11 aprile, 2010

Un abitante di Carcosa

Ambrose Bierce (1842-1914?), giornalista e scrittore statunitense, è uno fra i maestri del racconto noir in cui la crudeltà, il grottesco. l'assurdo diventano criteri estetici. La sua produzione letteraria, molto copiosa, comprende ricordi della guerra civile cui partecipò giovanissimo, scritti giornalistici (articoli, saggi, appunti di viaggio, pamphlets...), caustici aforismi confluiti nel volume The Devil's dictionary, racconti gotici e fantastici riuniti in alcune crestomazie. Spirito sempre inappagato ed irrequieto, Bierce partì ultrasettantenne per il Messico insanguinato dalla rivoluzione con l'intento di intervistare Pancho Villa, ma fu fagocitato dal deserto. Nessuno è mai riuscito a stabilire quale fu la sua fine.

La novella più nota di Bierce è “Accadde al ponte di Owl Creek” (1891), una storia il cui protagonista sfiora, in un'analessi onirico-surreale, il limitare tra la vita e la morte. Da "Accadde al ponte di Owl Creek" fu tratto un episodio della serie televisiva “Ai confini della realtà” e persino una storia a fumetti.

"Un abitante di Carcosa" (1886) è un breve racconto in cui un uomo della città di Carcosa, considerando le parole del filosofo 'Hali' sulla natura della morte, vaga attraverso un deserto sconosciuto. Egli non sa come sia giunto lì, ma ricorda che era infermo a letto. Comincia ad essere angustiato, pensando di aver vagato fuori di casa in uno stato di incoscienza. Quindi osserva il paesaggio circostante, mentre freddi brividi gli percorrono la pelle. Si imbatte poi in una lince, in un gufo ed in uno strano uomo vestito di pelli e che porta una torcia. Per la prima volta, il protagonista si rende conto che deve essere notte, anche se può vedere tutto intorno a sé, come se il paesaggio fosse rischiarato dalla luce diurna. Scorge un boschetto che nasconde un cimitero di molti secoli addietro. Guardando le lapidi che una volta si ergevano presso le tombe, vede il suo nome, la data della sua nascita e del suo decesso. Si accorge allora che egli è morto: in lontananza si stagliano le rovine della 'città antica e celebre di Carcosa'. Una nota in calce al testo ricorda: "Questi sono i fatti comunicati al medium Bayrolles dallo spirito di Hoseib Alar Robardin".

L'intreccio è sviluppato in un crescendo di tensione che rimanda in modo parossistico la sconcertante scoperta finale. Il breve flash back, con cui il narratore autodiegetico rammenta quando era malato ed in preda al delirio, si fonde nelle descrizioni di uno scenario autunnale, popolato di simboli arcani (il rapace notturno, la lince e l'uomo con la teda). I motivi della letteratura gotica (si pensi ad Edgar Allan Poe) si avvivano attraverso particolari incongrui: alla luce del giorno il protagonista può scorgere le stelle, il canto barbaro dello straniero, il tronco che non getta alcuna ombra, pur essendo l'alba, il senso di esaltazione fisica e mentale..., nonostante il silenzio gelido e lo spaventoso abbraccio di rami spogli tutto intorno.

Questi tratti proiettano le vicende in una dimensione liminare, in cui l'abbacinante buio della fine confonde la ragione ed i sensi. Il tempo lineare si sfilaccia e s'attorciglia sicché la morte precede l'esistenza e la nascita stessa. Siamo quel che non fummo. La vita pare il sogno di un febbricitante, una reverie che dirama i percorsi di un vissuto fatale. E' il paradosso di un'esperienza i cui confini sono sconfinati e dove la consequenzialità logica si impiglia nel dedalo di una contemplazione stranita. E' questa la morte o il suo romanzesco preludio?

Con stupore, ma senza nostalgia per un mondo per sempre tramontato, il protagonista, in una sgomenta profondità di campo, mentre "un coro di lupi ulula, salutando l'aurora", fissa
"sulla sommità di irregolari colline che si estendono fino all'orizzonte, i ruderi dell'antica e celebre città di Carcosa".

Fonti:

Enciclopedia della Fantascienza, Milano, 1980, s.v. Bierce
F. Lamendola, La foresta insanguinata e il corpo senz'anima. Riflessioni sull'opera di A. Bierce, 2007



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3 commenti:

  1. Ebbene sì, mi sono letto tutto d'un fiato GLI DEI MOSTRUOSI VENUTI DALLO SPAZIO. di Francesco Lamendola.

    Mi piace molto questa frase che lascia trasparire grandi verità che volutamente non vogliamo confessarci, la posto qui sotto:

    "Potete sempre consolarvi pensando che, in fondo, si tratta solo delle fantasie di un povero scrittore reso mezzo matto dalla nevrosi e dalla solitudine. Ma la civiltà "moderna" di cui andiamo tanto fieri, e che, riponendo una fiducia totale nella tecnoscienza, ci conduce verso le magnifiche sorti e progressive, non soffre né di nevrosi, né di solitudine. Vero?"

    Mi riferisco allo scrittore "Howard Phillips Loveacraft"

    Grazie Zret, per gli articoli molto interessanti che portano a fare ricerca, ed ai collegamenti che inserisci nei tuoi post.

    Cordialmente, wlady

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  2. Ciao Wlady, poco fa mi sono imbattuto in uno scartafaccio in cui il pennivendolo glorifica e celebra la "scienza", citando all'uopo un'ebete frase di Paolo Cattivissimo! Siamo agli antipodi dell'apoftegma dell'ottimo Lamendola.

    Grazie a te, per la fedeltà. A questo punto, credo ti interesserà l'articolo sulla doppia creazione, poiché sei molto versato nella storia e nella cultura dei Sumeri.

    Ciao

    martedì, aprile 13, 2010 4:50:00 PM

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  3. Ciao Wlady, buon viaggio e buona permanenza. A presto!

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