Questo dio, dai nomi molteplici (Khrishna, Osiride, Dioniso, Tammuz, Attis, Adone, Cristo…) si sacrificò, promettendo che la sua morte e resurrezione avrebbero riscattato gli uomini dal male. È un mito che, con il suo sanguinario rituale, di un dio suicida o di un dio-padre che condanna a morte il dio-figlio, denota una mentalità barbara ed arcaica. Eppure è il racconto su cui si imperniarono moltissimi culti antichi, poi mutuati da Shaul-Paolo, quando fondò il “Cristianesimo”.
La trama di questa fiaba cruenta è il leit-motiv della “cultura” occidentale, dalla crocifissione di Osiride in poi. Purtroppo, come tutte le fiabe, è una storia inverosimile soprattutto per l’improbabile lieto fine: penso che nessun dio sia mai stato lontanamente sfiorato dall’idea di offrirsi in sacrificio per gli uomini (perché poi ignorare gli animali e le piante?). La redenzione è soltanto un’illusione. Il Male, lungi dall’essere sconfitto, impera indisturbato e si ammanta delle apparenze del Bene. Lo stesso Cristo, il cui ritorno sulla terra, era spasmodicamente atteso dal Tarsiota e dai suoi seguaci, non si presentò all’appuntamento. Allora qualcuno pensò di elevare a dogma il romanzo della salvezza con il fine di evitare che si riducesse ad una barzelletta, per di più neanche tanto spiritosa.
Le persone amano il genere narrativo, gli intrecci pieni di colpi di scena, le pellicole che dipanano vicende appassionanti, le storielle amene, ma non facciamo di Dio, se esiste, un romanziere. Credo che già la professione di architetto, in cui lo costrinsero gli Illuministi non gli garbasse molto.