28 luglio, 2015

Muchas gracias, Grecia



I recenti fatti greci, con il responso del referendum vanificato dalla politica reazionaria di Tsipras, ci insegnano che non bisogna mai confidare nei cosiddetti “politici”, in realtà burattini manovrati dai poteri forti.

Quello che più sconvolge della “crisi” greca non coincide soltanto con le conseguenze sulla popolazione, in particolare sui ceti meno abbienti, di misure recessive e draconiane, quanto l’incessante, vano aggirarsi nei meandri dell’economia finanziaria. L’economia finanziaria non è economia, cioè oculata amministrazione della ricchezza, ma speculazione, alea, spreco di risorse, frode, sfruttamento.

I “governanti” ed i profittatori internazionali sono simili a quei padri di famiglia che destinano quasi tutto il loro reddito al gioco d’azzardo, privando i familiari dell’essenziale. Costoro, dopo che hanno scialacquato tutti i soldi sui tavoli verdi, si indebitano. Ecco: gli amministratori della cosa pubblica assomigliano a questi genitori prodighi ed irresponsabili: essi sperperano il denaro della collettività per vivere nel lusso più immondo, per acquistare armi (inclusa la geoingegneria bellica) e per investimenti che li portano ad oberarsi di debiti scaricati in toto sui cittadini. Se biasimiamo un padre che dilapida enormi patrimoni nelle case da gioco, perché siamo così tolleranti nei rispetti delle indegne classi “dirigenti”?

Non si riesce ad abbandonare l’ottica perversa della finanza. Eppure la Grecia potrebbe cominciare a superare la stagnazione produttiva, stampando una banconota emancipata dal signoraggio e senza ricorrere al sistema dell’indebitamento per opera dello Stato. Valorizzando l’agricoltura ed il turismo, potrebbe poi risollevarsi. Gli esosi debiti con le banche? Non vanno contratti né saldati.

Qualcuno potrebbe obiettare che l’Ellade è povera di fonti energetiche. Storie! Qualche anno fa alcuni scienziati e tecnici italiani avevano elaborato proprio in Grecia dei progetti per la produzione di energia per mezzo della fusione fredda. Le risoluzioni anche ai problemi più annosi ed ostici esistono: sono gli apparati a boicottarle. Sempre. Purtroppo quei piani sono passati in cavalleria. A proposito di energia, chi si ricorda di quell’ingegnere iraniano che tre anni or sono promise di ovviare a tutte le difficoltà che affliggono il pianeta con i suoi mirabolanti ritrovati? Sparito!

Così, mentre la situazione complessiva subisce tracolli su tracolli, probabilmente è più realistico affidarsi ai salvatori della Federazione galattica (Sic!) che alla solita truffa delle elezioni, alla masnada di politicanti “incapaci, capaci di tutto”.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

25 luglio, 2015

Persi negli universi

Con l’osservazione l’onda diventa corpuscolo. L’energia del Campo unificato (intelligente) diventa materia. La materia si trasforma e produce il tempo e lo spazio (il momento e la posizione). Dunque il tempo nasce dalla trasformazione dell’energia in materia. Ma in realtà il tempo e lo spazio non esistono. Ci sono intervalli rapidissimi che sembrano succedersi in continuità tra una scomparsa ed un'apparizione di una particella e l’altra. Questi intervalli, che sembrano susseguirsi in rapida successione, sembrano andare a costituire il tempo. Ma così non è. Se il nostro occhio potesse avere un potere percettivo più veloce (più risolutivo), ci accorgeremmo che nulla fluisce e nulla scorre.” (V. Marchi)

Pochissimi ma tenaci ricercatori sostengono la teoria della Terra piatta. Riteniamo che il problema sia mal posto e che, nonostante il suo carattere eterodosso, tale modello tenda a riprodurre i limiti metodologici dell’ortodossia scientifica. Infatti non bisognerebbe cercare le prove oggettive, i dati empirici per dimostrare che il pianeta non è un geoide, quanto focalizzare la questione su che cosa siano la “realtà”, la materia-energia, il cervello, la percezione, la mente, la coscienza. Occorrerebbe provare a definire quello che il fisico francese Costa de Beauregard chiama “il problema veramente fondamentale”, vale a dire la relazione tra la psiche e la materia.

Malgrado i progressi speculativi nel campo della scienza attuale, la nostra visione del mondo ed il sapere accademico-istituzionale sono ancora ancorati alle coordinate spazio-temporali, ad una concezione cartesiana della res extensa.

Il matematico francese Jacques Vallée ci avverte: “Il tempo e lo spazio possono essere nozioni adatte a seguire l’avanzamento di una locomotiva, ma sono del tutto inutili per localizzare un’informazione. Gli informatici hanno capito molto presto che tempo e spazio sono i criteri peggiori per immagazzinare una grande quantità di dati ad alta velocità. Nei grandi sistemi informatici non si tenta mai di inserire elementi tra loro correlati in spazi fisici sequenziali. E’ molto più conveniente spargere i dati per tutta la memoria, così come arrivano, ed elaborare un algoritmo di ricerca basato su qualche tipo di parola-chiave o sull’hashing, una procedura in cui i dati sono randomizzati. La probabilità funge da collegamento tra qualcosa di oggettivo, lo spazio occupato dall’informazione, e qualcosa di soggettivo, la richiesta di un suo recupero. La simultaneità e le coincidenze che abbondano nelle nostre vite suggeriscono che il mondo possa essere organizzato come un database randomizzato (il multiverso) piuttosto che come una biblioteca sequenziale (il cosmo quadridimensionale della fisica classica). Se la dimensione temporale, che solitamente diamo per scontata in realtà non esiste, il cervello umano potrebbe attraversare gli eventi per associazione, nel modo in cui i computer di oggi recuperano le informazioni”. (J. Vallée, Dimensioni, 1998-2014)

E’ naturale che le ipotesi riportate da Vallée tendono a confluire verso innovative teorie: come tutte le teorie, oltre ad essere un po’ come la mappa rispetto al territorio, possono essere falsificate. Non possiamo né dobbiamo attenderci di attingere la verità assoluta, ma possiamo solo tentare di tracciare dei diagrammi che spieghino in modo soddisfacente un certo numero di fenomeni.

I sistemi inerenti all’universo olografico (da David Bohm sino a Robert Lanza, senza dimenticare il cervello olografico di Pribram) evocano una realtà in cui la profondità è una mera proiezione, dove le situazioni fenomeniche sono il risultato di un ordine implicito. La teoria dell’informazione ci insegna che un segnale non si trasferisce necessariamente attraverso lo spazio-tempo e che A può agire su B, prescindendo da sequenze cronotopiche. Anche la teoria della comunicazione ammette che un messaggio può essere inviato in assenza di un medium, uno strumento materiale.

Nonostante le discrepanze tra i numerosi orientamenti fisico-cosmologici odierni, tutti si discostano dagli assi cartesiani. Alcuni scienziati delineano il modello dell’universo-elaboratore; altri optano per l’universo-coscienza. In quest’ultimo caso non esiste un oggetto (il cosmo) che il soggetto (l’uomo) percepisce e conosce, ma è la Coscienza transpersonale che proietta il “reale”, registrato poi come “concreto”, “tangibile” per mezzo di processi cerebrali ad hoc. In questo modo ognuno di noi intuisce il cosmo in maniera leggermente diversa dagli altri e soprattutto vede una frazione di “realtà”, come se fosse al cinema. La Coscienza è il proiettore, l’encefalo è il trasduttore, la “realtà” la pellicola.

Sono evidenti le implicazioni concettuali di queste teorie e soprattutto è palese che la scienza contemporanea è sostanziata a tal punto di speculazioni quasi metafisiche che il confine tra Scienza e Filosofia è divenuto molto labile. Vallée reputa che il pensiero che potremmo trarre da queste linee speculative sarebbe vicino all’occasionalismo islamico. L'occasionalismo islamico, ripreso in Europa dal pensatore francese Malebranche, ritiene che gli eventi non siano prodotti da circostanze materiali, ma siano espressioni immediate della volontà di Dio. Lo stesso nesso di causa-effetto è trasceso, poiché tale correlazione è situata nello spazio-tempo. Se, infatti, ogni avvenimento dipende da Dio, per definizione Essere al di fuori di limiti spazio-temporali, anche il rapporto tra antecedente e conseguenza non ha alcuna ragion d’essere.

Quali sono poi i risvolti pratici di questi schemi concettuali? Se si accoglie la teoria dell’universo cibernetico, il libero arbitrio è negato, in quanto il cosmo è un software sofisticatissimo ideato da un’Entità dissimulata. La teoria del cosmo olografico tende ad escludere la libertà di scelta per i motivi che abbiamo già illustrato. Gli approcci informatico-associativi valorizzano il concetto di random, ossia “fortuito”. Il caso, sebbene in contrasto con il determinismo, esclude la libera volizione.

Sembrano essere due i fili che legano i pur diversi indirizzi filosofico-scientifici di oggi: il superamento dell’archetipo galileiano-cartesiano-newtoniano e la rinuncia all’idea antropocentrica di libero arbitrio. Si prospetta così un universo sincronico ed interconnesso, in ultima istanza a-spaziale ed ucronico (anche stocastico?), giacché spazio e tempo potrebbero essere (Kant docet) categorie mentali, forme a priori della conoscenza e non attributi del substrato materiale. E’ anche un cosmo in cui sono possibili i miracoli ed i contatti con altri livelli, dove le manifestazioni naturali diventano pressoché indistinguibili da quelle soprannaturali, popolato di intelligibili più solidi delle cose sensibili. 2)

Per gli argomenti addotti sin qui, crediamo sia errato domandarsi se la Terra sia piatta o sferica in sé, piuttosto sarebbe utile domandarsi come percepiamo il “reale” e perché lo vediamo in modo diverso, ad esempio, dagli animali, se la nostra stessa intuizione non sia condizionata da qualcuno o da qualcosa. Per quale motivo la visione di un uomo dovrebbe essere corretta ed “oggettiva” e quella di un’ape no?

Scrive ancora Vallée:”Vorrei uscire dal labirinto condizionante e capire come funziona. Mi chiedo che cosa scoprirei: forse una mostruosità sovrumana che non si può contemplare senza perdere la ragione? Forse una solenne assemblea di saggi? O l’esasperante semplicità di un meccanismo?

Se potessimo uscire dal dedalo, scopriremmo una Verità talmente accecante da consentirci finalmente di vedere?

1) La RAM (Random Access Memory) è, infatti, memoria ad accesso casuale.
2) Come si manifesti il Male in questi universi è tema che non è affrontato dagli scienziati né si comprende come si potrebbe inscrivere.

Articoli correlati:

- Che cos’è la cosa?, 2010
- Il problema del libero arbitrio in Searle, 2012
- La teoria dell’universo olografico: alcune implicazioni filosofiche, 2011


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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

23 luglio, 2015

Landscape (II)



Credo che ogni paesaggio sia un paesaggio dell’anima. Il contorno delle cose si unisce alle emozioni ed ai sentimenti in un’unica filigrana. A che serve viaggiare? In ogni dove gli scenari più disparati si riflettono negli occhi di chi li contempla, si specchiano nel lago dell'infinito.

Per cambiare orizzonte non è necessario intraprendere lunghi viaggi: basta un ricordo, una cartolina illustrata, una descrizione in un libro, il racconto di un viandante… Allora l’immaginazione sublima nel volo: il sogno scioglie la realtà. I luoghi non contengono la loro storia, ma la nostra: le nostre piccole-grandi vite intridono, con il loro sangue, pietre e fili d’erba, pianure e cieli, venti e silenzi.

Credo che ogni paesaggio conservi le orme del passaggio di un’anima…

In testa all'articolo un'opera di Graham Gercken.

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20 luglio, 2015

Nightmare



Qualche settimana addietro la Rete è stata invasa da articoli riguardanti la cosiddetta “paralisi notturna”: a parere degli “scienziati” sarebbe dovuta ad un disturbo del sonno, laddove la tradizione la attribuisce alla Pandafeche, una creatura soprannaturale che prende le sembianze di una strega o di un demonio o di un gatto dall’aspetto umanoide.

Il professor Romanelli ci indottrina ricordando che la paralisi in esame “è un'incapacità di muoversi, quando ci si risveglia durante la fase del sonno R.E.M. quella nella quale avvengono i sogni ed il corpo normalmente si paralizza proprio per impedirci di 'vivere i sogni', agire e farci male involontariamente”.

Secondo quanto emerge dallo studio, “il soggetto che vive la paralisi del sonno si trova in uno stato di semicoscienza in cui non è fisicamente in grado di muoversi, ma è mentalmente e psicologicamente consapevole di poterlo fare. Tutto questo crea nella persona un senso di disorientamento che induce le vittime del sonno a vedere demoni o presenze non del tutto chiare”.

Problema che interesserebbe circa il 30 per cento delle persone, la paralisi notturna è stata così liquidata grazie alle folgoranti intuizioni del Professor Romanelli. Invero, quella riferita è un’ipotesi medica per nulla recente, frutto del solito riduzionismo “scientifico” che cancella con un colpo di spugna tutte le interpretazioni non ortodosse. Eppure non solo le leggende, ma anche alcuni ambiti di ricerca escludono che il fenomeno si possa sempre e comunque spiegare appellandosi ad una sindrome del sonno.

Il termine inglese “nightmare” con cui in origine si designavano gli incubi, ossia le entità malefiche che si appoggiano al petto del dormiente, prima di indicare un sogno dai contenuti angoscianti, colloca il fenomeno in un preciso contesto temporale. Infatti nightmare, equivalente al francese cauchemar, evoca presenze che con il favore delle tenebre seducono o tormentano le loro vittime.

Alcune frange dell’Ufologia (si pensi, ad esempio, a Withley Strieber) collocano i presunti rapimenti alieni quasi sempre nel cuore della notte (di solito verso le tre), individuando sintomi molto simili, se non identici, a quelli descritti nella tradizione: il senso di soffocamento, la notevole difficoltà a muoversi, la lucida consapevolezza di quanto sta avvenendo, ma senza poter agire.

Il matematico Jacques Vallée, che scorge un continuum tra manifestazioni fisiche e parafisiche, tra la casistica ufologica ed il retaggio popolare, abitato da fate, coboldi, gnomi..., osserva: “come le donne rapite ai nostri giorni ed esaminate da Budd Hopkins, le streghe spesso avevano uno strano simbolo o cicatrice da qualche parte sul corpo”. Vengono in mente i segni, di solito visibili in corrispondenza della tibia, di chi si suppone sia stato sequestrato.

Anche le tradizionali immagini degli incubi (demoni e strani gatti raffigurati in modo sinistro da artisti romantici come Füssli) hanno qualche parentela con la xenologia contemporanea: esseri notturni dalle parvenze terrifiche, con occhi grandi di felini o di strigidi, sono pressoché una costante nella letteratura ufologica.

Le abductions sembrano la versione attuale di eventi soprannaturali antichi quanto l’uomo a tal punto che se ne reperiscono indizi nelle cultura cinese, babilonese, ebraica, fenicia, romana e via discorrendo. Intendiamo gettare alle ortiche millenni di memorie, insieme con le pionieristiche ricerche di odierni investigatori? Lo studio del Romanelli e della sua geniale équipe sarebbe stato più attendibile, se si fossero cercate tracce fisiche e corrispondenze significative: una scienza non multidisciplinare non è scienza, bensì mera erudizione.

Le spiegazioni cliniche e psicologiche, che ignorano vasti e conturbanti territori limitrofi alle paralisi notturne, ci paiono riduttive, anzi dogmatiche, quando intendono definire tutte le cause della sintomatologia, sbarrando così la strada ad altri indirizzi di ricerca.

Si sa, però, che, in questo come in molti altri campi, “la scienza ha fatto passi da gigante”. Certamente... all’indietro.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

18 luglio, 2015

99



Molti si chiedono per quale ragione non si riesca ad imprimere una svolta decisiva agli eventi che precipitano sempre più. Accantoniamo l’ipotesi, proposta all’interno di alcune dottrine filosofiche e taluni orientamenti scientifici secondo cui è tutto predeterminato, consideriamo che almeno il 99 per cento degli esseri umani è oggi incapace di intendere e di volere.

Se ascoltiamo i discorsi della gente comune e li confrontiamo con le “argomentazioni” degli esperti, non si nota alcuna differenza: l’ignoranza, e la malafede sono un tutt’uno indistinguibile. Sono pochissimi quelli che riescono ad intravedere le vere cause degli avvenimenti, ad interpretarli in modo corretto.

Prendiamo un solo esempio: il lavoro. Quanti oggi, sia tra quelli divorati dalla disoccupazione sia tra coloro che hanno, bene o male, un impiego, lo considerano per quel che è, ossia un feroce sfruttamento? Alienazione, retribuzioni misere, umiliazione, fatica sono le regole che strozzano i lavoratori: rispetto alle condizioni del XIX secolo, in molti ambiti ed in parecchi paesi, le condizioni non sono cambiate. Schiavi ieri, schiavi oggi. Semmai la situazione è peggiorata, perché manca quasi sempre negli iloti odierni la coscienza di essere oppressi e svenati. La propaganda ha conseguito i suoi obiettivi. Parecchi servi della gleba non solo accettano una vita di sacrifici, ma per giunta fanno proprie le pseudo-cause e le pseudo-risoluzioni dell’attuale crisi economica: la stagnazione sarebbe dovuta all’età pensionabile che non sopraggiunge agli anni di Matusalemme, mentre l’uscita dalle difficoltà sarebbe promossa da una serie di magiche “riforme”.

Così le misure recessive e devastatrici decise dai poteri sovranazionali sono definite con infinita improntitudine “austerità” anche da chi le contesta. La prima spia della destrutturazione intellettuale è lo stravolgimento del linguaggio, in cui appunto le norme che affossano la produzione ed affamano i ceti meno abbienti sono denominate “riforme” o iniziative per la “crescita”. Come possa favorire lo “sviluppo” l’aumento delle imposte indirette è una contraddizione che quasi nessuno nota in un mondo dove vige la legge del contrario.

Quei pochi che giustamente condannano il sistema imperialista (scorza orribile di un frutto velenoso su cui qui non indugiamo) sono tacciati di essere dei vetero-comunisti. Bisogna, invece, denunciare la politica spregiudicata e vergognosa di spregevoli multinazionali come Monsanto ed Amazon (solo per citare due tra le innumerevoli società del profitto) che spolpano sia gli uomini sia il pianeta. Anche se boicottare queste corporations serve a poco, anche se screditare la loro reputazione non è azione decisiva, non smetteremo mai di dichiarare apertis verbis la loro piena collusione con un sistema laido impantanato nell’ipocrisia e nel totalitarismo. Ci impegneremo anima e corpo in questa pubblicità distruttiva. Viviamo nella società dell'immagine ed i cartelli del crimine economico-finanziario saranno colpiti proprio nella loro immagine già screditata, fino a che non sprofonderanno nell’abisso più nero del disonore e dell’ignominia.

Ci domandavamo per quale ragione non sia possibile incidere sugli accadimenti. Succede perché la stragrande maggioranza della popolazione vivacchia in una condizione sottomessa, senza esserne conscia, perché chi pure scopre i crimini dei governi si autoinganna e finge di non sapere, voltando lo sguardo altrove. Occorrono coraggio ed onestà per affrontare il reale. Sono virtù sempre più rare. Chi oggi, come nel mito platonico della caverna prova a convincere i prigionieri che scambiano le ombre delle cose per le cose stesse, non è aggredito, ma bellamente ignorato.

Gli schiavi per lo più sono paghi del loro umiliante stato, fino a quando arriva il Giorno del ringraziamento. Allora, simili a tacchini obesi, cercano di sfuggire al carnefice, ma è troppo tardi: goffi e caracollanti stramazzano in una pozza di sangue. Privati della dignità anche nel momento supremo della morte.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

14 luglio, 2015

Quando il mondo è un palcoscenico: canovacci ed attori per le operazioni “falsa bandiera”

Sappiamo che (quasi) tutte le azioni sanguinarie attribuite dai media di regime ai vari gruppi "jihadisti" sono orchestrate ed eseguite dai servizi segreti “deviati” o da loro propaggini: sono le cosiddette "stragi di stato". Queste azioni si definiscono false flag ed inside job.

Bisogna subito distinguere tra attentati reali e fittizi: naturalmente nei primi le vittime (morti e feriti) sono purtroppo vere, mentre nei secondi sono attori, i cosiddetti crisis actors. Al primo insieme appartengono eventi come il 9 11 o il 7 7 (atti terroristici a Londra) etc.; al secondo si devono ascrivere, ad esempio, la farsa di Palazzo Chigi ed il vaudeville parigino (Charlie Hebdo).




Vediamo ora quali sono le precipue invarianti e le circostanze spesso ripetute in questi avvenimenti.

1 L’inside job è compiuto sovente in concomitanza con un’esercitazione militare o civile.
2 La violenza è diretta contro persone comuni: i pezzi grossi non sono mai il bersaglio dei criminali.
3 Gli “attentatori” sono uccisi poco dopo il false flag; quelli catturati non sono interrogati e, nell’arco di poco tempo, spariscono dall’orizzonte degli organi ufficiali.
4 Gli “assassini” erano da tempo tenuti sotto controllo dall”’intelligence” che, però, completamente rimbambita, non ha agito in alcun modo.
5 I testimoni, quelli effettivi, accennano alla presenza di militari e forze dell’ordine sul teatro delle vicende.
6 Le versioni ufficiali, piene di incoerenze, via via riferiscono particolari sempre più inverosimili e romanzeschi circa gli “autori” dell’atto nefando.
7 Qualcuno miracolosamente riesce a riprendere il clou dell’evento.
8 I “feriti” si comportano in modo anomalo: sono ritti sulle barelle, non mostrano di soffrire.
9 I “parenti” delle vittime ridono e scherzano a distanza di poche ore dalla “morte” dei loro “cari”. Sono guitti che rilasciano prolisse interviste ai gazzettieri: sono sempre gli stessi istrioni che piangono e si disperano ora sul proscenio della maratona di Boston ora alla Sandy Hook e così via.
10 E’ scelta una data simbolica, di solito il giorno 11 o un suo multiplo: se ciò non avviene, l’11 è riproposto o nella somma del numero dei deceduti o in qualche altra situazione. Verbigrazia, la “strage del Bardo” è stata commemorata in modo solenne 11 giorni dopo la sua esecuzione.
11 La sceneggiatura “islamica” è raffazzonata e goffa, con errori madornali o, per lo meno, imprecisioni. Si legga a tale proposito l’articolo di Kevin Barrett, All the world is a stage... for a false flag terror. Barrett, che è un fine conoscitore del mondo arabo-musulmano, rileva tutte le incongruenze che evidenziano come gli ideatori e gli esecutori degli eccidi non possono essere di fede maomettana.
12 L’attentato è seguito dalla solita propaganda xenofoba e da un inasprimento delle misure e delle leggi sulla sicurezza, con il ridicolo pretesto di garantire la tranquillità e l’incolumità dei cittadini. Gli scopi principali di tali frodi sono proprio questi: fomentare il cosiddetto “scontro di civiltà”, operare un giro di vite ai danni della popolazione, militarizzare gli stati, destabilizzare per rafforzare lo status quo.

Il paradigma è questo e, come tutti i modelli, ammette delle varianti, ma, in linea di massima, crediamo di aver tracciato un diagramma plausibile.





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11 luglio, 2015

Realistico-fantastico



Realistico e fantastico sono i due filoni della Letteratura e, più in generale, dell’Arte: come tutte le dicotomie, tale distinzione, se è comoda da un punto di vista ermeneutico, si rivela sovente riduttiva. L’orientamento realistico privilegia il criterio della verosimiglianza ed un taglio oggettivo nella descrizione del mondo e nella narrazione degli eventi, mentre la corrente fantastica valorizza la trasfigurazione del reale, filigranato di circostanze soprannaturali.

Nondimeno dobbiamo chiederci: che cos’è la realtà? Non è forse enigma a sé stessa? Dove è situato il confine tra natura ed oltrenatura? Quante volte nella nostra vita irrompono fenomeni non riconducibili alla logica aristotelica! Tendiamo ad ignorarli, poiché sovvertono la nostra confortante Weltanschauung. Li ignoriamo, ma le crepe del preternaturale fendono l’edificio della normalità.

La fisica quantistica ci squaderna un universo in cui la “nostra povera ragione” non ha più cittadinanza. Anche se non è corretto affermare che la coscienza agisce sulle particelle subatomiche, giacché sono gli strumenti di misurazione a determinare il risultato, è vero che la dimensione quantistica è controintuitiva, con “effetti” che possono precedere le “cause”, con interferenze dei fotoni su sé stessi etc. Sebbene non sia stato ancora definito un modello interpretativo univoco ed esauriente per inquadrare gli elusivi fenomeni dell’infinitamente piccolo, la fisica subatomica è già alla base di numerose tecnologie, in cui centrale è l’informazione. E’ un contesto che ricorda una persona che guida con grande perizia un veicolo, pur non conoscendo il funzionamento di un motore a scoppio.

Lo sfuggente concetto di “informazione” (meglio “in-formazione”) non è molto dissimile, sotto il profilo teorico, da quello di onda di forma: tali onde sarebbero prodotte dalla specifica configurazione dei corpi, delle figure geometriche, dei glifi, dei simboli. La capacità dell’acqua di reagire a determinate “vibrazioni” (si ricordino gli studi di Masaru Emoto) è riconducibile in parte proprio alle onde di forma. La materia quindi non emetterebbe solo le radiazioni conosciute, ma anche delle altre “oscillazioni” non rilevabili dalle normali apparecchiature, ma non per questo inesistenti. [1] D’altronde le culture antiche ritenevano che ciascun archetipo (incluse le lettere dell’alfabeto), oltre ad essere un’osmosi di significante, di significato e di referente, generasse una sorta di impronta, di eco non fisica.

E’ ovvio che tutti questi orizzonti euristici sono cancellati dalla “scienza” ufficiale, dimentica che “ci sono più cose in Cielo ed in Terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia". Soprattutto ci sono più cose di quante ne possa contenere il cervello nanometrico dei negazionisti.

[1] La tradizione cinese del Feng shui si basa sulle onde di forma.

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08 luglio, 2015

Decadenza



Perché la letteratura ed il cinema attuali sono, pur con qualche lodevole eccezione, tanto decaduti? Perché queste produzioni sono sempre più prodotti, anzi merci concepite e realizzate per un pubblico ogni giorno più grossolano. Si è creato così un circolo vizioso in cui la rozzezza dei fruitori alimenta la rozzezza di scrittori e cineasti che, a loro volta, si adeguano all’ignoranza della massa.

Oggi imperversano “romanzieri” come Ammanniti, Baricco, Melania Mazzucco etc. che non sono né letterati né intellettuali. Non sono neppure mestieranti né ovviamente artisti: sono improvvisatori che si arrabattano nella scrittura, proprio come quelle legioni di autoracci (gazzettieri, negazionisti, divulgatori alla pupo...) incapaci non solo di vergare una riga, ma di comprendere una sillaba di quanto si accingono a trattare.

Emblematico è quanto esigono gli spettatori dalle pellicole: forti ma effimere emozioni, effetti speciali sbalorditivi, intrecci avvincenti. Il cattivo gusto - anzi l’assenza di gusto delle nuove generazioni - si è esteso all’intero parterre che non riesce ad apprezzare quelle poche opere in cui alla trama (alla fine le storie si assomigliano tutte, perché esemplate sulle esistenze che sono ordinarie anche nella loro eccezionalità), si antepongono il montaggio, la regia, la fotografia… Solo se queste scelte sovvertono le consuetudini percettive, emotive e cognitive del pubblico, possono suscitare interrogativi, riflessioni, salutari dubbi, stimolando un itinerario di ricerca.

L’Arte, quando lo è davvero, vive non di un banale rispecchiamento della realtà, ma di risonanze, di scorci, di schegge, di solchi profondi scavati nella vita universa. L’Arte vera è innovativa, se non rivoluzionaria: si genera nella discontinuità, nella frattura per trascendere una Weltanschauung usuale, per innescare processi di rilettura del mondo.

L’Arte è percezione, intuizione e maestria; ars ed ingenium, secondo gli antichi. Si comprende che, in un’età in cui non sappiamo più nemmeno osservare, aspettarsi che sboccino i fiori della bellezza e della verità è come pretendere che sul cemento allignino foreste lussureggianti.

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05 luglio, 2015

Comprendere la politica economica internazionale: dall’usura alla dittatura



Analizzando in chiave economica opere o scritti che definiscono, da Aristotele a Pound, l’usura come male assoluto, sembra impossibile pensare che questo germe non sia stato ancora eliminato, ma che anzi persista e si diffonda sempre di più con il passare dei secoli. L’intero globo, salvo qualche eccezione, rimane intrappolato in un terribile circolo vizioso. Chi ha la proprietà sulla moneta, presta soldi e ne chiede di più al momento del rimborso. Il debitore, persona o Stato che sia, dovrà procurarsi in qualche modo la somma di denaro esatta, in modo tale da pagare interamente il prestito, oltre al tasso d’interesse. Quest’ultimo sarà costretto come un cane che si morde la coda, a chiedere un altro prestito ad un’altra banca, che a sua volta gli chiederà di rimborsarla ad un ammontare di denaro ben più elevato del denaro prestato. E la storia si ripete, inesorabilmente, senza fine. (Intellettuale dissidente)

L’attuale scenario greco ci permette di comprendere la politica economica internazionale. In primo luogo, dimentichiamo tutte le disamine degli analisti: sono forvianti. In verità, la situazione è molto più semplice di come è presentata: le difficoltà elleniche non sono dovute al fatto che, fino a pochi anni fa, i Greci potevano andare in pensione a 55 anni o giù di lì. La principale se non unica causa del tracollo è il signoraggio bancario che crea un debito inestinguibile.

Le “risoluzioni” imposte dagli usurai internazionali (l’aumento delle imposte indirette ed un ulteriore taglio allo stato sociale) non puntano a ripianare un debito che non potrà mai essere saldato. Sono anzi misure recessive. [1] I banchieri mirano a destabilizzare ed a strangolare la Grecia, mossi non tanto da avidità quanto da un perverso istinto distruttivo e dal fine di ridisegnare gli assetti globali in direzione totalitaria. Infatti i banditi possono stamparsi le banconote che vogliono e mantenere i loro lussi sfrenati, accreditando sui loro conti tutto il denaro elettronico che desiderano. Se qualche paese non riesce a restituire le somme prestate dai ricattatori con tanto di interessi, che cosa cambia per loro? Rischiano forse di finire sul lastrico? Dunque perché pretendono ciò che sanno essere impossibile? Lo pretendono, poiché il fallimento delle singole nazioni spiana la strada alla centralizzazione, prima europea, poi mondiale del potere.

Non è vero che l’Europa è dominata dalla Germania dipinta come il paese del bengodi: la disoccupazione tedesca è bassa, ma grazie ad una serie di impieghi pagati una miseria. Certo, la situazione in Germania ed altrove è migliore, ma sono potentati sovranazionali (ad esempio, non a caso, la Banca centrale europea, la Banca mondiale ed il Fondo monetario internazionale) a condurre il gioco: la stessa Angela Merkel funge da Kapo nei confronti degli internati nel campo di concentramento europeo.

La crisi ellenica non è una crisi: basterebbe abolire il signoraggio e creare una moneta svincolata dal sistema dell’interesse, quindi un denaro-strumento e non merce, basterebbe favorire la struttura produttiva reale e non quella fittizia, per risollevare Atene. Ogni iniziativa, chiunque la suggerisca, attuata per fingere di arginare i problemi, è sempre inscritta nei biechi stratagemmi della finanza, nell’ottica strabica della speculazione: sono azioni più dannose che inutili.

Il giorno in cui ci saremo liberati della mentalità capitalista, imperniata sull’usura, il plusvalore, le borse, i titoli di Stato, le obbligazioni, le azioni, le cedole, i rendimenti, il rating, il debito ed il credito, la carta con cui ottenere altra carta o il denaro digitale con cui ricavare cifre elettroniche sempre più alte, potremo concepire una via d’uscita. Difficile anche solo sperare in un cambiamento di questa portata.

[1] Anche se si cancellassero ipso facto le provvidenze sociali e le pensioni, se si innalzasse l’aliquota dell’I.V.A. al 50 per cento e si adottassero altre misure draconiane, il debito greco (e non solo) continuerebbe a crescere, giacché esso ha altre tenacissime radici.

Articolo correlato: Intellettuale dissidente, Contro l’usura: da Aristotele ad Ezra Pound, 2013

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

02 luglio, 2015

Antinucci ed antiacidi



Ricordo una lezione liceale in cui la docente di Storia e Filosofia - era l’epoca in la scuola ancora trasmetteva agli allievi i concetti fondamentali, insegnava il metodo e talora riusciva a promuovere un certo spirito critico - precisò con magistrale chiarezza la differenza tra cronaca e storiografia, una differenza che oggi pochi conoscono.

Gli insegnanti di Lettere, dal canto loro, illustravano il divario tra biografismo ed Arte. Il biografismo e l’autobiografismo non sono espressioni di valore estetico, poiché difettano di trasfigurazione. Non bastano i buoni sentimenti e le buone intenzioni a produrre nemmeno una passabile letteratura. Non sembra essersene accorta Antonella Antinucci, autrice di una plaquette intitolata “Burqa di vetro”, con prefazione di Dacia Maraini, la narratrice toscana sinceramente sopravvalutata per i suoi lagnosi romanzi.

Il caso dell’Antinucci è emblematico: attesta la profonda, irredimibile decadenza della “cultura” letteraria e della “cultura” tout court. Siamo al cospetto di “poesie” puerili e cronachistiche: la Nostra crede che, per comporre una lirica, sia sufficiente andare a capo prima, costruendo dei versicoli. E’ vero: Ungaretti impostò le sue prime raccolte su una parola concentrata, densa, valorizzata nella sua pregnanza fonica e semantica, attraverso versi molto brevi, ma accesi da analogie, incendiati da folgorazioni verbali; l’Antinucci, invece, si limita a spezzare gli enunciati della prosa più prosastica, disponendoli in affannose unità “metrico-ritmiche”.

La plaquette è imperniata sul tema dell’uxoricidio, soggetto oggi à la page: ne risultano cose attaccaticce ed involontariamente comiche dove l’avvenimento doloroso, quando non è registrato nella sua cruda e scialba oggettività, è impiastricciato con la retorica più zuccherosa. E’ la retorica peculiare di chi crede di poter sopperire alla totale mancanza di talento, di attitudine e di competenze tecniche con un approccio moralistico e deamicisiano.

Fra le varie esternazioni della silloge, ne proponiamo una, la cui sconvolgente e rara bruttezza offre un piccolo ma significativo saggio dell’orrore impoetico che aduggia “Burqa di vetro”, la raccolta che merita davvero il riconoscimento come la più obbrobriosa della Letteratura mondiale. Il componimento si intitola “Te lo dicevo (come pioggia di rane)”. Allacciamo le cinture...

Te lo dicevo (come pioggia di rane)

Te lo dicevo.
Ci avrebbe scoperti.
Lanciare menzogne
dall’alto come
pioggia di rane.
Non siamo esperti.

Amori rivelati.

Se sono veri.
I sentimenti.
Vanno rispettati.

...

Te lo dicevo.
Tu scopritore.
Delitto d’onore.
Sei senza cuore.
A un letto hai dato
valore.

Te lo dicevo.
A te scopritore
resta un solo talento.

Dispensatore di dolore.


Veramente patetico codesto scartafaccio, con la fortiana pioggia di rane, le frasette balbettanti, i luoghi comuni (Se sono veri. I sentimenti. Vanno rispettati.), le rime banali, la sintassi sciancata, la punteggiatura improbabile...

Chi fra i lettori non avrà accusato incoercibili conati, potrà deliziarsi con altri capolavori pubblicati su questa pagina.

Articolo correlato: Ammazza-romanzo, 2012

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