“L’ambiguità del reale è siffatta che il Bene stesso può generare il Male.” (F. Schelling)
E’ estenuante il dibattito con gli assertori della “verità”: estenuante ed inutile. Ora, mi chiedo come sia possibile essere sicuri di possedere verità ontologiche (non empiriche) per dispensarle ai profani. Come spesso avviene, la pietra d’inciampo è il problema del male.
I dogmatici, per avere ragione in modo definitivo, invece di ricorrere ai funambolismi dei teologi, che tentano di spiegare il mysterium iniquitatis, scivolando in conclusioni più insanabili delle già antinomiche premesse, negano il male tout court. E’ uno stratagemma molto efficace, ma pur sempre uno stratagemma.
Se si obietta che resta comunque una dose di male che pare assurdo, inesplicabile, i negatori ti rispondono, con Leibniz e Pangloss che “tutto è perfetto così com’è”. “Viviamo nel migliore dei mondi possibili”. Tali asserzioni sono postulati che non abbisognano di alcuna dimostrazione. Il male è solo il frutto di una visione limitata e soggettiva. Sarà... Se si propone l’esempio di un bambino ucciso, dopo essere stato seviziato magari per anni, coloro replicano nel modo seguente: in primo luogo quel bambino ha deciso di nascere per maturare un’istruttiva esperienza che prevedeva la sua morte dopo una lunga tortura. Inoltre essi affermano che il male incarnato in tale vissuto è del tutto illusorio, più inconsistente di un’ombra.
Ora, è anche possibile, in linea teorica, che costoro abbiano ragione: la realtà è così irrazionale che il male stesso potrebbe essere giustificato con argomenti così irragionevoli. Quanto contesto in modo reciso è l’atteggiamento dogmatico, apodittico, categorico dei negatori: essi non propongono il loro pensiero come un’eventuale risposta, ma come la RISPOSTA. Questo è oltremodo irritante nonché una bestemmia nei confronti degli esseri viventi tutti che soffrono pene indicibili sia fisiche sia morali. Onestà intellettuale vorrebbe che, al cospetto delle più atroci manifestazioni del male, si sospendesse il giudizio o si ventilassero delle ipotesi. Onestà intellettuale vorrebbe si evitasse di addurre come prova di quanto bandito il Pensiero tradizionale che viene piegato (e stuprato) per sentenziare e persino per giudicare.[1]
I seguaci di Plotino, di Agostino, di Leibniz etc. sostengono che il male è non-essere, assenza di Bene, essendo privo di sostanza. Lo ripeto: potrebbe essere così, ma, mentre i filosofi citati, se non altro, inquadrano la loro interpretazione in una dottrina filosofica, chi ne ha solo orecchiato le idee manca del tutto dell’inclinazione a definire un disegno coerente, semmai impastando un po’ di pseudo-concetti della New age più becera.
Prova ne è la gigantesca incongruenza in cui si impastoiano. I negatori del male sono nel contempo propugnatori del libero arbitrio, quindi dell’etica. Se, però, tutto è armonico, tutto è solo come dev’essere, allora tutto è lecito: non intercorre alcuna differenza tra una carneficina ed il salvataggio di mille vite. Sono due azioni del tutto intercambiabili, poiché ambedue consentono di maturare esperienze e di “evolvere”. Del tutto intercambiabili sono anche un criminale ed un benefattore.[2]
Per carità, sono il primo a vedere nella morale il preludio del moralismo. Sono il primo anche a propendere per la fallacia circa il convincimento del “libero arbitrio”, simpatizzando, invece, per una concezione fatalista. Tuttavia le mie sono mere congetture o, al limite, intuizioni: so che non possono né potranno mai essere avvalorate in modo definitivo né d’altro canto confutate. Ammetto pure che non è per nulla facile dirimere certe controversie, preferendo il dubbio umano ad una “verità” sacerdotale.
Sentirei di accostarmi, come ho già scritto, a quelle concezioni, secondo cui il mysterium iniquitatis è inerente alla creazione (o emanazione stessa): questa idea, prima di essere gnostica, è in Anassimandro.[3] Riconosco che non è non il non plus ultra come chiarimento, ma è sempre meglio sia delle consolatorie delucidazioni New age sia dell’esegesi ebraico-cristiana-musulmana, secondo cui il male sarebbe dovuto ad una scelta di Adamo ed Eva. I progenitori avrebbero violato un precetto divino, quando ancora il male non era entrato nel mondo. Da dove spunta poi il Serpente tentatore? Lo creò Dio? Se è così, nell'Eterno alberga un lato oscuro? Il Signore non sapeva, nella sua onniscienza, che Eva avrebbe ceduto alle lusinghe del Serpente? Etc. Insomma lasciamo tali quesiti a chi si appoggia alla Bibbia con le stampelle di traduzioni approssimative.
Essere umani significa riconoscere che talune questioni non possono essere del tutto intese. I dogmatici sono l’antitesi dell’umanità, poiché si reputano, con immensa superbia, eguali a Dio stesso, di cui conoscono ed interpretano intenzioni, fini, persino i più reconditi pensieri. La condizione umana è, invece, insufficienza ed incompletezza: altrimenti non sarebbe una condizione propriamente umana, nel bene e... nel male.
[1] La Philosophia perennis è strumentalizzata per divulgare ed imporre storte nozioni della New age deteriore.
[2] Non è naturalmente l’unica incoerenza in cui annegano. Comunque che noia, che nausea questa “perfezione”, questa acquiescenza all’esistente… un sedativo per la coscienza, un elisir narcotizzante che dona una felicità da moribondi.
[3] Il mito cosmogonico di Purusha (RigVeda), l’Uomo primordiale che si smembra e si sacrifica nella Manifestazione, non è forse così distante. Questo mito non presuppone che fine del cosmo e delle creature sia evolvere, attraverso l’esperienza dei patimenti: infatti vede la creazione in sé come sacrificio, come disarticolazione rispetto ad un’unità originaria. Il fine non è dunque l’evoluzione, ma il ritorno ad uno stato primigenio. La sofferenza non è tanto un mezzo, quanto un aspetto necessario dell’universo. La scelta compiuta dagli esseri tutti (inclusi i minerali) di scendere nel mondo materiale è inevitabile (fatalismo?), perché è l’unico modo per risalire, per tornare alla Sorgente da dove Purusha si è allontanato. Il motivo di questo distacco non è per nulla chiaro. Il mito di Purusha, oltre a contenere un dualismo che ricorda quello cartesiano tra res cogitans e res extensa, definisce una situazione circolare, oziosa e tautologica. Per dirla con Leopardi: “Tutte le cose si muovono per tornare infine nel luogo donde si son mosse”.
E’ estenuante il dibattito con gli assertori della “verità”: estenuante ed inutile. Ora, mi chiedo come sia possibile essere sicuri di possedere verità ontologiche (non empiriche) per dispensarle ai profani. Come spesso avviene, la pietra d’inciampo è il problema del male.
I dogmatici, per avere ragione in modo definitivo, invece di ricorrere ai funambolismi dei teologi, che tentano di spiegare il mysterium iniquitatis, scivolando in conclusioni più insanabili delle già antinomiche premesse, negano il male tout court. E’ uno stratagemma molto efficace, ma pur sempre uno stratagemma.
Se si obietta che resta comunque una dose di male che pare assurdo, inesplicabile, i negatori ti rispondono, con Leibniz e Pangloss che “tutto è perfetto così com’è”. “Viviamo nel migliore dei mondi possibili”. Tali asserzioni sono postulati che non abbisognano di alcuna dimostrazione. Il male è solo il frutto di una visione limitata e soggettiva. Sarà... Se si propone l’esempio di un bambino ucciso, dopo essere stato seviziato magari per anni, coloro replicano nel modo seguente: in primo luogo quel bambino ha deciso di nascere per maturare un’istruttiva esperienza che prevedeva la sua morte dopo una lunga tortura. Inoltre essi affermano che il male incarnato in tale vissuto è del tutto illusorio, più inconsistente di un’ombra.
Ora, è anche possibile, in linea teorica, che costoro abbiano ragione: la realtà è così irrazionale che il male stesso potrebbe essere giustificato con argomenti così irragionevoli. Quanto contesto in modo reciso è l’atteggiamento dogmatico, apodittico, categorico dei negatori: essi non propongono il loro pensiero come un’eventuale risposta, ma come la RISPOSTA. Questo è oltremodo irritante nonché una bestemmia nei confronti degli esseri viventi tutti che soffrono pene indicibili sia fisiche sia morali. Onestà intellettuale vorrebbe che, al cospetto delle più atroci manifestazioni del male, si sospendesse il giudizio o si ventilassero delle ipotesi. Onestà intellettuale vorrebbe si evitasse di addurre come prova di quanto bandito il Pensiero tradizionale che viene piegato (e stuprato) per sentenziare e persino per giudicare.[1]
I seguaci di Plotino, di Agostino, di Leibniz etc. sostengono che il male è non-essere, assenza di Bene, essendo privo di sostanza. Lo ripeto: potrebbe essere così, ma, mentre i filosofi citati, se non altro, inquadrano la loro interpretazione in una dottrina filosofica, chi ne ha solo orecchiato le idee manca del tutto dell’inclinazione a definire un disegno coerente, semmai impastando un po’ di pseudo-concetti della New age più becera.
Prova ne è la gigantesca incongruenza in cui si impastoiano. I negatori del male sono nel contempo propugnatori del libero arbitrio, quindi dell’etica. Se, però, tutto è armonico, tutto è solo come dev’essere, allora tutto è lecito: non intercorre alcuna differenza tra una carneficina ed il salvataggio di mille vite. Sono due azioni del tutto intercambiabili, poiché ambedue consentono di maturare esperienze e di “evolvere”. Del tutto intercambiabili sono anche un criminale ed un benefattore.[2]
Per carità, sono il primo a vedere nella morale il preludio del moralismo. Sono il primo anche a propendere per la fallacia circa il convincimento del “libero arbitrio”, simpatizzando, invece, per una concezione fatalista. Tuttavia le mie sono mere congetture o, al limite, intuizioni: so che non possono né potranno mai essere avvalorate in modo definitivo né d’altro canto confutate. Ammetto pure che non è per nulla facile dirimere certe controversie, preferendo il dubbio umano ad una “verità” sacerdotale.
Sentirei di accostarmi, come ho già scritto, a quelle concezioni, secondo cui il mysterium iniquitatis è inerente alla creazione (o emanazione stessa): questa idea, prima di essere gnostica, è in Anassimandro.[3] Riconosco che non è non il non plus ultra come chiarimento, ma è sempre meglio sia delle consolatorie delucidazioni New age sia dell’esegesi ebraico-cristiana-musulmana, secondo cui il male sarebbe dovuto ad una scelta di Adamo ed Eva. I progenitori avrebbero violato un precetto divino, quando ancora il male non era entrato nel mondo. Da dove spunta poi il Serpente tentatore? Lo creò Dio? Se è così, nell'Eterno alberga un lato oscuro? Il Signore non sapeva, nella sua onniscienza, che Eva avrebbe ceduto alle lusinghe del Serpente? Etc. Insomma lasciamo tali quesiti a chi si appoggia alla Bibbia con le stampelle di traduzioni approssimative.
Essere umani significa riconoscere che talune questioni non possono essere del tutto intese. I dogmatici sono l’antitesi dell’umanità, poiché si reputano, con immensa superbia, eguali a Dio stesso, di cui conoscono ed interpretano intenzioni, fini, persino i più reconditi pensieri. La condizione umana è, invece, insufficienza ed incompletezza: altrimenti non sarebbe una condizione propriamente umana, nel bene e... nel male.
[1] La Philosophia perennis è strumentalizzata per divulgare ed imporre storte nozioni della New age deteriore.
[2] Non è naturalmente l’unica incoerenza in cui annegano. Comunque che noia, che nausea questa “perfezione”, questa acquiescenza all’esistente… un sedativo per la coscienza, un elisir narcotizzante che dona una felicità da moribondi.
[3] Il mito cosmogonico di Purusha (RigVeda), l’Uomo primordiale che si smembra e si sacrifica nella Manifestazione, non è forse così distante. Questo mito non presuppone che fine del cosmo e delle creature sia evolvere, attraverso l’esperienza dei patimenti: infatti vede la creazione in sé come sacrificio, come disarticolazione rispetto ad un’unità originaria. Il fine non è dunque l’evoluzione, ma il ritorno ad uno stato primigenio. La sofferenza non è tanto un mezzo, quanto un aspetto necessario dell’universo. La scelta compiuta dagli esseri tutti (inclusi i minerali) di scendere nel mondo materiale è inevitabile (fatalismo?), perché è l’unico modo per risalire, per tornare alla Sorgente da dove Purusha si è allontanato. Il motivo di questo distacco non è per nulla chiaro. Il mito di Purusha, oltre a contenere un dualismo che ricorda quello cartesiano tra res cogitans e res extensa, definisce una situazione circolare, oziosa e tautologica. Per dirla con Leopardi: “Tutte le cose si muovono per tornare infine nel luogo donde si son mosse”.
Mi piacerebbe trovare un'altra via, un'altra risposta, ma non vedo altro modo di poter esprimere il male se non come spesso si giustifica il male come un'assenza di bene, ma a guardare bene le azioni dell'uomo nella storia, non possiamo limitarci a descrivere il male come una carenza di bene, ma come una vera e propria perversione, una perversione del senso dell'essere e dell'esistere, il male degrada e violenta l'uomo, esso lo pone in contraddizione con se stesso, non è altro dunque che nonsenso e perversione.
RispondiEliminaEsiste una ferita nell'armonia cosmica che contraddistingue il creato e che l'uomo non è in grado di realizzare nel suo rapporto con la natura e con se stesso, da più parti giungono segnali di un disagio profondo nel cuore umano, come se questo mondo non fosse il nostro.
Se il cosmo (universo) che vediamo non è un ologramma, comprendiamo che il caos regna in tutto l'universo, un caos ordinato che si scompone e si assembla, come un ordine costituito, universi e galassie che si scontrano, astri che esplodono cannibalizzando astri più piccoli.
Cosa siamo noi se non atomi di quella materia che nel "bene" e nel "male" convivono eternamente, bene e male sono gli epiteti dati da noi umani con una conoscenza ancora infantile, creando e inventando quel dio a mero scopo di dominio, probabilmente tramandatoci da altri dominatori galattici dominanti e creatori di quello che noi ora siamo ... NULLA!
Ciao
"Esiste una ferita nell'armonia cosmica": ecco questa riflessione mi pare cruciale, decisiva. Forse il male è antecedente all'uomo ed alberga nel cuore dell'universo (Pareyson).
RispondiEliminaIl bene? Potrebbe essere quel Nulla con cui suggelli la tua accorata riflessione?
Ciao
Davvero non c’è risposta, istintivamente si avverte, almeno qualche volta sembra di avvertire una corrente energica che eleva il costrutto di fango animato che siamo. Siamo pure oberati da balzelli, bollette, mutui, obblighi, restrizioni burocratiche, consapevolezze estreme giustificate dal momento storico presente, che in definitiva davvero sembra essere la culla di tutti gli oblii. Personalmente non ho fondamento ma non riesco ad accettare l’idea che tutta l’umanità sia solo il bestiame di un pascolo avvelenato. Come è stato detto, insomma, che noi, benché intelligenti, saremmo condannati a nient’altro che essere bestie malvagie educate da cattivi domatori…ritorna l’amaro adagio che Sileno rivolse ad Alcibiade.
RispondiEliminaUn saluto
Qualcosa e qualcuno si salverà dallo sfacelo, Giovanni. Qualcosa e qualcuno già si salva, per così dire ab aeterno. Sì, ma che travaglio l'essere precipitati in questo baratro senza pareti cui appigliarsi!
RispondiEliminaCiao
una bellissima ed ispirante conversazione, ringrazio voi tutti per i vostri pensieri.. Penso molto spesso che tutto ciò che vedo e che sento, o che sono costretto a vedere e sentire, in realtà non faccia nient'altro che limitarmi nel pensiero come nelle capacità.. le emozioni negative che il mondo e le sue "ingiustizie" mi propinano ogni giorno mi disgustano a tal punto che mi fan venire voglia di restituirgli la violenza con la quale essi mi colpiscono.. e mi feriscono .. e mi fanno pensare che io in realtà sò che tutto questo è reale e possibile ora solo perchè l'inganno e la prepotenza di pochi hanno avuto la meglio sulla buonafede e sull'ingenuità dei molti.. sono anche però convinto che tutto il male che ad oggi è stato creato non è passato inosservato.. e se aprissimo bene gli occhi e il cuore potremmo veramente prendere esempio dalla storia per costruire un mondo più evoluto di quello che ci vendono a pezzi giorno dopo giorno.. il bene e male convivono già in ognuno di noi e ognuno di noi "sa" cosa è giusto e cosa è sbagliato se ha il coraggio e la volontà di approfondire quali conseguenze ha la sua prossima azione.. a quel punto il bene di uno non sarà il male dell'altro ma sarà il bene di tutti !
RispondiEliminaquesto è il pensiero che mi accompagna da un pò di tempo e al quale sto cercando di accostarmi per costruire la mia vita secondo la mia visione.. ad oggi.. domani si vedrà ..
Ciao e ancora grazie per le vostre riflessioni!
Alberto
Grazie a te, Albystp, del contributo. Penso che bene vs male, libertà vs necessità, sintropia vs entropia etc. siano temi indecidibili, per dirla con Gödel. Poi ognuno trova la sua risposta oppure non la trova e si accontenta. Tanto sapere non cambia molto le cose.
RispondiEliminaCiao
Ciao Zret, il tuo blog è sempre una feconda fucina di riflessioni. Tempo addietro mi capitò di intervenire in una interminabile discussione sull'esistenza/inesistenza di Bene e Male.
RispondiEliminaCredo che le risposte siano in realtà già dentro di noi, e personalmente il male è sempre male anche se nel mondo in cui viviamo vogliano farci credere che tutto è bianco anche quando le cose non stanno propriamente così (vedi anche le scie chimiche chi non le nega apertamente dice che sono fatte per il nostro bene...).
Anche se certe leggi lo permettono e magari lo inculcano a istinto sono convinto che il male vada condannato.
Ciao Filippo, ex malo bonum? Qualche volta. E' vero: le risposte probabilmente sono già dentro di noi, ma sono così terribili (sacre) che, dopo che le abbiamo trovate, le cancelliamo.
RispondiEliminaCiao