Siamo per lo più noi Italiani ad essere assillati dal problema della ripetizione: anche gli scrittori più superficiali, se possibile, cercano di non ripetere lo stesso termine, almeno nell’ambito di un unico periodo. Ne conseguono non di rado scelte lessicali discutibili, talora grottesche, giacché si dimentica – come c’insegna Roman Jakobson – che i sinonimi perfetti non esistono: di solito i sinonimi appartengono a registri differenti o a differenti età della lingua.
Non solo, la ripetizione può essere efficace: se non occorre evidenziare la diversità di sfumatura, di accezione, si può conferire enfasi ed icasticità ad un testo, iterando la stessa parola, un sintagma, addirittura un intero enunciato. L’anafora, l’epifora, l’anadiplosi… donano pathos e drammaticità all’elocuzione. Associata ad altre figure retoriche, sia di costruzione sia di significato, ad esempio la climax, il chiasmo, l’ironia…, la ripetizione scolpisce i suoni ed i significati, rendendoli plastici, aggettanti.
Come sarebbe povera e molle la Prima Catilinaria, se Cicerone non ricorresse all'insistita iterazione di certe parole?
Come sarebbe fiacco l’incipit del III canto dell’Inferno senza la formidabile anafora di “Per me”?
La ripetizione è anche garanzia di coerenza tematica: è come un filo che lega le perle in una collana. Salda i concetti in un’unità testuale, additando il cuore del problema. Certo, pure in questo caso, vale il motto latino est modus in rebus: è preferibile non abusare dell’iterazione, soprattutto se il repertorio lessicale ci offre buone alternative, se ci squaderna lessemi i cui valori si dispongono lungo una gamma semantica che può ampliarsi o restringersi, secondo le esigenze espressive, euristiche e di stile.
Evitiamo dunque di eccedere con il verbo “fare”, con il sostantivo “cosa” e via discorrendo. Rifuggiamo dall’insensato “nel senso che” e da consimili tic. Si rischia altrimenti di impantanarsi nella miseria linguistica di Umberto Eco e della coorte negazionista, da Paolo Attivissimo a Simone Angioni: è una miseria che, lungi dal denotare soltanto ignoranza, dà la misura di pochezza intellettuale e persino etica. E' il cimitero della lingua, della cultura, di tutto.
Non solo, la ripetizione può essere efficace: se non occorre evidenziare la diversità di sfumatura, di accezione, si può conferire enfasi ed icasticità ad un testo, iterando la stessa parola, un sintagma, addirittura un intero enunciato. L’anafora, l’epifora, l’anadiplosi… donano pathos e drammaticità all’elocuzione. Associata ad altre figure retoriche, sia di costruzione sia di significato, ad esempio la climax, il chiasmo, l’ironia…, la ripetizione scolpisce i suoni ed i significati, rendendoli plastici, aggettanti.
Come sarebbe povera e molle la Prima Catilinaria, se Cicerone non ricorresse all'insistita iterazione di certe parole?
Come sarebbe fiacco l’incipit del III canto dell’Inferno senza la formidabile anafora di “Per me”?
La ripetizione è anche garanzia di coerenza tematica: è come un filo che lega le perle in una collana. Salda i concetti in un’unità testuale, additando il cuore del problema. Certo, pure in questo caso, vale il motto latino est modus in rebus: è preferibile non abusare dell’iterazione, soprattutto se il repertorio lessicale ci offre buone alternative, se ci squaderna lessemi i cui valori si dispongono lungo una gamma semantica che può ampliarsi o restringersi, secondo le esigenze espressive, euristiche e di stile.
Evitiamo dunque di eccedere con il verbo “fare”, con il sostantivo “cosa” e via discorrendo. Rifuggiamo dall’insensato “nel senso che” e da consimili tic. Si rischia altrimenti di impantanarsi nella miseria linguistica di Umberto Eco e della coorte negazionista, da Paolo Attivissimo a Simone Angioni: è una miseria che, lungi dal denotare soltanto ignoranza, dà la misura di pochezza intellettuale e persino etica. E' il cimitero della lingua, della cultura, di tutto.
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Utilissima riflessione, tutt'altro che superficiale: la forma è sostanza. Celebre l'aforisma dell'esoterista Oscar Wilde: una rosa è una rosa è una rosa.
RispondiEliminaLa reiterazione allora è propria anche delle evocazioni ed invocazioni. Evidentemente ne rafforza la chiamata. Ripetizione però è anche ridondanza ed allora invece la forza scema.
Forse è impossibile fissare regole alla gioiosa fluidità di una lingua ancora viva e ricca come la nostra. Ciao
E' vero: l'iterazione è peculiare pure delle formule magiche, delle invocazioni, gli antichi carmina. E' notorio che i suoni ripetuti hanno effetti particolari sulla "realtà".
EliminaCiao