Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni. (E. Cioran)
La Coscienza che desidera essere infelice
Non di rado mi si chiede quale sia la mia opinione a proposito delle teorie elaborate dal professor Corrado Malanga. Come rispondere? Sarei propenso a distinguere tra le sue ricerche in campo xenologico ed il sistema che si è via via sviluppato per successive aggregazioni dalle indagini iniziali. Mentre le conclusioni cui il chimico toscano è giunto nell’ambito politico ed ufologico, mi trovano nel complesso concorde, il resto, invece, suscita in me qualche perplessità.[1]
In primo luogo mi sembra che egli metta troppo carne al fuoco, cercando di costruire un modello interpretativo del mondo dove numerose ed eterogenee discipline si sovrappongono, talora si contraddicono. L’intento di trovare la quadratura del cerchio è lodevole; il risultato forse inferiore all’impegno profuso. Bisogna, però, sottolineare che la contraddizione è segno di adesione al reale che è di per sé antinomico: nessun sistema può essere del tutto privo di incongruenze, pena la sua totale astrattezza. Va anche rilevato che il pensiero del chimico toscano è in fieri: presto uscirà un suo nuovo libro. Dunque le presenti riflessioni potranno essere in parte obsolete.
In estrema sintesi, Malanga distingue tra una realtà virtuale (olografica) ed una realtà reale, il mondo della Coscienza, avulso dallo spazio-tempo e dalle leggi fisiche. Questa idea dicotomica mi pare plausibile: si allinea, ad esempio, a quanto scrivevo in “Oltre i codici”, articolo cui rimando per una trattazione del tema. Ho anche spesso sostenuto che è inevitabile una forma di dualismo per quanto debole, dunque la distinzione malanghiana tra le due sfere del Tutto mi pare condivisibile.
Nel momento in cui si tenta di spiegare le ragioni che spingono la Coscienza a proiettarsi, a determinarsi nell’universo virtuale, sorgono, a mio avviso, alcune questioni. Non si comprende per quale ragione la Coscienza, che alla fine coincide con Dio, decida di maturare talune esperienze estreme. Che voglia conoscersi attraverso la morte, è concetto che si può ammettere, se accettiamo il dogma ossimorico di una Coscienza imperfetta, pur nella sua divinità. Tale bisogno di conoscersi implica anche l’immersione nella sofferenza: qui cominciano le note dolenti. Mi pare che si dipinga un Ente non solo di scarso acume (una sorta di dio avventato ed insipiente... un dio bambino?), ma pure un po’ masochista. Davvero era ed è necessario sprofondare nella voragine del tormento più atroce e disperato per acquisire consapevolezza? Di quanti vissuti, attraverso squartamenti, piaghe, mutilazioni, accecamenti, torture di ogni genere sia fisiche sia morali ha necessità Anima per conoscersi e per concludere che lo strazio non è poi una gran cosa? Non sarà un po’ ottusa? Per quante volte Anima dovrà immergere la mano nell’acqua bollente per inferirne che ci si ustiona? Quousque tandem? Intendiamoci: la vita nasce dal contrasto e senza le tenebre la luce non può risplendere. Una dose di male è necessaria e persino auspicabile: è la sua superfetazione sia pure “solo” nel livello del manifesto a lasciare impietriti.
Ora, di fronte al problema del male, sostanzialmente le posizioni sono due: o si nega che esso esista, anzi sia - il male come accidente o come privazione di bene (si pensi ad Agostino) - o ci si affanna per provare a giustificare il mysterium iniquitatis. Ecco allora che lo si considera connaturato all’Assoluto (Schelling) o agli uomini (Sartre) o a tutt’e due, in percentuali variabili, oppure lo si attribuisce ad un delirio di Sophia (Gnosi). Malanga aderisce alla prima versione: il male in sé è poco più che un’illusione ottica, anzi cerebrale, poiché dovuta alla contrapposizione tra emisfero destro e sinistro dell’encefalo.
La realtà è un ossimoro
Per quanto mi riguarda, credo che il male dipenda da un cedimento, da uno strappo, da un errore forse, se non ab origine, conseguente ad una delle manifestazioni o emanazioni del Principio. Potrei, però, sbagliarmi: d’altronde nessuno può dispensare la Verità a tale proposito, tanto meno chi si appella a motivazioni tradizionali, ricavate nella Bibbia.
In questo groviglio inestricabile di elucubrazioni ed ipotesi, vorrei rivalutare i “maestri del disincanto”, da Leopardi a Cioran, passando per Schopenauer e Nietzsche, solo per citare alcuni insigni pensatori. Questi filosofi, riluttanti ad offrire spiegazioni consolatorie ed a costruire sdolcinate teodicee, hanno il coraggio di guardare in faccia l’esistenza e la realtà, con tutto il suo pesante fardello di mali: la malattia, la decadenza, la scelleratezza, la noia, la disperazione… La filosofia “ottimista”, confrontata con l’impietosa sonda dei “pessimisti”, è simile all’arte di quei pittori della domenica che ritraggono cieli azzurri e tersi, campagne verdeggianti ed ameni villaggi, con il cavalletto piazzato di fronte ad una discarica.
Il problema conflagra quando ci si azzarda a dirimere ed a sublimare l'intrinseca contraddizione dell’esistenza e dell’universo. Allora preferisco i “sovrumani silenzi” del genio recanatese alle verbose ed astruse chiarificazioni di certuni. Preferisco l’assenza di qualsiasi risposta alla bolsa rivisitazione dell’Idealismo e ad un’etica che è, alla fine, quasi deamicisiana, con il suo richiamo alla volontà che tutto risolve. Se, invece, si fossero accostati maggiormente al vero quegli intellettuali che negano in toto o in parte l’assunto del libero arbitrio?[2]
Alla fine, quando ci si è infilati nel cul de sac, quasi sempre si ricorre alla fisica dei quanti che, a ben vedere, con la sua natura controintuitiva e paradossale, semmai conferma la profonda incongruità del cosmo. Fu dunque lungimirante Einstein, pur con tutti i suoi limiti, quando intuì che la meccanica quantistica rischiava di minare una visione coerente del Tutto. “Dio non gioca a dadi con l’universo”, dichiarò Einstein. Hawking decenni dopo replicò: “Non solo Dio gioca a dadi con l’universo, ma spesso li lancia dove non riesce più a vederli”. Credo che uno di questi dadi sia stato grosso come un macigno e che abbia colpito la zucca degli uomini, tramortendoli e soprattutto compromettendo gravemente le loro capacità intellettive.
[1] Merito indiscusso del professor Malanga è quello di aver denunciato le illusioni e gli inganni dell’ufologia fiduciosa, purtroppo preponderante, popolata di civiltà evolute e benevole, di Guardiani cosmici che ci proteggerebbero da un paio meteoriti, ma che ignorano la Geoingegneria assassina.
[2] So bene che la rivalutazione dei filosofi “pessimisti” sarà considerata segno di incoerenza, ma come si può evitare sempre e comunque un ondeggiamento tra ipotesi differenti, dacché la realtà è antinomia vivente e palese, violazione del principio del terzo escluso? Inoltre rileggere le pagine di certi autori non significa aderire in modo acritico alle loro concezioni, ma estrarre quanto di buono le loro opere possono trasmettere.
La Coscienza che desidera essere infelice
Non di rado mi si chiede quale sia la mia opinione a proposito delle teorie elaborate dal professor Corrado Malanga. Come rispondere? Sarei propenso a distinguere tra le sue ricerche in campo xenologico ed il sistema che si è via via sviluppato per successive aggregazioni dalle indagini iniziali. Mentre le conclusioni cui il chimico toscano è giunto nell’ambito politico ed ufologico, mi trovano nel complesso concorde, il resto, invece, suscita in me qualche perplessità.[1]
In primo luogo mi sembra che egli metta troppo carne al fuoco, cercando di costruire un modello interpretativo del mondo dove numerose ed eterogenee discipline si sovrappongono, talora si contraddicono. L’intento di trovare la quadratura del cerchio è lodevole; il risultato forse inferiore all’impegno profuso. Bisogna, però, sottolineare che la contraddizione è segno di adesione al reale che è di per sé antinomico: nessun sistema può essere del tutto privo di incongruenze, pena la sua totale astrattezza. Va anche rilevato che il pensiero del chimico toscano è in fieri: presto uscirà un suo nuovo libro. Dunque le presenti riflessioni potranno essere in parte obsolete.
In estrema sintesi, Malanga distingue tra una realtà virtuale (olografica) ed una realtà reale, il mondo della Coscienza, avulso dallo spazio-tempo e dalle leggi fisiche. Questa idea dicotomica mi pare plausibile: si allinea, ad esempio, a quanto scrivevo in “Oltre i codici”, articolo cui rimando per una trattazione del tema. Ho anche spesso sostenuto che è inevitabile una forma di dualismo per quanto debole, dunque la distinzione malanghiana tra le due sfere del Tutto mi pare condivisibile.
Nel momento in cui si tenta di spiegare le ragioni che spingono la Coscienza a proiettarsi, a determinarsi nell’universo virtuale, sorgono, a mio avviso, alcune questioni. Non si comprende per quale ragione la Coscienza, che alla fine coincide con Dio, decida di maturare talune esperienze estreme. Che voglia conoscersi attraverso la morte, è concetto che si può ammettere, se accettiamo il dogma ossimorico di una Coscienza imperfetta, pur nella sua divinità. Tale bisogno di conoscersi implica anche l’immersione nella sofferenza: qui cominciano le note dolenti. Mi pare che si dipinga un Ente non solo di scarso acume (una sorta di dio avventato ed insipiente... un dio bambino?), ma pure un po’ masochista. Davvero era ed è necessario sprofondare nella voragine del tormento più atroce e disperato per acquisire consapevolezza? Di quanti vissuti, attraverso squartamenti, piaghe, mutilazioni, accecamenti, torture di ogni genere sia fisiche sia morali ha necessità Anima per conoscersi e per concludere che lo strazio non è poi una gran cosa? Non sarà un po’ ottusa? Per quante volte Anima dovrà immergere la mano nell’acqua bollente per inferirne che ci si ustiona? Quousque tandem? Intendiamoci: la vita nasce dal contrasto e senza le tenebre la luce non può risplendere. Una dose di male è necessaria e persino auspicabile: è la sua superfetazione sia pure “solo” nel livello del manifesto a lasciare impietriti.
Ora, di fronte al problema del male, sostanzialmente le posizioni sono due: o si nega che esso esista, anzi sia - il male come accidente o come privazione di bene (si pensi ad Agostino) - o ci si affanna per provare a giustificare il mysterium iniquitatis. Ecco allora che lo si considera connaturato all’Assoluto (Schelling) o agli uomini (Sartre) o a tutt’e due, in percentuali variabili, oppure lo si attribuisce ad un delirio di Sophia (Gnosi). Malanga aderisce alla prima versione: il male in sé è poco più che un’illusione ottica, anzi cerebrale, poiché dovuta alla contrapposizione tra emisfero destro e sinistro dell’encefalo.
La realtà è un ossimoro
Per quanto mi riguarda, credo che il male dipenda da un cedimento, da uno strappo, da un errore forse, se non ab origine, conseguente ad una delle manifestazioni o emanazioni del Principio. Potrei, però, sbagliarmi: d’altronde nessuno può dispensare la Verità a tale proposito, tanto meno chi si appella a motivazioni tradizionali, ricavate nella Bibbia.
In questo groviglio inestricabile di elucubrazioni ed ipotesi, vorrei rivalutare i “maestri del disincanto”, da Leopardi a Cioran, passando per Schopenauer e Nietzsche, solo per citare alcuni insigni pensatori. Questi filosofi, riluttanti ad offrire spiegazioni consolatorie ed a costruire sdolcinate teodicee, hanno il coraggio di guardare in faccia l’esistenza e la realtà, con tutto il suo pesante fardello di mali: la malattia, la decadenza, la scelleratezza, la noia, la disperazione… La filosofia “ottimista”, confrontata con l’impietosa sonda dei “pessimisti”, è simile all’arte di quei pittori della domenica che ritraggono cieli azzurri e tersi, campagne verdeggianti ed ameni villaggi, con il cavalletto piazzato di fronte ad una discarica.
Il problema conflagra quando ci si azzarda a dirimere ed a sublimare l'intrinseca contraddizione dell’esistenza e dell’universo. Allora preferisco i “sovrumani silenzi” del genio recanatese alle verbose ed astruse chiarificazioni di certuni. Preferisco l’assenza di qualsiasi risposta alla bolsa rivisitazione dell’Idealismo e ad un’etica che è, alla fine, quasi deamicisiana, con il suo richiamo alla volontà che tutto risolve. Se, invece, si fossero accostati maggiormente al vero quegli intellettuali che negano in toto o in parte l’assunto del libero arbitrio?[2]
Alla fine, quando ci si è infilati nel cul de sac, quasi sempre si ricorre alla fisica dei quanti che, a ben vedere, con la sua natura controintuitiva e paradossale, semmai conferma la profonda incongruità del cosmo. Fu dunque lungimirante Einstein, pur con tutti i suoi limiti, quando intuì che la meccanica quantistica rischiava di minare una visione coerente del Tutto. “Dio non gioca a dadi con l’universo”, dichiarò Einstein. Hawking decenni dopo replicò: “Non solo Dio gioca a dadi con l’universo, ma spesso li lancia dove non riesce più a vederli”. Credo che uno di questi dadi sia stato grosso come un macigno e che abbia colpito la zucca degli uomini, tramortendoli e soprattutto compromettendo gravemente le loro capacità intellettive.
[1] Merito indiscusso del professor Malanga è quello di aver denunciato le illusioni e gli inganni dell’ufologia fiduciosa, purtroppo preponderante, popolata di civiltà evolute e benevole, di Guardiani cosmici che ci proteggerebbero da un paio meteoriti, ma che ignorano la Geoingegneria assassina.
[2] So bene che la rivalutazione dei filosofi “pessimisti” sarà considerata segno di incoerenza, ma come si può evitare sempre e comunque un ondeggiamento tra ipotesi differenti, dacché la realtà è antinomia vivente e palese, violazione del principio del terzo escluso? Inoltre rileggere le pagine di certi autori non significa aderire in modo acritico alle loro concezioni, ma estrarre quanto di buono le loro opere possono trasmettere.
Fuori, la gelida notte del deserto.
RispondiEliminaE questa altra notte,
dentro, si accende,
diventando sempre più calda.
Lascia che l’arido paesaggio, fuori,
si riempia viepiù di spine.
C’è un giardino, dolce e delicato,
dentro ognuno di noi.
Continenti che esplodono, città e
paesi... tutto si trasforma in un solo
globo, bruciato e nero.
Le notizie che sentiamo sono colme
di ansietà per quel futuro.
Ma la vera notizia, dentro di noi,
è che non ci sono affatto novità.
(Rumi)
Condivido in buona sostanza cio' che scrivi, caro Zret. Di Malanga ho pero' una opinione poco rosea, perche' mi pare che a un certo punto il senso della sua ricerca gli sia sfuggito di mano e che il nostro abbia cominciato a indulgere nelle dispense di soluzioni facili e pericolose. Mi riferisco soprattutto alle strategie di autoliberazione degli addotti denominate TCT statico e dinamico, dove alla fine tutto viene ricondotto assai semplicisticamente all'esercizio di un atto di volonta' degli addotti per liberarsi dagli alieni infestanti. Tali soluzioni, ideate dal Malanga, secondo me espongono gli addotti a rischi ancora maggiori, in quanto costoro vengono sollecitati a un fai da te senza protezione alcuna, e con la guida assai approssimativa, e spesso contradditoria, dei soli articoli del professore. Soluzioni che mi fanno temere le infiltrazioni di entita' assai piu' pericolose di quelle che si vorrebbero scacciare - una volta aperti dei varchi, come si fa a pattugliare l'entrata senza una guida autorevole? Molto meglio trovarsi uno sciamano, che almeno svolge regolare tirocinio!
RispondiEliminaScrissi questo articolo circa un mese fa, ma l'ho pubblicato solo oggi. Stamani ho acquistato il nuovo numero di "X Times" che contiene un'interessante intervista a Malanga, il quale afferma di aver abbandonato le varie tecniche per espellere i parassiti. Dunque il suo pensiero è in evoluzione. Tralasciando gli aspetti semi-idealistici (fichtiani) della filosofia in esame - risvolti su cui ho già scritto numerose volte - sono in sintonia con le tue perplessità.
RispondiEliminaCiao
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RispondiEliminaCiao Zret, Condivido le osservazioni di Avalon.
RispondiEliminaLeopardi, a me sembra, in realtà non possa definirsi "pessimista" come in fondo non furono pessimisti i tragici greci.
Gnosticismo, presenta diverse sfumature a seconda delle nazioni in cui venne coltivato, così vale del resto per l'Ermetismo, la Mistica Pagana, lo Zoroastrismo, la Spiritualità Cristiana (escludo l'ultimo cattolicesimo) e Spiritualità Islamica, Induismo, Taoismo, il variegato complesso frammentato delle remote Religioni Arcaiche, tutto ciò riguarda l'Inizio e il Ritorno dell'uomo proiettato oltre la propria considerazione solamente umana. E' una foresta simbolica che attraversiamo in questa vita e a me sembra che Malanga s'inoltri in un sentiero dal quale pretende di ricavare contemporaneamente ogni possibile diramazione cognitiva, ma forse, benché sia preziosa la sua indagine, questa non credo possa aiutare a trovare la via d'uscita da questo sempre più tetro labirinto che è l'esistenza. Al dunque, comprendere solo razionalmente vale invischiarsi nelle maglie sempre più strette di una sterile quanto astratta logicità.
L’ipnosi stessa, metodica peraltro abbandonata da Malanga già da qualche anno, non esula da tale significato.
Il parametro logico assunto ad unico valore cognitivo costituisce la quintessenza dell'inganno. Siamo ormai, già da decenni, "al si salvi chi può" e, salvarsi, oggi forse nessuno può.
Leggevo dei brani delle vite degli uomini illustri redatte dall'umanista rinascimentale Paolo Giovio. lui (beato lui) edificò un luogo della memoria dentro una vetusta villa affacciata sul lago di Como, proprio nel punto in cui sorgeva, secoli prima, quella di Plinio il vecchio e della quale rimanevano in vista i commoventi ruderi.
RispondiEliminaUn’isoletta, circondata da un muro imponente e ingentilita da numerosi alberi da frutto, proteggeva dai venti australi il porticciolo d'attracco, congiunta alla terraferma da un canale realizzato ad arte e che Plinio, a buon diritto, chiamava "il canale verde e gemmeo"...
Paolo Giovio, sfruttando l’architettura preesistente, adattò a dedalo subacqueo la parte del muro che circondava l’isoletta nel punto in cui questo si congiungeva al canale col fine di ricavare un’agevole pescheria naturale nelle acque del lago stesso.
Qui nei pesci ci vedo una metafora delle anime, della nostra stessa condizione. Provenienti dal centro del lago (il centro ideale del Cosmo) i pesci-anime attratti dal canale gemmeo, vicendevolmente s’inseguono penetrando sempre più dentro il dedalo attraverso certi insidiosi forami posti tra gli oscuri anfratti del fondo (questo varrebbe la progressiva, ciclica, discesa nella materia) e, una volta giunti nell’ultimo vano, non potendo più tornare indietro, rimangono prigionieri delle vasche mortali, garantendo così che nulla di desiderabile manchi alla tavola dell’intelligenza superiore.
La via d’accesso alla memoria è diventata ardua già in tempi omerici, non riesco a capire oggi come siamo messi (davvero male).
Il germe del nichilismo nasce assieme il “perché?” non nasce perché non si sa rispondere al perché (Nietzsche) ma nasce proprio nel “perché?” interrogativo razionale.
Vivere è vivere la fine delle cose, la consapevolezza della morte. Mai l’uomo è stato tanto impreparato alla morte come oggi. Vivere è vivere la fine di un mondo, la fine delle Ere stesse. A quale realtà consegniamo le nostre suggestioni? Forse questo è il punto davvero focale…adesso.
Ciao Giovanni, non è facile districarsi nel labirinto dell'esistenza che è enigma e paradosso. Leopardi scrisse: "Stupenda e arcana cosa è la vita". Purtroppo gli esegeti hanno sempre frainteso il significato dell'aggettivo "stupenda".
RispondiEliminaL'allegoria dei pesci adombra un significato di catabasi che, come ben sai, considero movimento peculiare del cosmo e dell'Anima. Perché ciò sia avvenuto non saprei.
L'ipoteca che grava su certi orientamenti è il criterio logico-scientifico che conduce ad una visione del reale in fondo giustificatrice del reale stesso nella sua totalità. Quando si spiega tutto, non si spiega alcunché.
Ciao
Così scrivevo a proposito dell'aggettivo "stupenda"
RispondiElimina"Al lugubre “Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie", appartenente alle “Operette morali”, Giacomo Leopardi premette un coro di defunti “in cui si esprime l’arcana e tragica fissità del non essere, di una vita, cioè, spogliata d’ogni attesa, d’ogni speranza, d’ogni dolore. E’ quella che il Leopardi immagina dopo la morte: un puro esistere senza tempo né mutamento, un rifluire per l’eternità nel ritmo dell’universo.” (M. Pazzaglia)
Il coro dei morti è una prova altissima della poesia leopardiana, con quell’incedere ieratico di endecasillabi e settenari, tramati di rime cupe, spezzati da dolenti enjambements. I versi del coro sembrano un’eco proveniente da un oscuro antro del cosmo, da un insondabile abisso del tempo. Le parole levigate hanno il gelido candore del marmo. Il canto culmina nell’esterrefatto distico: “Cosa arcana e stupenda/ oggi è la vita al pensier nostro”.
Misticismo senza Dio, esistere senza sensazioni, persino nostalgia senza rimpianto: questo è l’universo silenzioso e desolato in cui si spegne l’anelito di un sogno febbrile.
Pochi versi si imprimono come questi nella memoria, echeggiando a guisa di una vibrazione misteriosa risalente da profondità sconfinate. Nel generico vocabolo “cosa” è incarnata l’inafferrabilità dell’esistenza, ridotta ad un oggetto estraneo raggelato nella vitrea fissità del non senso: veramente succede, in rari momenti di epifania, di scoprire l’assurdo dietro le fragili parvenze della normalità. Se l’aggettivo “arcana” rincalza l’incomprensibilità della vita, definendone l’essenza immotivata e nascosta, il lettore si imbatte nel termine “stupenda”, come fosse un enigma edipico. La vita “stupenda”? Non certo nel significato di “incantevole”, ma di fenomeno che suscita sgomenta meraviglia, sbigottimento. Soprattutto “stupenda” è voce incisiva per il suo timbro stentato e tartagliante, in cui inciampa la lingua.
E’ così: questa parola contiene la stessa radice (assieme alla potenza evocativa di straniti fonemi) dell’inglese “to stumble”, “inciampare”. Veramente ci si imbatte nella vita, si incespica tra i suoi insidiosi ostacoli, nel selciato sconnesso del destino.
A volte si stramazza, per non rialzarsi più".
Sembrerebbe davvero essere così come dici, ma non riesco ad abbracciare una visione completamente tetra del divenire. Ogni istante ha la sua gravità, tanto più in questi ultimi "giorni" di un Età della storia. Questa gravità dei tempi ci richiama al valore di una resistenza (resistenza interiore) Leopardi ad ogni modo amava la lirica antica, ne era propriamente "incantato" e chi ama, chi vive la "suggestione felice" conferisce realtà al nucleo metafisico dell'esistenza, che è intessuto di speranza, di coraggio, di fede matura. Dico la suggestione viva ed estremamente concreta determinante l'intima e robusta relazione della coscienza di vivere con la vita stessa. Come Leopardi stesso annota nello Zibaldone "le favole di Laocoonte e di Niobe, o il dolore antico" : "...La cosolazione loro anche della morte non era nella morte, ma nella vita"
RispondiEliminaRifondersi nell'ignoto luminosamente percepito è il fine dell'uomo. Non c'è ordinaria ragionevolezza in quest'aspirazione.
Senza il divenire, non esisterebbe la vita, non esisterebbe il cosmo. Panta rei. Il fiume in cui non ci si può bagnare due volte è immagine di un divenire che acquisisce senso nel continuo rinnovamento.
RispondiElimina"Ogni istante ha la sua gravità, tanto più in questi ultimi "giorni" di un Età della storia. Questa gravità dei tempi ci richiama al valore di una resistenza (resistenza interiore) Leopardi ad ogni modo amava la lirica antica, ne era propriamente "incantato" e chi ama, chi vive la "suggestione felice" conferisce realtà al nucleo metafisico dell'esistenza, che è intessuto di speranza, di coraggio, di fede matura".
Concordo in toto, Giovanni.
Ciao
in realtà la suddivisione che tu fai fra una prima e una seconda parte del pensiero malanghiano non c'è, a mio parere. Se infatti la tematica può sembrare nettamente distinta (alieni, politica, storia nella prima - coscienza, dei, cosmogonia nella seconda) in realtà entrambe traggono spunto da quello che la parte animica e le memorie aliene attive degli addotti raccontano sotto ipnosi. Malanga in un certo senso non si è inventato nulla, ha solo messo insieme dei pezzi e trovato addentellati con filosofie, religioni, fisica e conoscenze antiche e sparse per il mondo. Quindi se si accetta come plausibile la prima parte dovrebbe valere lo stesso giudizio sulla seconda.
RispondiEliminaIl fatto che dal nostro punto di vista paia assurda la volontà della Coscienza di sperimentare tutte le forme possibili di dolore (e, perchè no, di male) è normale. Siamo limitati, incastrati e sedotti da una gabbia di sensi che anche un mal di testa ci sembra irragionevole. Ma il punto di vista, e la visione globale delle cose, di un Ente "totale" forse ci sfugge, e quindi in questo non vedo contraddittorio o illogico la sua volontà di sperimentare (la coscienza non sarebbe inconsciente cioè). L'incongruenza cosmica di cui parli alla fine forse è dovuta solo alla nostra incapacità di capire e abbracciare il Tutto.
Sui rischi di metodologie faidate come il tct non saprei, di sicuro sono efficaci, e forse ha voluto dare a tutti una possibilità di "cura" dato che spesso è difficile trovare qualcuno che aiuti in certe situazioni. Per ora non ho trovato riscontri negativi sulle eventuali porte lasciate aperte (come invece succede nel reiki), ma sono pronto a ricredermi.
Il nuovo libro cui accenni è questo?
http://www.spaziointeriore.com/index.php/store/edizioni-spazio-interiore/malanga-genesi-detail
E' il Professor Malanga nell'intervista di cui sopra ad asserire che la sua visione circa gli alieni è cambiata. Gli Altri sono tema cardinale del suo pensiero. Vero è che la cornice teorica è grosso modo la stessa.
EliminaLe mie perplessità restano, ma non tanto in ordine alla dottrina elaborata dal chimico toscano, quanto in rapporto alla rivisitazione dell'Idealismo di Fichte, perché, mutatis mutandis, le concezioni in esame rispecchiano la visione del filosofo tedesco per cui l'Io pone il Non-Io per affermarsi, per creare un contrasto che gli consenta di acquisire coscienza di sé. Spiega il Prof. Malanga: "Io ho deciso di comprendere qualcosa di me e che non ho compreso e ho costruito l'universo in modo che mi faccia comparire davanti quel film, affinché io veda e comprenda".
Che cos'è questo se non l'Idealismo di Fichte, con tutti i suoi pregi e limiti?
Comunque è tema talmente abissale che credo che neppure Dio - non sembri hybris - sia in grado di sviscerarlo appieno.
Ciao
P.s. Il libro è quello che segnali. Chi l'avrà letto, potrà scrivere le sue impressioni.
EliminaCiao
I lavori per la clonazione dell'uomo procedono talmente spediti che a breve potranno fare a meno dell'ingombrante presenza della gran parte di noi.
RispondiEliminahttp://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2324970/New-spectre-cloned-babies-Scientists-create-embryos-lab-grow-term.html
Avalon Carr, ritengo che i cloni siano tra noi... da tempo.
RispondiEliminaCiao
Presto un articolo sul tema.
EliminaHai ragione senz'altro. E' il momento di rendere edotta la massa, tutto qui. I motivi addotti per le clonazioni saranno, chiaramente, i piu' alti. Bisogna pur motivarli gli applausi che perverranno da ogni donde!
EliminaE' come nel caso dei microchip di cui si decantano i presunti, mirabolanti vantaggi. La tecnologia più imbastardita è sempre spacciata come panacea.
EliminaCiao
seguendo le tracce sulla sinistra vicenda della Jolie e dei suoi seni mozzati, mi sono imbattuta in questi 2 articoli che trattano della clonazione umana. Te li allego:
Eliminahttp://www.naturalnews.com/040348_GM_babies_FDA_human_genome.html
e il solito daily mail, sicuramente emanazione del tavistock institute perche' sanno sempre tutto prima degli altri
http://www.dailymail.co.uk/news/article-43767/Worlds-GM-babies-born.html
Hai visto il film "Non lasciarmi" tratto da un libro dello stesso autore di "Cio' che resta del giorno" - mi sfugge il suo nome. E' davvero rivelatore.
Avalon Carr, ahimè, non l'ho visto. Intendo documentarmi quanto prima. Non ricordo neanch'io il nome.
EliminaCon una "piccola" scossa elettrica e' stato possibile riscontrare un aumento nelle capacita' di calcolo matematico. A breve disponibili altri gadget per migliorare capacita' poetiche e analitiche - li stanno testando sugli esponenti del Cicap! ;)
RispondiEliminahttp://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2325623/A-shocking-discovery-Zapping-brain-electricity-maths-lessons-boost-numerical-skills-THIRD.html
"Li stanno testando sugli esponenti del Cicap"... con risultati fallimentari. :-)
EliminaZRET, mi piacerebbe, per favore, potete dirmi qual è la tesi fondamentale del libro Alien Apocalypse: La libro.Después l'apocalisse aliena, come sarebbe la Terra ed i suoi abitanti? Che cosa sarebbe il passo successivo?
RispondiEliminaVorrei poter leggere la tua risposta oggi, Venerdì mattina, perché poi per tutto il fine settimana non posso essere connesso ad internet.
Grazie mille, un abbraccio, Keira
Keira, il libro "Apocalissi aliene" è il primo ed unico volume in Italia dedicato al cosiddetto "contattismo", in cui sono passate in rassegna le rivelazioni e le "profezie" di presunti alieni, rivelazioni di cui sono state beneficiarie parecchie persone tra gli anni 50 del XX secolo ed oggi. Si noti che le profezie si sono quasi tutte verificate.
RispondiEliminaCiao
“Apocalissi aliene”: perché questo titolo? Apocalissi, in senso etimologico, vale "rivelazione". Questo libro, infatti, si impernia principalmente sulle presunte rivelazioni di sedicenti extraterrestri: sono comunicazioni che sono state indagate nella loro origine, plausibilità e nel loro grado di maggiore o minore anticipazione del futuro. Apocalissi è da intendersi, in parte, anche nel significato corrente e popolare di evento finale, di tipo catastrofico, giacché alcuni dei messaggi analizzati palesano tale caratteristica.
RispondiEliminaCiao Zret.Hata Lunedi, alle 14.30 non ho potuto leggere la tua risposta, quindi non ho risposto prima. Mi piacerebbe leggere il libro: Apoclipsis alieno.
RispondiEliminaChe libro profezie si sono avverate '? Che cosa accadrà, secondo quel libro dopo l'apocalisse?
La ringrazio molto per la vostra gentilezza nel rispondere.
Un abbraccio, Keira