azzurro all'emblema dell'ordine, un disco raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere IHS, il monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta i tre chiodi della Passione. Alla punta l’arma è caricata da un pentagramma e da un grappolo d’uva al naturale, entrambi d’argento.

La stella a cinque punte o pentagramma è simbolo notevole, con una galassia di significati. In geometria il pentagramma è il pentagono regolare stellato, cui i Pitagorici attribuirono un valore mistico di perfezione e di armonia. Nelle sette gnostico-magiche, il cui numero sacro era il cinque, proprio perché cinque sono gli elementi (luce, aria, fuoco, acqua, quintessenza), il pentacolo acquisì una valenza fondamentale. Fu ripreso dai Bogomili: non è raro, infatti vederlo effigiato sulle loro lapidi, anche se celato nelle dita di una mano. Tradizionalmente la forma con il vertice rivolto verso l’alto contrassegna la magia bianca, quella rovesciata con una testa caprina la magia nera. L’iconografia cristiana si serve della stella a cinque punte, verosimilmente in riferimento alle cinque ferite del Cristo crocifisso. E’ probabile che, in ultima analisi, l’astro in esame sia un adombramento del pianeta Venere, il cui moto visto dalla Terra traccia appunto la figura di una stella. In ogni caso, siamo al cospetto di un’icona molto antica, già istoriata nelle tombe egizie e su alcune ceramiche etrusche.

Ricordiamo che molti fra i più insigni Gesuiti furono e sono scienziati, spesso astronomi. Appartenevano alla Compagnia fondata da Ignazio de Loyola anche alcuni cosmologi che indagarono il Pianeta X, come notato da Luca Scantamburlo. Il corpo celeste nell’arma del Pontifex maximus testimonia una tradizione radicata, persino un interesse dei Gesuiti per la vita su altri pianeti. Scrive, a tale proposito G. B.:“Padre José Luis Funes (astronomo, teologo e filosofo gesuita argentino), Padre Guy Consolmagno (scienziato, gesuita), Monsignor James Schianchi, Monsignor Corrado Balducci e Padre Gabriele Amorth (celebre esorcista) ci danno una visione d’insieme interessante degli studi vaticani sulla vita extraterrestre o extradimensionale. Non si tratta affatto solo di speculazioni teologiche ma di ricerche fattuali scientifiche, astronomiche ed archeologiche nonché della catalogazione di innumerevoli testimonianze umane. Il nesso esistente tra la Chiesa di Roma (l'Ordine dei Gesuiti in particolare) e le ipotesi di vita extraterrestre (o extradimensionale) viene evidentemente preso in seria considerazione. Non si cada quindi nell’errore di sottovalutare tali auguste dissertazioni: sono testimonianze di un’ansia realmente vissuta oppure (dato che la Chiesa di Roma tace sulle nefaste operazioni di geoingegneria, di cui non può non essere al corrente) il frutto di una strategia di disvelamento per fini ignoti?”

Habemus papocchium

Reputiamo che il Vaticano intenda il più possibile accreditare l’immagine dei visitatori saggi ed evoluti, anzi che si prefigga di spacciare entità predatrici e maleficentissime per ufonauti amichevoli, nell’ambito di un inganno stellare. In questo imbroglio giocherà forse un ruolo decisivo il nuovo pontefice Bergoglio? Sono sintomatici certi asserti dei teologi succitati, del tutto assimilabili alle mielose affermazioni degli ambasciatori umani in forza alla Federazione galattica, tra New age ed ufologia “religiosa” ed “ecologista”.

Padre José Luis Funes, gesuita argentino, due lauree (una in astrofisica ed una in teologia) dichiara:"Gli extraterrestri esistono e sono nostri fratelli". Funes è noto per avere osservato e fotografato, assieme a Michele Cappellari, le galassie S0-Sa nel maggio del 1999 e soprattutto è stretto collaboratore di padre Coyne, il gesuita che segue il progetto S.E.T.I. per conto del Vaticano. Funes partecipa al V.A.T.T. (Vatican Advanced Technology Telescope), la sezione del Gruppo di rcerca dell'Osservatorio vaticano, con sede a Tucson, Arizona, nell'ambito del progetto "Stargate"(sic).

Padre Consolmagno, gesuita ed astronomo della Specola vaticana sostiene: “L’amore di Cristo abbraccia il nostro pianeta e tutti gli altri esseri”. Il gesuita astronomo confessa: “Credo nell’esistenza degli U.F.O.”

Guy Consolmagno, gesuita, astronomo, di Detroit divide il suo tempo fra la Specola di Castelgandolfo, antica sede degli astronomi vaticani, e Monte Graham, in Arizona, dove il Vaticano ha il suo Osservatorio dotato del sistema ad infrarosso LUCIFER (sic!). Il titolo della sua ultima opera è significativo: “Vita intelligente nell’universo? Fede cattolica e la ricerca di vita intelligente extraterrestre”. Il saggio è stato scritto per rassicurare i cattolici a non aver paura di queste domande. “Quello che impariamo non rende nullo quello che già sappiamo”, asserisce Consolmagno.

Spesso gli astronomi sono persone speciali e spesso anche i Gesuiti lo sono: Consolmagno, che per diciotto anni si è occupato di astri, prima di decidere di entrare nella Compagnia di Gesù, sembra confermare entrambi gli assunti. Non teme di affrontare il tema degli alieni. Che cosa sarebbe della storia della creazione e dell’amore di Dio per la Terra e gli uomini, tanto da mandare il suo unico Figlio a morire per salvarli, se gli extraterrestri esistessero? L’astronomo risponde con il Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo. Il Verbo è, naturalmente, Gesù; il Verbo è la seconda persona della Trinità, il Verbo è la salvezza, il Verbo è l’incarnazione di Dio nell’universo e, secondo il Vangelo, è là prima che l’universo fosse creato. E’ l’unico punto nello spazio-tempo che sia lo stesso in ogni linea temporale. E’ così che la salvezza avviene ed è resa manifesta nella persona di Gesù Cristo qui. Prima che l’universo fosse creato, Cristo è; e quindi abbraccia non solo la terra e noi, ma anche ipotetici altri esseri”.

Gli astronomi cattolici si spingono ad ipotizzare che i “fratelli dello spazio” non sarebbero maculati dal “peccato originale”. Se pensiamo alla Biogeoingegneria ed alla Terraformazione al contrario, siamo indotti a pensare o che i Gesuiti siano degli ingenui credenti nei “Marziani” biondi e buoni o che mirino ad instillare tra i fedeli il convincimento dell’alieno magnanimo dietro cui, però, si nasconde un parassita. La serie televisiva “Visitors” docet… Il diavolo ama presentarsi come angelo di luce.

Di tutto altro avviso è l’ex gesuita Salvador Freixedo che, in un suo fondamentale saggio, “Difendiamoci dagli dei”, prova a mettere in guardia dai pericoli insiti in una visione edulcorata e menzognera in rapporto alla realtà extraterrestre ed interdimensionale, non di rado demoniaca e sinistra.

Certo, forse i tempi non sono ancora maturi per la “rivelazione” sulla vita aliena: la Chiesa ed altri poteri stanno assuefacendo un po’ alla volta l’umanità all’idea dei visitatori che portano doni, stanno sondando le reazioni dell’opinione pubblica. Se davvero un giorno dovesse essere dato l’annuncio che Essi sono in procinto di manifestarsi, siamo propensi a pensare che saranno aperte le porte ai carnefici, non ai salvatori. Invano dei novelli Laocoonte e Cassandra ci ammoniranno a non introdurre nella città il cavallo di legno.

Se la Chiesa di Roma continua ad insabbiare ed a negare verità scomode (scie chimiche, inquinamento da radiazioni nucleari ed elettromagnetiche, signoraggio bancario, crisi economica artificiale, misfatti di banche, di industrie alimentari, belliche e farmaceutiche, organismi transgenici, danni dei vaccini etc.), non si vede perché dovrebbe essere schietta circa la vera natura ed i veri scopi degli Stranieri.

Tra LUCIFER, Stargate ed altre sfacciate allusioni del genere (“Sono venuti a prendermi dalla fine del mondo”), la moneta del nuovo papa sul cui verso è effigiata la Prostituta dell’Apocalisse, viene un brivido di orrore religioso lungo la schiena… Le possibilità che le gerarchie cattoliche siano sincere è praticamente pari a zero.

Fonti:

G. B., La Chiesa e gli alieni, 2013
Enciclopedia dei simboli, Milano, 1999, s.v. pentagramma
L. Scantamburlo, The American Armageddon, 2009, passim
Zret, Francesco d’Assisi ed i Catari, 2009


APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

25 marzo, 2013

Non a sua immagine

Non uno itinere pervenitur ad tam magnum secretum. Ad un così profondo mistero non si giunge attraverso una sola via. (Simmaco)

Il saggio “Non a sua immagine” di John Lamb Nash nasce da una coraggiosa rilettura della Gnosi antica. Considerata da molti studiosi, per soprammercato militanti cattolici, un’ininfluente diramazione del Cristianesimo, se non un’escrescenza presto asportata, grazie al trionfo dell’”Ortodossia”, Lamb Nash riconduce la Gnosi nell’alveo della Tradizione sciamanica e misterica.[1] L’autore nega che i filosofi gnostici siano dominati da un atteggiamento anticosmico, anzi, in quanto eredi ed ultimi interpreti nel mondo antico del Paganesimo, essi combatterono contro il nichilismo del credo niceno.

“Il dio Pan è morto”: è l’accorato grido che, secondo Plutarco, fu udito, quando la civiltà classica stava ormai per estinguersi. La lugubre vittoria della chiesa ufficiale, scaturita dal fanatismo manicheo degli Zaddikim (i Qumraniti), poi riversato nella religione paolina, è, in primo luogo oblio, anzi stupro della Natura e della sua Anima. Dissacrata la Terra, di cui la Dea Madre è l’alma essenza, la storia umana poteva solo prendere una direzione, quella sbagliata.

Ecco allora il turpe connubio tra Impero e Chiesa, auspice più il settario Teodosio che l’ambiguo Costantino. Ecco allora la Sophia calpestata e l’ignoranza eretta a sistema, benché paludata e ingioiellata di simboli venerandi. Questa fu ed è la Chiesa cattolica: un’istituzione che, se ha custodito qualche veneranda verità, non ha potuto né voluto farne dono al genere umano, defraudato di un prezioso tesoro. Queste furono e sono le varie chiese cristiane. Codeste sono la Massoneria attuale e la scienza accademica. In modo simile un parvenu commissiona la costruzione di una villa dalle forme classicheggianti dove il cattivo gusto vanifica e ridicolizza qualsiasi rivisitazione dell’antico.

Nondimeno non è solo questione di Kitsch. Le religioni patriarcali di cui i telestai (gli iniziati ai Misteri) e gli Gnostici denunciarono la funesta ideologia teocratica, sono le fondamenta di una visione distorta. Il loro lascito è sotto gli occhi di ognuno ed è punto bello. Del tutto isolati, i pensatori gnostici avvisarono gli uomini pure di una minaccia invisibile: il pericolo degli Arconti. Nella parte più inquietante del suo saggio, Lamb Nash identifica gli Arconti con gli Alieni malevoli dei nostri tempi. E’ inevitabile l’apprezzamento per quegli ufologi (Vallée, Keel, Kerner) che hanno reperito nell’antica sapienza la lucerna per gettare un barlume nei nostri tempi bui.[2]

Gli altri capitoli del volume delineano la cosmologia e l’antropologia gnostica, il tema del cedimento per opera di Sophia, indugiano sui protagonisti, gli epigoni e gli estimatori della cultura sofianica, da Ipazia a Giamblico, da Marco Aurelio a Plutarco, da Blake a D.H. Lawrence, da Philip K. Dick a Carlos Castaneda, da Mircea Eliade a Marjia Gimbutas etc.[3] Il discorso si snoda non con l’acribia dell’erudito, ma con la vena appassionata dell'intellettuale engagé. Così alle puntigliose, ma alquanto soporifere dissertazioni tipiche, ad esempio, di un Albrile, il Nostro preferisce il piglio polemico: le iperboli bibliche ed evangeliche, il complesso del redentore, il culto della sofferenza… sono esibiti nella loro grottesca irrazionalità, in quanto di disumano possiedono, quanto più sono antropocentrici.

Chi è l’uomo? Qual è la sua identità? Lo studioso crede di poter rispondere, richiamandosi al pensiero degli Iniziati ai Misteri. L’uomo è tale non nella sua identificazione con Dio (l’arrogante Io-Dio della New age), ma nel suo essere partecipe della Vita universa (Zoe), nella sua specificità di creatura che reca un’impronta, pur labile, della perfezione pleromica.[4]

Ad altre domande prova a rispondere l’autore. Che cosa anima il cosmo? Qual è la genesi del male? Qual è il destino della Terra e dell’umanità? Qui egli accetta delle risposte che, a nostro parere, sono talora fuorvianti. James Lovelock ed il drappello di “scienziati” che Lamb Nash crede interlocutori per una riscoperta del Sacro sono, infatti, di là dalle somiglianze formali con la Weltanschauung classica, dei ciarlatani. Il loro amore per Gaia è zuccheroso sentimentalismo, se non frode mondialista.

Un altro aspetto di “Non a sua immagine” che suscita qualche perplessità è la rescissione rispetto alle intuizioni gnostiche che talora brillano nella cultura vincente: lo stesso D.H. Lawrence, apprezzato da Lamb Nash, riconobbe nel suo opuscolo “Apocalisse” che il nucleo di “Rivelazione” era gnostico, anche se vi si svilupparono bubboni ebraico-paolini.

Nonostante ciò, il saggio in oggetto è apprezzabile. Controverso e, a volte, un po’ avventato ed oscuro, ma ricco di stimoli per chi intenda compiere ulteriori (audaci) ricerche, il testo riporta innumeri ed autorevoli fonti citate nella bibliografia ragionata - mancano stranamente all’appello le opere del rumeno Culianu, uno dei maggiori esperti di Gnosi – e soprattutto offre una vista emozionante sul pensiero pagano, esoterico e gnostico. Se certi particolari sono sfocati, se alcuni confini concettuali restano da tracciare, questo non significa che non sia stato inquadrato il problema. Tutt’altro. Bisogna vedere se e come riusciremo a risolverlo.

[1] Si pensi al testo di Ernesto Buonaiuti, “Lo Gnosticismo: storie di antiche lotte religiose”, Roma, 1907, Milano, 2012. E’ una grossolana apologia della religione paolina ed una diffamazione della Gnosi. A parziale discolpa di Buonaiuti, possiamo ricordare che egli scrisse prima che fossero scoperti nel 1947 i codici di Nag Hammadi.

[2] Lo studioso deplora che l’ufologia abbia quasi sempre ignorato e continui ad ignorare il tema degli Arconti, entità insediate in una dimensione meccanica e meccanici anch’essi, protesi al dominio del sistema Sole-Luna-Terra. In effetti, grava sulle indagini in questo settore l’ipoteca dello scientismo. Esso ci impedisce di vedere oltre e ci imprigiona, con i suoi carcerieri tecnologici, in una realtà virtuale che eclissa la realtà reale.

[3] All’elenco degli intellettuali e degli artisti che sono stati sacerdoti di Sophia, quantunque in modo criptico, aggiungerei Dante Alighieri. La sua preghiera alla Vergine è un’orazione ad Iside, la dea dai mille nomi. Per quanto mi consta, nessuno si è mai cimentato in un’esegesi che prenda l’abbrivo da tale possibilità.

[4] Si potrebbe qui introdurre la differenza tra Zoe, la vitalità pura ed immortale, distinta da bios, l’esistenza caduca ed inconsapevole. Come mi chiedevo tempo fa: il vocabolo greco “bios” è collegato a "bia", “violenza”? Il Dasein come strappo da una condizione di beatitudine primigenia?


Antonio Marcianò (tutti i diritti riservati)

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20 marzo, 2013

Soggezione

Thieves in the temple

E’ sufficiente la disposizione del mobilio in una stanza per stabilire delle relazioni gerarchiche. Pensiamo ai palazzi di “giustizia”, alle scuole, agli uffici dei diretttori… le cattedre, le scrivanie, persino le piante sono collocate in modo da esprimere i rapporti di forza tra subalterni e capi, in guisa da esibire il potere.

Alessandro Manzoni nel terzo capitolo dei “Promessi sposi” descrive lo studio dall’azzecca-garbugli, riuscendo a suggerire la soggezione che uno spaesato ed imbambolato Renzo prova al cospetto del dottore, il cui decadente prestigio si trasla nell’arredamento sontuoso, anche se trascurato e caotico. I ritratti dei dodici Cesari sono immagini del dominio e di una continuità con la cultura classica che avalla, legittima ed orna la scalcinata classe dirigente secentesca.

E’ la stessa soggezione che il cittadino comune prova entrando in un’aula di tribunale o nella sede di un’istituzione. Tutto in questi luoghi converge verso oggetti-simbolo: un crocifisso, un ritratto del presidente della Repubblica. Invano il faccione dell’ospite del Quirinale, autorità screditata, tenta di dare lustro ad autorità irrimediabilmente screditate.

Sono spesso le linee prospettiche a focalizzarsi su un fulcro prossemico ed ideologico: la simmetria nella disposizione delle suppellettili - la simmetria ha una natura rigida ed autoritaria – concorre a fissare i ruoli, a definire distanze spaziali e di status.

E’ tempo che gli uomini – quelli ancora tali – rifiutino la scala gerarchica, tanto più perché al vertice si trovano i peggiori. La soggezione degenera nell’asservimento, nell’acida deferenza.

Non domineremo, ma non intendiamo essere dominati, pur ostili a pose prometeiche, poiché, come sostiene Paul Ricoeur, "il Sé dell’uomo è altro da sé stesso: è alterità, differenza, mistero”.

E’ tempo che gli uomini provino a diventare costruttori del proprio tempio, pietre angolari, senza cercare sempre e comunque un guru su cui riversare le loro frustrazioni ed aspirazioni.

E’ preferibile un piccolo santuario, tuttavia inviolato ed inviolabile, ad un maestoso tempio, ma fatiscente e profanato da ladri e da mercanti.

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16 marzo, 2013

Il vero potere, il potere necrofilo non è umano

Certo è che gli uomini che assassinano la bellezza e la verità potranno soltanto languire e tormentarsi in una perenne, lugubre penombra, disperatamente avide di vita e di tepore.

Quando pensiamo alla Massoneria, la identifichiamo in modo istintivo con un potere occulto e scellerato. Tuttavia chi intenda comprendere la modernità non deve cadere nelle trappole dei pregiudizi e delle semplificazioni. Se è, infatti, pacifico che al giorno d'oggi il pianeta è soggiogato da un’élite nascosta, non possiamo misconoscere che la storia e la natura della Massoneria sono complesse, ramificate, contraddittorie.

Se consideriamo i padri fondatori degli Stati Uniti, siamo riluttanti a vedere in loro ipso facto dei farabutti: la costituzione da loro elaborata è ispirata a princìpi in linea di massima condivisibili. Non saranno stati dei santi, ma neppure dei satanassi, non tutti. Che cosa accomuna il progetto dei padri fondatori, pur con tutti i limiti delle utopie politiche, con il Quarto Reich instaurato da luridi presidenti del XX secolo, come i due Bush e l’attuale Barack Obama alias Barry Soetoro?

Anche molte logge fondate tra XVII e XVIII secolo si prefissero scopi nobili o comunque i loro esponenti credettero di operare per il progresso dell’umanità, secondo le idee illuministe. Sappiamo quanto fu in realtà oscurantista il “secolo dei lumi”, ma alcuni intellettuali furono persone degne, nonostante le storture dell’Ideenkleid che incarnarono.

Christopher Knight e Robert Lomas sono autori di alcuni saggi inerenti alla Massoneria tra cui il più impegnativo è “La chiave di Hiram”. Nel libro gli studiosi, che sono liberi muratori, cercano di portare alla luce le radici della Massoneria. In modo plausibile Knight e Lomas ritengono che i fondamenti della Massoneria risalgano all’antico Egitto. Il retaggio egizio fu poi ereditato dall’élite ebraica per essere codificato nell’architettura del tempio salomonico, in particolare nelle colonne Boaz e Jachin. Sarebbero stati in seguito i Templari a riscoprire all’interno dei rotoli di Qumran certe conoscenze esoteriche destinate ad essere trasmesse alle confraternite seicentesce e settecentesche. Questa è, a grandi linee, la ricostruzione compiuta dai due autori sullodati i quali, tra l’altro, situano il Cristianesimo delle origini lungo una direttrice egizia ed iniziatica. Singolare che, alla pari di numerosi altri ricercatori, anch’essi siano proclivi a pensare all’esistenza di due Messia, con Giacomo il Giusto, il fratello del Signore, nelle vesti di Messia sacerdotale.

Ora, prescindendo da un discorso spinoso circa gli albori della Massoneria, è evidente che i “fratelli” custodivano e custodiscono dei segreti. Quali? Oggigiorno chi aderisce alla stragrande maggioranza delle logge o è un ambizioso, avido di denaro, di agi e di successo, oppure è un controiniziato. Bisogna distinguere tra i gradi bassi ed i gradi alti: gli affiliati dei gradi bassi ignorano le finalità perseguite da chi occupa la cuspide della piramide e probabilmente, al di sopra del trentesimo e terzo grado, esiste un ulteriore penetrale. Al vertice appunto devono trovarsi maghi neri, poiché l’albero si vede dai frutti e non è per nulla credibile che la Massoneria attuale, una Massoneria ormai deviata, si prodighi per promuovere la giustizia, la fraternità e l’uguaglianza. Non sappiamo quando la Libera muratoria tralignò né in che misura le logge furono infilitrate e corrotte dagli Illuminati di Adam Weishaupt e dai Gesuiti. Sappiamo, però, che nel mondo attuale il sapere iniziatico è preservato da qualche cenacolo che rigetta qualsiasi interesse mondano. Tuttavia la cupola delle influenti consorterie globalizzatrici, spadroneggianti nel nostro tempo, conosce gli arcana imperii: l’obiettivo di questo Gotha non umano non è solo il dominio politico ed economico del pianeta, giacché si prefigge uno scopo molto più temerario.

Tra le pieghe del libro vergato da Knight e Lomas, tra le stesse pieghe della storia antica, si può forse carpire il segreto più segreto. Ebbene, credo che, richiamandosi ad una pristina tradizione egizia, di cui, però, sono state smarrite alcune coordinate, i vertici intendano perseguire il sogno dell’immortalità, di un potere immenso traducibile nel controllo dello spazio, del tempo, delle dimensioni invisibili. E’ hybris, l’arroganza di chi ambisce ad un’eternità tanto più agognata, in quanto sa che gli è preclusa.

Gli Oscurati si sono appropriati, profanandoli, di arcani o di loro brandelli. Gli Oscurati si sono appropriati, profanandolo, di un linguaggio simbolico e sacro, divenuto una specie di koiné pseudo-ermetica. Bisogna dunque evitare l’errore commesso da qualcuno (in buona fede?) che getta tutto nello stesso calderone: visto che Dante ricorreva a simboli (si pensi alla rosa) che gli stessi Ottenebrati amano esibire, Dante è uno dei loro ispiratori e precursori. Un vero sacrilegio oltre che un paralogismo! Il sommo poeta, invece, fu un Fedele d’amore, un cripto-templare ed un mistico.

Così le Torri gemelle distrutte, il giorno 11 settembre 2001, nel corso di un rito nefando per opera di una congrega di satanisti, sono, da un punto di vista emblematico, la rivisitazione snaturata e degradante delle colonne salomoniche, Boaz (Forza) e Jachin (Stabilità). La Forza e la Stabilità sono sovvertite.

Il disordine, la prevaricazione e lo scempio della verità sono le macerie fumanti su cui gli Oscuri intendono edificare il loro regno di tenebre accecanti. A noi il tentativo di sventare questo diabolico piano.

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14 marzo, 2013

Il pesatore di anime

“Il pesatore di anime” è un racconto lungo di André Maurois (1885-1967). La storia è un’incursione nel mondo del fantastico e del soprannaturale. Il protagonista, il dottor Howard Bruce James, è un medico che opera all’ospedale San Barnaba, a Londra. Qui, in gran segreto, con l’ausilio di un assistente e di un ex commilitone francese, che è il narratore omodiegetico, il primario compie degli esperimenti per tentare di catturare l’anima. Mentre essa esala dai corpi dei deceduti, egli riesce ad impirigionarla in un’ampolla di vetro.

Il protagonista è un uomo austero e riflessivo le cui ricerche non sono animate da un’indole prometeica, ma dal sentimento più nobile ed al tempo stesso più ordinario, l’amore per una donna. E’ un’attrice di talento, dalla salute cagionevole. Il Dottor James aspira ad unirsi all’anima dell’amata, in una fusione perfetta ed eterna di là dalla morte.

Ambientato parte nella Londra caliginosa dei docks, parte nella Costa azzurra della belle époque, “Il pesatore di anime” è una novella condotta con sobrietà dei mezzi espressivi: dialoghi essenziali dove i due sodali si interrogano sull’enigma dell’immortalità, scorci di interni rischiarati da luci fredde, narrazione per lo più lineare che non indulge né al colpo di scena né al gusto per il macabro.

La lezione di Hofmann, Poe e Wells si stempera in una misura malinconica, non scevra di un lieve umorismo nei rispetti di una psicostasia, la pesatura dell’anima, intesa in senso meramente materiale. Più che un racconto sulla dimensione ultraterrena, “Il pesatore di anime” è una delicata elegia con al centro l’amicizia e soprattutto una passione riservata ma non per questo meno intensa.

Nell’epilogo l’ex camerata di James scopre che una serie di circostanze avverse ha infranto il folle progetto dell’amico, congiungersi per sempre all’essenza della donna diletta. Il globo di vetro, che avrebbe dovuto contenere le anime dei due innamorati, è in frantumi… come tutti i sogni umani.

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12 marzo, 2013

Mondi cibernetici ed iperdimensionali: da Philip K. Dick a Giorgio Grati (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte.

Si pensi alla strana visione di Uri Geller, il famoso presunto sensitivo israeliano. Geller asserì di aver ricevuto alcune delucidazioni dagli abitanti di un pianeta extragalattico chiamato Hoova. Gli alieni di Hoova sarebbero capaci di agire sulla materia subatomica, per far apparire e sparire gli oggetti, sarebbero in grado di controllare il tempo. Inoltre gli ufonauti di Geller opererebbero con l’ausilio di androidi, unità bioniche attive all’interno di enormi astronavi, di cui l’ammiraglia è la “Spectra”.

Nel 2009 era stato pubblicato uno strano libro, a firma di Maja Ricci Andreini, “Il plico misterioso”. Preceduto da un insistente battage, il volume, che delineava uno scenario in cui la Terra è gestita da una piattaforma informatica nello spazio, si è dissolto nel nulla come la sua autrice.

Alcuni archetipi di questa concezione sono l’episodio della serie “Star Trek”, “Il ritorno degli Arconti” ed una novella di Fredric Brown, “La risposta”.

Di recente l’architetto Giorgio Grati ha esposto una teoria, per certi versi, simile. Stando a Grati, la vita sulla Terra è originata e preservata dall’Informazione, un segnale che proviene da un generatore ubicato a Nord ed allineato alla Stella polare. Per cause non chiare, tale segnale si starebbe indebolendo e Grati ha fantasticato che le scie chimiche servirebbero a mappare le zone del pianeta in cui è in atto un processo di deterioramento del segnale. Le anomale morie di pesci e volatili sono occorse giacché il segnale si è affievolito soprattutto nelle zone a nord del trentacinquesimo parallelo. L’architetto, che ha assicurato di essere in possesso di tecnologie per rafforzare il segnale, reputa che lo spirito coincida con l’informazione. “Esso è la nostra memoria, un programma informatico della quarta(?!) dimensione”.

Rispetto a tale Weltanschauung tecno-informatica, è più elevata la concezione di Dick. Egli considera il cosmo come la conseguenza del pensiero di una Mente che si è scissa in due diverse entità, dando luogo a due livelli di realtà, superiore ed inferiore, la Forma I e la Forma II di Parmenide (oppure, rispettivamente, Yang e Yin). L'umanità sarebbe intrappolata nell'universo inferiore, meccanico e deterministico ed un Velo di Maya occulterebbe il regno superiore, la vera realtà. La scissione della Mente divina sarebbe la causa di una sospensione del tempo intorno al 100 d. C., per cui solo un’immagine illusoria, trasformando lo spazio circostante, imiterebbe il flusso cronologico.

Il narratore statunitense, con il suo dualismo di origine gnostica, assegnando solo al mondo sublunare caratteristiche meccaniche, ci emancipa da una teoria tecnotronica del cosmo che, invece, è proposta da chi identifica la Mente con un software, riducendo materia, energia e coscienza ad una serie di bit.

Vero è che nessuno sa quale sia la quintessenza né della materia né della coscienza e così ogni supposizione è possibile, anche la più peregrina e bislacca.

Fonti:

M. R. Andreini, Il plico misterioso, 2009
Enciclopedia della fantascienza, Milano, s.v. Dick
G. Lombardi, 2013, l’uomo nuovo, dai creatori alieni al primo contatto, 2013
A. Marcianò, Apocalissi aliene, 2008


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08 marzo, 2013

Dei, legislatori ed impostori

Dei, legislatori ed impostori

La quintessenza del potere pare essere il sadismo.

Premessa

Nella recensione all’ultimo saggio del Professor Biglino, avevo accennato al fatto che la Torah è soprattutto un libro storico e come tale va interpretato. Avevo anche portato come campione di testi caratterizzati in senso prevalentemente denotativo i poemi omerici. Riconosco che l’esempio non è del tutto calzante: avrei dovuto citare i "Commentari di Cesare", libri che interpretare in modo esoterico è del tutto illegittimo. In verità, per quanto attiene all’Iliade e all’Odissea, un’esegesi simbolica è possibile, ma purché i capolavori omerici siano collocati nel loro originario contesto storico-geografico, il mondo nordico, ed a condizione che i valori reconditi siano enucleati là dove essi sostanziano l’ispirazione dell’autore (o degli autori). Ad esempio, è palese che Calipso è la dea che allude alla morte, anzi ad una dimensione di confine tra la vita e l’oltremondo. Calipso, il cui nome significa “Nasconditrice”, offre ad Odisseo l’immortalità, ossia la possibilità di trascendere i limiti spazio-temporali, rinunciando al nòstos ed all’esistenza terrena. Anche la gara dell’arco, con Odisseo (o Filottete?) che scocca un dardo che passa attraverso i fori di dodici scuri, ha una valenza emblematica, adombrando il percorso del Sole nei dodici segni dello Zodiaco nonché l’itinerario umano lungo i cicli temporali. In quanto opere letterarie, Iliade ed Odissea, manifestano una sostanza simbolica, purché per simbolo non si intenda una fantasia etimologica né un significato che ad ogni costo vogliamo attribuire al testo. D’altronde l’essenza della poesia è nel suono e nel ritmo, ancora prima che essi si addensino in significati. Affermare che Itaca vale “teca dell’io” è un modo brillante per applicare un’idea che mi pare estranea al testo, considerando pure che gli Achei avevano una concezione dell’io diversa dalla nostra. Naturalmente potrei sbagliarmi e forse l’ingegner Chiarini ha ragione, ma, fino a quando si useranno para-etimologie per interpretare le saghe antiche, mi atterrò ad una concezione antropologica e non esoterica.

Il libro “Non c’è creazione nella Bibbia” ha suscitato, com’era prevedibile, un vespaio. Quello che si contesta all’autore del saggio è soprattutto la sua sostanziale adesione alle ipotesi di Sitchin, quindi degli studiosi di archeologia spaziale, secondo i quali in un lontano passato esseri di altri pianeti sarebbero approdati sulla Terra ed avrebbero contribuito a fondare antiche civiltà. E’ un’ipotesi e tale resta per chi scrive. Ulteriori acquisizioni nell’ambito della Paleontologia, della Glottologia, della Biologia, dall’Archeologia etc. la verificheranno o falsificheranno del tutto o in parte. [1]

La controversia si appunta per lo più su problemi linguistici, sulla vexata quaestio “Elohim”: sono dispute molto sottili e spesso ostiche su cui non intendiamo indugiare, rimandando a studi settoriali. Accenniamo solo alla traduzione proposta dagli esperti del forum “Consulenza ebraica”: essi sostengono che “Elohim” vale “Legislatori”. In particolare costoro controbattono, affermando che gli extraterrestri non c’entrano alcunché con la Bibbia, in quanto gli Habiru furono discendenti degli Atlantidei. Il Legislatore dell’universo è YHWH, il Pentateuco è una summa di eccelse verità che vanno colte sia in senso letterale sia metaforico, l’ingegneria genetica ed altre conoscenze scientifiche sono contenute nella Torah: queste, per sommi capi, le idee propugnate dagli specialisti di cui sopra. [2]

Ora, prescindendo dai termini di una diatriba spinosa, riteniamo che il merito maggiore del Professor Biglino e di ricercatori in sintonia con lui, sia l’aver contribuito a superare la visione edulcorata tipica della Paleoastronautica in voga nei decenni passati. Kolosimo et al. dipingevano progrediti e benevoli popoli delle stelle che elargirono gratis et amore Dei ad orde di trogloditi il dono prezioso della cultura. Tale concezione si sposa con la rosea pittura del mondo medio-orientale dove un’etnia attinse mirabili vette culturali e spirituali sì da elaborare un credo sublime. Ci pare che la storia fornisca qualche esempio in grado di dimostrare che il passato non fu tutto rose e fiori, non in ogni luogo, non sempre. Se veramente la religione degli Habiru promana da saggissimi legislatori ed intemerati profeti (abbiamo buone ragioni per dubitarne), non si comprende per quale motivo i frutti di cotanti Maestri furono e sono tanto amari. Tale fiduciosa interpretazione collide con quella di chi vede nelle chiese di ieri e di oggi per lo più degli apparati di potere, pur nella consapevolezza che alcune scuole esoteriche svilupparono concetti purissimi inerenti alla trascendenza, impegnandosi a trasmetterli ad una catena di iniziati. Si ha l’impressione, però, che già pristine confraternite poco custodissero degli ancestrali segreti. Le religioni comunque sono soffi spirituali cristallizzati o, peggio, nelle loro varianti exoteriche, dei sistemi per controllare le coscienze. [3]

Ben venga dunque chi concorre a demolire ingenui miti, oggi concretatisi nello stereotipo dei “fratelli dello spazio” intenti a prodigarsi per avvertire gli uomini che se continueranno ad inquinare il pianeta (sic), saranno dolori. D’altronde il canestro della frutta può nascondere una serpe: i Sumeri, diffondendo la coltivazione dei cereali, portarono più danni che benefici. Inoltre, se i loro antenati (supposizione in gran parte ancora da dimostrare) crearono la specie homo sapiens, siamo inclini a vedere in questo intervento una decisione dissennata, un’interferenza, poiché in contrasto con i processi naturali ed in quanto volte a creare una popolazione di servitori.

Nessuno ha mai osservato che gli Anunna plasmarono il lulu amelu (se il mito sumero codifica questa vicenda, ossia la creazione del Sapiens attraverso l’ibridazione genetica) non tanto per la necessità di usufruire di manodopera nelle miniere, ma per essere ossequiati, per una volontà di supremazia fine a sé stessa. Il potere non corrompe: è già corruzione. D’altronde le infami élites attuali (discendono da primitive dinastie di dominatori?) vessano i popoli non perché intendano spillare loro altro denaro che possiedono già in gran copia, ma talora per mera crudeltà, per ridurli alla fame e godere di tale spettacolo. Per quali ragioni alcune classi dirigenti dell’antichità (re, governatori, sacerdoti...) dovrebbero essere state tanto diverse, pur con luminose eccezioni? Si pensi agli Assiri ed al loro impero fondato sul terrore. [4]

Dunque, a nostro parere, è il declassamento di presunti “stranieri” il merito maggiore di Biglino. Tale declassamento è in atto pure nella pregevole serie “Ancient aliens”, documentario prodotto negli Stati Uniti dal canale “History channel”. Mentre le prime stagioni del prodotto privilegiavano l’immagine degli antichi astronauti latori di conoscenze e progresso, le ultime insinuano sempre più spesso che essi furono talora all’origine di conflitti, pestilenze e persino calamità “naturali”.

E’ una bella differenza. Tra un becero ottimismo ed un atteggiamento guardingo, saremmo proclivi ad alimentare il secondo.

[1] Basti qui un cenno glottologico che avvalora l’assunto di una genesi concreta della lingua: il sumero originariamente esprimeva solo referenti concreti. Per produrre termini astratti si aggiungeva l’affisso nam-. Ad esempio, lugal (re) --> nam-lugal: "regalità", dingir (dio) --> nam-dingir: "divinità".

[2] Invero, gli indizi atti a suffragare tale modello esegetico non sono pochi. Inoltre, con il passare del tempo, se ne raccolgono sempre di nuovi.

[3] Il vituperato Sitchin potrebbe essere stato nel giusto quando concepì, interpretando le tavolette fittili ed i poemi sumeri, un sistema solare dinamico, come d’altronde Velikovskij: si susseguono notizie di strane anomalie che stanno investendo il Sole ed i pianeti. Nibiru o no, qualcosa di aberrante pare agire ai confini del sistema solare. L’intensificazione dell’attività tettonica è probabilmente anche la conseguenza di influssi cosmici su cui i media di regime tacciono.

[4] Il classico di Nietzsche “La genealogia della morale” ci squaderna, pur nel taglio polemico ed infocato dell’autore, l’ipocrisia e l’opportunismo delle caste sacerdotali, ma siamo noi che non sappiamo apprezzare il sommo valore di sacrifici umani ed animali, di guerre, di stragi, di vendette, di ladrocinii e consimili delicatezze… Sono delicatezze che naturalmente si spiegano, chiamando in causa il contesto storico, la proiezione delle imperfezioni umane sul divino ed adducendo altri persuasivi argomenti. La Bibbia lascerebbe affiorare due orientamenti, uno nobile ed un altro meno. Sono riconducibili a due differenti entità poi fuse in una sola, come ritiene Friedman?

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

07 marzo, 2013

Crune

L’umanità si aggira disorientata fra i meandri della notte. A tentoni, nel fioco bagliore di astri lontani, crune nella gramaglia lambita dal fuoco del buio.

Non si odono più gli inni della vita. L’umanità disperata cammina rasentando muri di aride raffiche.

Gli ultimi istanti sgocciolano nell’abisso…

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

02 marzo, 2013

Il libro di Mirdad

Il libro di Mirdad, il segreto della conoscenza e della saggezza”, è un’opera del libanese Mikhail Naimy, sodale ed accolito del compatriota Kahil Gibran. E’ scritto in larga parte sotto forma di dialogo. Narra la storia di un misterioso straniero, Mirdad. Egli si reca in visita nel remoto monastero che sorge sulla montagna dell’Arca. Lì assume il ruolo di maestro e di guida spirituale per i nove allievi che si è scelto.

“Il libro di Mirdad”, vergato in inglese e poi tradotto in arabo, è romanzo sui generis in cui non accade quasi nulla, se si escludono i primi magri capitoli. L’esile filo narrativo è imperlato di parabole, di profondi insegnamenti, di aforismi adamantini. Alcune pagine sono molto belle ed ispirate, pervase dalla ieraticità di un Vangelo apocrifo.

“Solo l’ignoranza ama essere ornata di parrucche e di toghe sì da poter emanare leggi ed infliggere condanne”.

“La fede che nasce su un’onda di paura non è altro che la schiuma della paura: essa s’alza e s’abbassa con la paura. La vera Fede non sboccia che sullo stelo dell’Amore. Il suo frutto è il Discernimento”.

“Le parole sono nel migliore dei casi lampi che rivelano orizzonti; esse non sono strade che conducono a quegli orizzonti e, ancor meno, esse gli orizzonti.”

“Più che un inferno è l’avere ali di luce e piedi di piombo; l’essere sostenuti dalla speranza ed il venire sommersi dalla disperazione; l’essere spiegati dall’indomita fede ed il venire ripiegati dal pavido dubbio”.

I concetti si addensano in immagini di mirabile purezza, in esempi torniti, in limpide descrizioni del paesaggio. “Il libro di Mirdad” è un’esortazione a superare il dualismo, ad attingere la natura divina che è in noi, sepolta sotto uno spesso strato di sedimenti, la cui luce è offuscata dall’eclissi cieca e nera dell’esistenza.

Pieno di pàthos è il capitolo intitolato “La grande nostalgia”, ove lo struggente rimpianto della Beatitudine ancestrale trova accenti elegiaci.

Le parole di Naimy sono un balsamo per gli infermi. Sono rugiada sulla fronte del febbricitante. Che cos’è la vita, se non una febbre, una sete inestinguibile di Infinito, tosto risorgente, non appena è un po’ placata? L’autore, attraverso la seducente tessitura fonica, elargisce attimi intensi, visioni mistiche. Lascia persino baluginare l’ineffabile mistero dell’Assoluto, oltre l’Inferno, oltre lo stesso Paradiso. Così tutte le aspirazioni umane e persino gli ideali più alti, al cospetto dell’Unità primigenia, inscalfibile, si riducono a squallide carcasse, a relitti rosi dalla salsedine.

Non sorprende che un dipinto dai colori smaglianti come “Il Libro di Mirdad”, sia piaciuto per la sua spiritualità ad Osho, ma deluderà i palati grossolani avvezzi a storie avventurose, ad intrecci costellati di colpi di scena. Lontano dai gusti triviali dei nostri tempi, eppure in parte non discosto da talune recenti espressioni della New age, il titolo si sgualcisce qua è là in qualche increspatura consolatoria. In quei brani dove il profeta Mirdad prova a suggerire l’origine del male, si avverte alcunché di arido, di gratuito. Qui l’autore ricuce con mano ferma e sapiente le dolorose ferite del cosmo e dell’essere, ma le cicatrici sono ancora visibili.

Il romanzo si conclude con un inno, scandito da una ripresa: “Dio è il tuo capitano, salpa, o mia Arca!”. Beato chi conosce la rotta…

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare