Qualcuno ha scritto ”Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. E’ un consiglio quanto mai inattuale, visto che oggigiorno la stragrande maggioranza degli uomini non vuole alcun cambiamento, anzi moltissimi sono non soddisfatti, ma entusiasti del mondo orribile che è stato costruito.
Se ormai non resta più spazio per la libertà, se la natura è stata amputata, se della cultura e della giustizia è stato fatto strame, che importa? L’importante è che si possa disporre di un cellulare o di qualche altro marchingegno per essere sempre connessi, mentre il wireless ti uccide lentamente. E’ sufficiente un programma televisivo becero per massacrare la psiche della massa, per incatenarla ad una schiavitù tanto più amata quanto più è repressiva. L’unico cambiamento agognato è nella direzione di una tecnologia formidabile, quella tecnologia che strappa l’identità.
Intanto l’attualità continua a subissarci con le sue tragedie, ma esse più che indignazione o empatia, oggi generano disgusto. Ovunque ci si volti, ovunque si vada, si trovano solo ragioni di nausea, di noia, di insofferenza.
Resta – è vero – un’aristocrazia intellettuale che potrebbe additare qualche risoluzione, ma questa élite non è compresa e, se lo fosse, sarebbe motivo di apprensione. La misantropia è l’unico modo di rispettare l’idea di umanità, mentre i rapporti umani sono diventati spesso disumani. Resta – è vero – la speranza per credere che l’impossibile diventi possibile, salvo poi accorgersi che l’impossibile è destinato a restare tale. Il sogno di una palingenesi si sgretola nell’indifferenza e nell’ignavia.
La nostra società è ormai decomposta, affetta da una malattia dello spirito che non conduce ad una morte rapida, piuttosto ad un’agonia lentissima e penosa. È una decadenza senza grandezza, senza i bagliori corruschi degli ultimi aneliti, delle ultime creazioni. La società è una palude mefitica i cui miasmi ammorbanti sono appena coperti da fragranze sintetiche.
Ci sembra di vivere sotto l’imperio della fatalità, ma potevamo immaginare che il fato fosse così fatuo?
Se ormai non resta più spazio per la libertà, se la natura è stata amputata, se della cultura e della giustizia è stato fatto strame, che importa? L’importante è che si possa disporre di un cellulare o di qualche altro marchingegno per essere sempre connessi, mentre il wireless ti uccide lentamente. E’ sufficiente un programma televisivo becero per massacrare la psiche della massa, per incatenarla ad una schiavitù tanto più amata quanto più è repressiva. L’unico cambiamento agognato è nella direzione di una tecnologia formidabile, quella tecnologia che strappa l’identità.
Intanto l’attualità continua a subissarci con le sue tragedie, ma esse più che indignazione o empatia, oggi generano disgusto. Ovunque ci si volti, ovunque si vada, si trovano solo ragioni di nausea, di noia, di insofferenza.
Resta – è vero – un’aristocrazia intellettuale che potrebbe additare qualche risoluzione, ma questa élite non è compresa e, se lo fosse, sarebbe motivo di apprensione. La misantropia è l’unico modo di rispettare l’idea di umanità, mentre i rapporti umani sono diventati spesso disumani. Resta – è vero – la speranza per credere che l’impossibile diventi possibile, salvo poi accorgersi che l’impossibile è destinato a restare tale. Il sogno di una palingenesi si sgretola nell’indifferenza e nell’ignavia.
La nostra società è ormai decomposta, affetta da una malattia dello spirito che non conduce ad una morte rapida, piuttosto ad un’agonia lentissima e penosa. È una decadenza senza grandezza, senza i bagliori corruschi degli ultimi aneliti, delle ultime creazioni. La società è una palude mefitica i cui miasmi ammorbanti sono appena coperti da fragranze sintetiche.
Ci sembra di vivere sotto l’imperio della fatalità, ma potevamo immaginare che il fato fosse così fatuo?
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