Odi profanum vulgus et arceo. Detesto il volgo profano e me ne tengo distante. (Orazio)
Ci si affanna tanto a commentare la legge elettorale recentemente discussa dal Parlamento. Non occorrono analisi approfondite per comprendere che è una legge truffaldina concepita solo per azzerare qualsiasi pur remota possibilità che un giorno sia eletto qualche cittadino in grado di costituire una vera opposizione. In questo modo i parassiti sono sicuri che potranno continuare a succhiare il sangue del popolo, senza neppure un lieve disturbo.
Un aspetto, però, della sciagurata legge merita una riflessione: lo sbarramento stabilito per i partiti e le coalizioni. Si parte dal presupposto secondo cui maggiore è il consenso ottenuto da una formazione, più il sistema è democratico. E’ il criterio della maggioranza peculiare degli ordinamenti “democratici”. E’ un principio aberrante. Come sostiene il filosofo danese Soren Kierkegaard, in uno stato non è la maggioranza ad aver ragione, maggioranza che coincide con la massa acefala, ma la minoranza. Quest’ultima incarna la saggezza e la lungimiranza di chi non è mai ascoltato, di un’élite intellettuale che giudica ed agisce sulla base di un’accorta visione del mondo, non sull’onda dell’irrazionalità.
Nel migliore dei casi, la “democrazia” è il governo della plebaglia: Aristotele la bolla appunto come oclocrazia. Solo l’aristocrazia dell’intelletto sarebbe capace di reggere le sorti di una nazione, ma tale ristretta cerchia è esclusa da qualsiasi potere decisionale. Semmai può fungere da coscienza critica.
Ben vengano dunque quei movimenti che restano minoritari, mentre guardiamo con sospetto e diffidenza un partito, non appena comincia ad aprire una breccia tra la gente. Significa che gli ideali più nobili sono ormai involgariti e snaturati. Significa che la moltitudine è ormai in procinto di trasformare l’oro in metallo vile.
Chi veramente vale non ha bisogno del plauso proveniente dal volgo: solo i tribuni ed i demagoghi cercano l’approvazione ed il sostegno del popolino. Chi veramente vale, come Dante, piuttosto che mescolarsi ai peones, preferisce far parte per sé stesso.
Ci si affanna tanto a commentare la legge elettorale recentemente discussa dal Parlamento. Non occorrono analisi approfondite per comprendere che è una legge truffaldina concepita solo per azzerare qualsiasi pur remota possibilità che un giorno sia eletto qualche cittadino in grado di costituire una vera opposizione. In questo modo i parassiti sono sicuri che potranno continuare a succhiare il sangue del popolo, senza neppure un lieve disturbo.
Un aspetto, però, della sciagurata legge merita una riflessione: lo sbarramento stabilito per i partiti e le coalizioni. Si parte dal presupposto secondo cui maggiore è il consenso ottenuto da una formazione, più il sistema è democratico. E’ il criterio della maggioranza peculiare degli ordinamenti “democratici”. E’ un principio aberrante. Come sostiene il filosofo danese Soren Kierkegaard, in uno stato non è la maggioranza ad aver ragione, maggioranza che coincide con la massa acefala, ma la minoranza. Quest’ultima incarna la saggezza e la lungimiranza di chi non è mai ascoltato, di un’élite intellettuale che giudica ed agisce sulla base di un’accorta visione del mondo, non sull’onda dell’irrazionalità.
Nel migliore dei casi, la “democrazia” è il governo della plebaglia: Aristotele la bolla appunto come oclocrazia. Solo l’aristocrazia dell’intelletto sarebbe capace di reggere le sorti di una nazione, ma tale ristretta cerchia è esclusa da qualsiasi potere decisionale. Semmai può fungere da coscienza critica.
Ben vengano dunque quei movimenti che restano minoritari, mentre guardiamo con sospetto e diffidenza un partito, non appena comincia ad aprire una breccia tra la gente. Significa che gli ideali più nobili sono ormai involgariti e snaturati. Significa che la moltitudine è ormai in procinto di trasformare l’oro in metallo vile.
Chi veramente vale non ha bisogno del plauso proveniente dal volgo: solo i tribuni ed i demagoghi cercano l’approvazione ed il sostegno del popolino. Chi veramente vale, come Dante, piuttosto che mescolarsi ai peones, preferisce far parte per sé stesso.
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