31 ottobre, 2011

Attrazione

I nostri tempi manifestano un’attrazione patologica per il brutto. Il brutto è in primo luogo nell’invasione di una tecnologia ipertrofica che ha eclissato il naturale. Non chiediamoci per quale motivo la massa resti insensibile allo stupro dei paesaggi, degli orizzonti che, prima di essere ambienti, sono gli spazi interiori dove generazioni di artisti hanno effuso la loro anima ed attinto immagini, sensazioni e corrispondenze ispiratrici dei loro capolavori.

La tecnologia oggi, da mero strumento, è assurta ad idolo da venerare: nel momento in cui ce ne serviamo, la serviamo. Vale pur sempre il motto “habere, non haberi”, ma il confine è sfumato sicché è facile diventarne schiavi. A questo si aggiunga che l’uomo non è più tale, ma utente, dunque un’interfaccia semitecnologica di un apparato. Siamo ormai prossimi alla “simbiosi” tra umano e tecnico, ad un crossover biotecnologico, dove la vita è residuale, una tetra larva. Di fronte alla comodità, all’efficienza ed alla velocità, miti invertiti del mondo contemporaneo tesi alla disgregazione dell’essere, spirano pochi aneliti verso la bellezza. E’ bello ciò che è inutile, che non è mercificabile: una nuvola arrotolata nelle volute, un foglio in balia del vento, l’eco di un’emozione, una lirica …

Il tempo, secondo i canoni correnti, va usato in modo produttivo, occupato, ma il tempo che rende è quello sciolto nei silenzi, in impenetrabili meditazioni. L’otium è il tempo ed il tempio dell'interiorità.

“Che cosa hai concluso in tutte queste ore?” “Niente”, dovrebbe essere la nostra risposta: il nulla è la dimensione in cui il pensiero può spaziare, senza vincoli, a somiglianza di un aquilone di cui non teniamo più il filo.

Il brutto si concreta nell’algida bellezza del cellulare iperfunzionale, nell’ultimo modello di automobile superaccessoriata, nel libro elettronico: linee asettiche, forme sintetiche, colori anemotivi. Il brutto è nelle quinte televisive e cinematografiche dove sono proiettate senza tregua le immagini di un mondo tanto più osceno, quanto più percepito come normale. Il brutto è nella scrittura odierna incacrenita in frasi fatte ed in locuzioni scialbe.

E’ grave che la bruttezza dilaghi; di più che essa sia celebrata. La bruttezza è la volgarità della vita piccolo-borghese in cui la gente ama immergersi, un’esistenza segata tra lavoro e tempo “libero”, con il tempo “libero” tiranneggiato da divertimenti obbligatori.

Ridotto a farsa il dramma, ignorata la crepa nel cielo ed il piombo sul cuore, si è pronti per lasciarsi avvolgere, come spiumati polli di batteria, nella pellicola di cellophane della solita pellicola…, ma srotolata dal televisore al plasma.

L’orrido è l’oblio della Tradizione prisca, con il suo soffio fecondo, la sua anima, la coscienza tragica e sublime del Destino. L’orrido si è acquartierato nella nostra epoca con la scienza raziocinante che ha escluso lo slancio e l’immaginazione. L’orrido è credere che l’inferno sia il paradiso e trovarvisi a proprio agio.

Vale più un istante di un secolo, se quell’istante è pregno di senso, ma il mondo preferisce allungare il tempo dell’esistenza che conferire intensità (sia pure l’intensità della disperazione che ci apre sotto i piedi la voragine della morte) agli attimi, alle ore, ai giorni.

La salvezza, se mai si prospetta una salvezza, è affidata alle anacronistiche, eppur ostinate sopravvivenze di un’età senza età, nel rifiuto a conformarsi all’”estetica” dominante: un grande rifiuto di fronte ad una realtà piccola, meschina.

Un caro saluto all’amico Giovanni le cui riflessioni hanno consentito di dar voce ad un pensiero che si era come ingorgato.

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28 ottobre, 2011

Il caso di Alberto Stecchi

Antonio Chiumento, nel saggio "Apri gli occhi", che raccoglie settantanove casi ufologici, inerenti soprattutto all’Italia nord orientale, nel periodo compreso tra il 1961 ed il 2009, riporta il singolare incontro ravvicinato occorso a Cecina (Livorno) domenica 6 settembre 2009.

Il protagonista dell’episodio è un maratoneta che quel giorno di settembre si alzò verso le cinque per il mattiniero allenamento quotidiano, portando con sé un cellulare dotato di fotocamera. “Durante la sua corsa, il teste fu coinvolto in più di un avvistamento (all’interno della pineta e sulla spiaggia). L’avvistamento che suscitò maggiore impressione sul testimone fu quello avvenuto sulla spiaggia dove egli assistette alle abluzioni di due esseri con fattezze umanoidi, con andatura e movimenti alquanto strani. Cosa anomala ma plausibile fu il fatto che il teste non scattò alcuna foto, in quanto in fuga per la paura. Solo dopo l’osservazione di quei due strani esseri, l’uomo prese delle istantanee del mare e del litorale, all’alba”. Le immagini ritraggono la battigia su cui sono impresse delle orme di piedi ed impronte di calzature.

Le foto sono nitide, ma, dopo essere state analizzate da Giovanni Pacitti, non è stato possibile ottenere maggiori dettagli, sia con ingrandimenti o con una maggiore risoluzione di pixel o lavorando sui livelli di contrasto, luminosità e colore, poiché le istantanee sono state realizzate con una fotocamera digitale.

Tra le varie fotografie, le più interessanti sono quelle scattate alle 8:22, 8:37, 8:48.

La prima mostra l’impronta di una calzatura con una protuberanza arrotondata sulla punta.

Nella seconda compaiono due file quasi parallele di peste piuttosto profonde con un prolungamento nella zona del calcagno. Si può ipotizzare che le orme rappresentino due persone che correvavo sulla sabbia molto umida.

La terza foto evidenzia l’impronta di un piede con il secondo dito molto allungato: si nota anche uno spostamento verso l’interno dell’alluce. Tale anomalia ci riconduce alla traccia della calzatura con la protuberanza sulla punta.

L’esame della documentazione non consente di affermare che le impronte lasciate sull’arenile di Cecina sono di esseri alieni, poiché ci si potrebbe trovare di fronte a tracce di malformazioni. Non è dunque possibile stabilire se l’esperienza di Alberto Stecchi, sia autentica. E’ curioso che il caso, al centro di un infuocato dibattito, nel 2009, per tentare di stabilirne la genuinità, sia caduto nell’oblio sì da essere riportato ed approfondito da pochissimi ricercatori, tra cui Chiumento nel suo ultimo libro.

Fonte:

A. Chiumento, Apri gli occhi, Padova, 2010, pp. 211-214


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24 ottobre, 2011

La Terra desolata e la Terra promessa (prima parte)

Alcune tradizioni ricordano che in principio i rapporti tra l’umano ed il divino erano simmetrici. Nel cosmo regnava l’armonia. Le schiere angeliche erano organizzate in legioni rigorose, intente a lodare l’Essere Supremo. L’uomo e la donna, i figli prediletti di Dio, vivevano in beatitudine, liberi dal dolore. La sofferenza e la morte erano ignote, il tempo non esisteva. L’universo era statico e perfetto, ma alcuni angeli erano incapaci di godere di quello stato ed erano invidiosi degli uomini. Gli angeli tenebrosi avevano tentato l’umanità per ragioni d’orgoglio, ma anche per causare dolore a Dio. Così essi caddero insieme con i progenitori. Nel Corano, Iblis rifiuta di prosternarsi al cospetto di Adam: per la sua hybris è allontanato dal Cielo. [1]

La caduta, come insegna questo mito, coincide in primo luogo con la genesi del tempo. La ribellione degli angeli gelosi è forse adombramento di uno scarto ontologico e cosmico, più che il simbolo di una separazione creaturale. La separazione, invero, il taglio è nel tempo stesso (dal greco “témno”, tagliare, recidere): nella mitologia greca Crono è il dio imparentato col tempo. Egli è il nume che divora i suoi figli; pure Saturno, l’antichissimo dio italico, in parte identificabile con Crono, anche se incivilì gli abitanti del Lazio dove regnò durante l’età dell’oro, talvolta era ritenuto un dio infernale. [2]

L’origine del tempo è pure nascita della vita o, meglio, esistenza, (da ex-sisto, stare fuori, allusione ad un esilio da una condizione originaria di compiutezza). Nella lingua ellenica vita è “bìos” e ricorda fonicamente “bìa”, violenza; anche in latino la parola “vita”, richiama “vis”, violenza, forza. Sono, con ogni probabilità, mere coincidenze, eppure suscitatrici di qualche riflessione… E’ indubbio che l’esistenza non solo si situa nell’habitat della caducità, ma pure essa vede il suo cominciamento in uno strappo, in una frattura, in un’azione violenta: ogni (pro)creazione è una distruzione. L’equilibrio si rompe, quantunque l’opera sia mirabile. Così Michelangelo colpiva il blocco di marmo per liberare la figura imprigionata nella materia.

Il processo creativo insuffla la vita e, nel contempo, condanna alla disgregazione ed alla morte. Per questa ragione l’artista, in un continuo trascendimento di sé stesso, anela ad imprimere alle sue opere il sigillo dell’eternità che, alla fine, è nell’idea e nel silenzio.

Come poté essere quello stato di assoluta, ineffabile armonia da cui ci sentiamo espulsi? Anche le parole più evocative, le melodie più sublimi ed i ritmi più arcani possono soltanto restituirci un’ombra labile e nebulosa di quel che fu.

Quando ci si strugge per la nostalgia di un’età aurea, non custodiamo tanto offuscate memorie di perdute, lontanissime epoche, ma di un’era prima dell’era stessa, anzi di una condizione, di un luogo, un modo di essere e non di un tempo.

“In principio era il lògos”. E’ così! Era, non è: il lògos, la vibrazione, non è il principio, ma già una sua manifestazione. Il tempo imperfetto (era) è il tempo del divenire, del moto, del panta rei. Il moto è il cambiamento, misura e fenomeno del tempo.

[1] Si leggano le seguenti sure: “Sono migliore di lui, mi hai creato dal fuoco, mentre creasti lui dalla creta". Disse [Allah]: "Vattene! Qui non puoi essere orgoglioso. Via! Sarai tra gli abietti". Disse [Shaytan]: "Concedimi una dilazione fino al Giorno in cui saranno resuscitati". Disse [Allah]: "Sia, ti è concessa la dilazione". Disse [Shaytan]: "Dal momento che mi hai sviato, tenderò loro [agli uomini] agguati sulla Tua Retta Via e li insidierò da davanti e da dietro, da destra e da sinistra e la maggior parte di loro non Ti sarà riconoscenti". Disse [Allah]: Vattene! Scacciato e coperto di abominio. Riempirò la Jahannam di tutti voi, tu e coloro che ti avranno seguito". (VII:12-18). Allah, allora, avvisa gli uomini di diffidare di Shaytan il quale corrompe e lo conduce alla devianza: Chi prende Shaytan come patrono al posto di Allah, si perde irrimediabilmente. (IV:119); In verità Shaytan è vostro nemico, trattatelo da nemico» (XXXV:6); «Certamente vi ordina il male e la turpitudine e di dire, a proposito di Allah, cose che non sapete” (II:169).

[2] E’ probabile che il Kronos greco trovi il suo archetipo nel dio sumero Ninurtu che, “come divinità planetaria, aveva ricevuto il nome di Sag-Usch, lo stazionario, astro di giustizia ed equità. Il suo moto lento e regolare lo rendeva simbolo di stabilità e di durata: incarnava la forza impertubabile del tempo. Del resto, il regolatore del tempo notturno, svolto dal pianeta, era sottolineato dalla somiglianza tra Kronos (con la kappa) e Chronos (con la chi), accostamento che risale a Ferecide (VI sec. a.C.)”. (Anzaldi-Bazzoli)


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20 ottobre, 2011

Un aforisma di Guicciardini sulla storia

Scrive Francesco Guicciardini nei “Ricordi”: “Tutto quello che è stato per el passato ed è al presente, sarà ancora in futuro; ma si mutano e nomi e la superficie delle cose in modo che, chi non ha buono occhio non le riconosce né sa pigliare regola o fare giudicio per mezzo di quella osservazione”.

Lo storico e diplomatico fiorentino vede la storia umana governata da una sorta di coazione a ripetere (“Tutto quello che è stato per el passato ed è al presente”). Veramente cambiano spesso le sembianze degli accadimenti (“si mutano e nomi e la superficie delle cose”), mentre agisce una forza sotterranea che ne dirige il corso, secondo uno svolgimento spiraliforme di tipo involutivo. La storia è progressivo regresso, fatale catabasi, discesa nell’inferno.

E’ come se un insano disegno fosse stato concepito ed attuato ab origine. Un sistema complesso si rivela il dominio delle semplici, prevedibili concatenazioni. Nonostante ciò – ed ha ragione Guicciardini – chi non possiede spirito d’osservazione non può cogliere premesse e sviluppi né, in modo induttivo, risalire alle leggi che disciplinano la cinetica dei “fatti”.

Difetta senza dubbio la capacità di analizzare le cose, di collegarle, di addentrarsi nei “meandri dei politici maneggi” sicché il potere può tranquillamente perseguire il suo piano sino alla meta finale. Non è solo l’uomo comune che non sa interpretare gli eventi, ma pure il polveroso storiografo ormai rattrappitosi in un’erudizione oziosa ed uso a lambiccarsi per non comprendere alcunché.

E’ paradossale: le scienze e gli àmbiti più accessibili sono quelli in cui l’ingegno umano si rivela più vacillante e gracile.

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16 ottobre, 2011

Strali

Certi sguardi possono essere degli strali. Neanche le espressioni più contumeliose possono ferire come alcuni sguardi e soprattutto essi restano impressi nella memoria in modo indelebile. Più che specchi, “finestre dell’anima”, gli occhi sono superfici in grado di riflettere emozioni nascoste, pensieri reconditi, persino inconsci. Sono capaci di sprigionare energie interiori.

Simili a raggi, questi moti dell’animo colpiscono l’osservatore per comunicargli messaggi intraducibili. Veramente i ricordi sono traumi visivi. Molto più delle scene di eventi passati che si sono incisi a lettere di fuoco nella coscienza, potenti per la loro tessitura narrativa e per l’alone emozionale, gli sguardi si conficcano come schegge nell’animo. Può essere un’occhiata di solidarietà o di condanna, di affetto o di disprezzo, dono imperituro o sentenza senza appello. La sua luce, benevola o maligna che sia, non si offuscherà.

In confronto, le parole sono armi spuntate, frecce la cui parabola presto declina.

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12 ottobre, 2011

Fra le rime del sonetto

La presenza presso la corte di Federico II Hohenstaufen di matematici come Leonardo Fibonacci (1170-1240) oltre all’influsso esercitato dalla cultura araba ed ebraica ha suggerito allo studioso Wilhelm Potters un’ipotesi curiosa sull’origine del sonetto, componimento formato da due quartine e due terzine per un totale di quattordici versi.

Secondo l’erudito olandese, la struttura del sonetto, la cui invenzione è quasi in modo unanime attribuita a Jacopo da Lentini, esponente della scuola siciliana, potrebbe essere la proiezione in forma poetica delle misure con cui i matematici del tempo cercavano di risolvere i tradizionali problemi circa la misurazione del cerchio. Nei trattati del XIII sec. il rapporto tra circonferenza e diametro del cerchio era indicato con la frazione 22/7, approssimazione del numero irrazionale che, a partire dal XVIII sec., fu rappresentato con π (3,14). Ora – rileva Potters – i sonetti, nei manoscritti medievali, spesso erano trascritti a coppie di versi affianacati per vari motivi, fra i quali quello dettato della necessità di risparmiare il materiale scrittorio. Un sonetto dunque poteva incontrarsi in due colonne di sette versi ciascuna.

Con tale strategia di trascrizione il componimento, considerato in orizzontale, risulta costituito da 7 righe, ciascuna delle quali consta di 2 endecasillabi, per un totale di 22 sillabe metriche. I numeri 11 e 14, che connotano il componimento a strofa fissa, nel “De mensura circuli” di Archimede illustrano la relazione tra il circolo ed il quadrato circoscritto, mentre nel trattato “Practica geometriae” di Fibonacci, redatto intorno al 1220, le frazioni 22/7 e 11/14 ricorrono riferite ai computi di misurazione della circonferenza. [1]

Vista l’importanza estetica ed esoterica che assunse nel Medioevo la figura del cerchio, la supposizione di Potters potrebbe non essere del tutto priva di fondamento. Tuttavia, la frequenza di certe cifre troverebbe, a mio parere, un riscontro nel clima della corte sveva. Il mileu di Federico II fu un crogiolo culturale dove contributi bizantini, normanni, provenzali, arabi ed ebraici si fusero in una compagine feconda. Così, il 7 ed il 22 soprattutto evocano tradizioni cabalistiche: si pensi ai sette bracci della Menorah ed alle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico.

Comunque la si pensi, è indubbio che l’arte e la letteratura medievali, almeno nelle sue manifestazioni più alte, sono intessute di significati allegorici, di valori la cui decifrazione richiede la conoscenza di codici segreti, l’uso di chiavi ad hoc. Si dimentichi di poter interpretare talune espressioni artistiche solo ricorrendo alla “tetralogia” enunciata nella pseudo-dantesca “Lettera a Cangrande della Scala”.

Rimaniamo in ambito poetico duecentesco. Guido Guinizzelli, nella strofa conclusiva del sonetto “Omo ch’è saggio non corre leggero”, sentenzia: “Deo natura e’ l mondo in grado mise e fe’ dispari senni e intendimenti: perzò ciò ch’omo pensa non dé dire”, “Dio creò la natura ed il mondo, secondo una gerarchia e fece differenti intelligenze e modi di vedere le cose: perciò non si deve esprimere ciò che si pensa.” Nella composizione, concepita e vergata come risposta a Bonagiunta Orbicciani da Lucca, che aveva criticato l’intellettualismo del rimatore bolognese, quest’ultimo rivendica la sua scelta di una poesia nutrita di conoscenze filosofiche e scientifiche. Guinizzelli sostiene qui una concezione se non iniziatica dell’esperienza artistica, aristocratica.

Del resto, nella lirica "Io voglio del ver la mia donna laudare", componimento dalla musicalità quasi cantabile e “facile”, grazie alle allitterazioni ed alla scansione regolare delle unità, l’autore adombra persino, pur nelle ripresa di tòpoi trobadorici, riconoscibili da un pubblico anche non particolarmente scaltrito, le norme araldiche. Nei vv. 6 e 7, infatti, dove si legge “ tutti color di fior’, giano e vermiglio, oro ed azzurro e ricche gioi per dare”, il capostipite dello Stilnovismo si richiama alla convenzione araldica secondo cui gli smalti (colori e metalli, cioè oro ed argento) sono associati secondo precise ed inderogabili regole.

Anche “la rosa e lo giglio” del v. 2, fiori tradizionalmente legati alla figura della Vergine, non prescindono forse da valenze profonde, “eccentriche”, ma il discorso ci porterebbe lontano…

Fonti:

C. Bologna, P. Rocchi, Rosa fresca aulentissima, p. 182, Torino, 2010
Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007, s. v. Federico II, Fibonacci
W. Potters. Nascita del sonetto. Metrica e matematica al tempo di Federico II, 1998


[1] Lo statunitense Steven Botteril accoglie l’ipotesi di Potters circa la genesi “matematica” del sonetto con una certa perplessità. Per quanto mi riguarda, mi convincono poco certe interpretazioni incentrate su codici e numeri.

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08 ottobre, 2011

Logica

Questa è l’unica risposta: non esiste alcuna risposta.

Come spiegare le tragedie, le sciagure? Semplicemente non si spiegano: esse accadono come gli altri eventi che succedono e si succedono in una concatenazione cui, se non è fortuita, soggiace una logica che ci sfugge.

L’irrazionalità degli avvenimenti, dal cataclisma che si abbatte all’improvviso, mietendo migliaia di vittime, al silenzioso crollo di un dolore invisibile, sembra risiedere nella loro quadrata, inesorabile inevitabilità. Se il caso annichilisce la direzione, il nesso causale non è garanzia di senso, dal momento che le relazioni cosiddette causali sono di per sé meri avvicendamenti cronologici, interpretati e persino giustificati a posteriori.

Così non possiamo esplicare e motivare i cosiddetti "fatti" del macrocosmo: la morte che ci strappa un parente o un amico come le chiavi che ci sfuggono di mano, cadendo sul pavimento, sono inscritti nello stesso cerchio ontologico, in quanto manifestazioni di una medesima dinamica nascosta. E’ in riferimento alla loro incidenza sulla nostra vita che ne stabiliamo una gerarchia, ma valutati oggettivamente, grandi casi e vicende del tutto trascurabili, oltre ad essere intrecciati in modo inestricabile, sono equipollenti, simili a gravi, che pur di differente massa, cadono nel vuoto con la stessa velocità.

Si pone qui la spinosa questione del libero arbitrio di cui, stante la struttura tetragona degli accadimenti, si può semmai conservare un simulacro interpretabile, più che come ipotesi filosoficamente fondata, quale appiglio consolatorio.

Tuttavia l’enigma del destino impallidisce, se si considera, di fronte alle domande abissali, il granitico silenzio di Dio, il mistero più impenetrabile contro cui ogni istante sbattiamo la testa.[1]

[1] Un’altra sesquipedale sfida è il mistero dell’iniquità.

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03 ottobre, 2011

Dietro la crisi: uno scenario plausibile?

"La diffusione della tecnologia è asservimento in sommo grado, sebbene essa sia presentata come il modo per liberare l’uomo dalla schiavitù del lavoro".

“Se si riconoscesse che il comunismo non è un programma per la condivisione del benessere, bensì un metodo per il suo controllo, allora l’apparente paradosso dell’arciricco che promuove il comunismo non è più tale. Diventa il logico, il perfetto strumento per megalomani in cerca di potere. Il comunismo non è il movimento delle masse oppresse, ma dell’élite economica”. Bella Dodd, esponente del C.P.U.S.A., Communist Party of United States of America

Che cosa si nasconde dietro la crisi economica mondiale? Dimentichiamo gli astrusi modelli interpretativi degli analisti: l’economia è una scienza semplice dal linguaggio complesso. L’attuale recessione non è la conseguenza di concomitanti fattori avversi, ma il risultato di un piano congegnato nei minimi particolari. Il cedimento del sistema produttivo e finanziario è un pretesto per destabilizzare la società, per spolpare ed annichilire la classe media: il fine ultimo non è il controllo delle risorse planetarie, bensì la diffusione del caos, presupposto per costruire un nuovo ordine.

L’indebolimento dell’euro non è, a differenza di quanto sostengono alcuni economisti, la conseguenza di un tentativo di salvare il dollaro a danno della moneta europea. Le élites stanno compiendo enormi speculazioni per semplificare via via il sistema con l’obiettivo di introdurre un’unica divisa valida in tutto il mondo. Sarà una moneta elettronica, gravata dal signoraggio, quindi basata sul debito e sull’usura. La riduzione progressiva del circolante si comprende in questo quadro: la graduale ma irreversibile digitalizzazione degli strumenti di pagamento.

E’ ovvio che il debito cosiddetto “sovrano” – grottesca dicitura – non potrà mai essere saldato: anzi il debito pubblico fu ideato per portare al fallimento gli stati. Nel frattempo, però, prima che le nazioni dichiarino la bancarotta, sarà attuata una serie di manovre finanziarie per colpire la middle class: questa manovre condurranno alla stagflazione. L’inflazione, forse paragonabile all’aumento dei prezzi associato alla svalutazione del marco, con cui fu distrutta la già precaria Repubblica di Weimar, è destinata a sovvertire gli equilibri sociali.

Gli sconvolgimenti della società non saranno, ancora una volta, solo la ripercussione dello sconquasso economico e finanziario, ma il risultato di una ben pianificata strategia. Fiumi di soldi serviranno per finanziare movimenti e partiti all’apparenza progressisti o rivoluzionari ("Italia dei valori", "Zeitgeist movement", "Movimento cinque stelle", "Paradismo" etc.) che, esautorata l’odierna screditata classe “dirigente”, formeranno il nuovo establishment. Come nel caso della rivoluzione russa, sostenuta da banchieri ebrei e dai Gesuiti, gli ideali di libertà, di giustizia e di partecipazione saranno disattesi, mentre sarà imposto un sistema tecnocratico, dove ad ogni “cittadino” sopravvissuto sarà garantito l’essenziale per il sostentamento. [1] Egli dovrà, però, rinunciare alla sua umanità per accettare di diventare un codice. Non è escluso che gli sarà impiantato un microprocessore sottocutaneo necessario per tutte le transazioni e volto ad un controllo totale.

Questo scenario, tra fantasia e realtà, prefigura un’organizzazione rigida, socialista, dominata dalla tecnologia informatica e fortemente centralizzata. E’ naturale che la massaia di Voghera non riesce a concepire una situazione siffatta. L’uomo comune è ancorato a convincimenti errati: crede che la crisi dipenda dagli sprechi, dall’inefficienza e dalla cupidigia dei politici. Non giunge neanche a sospettare che, dietro la tanto vituperata casta parlamentare, agiscono potentissimi finanzieri.

Non riesce infine ad immaginare quali diabolici obiettivi si prefiggano le élites, ben nascoste in una cabina di regia dove incredibilmete il denaro è l’ultima delle preoccupazioni.

Che Dio ce la mandi buona.

[1] Se il crollo delle borse e degli istituti di credito è pilotato, quindi fittizio, poiché i mercati azionari e le banche simulano il fallimento per sottrarre liquidità ai cittadini e drenare ingenti risorse, la crisi alimentare, catalizzata dalla bio-geoingegneria sarà tragicamente reale: essa precipiterà nella miseria e nella fame milioni di persone.

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02 ottobre, 2011

X Times n. 36 in edicola

E' in edicola il n. 36 di "X Times", la rivista diretta da Lavinia Pallotta e Pino Morelli. L'editoriale di questo numero è dedicato al ricercatore Budd Hopkins, autore del best seller internazionale "Missing time", 1981. Hopkins è purtroppo recentemente scomparso.

Leggi qui il commento della direttrice.

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