28 giugno, 2013

Black sun (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

Coincidenze

Enumeriamo in modo molto stringato le coincidenze tra i due casi riferiti, per poi indugiare su un aspetto che ha conosciuto in questi ultimi tempi sorprendenti ed inattesi sviluppi.

• Ferraudi e Cerminara rilevarono che la luce all’interno del veicolo spaziale non scaturiva da una fonte precisa, poiché si effondeva dall’intera superficie interna della nave.
• I due contattati si accorsero che Gaia, vista dallo spazio, è un globo blu. Yuri Gagarin compì la stessa osservazione: era il 12 aprile 1961.
• Ferraudi e Cerminara ricordano delle cupole sottomarine o ipogee con hangar.
• Entrambi gli experiencers acquisirono poteri di guarigione.
• I due uomini, dopo la loro passeggiata spaziale, cominciarono ad udire un ronzio all’orecchio destro.
• Ambo i protagonisti degli incontri ravvicinati descrivono un “logo alieno”. [1]

Non manca qualche discrepanza: Ferraudi non ha mai menzionato impianti. Egli incontrò visitatori di sembianze adamskiane, laddove Cerminara ebbe la ventura di imbattersi probabilmente in una stirpe di Grigi.

La convergenza più stupefacente riguarda il Sole nero: è un elemento che appare incongruo nell'ambito di storie già inconsuete ed incredibili per la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Tutti noi, condizionati dall’istruzione canonica, siamo convinti che il Sole è un’abnorme centrale nel cui nucleo avvengono trasformazioni termonucleari di idrogeno in elio. Se così non fosse? Se la nostra stella fosse, come ipotizzano alcuni scienziati eretici, tra cui Eric Dollar, un corpo sui generis? Dollar ha dedicato quattro anni a studiare il Sole alla Sonoma State University, prima che il suo laboratorio fosse chiuso d’autorità. Egli ritiene che il Sole non sia una gigantesca fornace a fusione nucleare che sprigiona luce e calore bruciando combustibile, ma un oggetto celeste in grado di convertire energia da un’altra dimensione. L’ipotesi, che può sembrare peregrina, non è del tutto nuova: è possibile che le stelle attingano l’energia dall’etere, come ventilato da taluni studiosi.

Scrive la fisica Giuliana Conforto: “In un video l’ingegnere nucleare, Mehran Keshe, mostra i princìpi base della sua tecnologia, indicando l’esistenza al centro della Terra di un wormhole – un buco nero – e proponendo una concezione della materia simile a quella che io considero in sintonia con il modello standard. Nel mio libro ‘Il parto della Vergine’, suggerisco che il ‘buco’ al centro della Terra coincide con quello che i geofisici chiamano “inner inner core” – una sfera di 300 chilometri di raggio – al centro del core (nòcciolo) cristallino della Terra. Non solo: dico anche che questo buco nero è il SOL INVICTUS, ovvero anche il SOLE NERO, legato al culto di Mithra, iniziato nell’antica Persia (Iran) e propagatosi poi nella Roma antica. […] Il buco nero al centro della Terra è in istantaneo contatto con quel buco bianco che è il sole in cielo. È una rivoluzione astronomica ed antropica, proposta da millenni e cancellata sia dalle religioni sia dalle scienze”.

Dunque la Conforto trascende la cosmologia accademica, concependo il Sole come un buco bianco. Il buco bianco, ipotetica controparte di un black hole, sarebbe una regione dello spazio da cui materia ed energia emergono da una singolarità (confine del buco nero o bianco in cui le leggi fisiche note non valgono più, n.d.a.), entrando nell’universo. Anche se le ipotesi sulla natura dei buchi bianchi sono dissimili e non facilmente conciliabili, resta il fatto che l’astronomia scopre nell’universo sempre nuovi e sorprendenti fenomeni, mentre ricercatori eterodossi si avventurano in congetture forse peregrine, ma che non si possono scartare a priori. Stando ad alcuni cosmologi, i buchi bianchi sarebbero l’altro estremo dei buchi neri cui sarebbero collegati attraverso cunicoli spazio-temporali.

Un’interpretazione dell’astro, in linea con quelle sopra accennate, si deve a Nassim Haramein. Egli sostiene che le macchie solari sono delle singolarità e che il Sole è un buco nero, una sorta di stargate attraverso il quale transitano esseri interdimensionali. Anche la Terra possiederebbe un buco nero: le affinità con la teoria della Conforto sono evidenti. Last but not least, le missioni le cui sonde scrutano il Sole, secondo Haramein, sarebbero finanziate dal Vaticano. (Una nostra amica, ricercatrice fededegna, si spinge a congetturare che la stessa nasuta N.A.S.A. sarebbe una costola della "Santa" sede, n.d.a.)

Sempre più spesso sono segnalati avvistamenti di oggetti per lo più sigariformi in prossimità del Sole: vengono e vanno passando per il portale eliaco, uno scuro varco fra universi?

Escluso che Ferraudi e Cerminara videro la stella attraverso un filtro polarizzato, si può pensare che i due “cosmonauti” vennero a conoscenza della reale natura del Sole?

Erano i lontani anni ’50 del XX secolo…

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

24 giugno, 2013

Il quinto tipo

Un giovane autore, Giacomo Banchelli, ha deciso di cimentarsi nel tema delle interferenze aliene con un romanzo, “Il quinto tipo I capitoli del mutamento”. Prima di lui, già il disegnatore e sceneggiatore Giuseppe Di Bernardo aveva attinto all’immaginario malanghiano per “The secret”, la coinvolgente saga a fumetti con mattatore Adam Mack.

Banchelli dipana un intreccio dove il protagonista, Jonathan, entra in contatto con la realtà al tempo stesso più vicina all’uomo e più da lui ignorata, l’universo della Coscienza. Così i vari eventi, l’incontro con un bonario docente universitario, Roberto Montebelli, la storia d’amore con la sensibile Francesca, le peripezie nell’installazione extraterrestre in cui svolge un ruolo decisivo il militare Stefano… promuovono la catalisi dell’introspezione, spingendo il lettore ad interrogarsi su argomenti vertiginosi.

“Il quinto tipo” è un libro di fantascienza ma sui generis, con l’ambizione a suggerire una ricostruzione del passato in modo da giustificare il nostro atroce presente ed un incerto futuro. Le implicazioni filosofiche sono, però, risolte nel racconto spesso ipercinetico e convulso; sono proposte attraverso la prospettiva interna di Jonathan, adolescente inquieto e ribelle. Il suo rifiuto del sistema configura una sorta di Bildungsroman, ma la maturazione avviene in modo repentino, specialmente perché gli avvenimenti precipitano nel breve volgere di poche settimane. All’epifania interiore, che porta il ragazzo a scoprire il luminoso abisso dell’Anima, fa da contrappunto l’apocalissi nel cielo dove una malvagia entità si palesa, al culmine di un cataclisma che devasta un’ampia regione del Mediterraneo.

La tensione vibra un po’ in tutto il romanzo e solo brevi pause offrono un ritmo più disteso: le riposanti ore trascorse da Jonathan e Francesca sotto un ciliegio, il pranzo a casa del professore, la rigenerante sosta in campagna dopo la fuga rocambolesca dalla base… E’ singolare: Banchelli, nonostante appartenga alla recente generazione tecnotronica, sa schiudersi, di quando in quando, alla natura, superando il solipsismo di tanti scrittori contemporanei, prigionieri delle loro snobistiche nevrosi.

Rinuncia poi ad un epilogo chiuso, lasciando in bilico il destino dei personaggi e dell’umanità, forse prossima ad essere annientata in una catastrofe di proporzioni cosmiche.

Nonostante qualche asperità linguistica, “Il quinto tipo” si gradisce soprattutto per l’incalzante montaggio e per l’asciuttezza dei dialoghi. La narrazione può essere ancora, in qualche caso, catartica o almeno consolatoria di una condizione umana del tutto disumana. D’altronde restano ormai solo le narrazioni e le illusioni… che sono in fondo la stessa cosa.

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

21 giugno, 2013

Ipotassi, paratassi

Qualcuno un paio di settimane addietro volle consigliarmi di privilegiare la paratassi rispetto all’ipotassi. Al suo suggerimento allegò un breve testo scritto (molto male) da un gazzettiere. L’ignoranza impera: vero è che la coordinazione è sovente più icastica della subordinazione, ma la scelta tra l’una e l’altra dipende da esigenze espressive e persino dalla Weltanschauung.

Accuseremo scrittori come Cicerone o Livio, che optano per un periodare ampio, gerarchico, di non saper scrivere? Si è che autori come quelli sullodati esprimono con il loro modus scribendi una precisa concezione del reale, improntata a prospettiva ed ordine. Cicerone e Livio sono dei classici e “classico” vale in primo luogo regolare, armonico.

Un altro esempio: Giovanni Boccaccio, come è noto, predilige costruzioni linguistiche molto complesse dove attorno al “pianeta” della principale ruotano i numerosi “satelliti” delle complementari. Anche qui si rintraccia una visione del mondo, quella pre-umanistica destinata a culminare nell’interpretazione rinascimentale che colloca l’Uomo al centro della Storia e della Natura.[1]

Quando il concetto di realtà muta, cambia anche la lingua che insieme lo traduce e lo plasma. Così, verbigrazia, un poeta come Pascoli frantuma l’architettura del periodo, disarticola la frase, la scompone nei suoi atomi fonici, poiché l’universo che egli trasfigura è disgregato, privo di un baricentro.

Oggigiorno il gusto ci induce ad anteporre uno stile paratattico ad uno ipotattico. Tuttavia, in talune circostanze, solo un impianto linguistico complesso può rendere una stratificazione concettuale. La lingua è embricata al pensiero e viceversa: non comprenderlo significa non saper né scrivere né pensare. Di tale abissale ignoranza abbiamo, ahinoi, molti e sintomatici saggi.

La padronanza della subordinazione denota la capacità di ragionare, di sviluppare argomentazioni. In verità, chi oggi propugna una prosa esclusivamente paratattica, non ha alcuna dimestichezza con la lingua e, mentre crede di essere à la page, verga testi sconnessi e scorretti, dove le secondarie spesso non sono rette da alcunché.

Vediamo un campione. Vomita Heidi: “Sono in tanti, nel mondo scientifico italiano, a essere stufi delle cretinate pseudoscientifiche pubblicate sui giornali e trasmesse alla radio e in televisione (sì, Roberto Giacobbo, sto parlando con te) e del modo in cui il giornalismo sensazionalizza il lavoro paziente di chi fa ricerca scientifica: entrambi rimbambiscono la gente, spaventano inutilmente, affossano la ricerca italiana e causano sprechi e decisioni idiote (e a volte letali) da parte dei politici.

Così per domani (8 giugno) è stato organizzato l'evento “Italia unita per la corretta informazione scientifica”: una serie di incontri, in varie città d'Italia, per fare divulgazione scientifica e fare chiarezza su alcuni temi (pseudo)scientifici controversi.

Io contribuirò nel mio piccolo partecipando alla sessione di Pavia (dalle 14:30) con una relazione sulle cosiddette “scie chimiche”, ma ci saranno relatori esperti anche per parlare di piante geneticamente modificate, di vaccini, di cellule staminali e di modelli animali nella ricerca biomedica. Siateci: è un modo per far vedere che non tutti si sono rimbambiti e che c'è ancora voglia di fare scienza per il bene di tutti. Anche dei ciarlatani e dei catastrofisti
”.

Si censurino almeno la vomitevole ripetizione del verbo “fare”, l’uso di termini del registro familiare (stufi, cretinate), "pseudo-scientifiche" scritto senza il trattino, l’impiego di orridi neologismi (sensazionalizza), l’immancabile ma molesto verbo “esserci”, le cadute a rompicollo nella sintassi popolare (trasmesse alla radio)… Dulcis in fundo, si deplori la proposizione conclusiva ellittica del verbo, enunciato che resta lì impiccato. E’ indubbio che taluni Autori amano talvolta suggellare un discorso con un’ellissi, ma in primo luogo non ne abusano, inoltre la loro scelta rientra in una ricerca di efficacia e non è sintomo di analfabetismo, a differenza di quanto succede nel caso della “guardia svizzera”.

Si potrebbero soggiungere altre osservazioni, ma non intendo sviscerare un tema comunque analizzato all’interno di altri articoli. Ho tratto spunto da una balzana “critica” di negazionisti la cui tracotanza è pari solo alla loro infinita sprovvedutezza. Costoro, Attivissimo in primis, producono scritti che, nella loro pacchiana pretenziosità, sono simili alle riproduzioni in plastica del Colosseo. L’analogia con l’Anfiteatro Flavio è pressoché assente, giacché il monumento di plastica sembra una dentiera.

[1] E' una semplificazione esegetica che riporto per comodità comunicativa, sebbene il discorso sia molto più sfaccettato.


APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

18 giugno, 2013

Black Sun (prima parte)

Accadde in Argentina

Disprezzato o negletto, il contattismo è, invece, una miniera di informazioni di notevole interesse. Nick Redfern ha dedicato al tema la prima monografia in inglese, “Contactees”, ma l’”archetipo” è “Apocalissi aliene”. Dimostrando intelligenza, i ricercatori, Liliana Flotta ed Eduardo Grosso, hanno operato una rilettura di un celebre caso, adottando la metodologia che più si addice ad un fenomeno tanto controverso: individuare analogie con altri episodi e soprattutto provare a confermare la veridicità delle dichiarazioni provenienti dai contattisti, attraverso l’enucleazione di elementi predittivi.

Il resoconto di Ferraudi mostra palesi similitudini con altri incontri indagati. Una notte d’agosto del 1956, l’argentino Orlando Jorge Ferraudi, (all’epoca aveva diciotto anni), mentre era intento a pescare sulla costa del Northern Resort, dove sorge Universe City, vicino alla capitale Buenos Aires, scorse un essere dalla pelle bianchissima e dagli occhi chiari, col viso incorniciato da capelli corti e lisci. Il visitatore invitò mentalmente Ferraudi a seguirlo; lo guidò quindi in un velivolo. L’uomo ebbe non solo l’opportunità di compiere un’escursione nello spazio, ma poté anche esplorare gli abissi oceanici dove notò “un’immensa cupola sottomarina, simile ad un gigantesco igloo eschimese”.

Sull’astronave, descritta come “una grossa scodella rovesciata”, il contattato incontrò una bambina, Elena, di undici anni che era stata prelevata poco prima dagli “stranieri”, nonché una creatura femminile, alta e bionda. La donna, inguainata in una tuta aderente, esortò Ferraudi a togliersi i vestiti affinché non contaminassero l’ambiente e ad indossare una tunica. Il giovane fu condotto sul ponte della nave in cui si apriva un’ampia finestra. In seguito l’U.F.O. si sollevò: durante il viaggio nello spazio, l’uomo ammirò la Terra che aveva l’aspetto di un globo blu, e la Luna, una sfera di colore grigio opaco. Quando l’oggetto volante si diresse verso il Sole, con sbalordimento il giovane constatò che “il Sole era nero”. Infine il vascello spaziale fece rotta verso la Terra a velocità mozzafiato per immergersi nel Mar delle Antille: sul fondale oceanico Orlando ed Elena videro una calotta trasparente che copriva un’area di cinque - sei ettari. Essi entrarono in una galleria che sboccava in una camera dove erano collocati dei lettini ed installati degli strani macchinari: qui agli ospiti fu dato da bere un liquore denso e piccante e da ingoiare alcune compresse. Fu spiegato loro che si sarebbero assopiti. Furono destati e condotti in stanze separate dove Orlando ed Elena poterono indossare di nuovo i loro abiti. Ad Orlando fu spiegato che era stato compiuto un lavoro sulla sua ghiandola pineale. L’experiencer ricorda il chiarimento che gli fu fornito dall’ufonauta: “La ghiandola pineale è l’ultima nostra eredità che rimanga qui… Le razze terrestri hanno subito mutazioni genetiche per loro stessa colpa e tutto ciò che rimane di quanto eravate è l’epifisi. Per questo motivo l’abbiamo risvegliata e, quando comunicheremo con te, sentirai una sorta di ronzio”.

Osservano gli autori succitati che il ronzio è un sintomo comune a molti contattisti: definito “segnale di aggiustamento”, è un suono percepito quasi sempre nell’orecchio destro e che preannuncia un messaggio telepatico.

Il caso Cerminara palesa delle similitudini con il racconto di Ferraudi: Luis Cerminara era il dirigente di una compagnia assicurativa a Pergamino (provincia meridionale di Buenos Aires). Le sue straordinarie esperienze risalgono all’infanzia, quando nella città natale, Arroyo Dulce, un “minuscolo essere grigio” lo portò su un “piccolo aereo bianco” con cui compì un viaggio all’interno del pianeta. Una volta adulto, Luis cominciò a ricevere messaggi mentali. Nel 1981 gli fu chiesto di recarsi a Caleta Olivia (Argentina meridionale): colà lo attendevano due ufonauti abbigliati con tute di colore chiaro. Gli extraterrestri portarono l’uomo su un’astronave: all’interno la luce promanava dall’intera superficie dell’ambiente. Luis raggiunse poi il ponte: attraverso le aperture nello scafo contemplò la sfera azzurra della Terra, la Luna ed il Sole che gli apparve... nero. Ritornata su Gaia, la nave stellare penetrò in una struttura sotterranea formata da diverse cupole. Luis Cerminara, dopo la sue avventure, sviluppò poteri terapeutici e facoltà speciali, come il figlio. Particolare interessante: l’uomo mostrava un marchio rosso dietro l’orecchio dove, a suo dire, gli era stato introdotto un impianto. Sia Orlando sia Luis, come altri rapiti, rammentano di aver veduto un’icona, un cerchio in cui è inscritto un triangolo: è un simbolo che contraddistingue una precisa civiltà aliena?

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

16 giugno, 2013

La pista sumera (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte.

L’ufologo tedesco Michael Hesenmann, nel suo saggio “Il mistero dei cerchi nel grano”, dopo aver riportato l’episodio di Holloman, svolge alcune interessanti osservazioni: “Quando lo vidi per la prima volta (il disegno di Emmenger raffigurante gli alieni nasuti, n.d.a.) mi causò un effetto di déjà vù: da qualche parte dovevo aver visto quella fisionomia. Poi mi ricordai: a Berlino, nella sezione dell’Asia Anteriore del museo di Pergamo su un bassorilievo antico di 2800 anni, proveniente da Kalchu, città del regno assiro di Assurnasirpal II (883-859 a.C.) corrispondente all’attuale Iraq settentrionale. Vi si vede un genio – com’era denominato nel catalogo del museo – in realtà uno degli Anunnaki, cioè di 'quelli che vengono sulla Terra dal Cielo' per creare gli uomini a loro immagine e somiglianza. Lo stesso volto dal naso aquilino (sul bassorilievo guarnito, però, anche con una lunga barba), lo stesso scettro, lo stesso orecchino, lo stesso ‘elmo’ anche se, forse perché persona di rango inferiore, qui ornato con soli tre giri di nastro. Gli Egizi raffiguravano questi dei – che chiamavano Neteru, cioè ‘guardiani’ – con una pelle grigio-azzurrina e ne allungavano la parte posteriore del capo, una caratteristica che – prodotta artificialmente o geneticamente – ritroviamo nelle famiglie dei faraoni (come pure il naso adunco, indice di nobiltà) che si ritenevano diretti discendenti degli dei.”

Il presunto approdo alieno a Holloman era stato reso noto per la prima volta da Robert Emmeneger, documentarista ed esponente del Partito Repubblicano. Egli così dipinse gli ufonauti: “Erano esseri simili all’uomo, vestiti con una tuta aderente, alti circa un metro e sessanta, pelle grigio-azzurrina, grandi occhi distanziati dal taglio orientale, testa a ‘pera’ che si allunga dietro, vistoso naso adunco. In testa portavano copricapo adornati da vari giri di larghe fasce (o nastri), portavano orecchini, in mano tenevano un bastone simile ad uno scettro”.

Il musicista ed ufologo britannico Timothy Good, esprimendo le ingenuità dell'ufologia ottimista, in “Base terra”, annota: “In quegli incontri, Eisenhower si era convinto che gli alieni volevano aiutarci. Quindi, stando alle indiscrezioni, Eisenhower ed il suo staff sarebbero stati testimoni dell’atterraggio del disco volante da cui scesero i visitatori alieni, che comunque chiesero all’allora presidente di prendere in considerazione l’idea di rendere pubblica la notizia della loro presenza sul nostro pianeta […] Il nostro pianeta, avrebbero spiegato gli alieni all’ex presidente, è ciclicamente investito da grandi meteoriti, ma neppure loro sono in grado di proteggerci da quelli di mole maggiore. L’unica possibilità per la nostra specie, suggerirono i Grigi(???), potrebbe essere quella di costruire una sorta di ‘scudo spaziale o deflettore’”.

Un anno fa fu progettata la realizzazione di una saga cinematografica intitolata “Anunnaki” con la direzione affidata a Jon Grees. Erano già stati scritturati gli attori e reclutati i tecnici, ma il lungometraggio non hai mai visto la luce. Non solo, le tracce inerenti alla produzione sono quasi tutte sparite dalla Rete. Prima di svanire nel nulla, il regista rilasciò un’intervista in cui asserì: “’Anunnaki’ è il primo film in cui oggettivamente si può dimostrare quale tipo di influsso subirono i Sumeri affinché diventassero ex abrupto la cultura più avanzata del mondo antico. Molte persone ancora non sanno che esistevano macchine volanti sulla Terra, molto prima che gli Egizi avessero attinto il loro acme tecnologico. La conoscenza avanzata degli astri, l’agricoltura, la zootecnia, la struttura sociale… furono elargite al genere umano da civiltà extraterrestri…” Si può immaginare per quale ragione la scure della censura si è abbattuta sul progetto di Gress.

Ancora cinema tra finzione e realtà. In “Prometheus”, per la regia di Ridley Scott, i creatori dell’umanità, una razza esterna descritta come ‘gli ingegneri’, ha intenzione di tornare sulla Terra per introdurre una nuova forma di vita atta a sostituire l’umanità. La 'missione Prometheus' compie la sconvolgente scoperta che gli ingegneri sono i progenitori di Homo sapiens sapiens.

Sebbene l’opera di Scott non indichi espressamente i Sumeri, li introduce in modo obliquo, insistendo sul loro ruolo di creatori del genere umano. La fisionomia degli alieni evocati nella pellicola è piuttosto distante dalla sembianze degli astronauti nasuti protagonisti dell’abboccamento a Holloman, poiché semmai aderisce al testo biblico per lo meno per quanto attiene alla statura ed all’aspetto che incute timore. Siamo in presenza di diversi gruppi appartenenti ad uno stesso popolo o al cospetto di due razze distinte? Questa domanda è forse oziosa, rispetto ad altri quesiti: gli antenati dei Sumeri erano e sono scaltri imbonitori? Esistevano ed esistono varie fazioni? Sono a ancora oggi i supervisori dei principali eventi, di là dalle loro dichiarazioni improntate a sollecitudine?

La pista sumera somiglia spesso ad un campo minato…

Fonti:

M. Biglino, Il dio alieno della Bibbia, 2011
G. Casale, Atterraggio a Holloman, 2007
T. Good, Base Terra, Milano, 1998
M. Hesenmann, Il mistero dei cerchi nel grano, Roma, 1994, ristampa del 2002
A. Marcianò, La lingua dei visitatori, in X Times n. 39

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

13 giugno, 2013

I semi transgenici della Semantica

Tempo fa Romeo, il gatto dell’ateneo, si risentì perché, nel corso di un dibattito, era stato definito negazionista. E’ una reazione grottesca, irragionevole. Orbene, coloro i quali negano l’olocausto chimico-biologico ed altri crimini devono essere solo bollati come “negazionisti”. Si offendano pure. Sarebbe ipocrita usare eufemismi ed infingimenti. Si potrebbe anche etichettarli come paranoici, dato che difettano del senso della realtà.

E’ fondamentale che i significati aderiscano alle cose e ne qualifichino la sostanza. La precisione lessicale rende le sfumature, le tonalità. L’onestà comincia dal linguaggio.

Qualcuno vorrebbe che si schivassero certi termini e sintagmi, quali “genocidio”, “scie chimiche”, “Nuovo ordine mondiale”... Si ha paura di intimorire l’uditorio o di scandalizzarlo. Ci si dovrebbe nascondere dietro la cortina fumogena di una terminologia fumosa. In questo modo si perde il contatto con il reale, con la verità, a vantaggio di una “divulgazione” da pusillanimi. Dovremmo forse convertirci al vostro idioletto sterile a somiglianza di un seme transgenico? E’ vero che la dicitura “scie chimiche” non è del tutto appropriata sotto il profilo scientifico, ma è entrata nell’uso ed è efficace perché sottintende la loro natura sinistra. Si ignora che le parole hanno la loro storia, la loro tradizione. La parole è più importante della langue, per dirla con De Saussure. A questo punto non dovremmo più adoperare il termine “atomo” (letteralmente ciò che non si può dividere), visto che esso non è inscindibile. E’ vero: l’espressione “Geoingegneria clandestina” o “assassina” è preferibile. Rende con icasticità l’essenza e le finalità delle attività chimico-biologiche.

Non rinunceremo mai a queste iuncturae: “scie chimiche”, “scie tossiche”, “scie mortali”. Risparmiateci perciò i vostri tentennamenti, la vostre pruderie da educande, le vostre censure lessicali. Il perbenismo linguistico consuona con il depauperamento semantico. Prelude al deserto culturale ed è soprattutto disonestà conclamata, come ci insegna Manzoni che aborre dalle circonlocuzioni.

E’ emblematico quanto scrive George Orwell in “1984” e nell’appendice all’opera: obiettivo dell’establishment è non solo la progressiva riduzione del vocabolario, ma pure l’assottigliamento dei valori semantici, onde i lessemi dimagriscano nella mera struttura denotativa. E’ necessario espungere certi termini per eclissarne i significati. Data la corrispondenza biunivoca tra significante e senso, estirpare l’uno significa svellere anche l’altro e viceversa. Non solo, come si può strappare la coscienza agli uomini, così si può sradicare l’anima alle parole (il significato) e persino lo spirito (il senso profondo, recondito, con tutti gli echi e le valenze connotative). Alla fine rimane solo l'involucro della parola, simile ad un guscio di cicala.

I disinformatori amano fregiarsi del titolo di “debunkers”. Non lo meritano affatto. Ora, non è un contegno schifiltoso nei confronti di una voce inglese – sebbene si tenda oggigiorno ad abusare di termini inglesi – piuttosto l’amore per l’accuratezza. “Debunker”, infatti, vale “ridimensionatore”: i negazionisti, però, non ridimensionano alcunché. Costoro non si limitano a circoscrivere la portata degli eventi e dei fenomeni, poiché la respingono in toto e per di più in maniera aprioristica. Delimitare richiede un’intelligenza che i depistatori non hanno e non acquisiranno mai: a loro sono preclusi l’oggettività ed il discernimento. Rien à faire. Possono solo vomitare insulti e calunnie o, nel migliore dei casi, recere uno scartafaccio a base di “dire”, “mettere”, “fare”, “parlare”. Non si pensi che il compito di immiserire la lingua di Dante sia affidato a questi lacché: è un ufficio adempiuto da chi sta più in alto e che da decenni persegue l’obiettivo di demolire la cultura, intesa come baluardo di libertà e di senso critico.

Sono già riusciti a snaturare la “scienza”: un tempo si soleva contrapporre la scienza, imperniata sulla ricerca, la verifica dei dati, il principio di falsificazione..., alla religione. Oggi tuttavia non esiste nulla di più dogmatico e rigido della “scienza ufficiale” a tal punto che il più cieco fanatismo è indistinguibile dal “sapere” universitario, oscurantista e superstizioso.

E’ giunto il momento per gli apparati di annacquare l’istruzione umanistica, di svuotarla della sua carica talora rivoluzionaria di modo che si riduca ad orpello. In tal guisa, la conoscenza letteraria ed artistica assomiglia a quei fregi posticci e patetici con cui un architetto sprovveduto intende ingentilire le linee semplici ed austere di edifici che trovano il loro unico ornamento nella loro stessa forma, nei volumi, nella sinergia con lo spazio e la luce.

Non si pensi che l’ufficio di dissanguare l’idioma di Dante sia devoluto agli occultatori: per abbattere un edificio in modo efficace, sono necessarie comunque delle competenze. I depistatori falliscono anche nel fallire. Conosciamo due cose infinite: l’universo e l’ignoranza dei negazionisti. Della seconda siamo arcisicuri.

APOCALISSI ALIENE: il libro

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10 giugno, 2013

La pista sumera (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

Mauro Biglino, insieme con qualche altro esperto, ha cominciato a concatenare gli Ebrei ai Sumeri. E’ noto che Shinaar nella Bibbia indica la terra di Shumer, ma anche gli Anakiti evocano gli Anunnaki. Il professor Biglino in particolare enuclea un passo del Deuteronomio (7,6) in cui è precisato che gli Ebrei, come popolo, sono proprietà di YHWH ed è a lui “consacrato”, cioè a lui riservato in via esclusiva. Questo brano della Torah ricorda un documento cuneiforme conosciuto con il titolo “Enki e l’ordine del mondo”. Come Kramer e Poebel, Biglino scorge un filo sottile che lega Giudei e Sumeri. Egli così riassume l’ipotesi: "Da Noè nasce Sem/Shem; l’accadico Shum di Shumer corrisponde(?) allo Shem di Genesi 10, 21; i figli di Shem, cioè i Semiti possono quindi essere in realtà i figli di Shum, cioè i Sumeri; da Shem deriva Eber, dunque gli Ebrei; da Eber discendono sia Pele (ed Abramo) sia Ioktan, con i popoli da lui generati e spostatisi verso oriente; al tempo di Peleg fu eseguita la divisione tra i vari 'signori dell’alto': YHWH ottiene il territorio in cui si insediarono Abramo e la sua discendenza.

Gli Anakiti sono descritti come giganti in alcuni passi della Torah.

“Salirono attraverso il Negheb e andarono fino a Ebron, dove erano Achiman, Sesai e Talmai, figli di Anak. Ora Ebron era stata edificata sette anni prima di Tanis in Egitto.” (Nm. 13,22)

“Vi abbiamo visto i giganti, figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro. ”(Nm. 13,33)

“Di un popolo grande ed alto di statura, dei figli degli Anakiti che tu conosci e dei quali hai sentito dire: ‘Chi mai può resistere ai figli di Anak?”(Dt. 9,2)

“Per questo Caleb, figlio di Iefunne, il Kenizzita, ebbe in eredità Ebron fino ad oggi, perché pienamente fedele al Signore, Dio di Israele. Ebron si chiamava prima Kiriat-Arba: Arba era stato l’uomo più grande tra gli Anakiti. Poi il paese non ebbe più la guerra”. (Gs. 14,14)

“A Caleb, figlio di Iefunne, fu data una parte in mezzo ai figli di Giuda, secondo l’ordine del Signore a Giosuè: fu data Kiriat-Arba, padre di Anak, cioè Ebron.” (Gs. 15,33)

Gli Anunnaki ed i Sumeri continuano a perseguitarci e ad incuriosirci: il loro sistema linguistico ci appare allotrio, non sappiamo donde provenissero. Furono capostipiti di una tra le prime e più progredite civiltà del pianeta, eppure sospettati di annoverare fra loro degli astuti manipolatori, degli scienziati opportunisti.

25 aprile 1964. Stati Uniti. Un ufficiale dei Servizi d’informazione dell’Aeronautica militare s’incontrò con due extraterrestri in un luogo stabilito nel deserto del New Mexico, a Holloman. Il contatto durò quasi due ore e, durante l’incontro, l’ufficiale dell’Aeronautica poté scambiare con gli extraterrestri informazioni di fondamentale importanza. Il rendez-vous fu il coronamento del Progetto Sigma che risale al 1954. Il suo obiettivo era quello di stabilire un'interazione con le civiltà stellari.

In un’intervista concessa alla giornalista investigativa Linda Moulton Howe il 20 febbraio 1989 il rivelatore William Cooper dichiarò: “Holloman è reale. Gli extraterrestri sbarcarono. Essi furono in contatto con noi per diversi giorni e soggiornarono negli edifici della base. Asserirono che esistevano altri alieni che visitavano la Terra, ma non sapevano né chi fossero né da dove provenissero”.

La descrizione degli alieni (con tanto di disegno esplicativo) realizzata da Cooper alla Howe è la seguente: “Cinque piedi di altezza, pelle bluastra, nastri attorno alla testa con appendici che terminavano dietro le orecchie: queste appendici sono in realtà dispositivi di traduzione dell’inglese e di altre lingue. Un qualche tipo di ‘schermatura’ sugli occhi. Gli occhi hanno pupille verticali, come i gatti. Il naso è aquilino, molto pronunciato; la bocca è una semplice fessura ed il mento è sfuggente. Il viso è piatto ed inespressivo. La testa non è grande, in proporzione, quanto quella dei 'piccoli Grigi', ma è più grande di quella degli esseri umani e nella parte posteriore è molto pronunciata come quella di alcune antiche immagini dei faraoni egizi.”






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07 giugno, 2013

Tendenze e dinamiche all’interno dell’informazione non allineata

Nell’editoriale “Il cospirazionismo fa parte della cospirazione?”, Leopoldo Antinozzi si chiede se alcune tendenze all’interno dell’informazione non ufficiale non siano funzionali a rafforzare il potere di cui i ricercatori non allineati denunciano i crimini più o meno occulti. L’articolo, basandosi su premesse incomplete, approda a conclusioni discutibili, sebbene qualche argomento si possa condividere. Nel momento in cui Antinozzi si pone la domanda, difetta della capacità di discernimento, ossia subito avrebbe dovuto distinguere tra divulgatori veramente liberi ed autori che sono i cosiddetti “guardiani del cancello” (in inglese gatekeepers). [1]

I gatekeepers svelano qualche verità incollata a molte menzogne per catturare il consenso di quella fetta di opinione pubblica “vaccinata” rispetto alle bugie dei media di regime, per convincerla ad accettare bugie più raffinate, dalle sembianze di “fatti”. Emblematico è il caso di Adam Kadmon. Costoro certamente sono schierati con l’establishment e ne condividono gli scopi nefandi.

Antinozzi si domanda per quale ragione serie come “History channel” lascino filtrare indizi di verità censurate: egli ritiene che questa ed altre operazioni di parziale disclosure servano a causare una crisi nei fruitori che, travolti dalla paura e dal crollo delle loro false certezze, perdono il desiderio di vivere.

Avverte l’editorialista: “Se mi dici come stanno veramente le cose e poi non mi dai gli strumenti per gestire queste informazioni in modo da farmene una ragione e soprattutto per dirigere la mia energia in senso costruttivo nella mia vita, il risultato è devastante, perché distruggi il mio entusiasmo, la mia voglia di vivere per uno scopo, annichilisci la mia energia vitale per dirigerla verso quelle emozioni che possono essere solo cibo per energie sterminatorie”.

Ciò è vero, ma non si sottolinea che ogni presa di coscienza passa attraverso un vissuto doloroso. Non si pone l’accento sui risvolti positivi della “crisi” che, da un punto di vista etimologico, non è solo decadenza e crollo, ma anche fase decisiva, preludio di rigenerazione. “La voglia di vivere”, “l’entusiasmo” ed “il libero arbitrio” che vengono distrutti dalla conoscenza, invero, sono gli anestetici e le droghe che l’uomo comune scambia per vita, mentre è solo un automatismo, un ebete letargo. E’ senza dubbio necessario offrire degli strumenti per “gestire le informazioni”: ogni problema va analizzato, indicando le possibili risoluzioni. Occorre, però, anche che si spronino i fruitori a trovare le energie in sé stessi, altrimenti si passa da una forma di dipendenza ad un’altra. Se una persona non sa affrontare il timore, non sa metabolizzare e trasformare la collera e lo sgomento iniziali in indignazione ed azione, è preferibile che se ne resti adagiata sugli allori (quando si accorgerà che sono un groviglio di spine, saranno dolori...).

Che cosa pensare poi dello spavento che i media ufficiali provocano a bella posta? Insistendo su fatti sanguinari, su stragi perpetrate proprio dai governanti, le testate di stato trasformano la paura in una potente arma per paralizzare l’opinione pubblica e per obbligarla ad accettare ulteriori rinunce alla libertà. Questo è un modus operandi da denunciare, in vece di cavillare sulle inquietudini che diffonderebbero taluni studiosi eretici il cui raggio d’azione è molto limitato.

Scrive Marco Aurelio, l’imperatore filosofo in “A sé stesso”: “La vita assomiglia più ad una lotta che ad una danza”. Orbene, non tutto è piacevole e facile nell’esistenza: acquisire consapevolezza di questioni cruciali implica di per sé una maturazione. E’ naturale che certe notizie scabrose devono essere centellinate e proposte anche in dosi omeopatiche, ma non si può neppure pensare di autocensurarsi pur di non seminare il timore che comunque, in quanto emozione, è temporaneo.

Se desideriamo solo “verità” tranquillizzanti, se temiamo di confrontarci con interrogativi abissali, con il dubbio persino che la libertà umana potrebbe essere fortemente condizionata, se non addirittura un’illusione, allora possiamo rimanere nel sistema e permettere che gli altri vi rimangano. Come spesso ripete l’amico Corrado Penna, venire al corrente di una realtà brutale come la Biogeoingegneria, sùbito ha un effetto traumatico, ma poi ti spinge ad avviare dei percorsi di ricerca, a studiare possibili rimedi, ad addentrarti nei meandri di una storia e di una scienza negate. Di fronte ad un male tanto illogico, si rafforza il convincimento che non si può rimanere indifferenti, germoglia l’idea di una vittoria finale del bene.

E’ indubbio: alcuni ricercatori squadernano delle verità indigeste, senza nel contempo additare delle prospettive, ma ciò dipende per lo più dal loro approccio da cronisti e non dall’intento di generare angoscia. Al contrario, coloro che vogliono edulcorare tutto e ricondurre situazioni sgradevoli (si pensi di nuovo ad Adam Kadmon) a rassicuranti “verità”, sono più dannosi, perché mentono ed in quanto distorcono i fatti per ingannare i lettori e per convogliarne le aspettative verso le chimere della New age deteriore.

Una persona che comincia a conquistare un briciolo di comprensione, dopo un po’ di tempo sa da quali siti attingere contenuti il più possibile imparziali, da quali fonti ricavare suggerimenti risolutivi. Senza prima conoscere, però, non può attrezzarsi in modo adeguato.

Osserva ancora Antinozzi: “Vien da sé che la capacità di approfondire i contenuti rimossi della propria coscienza rende anche possibile la facoltà di tradurli in una maggiore intelligenza di leggere gli eventi della società e della storia. Le due ricerche, quella esteriore e quella interiore, devono sempre viaggiare insieme”. Concordiamo con questa glossa che, se è il perno dei ragionamenti, mostra che è vero anche il contrario, ossia la comprensione degli accadimenti nascosti può propiziare un approfondimento del mondo interiore e, più in generale, della complessa natura umana. E’ auspicabile dunque coniugare i due percorsi. [2]

Riprendiamo il quesito di prima: per quale ragione serie come “History channel” lasciano baluginare delle verità censurate? Si deve ricordare che la censura è micidiale: poco sfugge alle sue fitte maglie. Essa si esplica con un controllo capillare sia preventivo sia a posteriori. Non dimentichiamo che il controllo culmina persino nell’assassinio di investigatori indipendenti. Vogliamo forse pensare che costoro siano agenti del sistema? Dunque se talvolta, attraverso certi programmi e pubblicazioni, trapelano contenuti veridici, non sempre siamo di fronte a bieche strategie (questo vale per la trasmissione “Mistero” e per il libro “Illuminati”), ma al cospetto dell’azione repressiva degli apparati, un’azione che costringe a compromessi nella divulgazione. Questo spiega per quale ragione un canale digitale ha proposto di straforo due puntate della serie “That’s impossible” sempre di “History channel”, per poi in fretta e furia cancellare il format dal palinsesto. Questo spiega perché un episodio di “That’s impossible” sulla modifcazione climatica, rilanciato dal canale Tanker enemy TV, è stato oggetto di una raffica di segnalazioni per opera di disinformatori che si sono adoperati (invano) affinché fosse rimosso dalla Rete.

E’ meglio sempre sapere che ignorare: George Orwell ci avvisa che “l’ignoranza è forza” per il sistema. Se tutti sapessero che i media ed i governi ingannano sulle questioni più importanti, quanto ancora durerebbe il loro perverso dominio? La vera responsabilità dell’obnubilamento delle coscienze è dei “giornalisti” ufficiali: costoro instillano preoccupazioni, propalano menzogne, plagiano. Costoro sono più dannosi di chi ti avverte di un pericolo reale (uomo avvisato...), anzi possiamo asserire senza tema di smentita che la depravazione dell’élites nulla potrebbe, se non trovasse una potentissima cassa di risonanza nei pennivendoli che modellano una realtà fittizia, costruita per imprigionare i cittadini nella paura, nella mistificazione, nell’impotenza. Veramente l’influsso dei gazzettieri è immenso: ora inventano un fatto ora lo distorcono ora nascondono una verità scottante. Non solo, gli impostori, in luogo di riportare la notizia, immediatamente la condiscono con giudizi faziosi atti ad orientare la reazione dell’opinione pubblica. Si approfitta della credulità e soprattutto dell’innata e tenace fiducia nelle istituzioni per condurre il pubblico dove si vuole. Purtroppo la genia degli scombiccheracarte non è solo del tutto prona ai dettami delle classi dirigenti, ma è essa stessa incarnazione degli apparati. Orson Welles definì la corporazione dei giornalisti, “quarto potere”, ma non sarà il caso di ribattezzarla “Primo strapotere”?

Tralasciando altri addentellati del tema, si potrebbe concludere ricordando che la Conoscenza in sé (di cui la conoscenza è simulacro, benché pallido), quando è preceduta da un itinerario ad hoc ed associata ad una natura in grado di accoglierla, è già risposta. Tuttavia, come ci insegna la tradizione esoterica, la Gnosi implica autodisciplina al fine di affrontare esperienze forti, persino sconvolgenti. Perciò è scritto nel Vangelo detto di Giuda Tommaso: “Chi cerca troverà, chi troverà resterà turbato, chi resterà turbato regnerà”. Insomma, se vogliamo regnare, è inevitabile passare per il turbamento. Chi non è interessato a regnare, si balocchi con lo zuccheroso blog di Paolo Attivissimo: lì troverà riscontri tanto falsi quanto rasserenanti, la conferma della sua sprovvedutezza spacciata per “scienza”. [2]

Certamente non proverà alcuna paura, anzi puro terrore... se non quando vedrà una foto che ritrae la "guardia svizzera".


[1] L’uso del termine “cospirazionismo” è del tutto improprio e forviante: di per sé pone un’ipoteca sulle argomentazioni dell’autore, ma tant’è...

[2] Del tutto appropriate risultano le riflessioni dello scrittore all’interno di “World builder, costruttore di mondi”, 2013. Nell’editoriale Antinozzi mette in guardia dalle insidie dello “spiritualismo materialista”, lo stesso di chi riduce lo Spirito ad una serie di bit, l’Anima all’informazione.

[3] Trascuriamo qui la controversia circa l’essenza del vero potere, se sia palese o occulto nonché le differenti concezioni a proposito del Nuovo ordine mondiale. In gran parte ce ne siamo già occupati.


APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

04 giugno, 2013

La pista sumera (prima parte)

Nella pellicola “Il quarto tipo”, (The fourth kind, 2009) per la regia di Olatunde Osunsanmi, la dottoressa Abigail Tyler indaga sulla morte del marito misteriosamente ucciso una notte mentre dorme accanto a lei. La Tyler scopre che a Nome, in Alaska, dove si è recata per compiere la sua ricerca, alcuni abitanti soffrono di persistenti disturbi del sonno. Si svegliano di soprassalto e ricordano d'aver scorto un gufo alla finestra. La Tyler ipnotizza uno di loro, Tommy, per portarne alla luce i ricordi sedimentati nell’inconscio. Quelle reminiscenze sono, però, così atroci che il paziente dura fatica a recuperarle. Un giorno Tommy prende in ostaggio moglie e figli, minacciando di ucciderli. Vuole che la psicologa gli sveli il significato di alcune parole in una strana lingua. Poiché Abbey non è in grado di decifrarle, Tommy stermina la famiglia e si toglie la vita. Grazie ad uno specialista, il glottologo Odusami, Abbey scopre che quelle frasi sono in sumero. Con l'aiuto del collega, il dottor Campos, la donna cerca di venire a capo dell’enigma.

La produzione, ricorrendo nei momenti topici alla tecnica dello split, affianca la ricostruzione dei fatti a materiale “autentico”, in una sorta di metacinema. Gli eventi “reali” sono affidati alla finzione (?) ed agli attori proprio come il rifacimento, con effetto straniante, talora cerebrale. Le immagini sgranate e vacillanti delle videocamere offrono un’illusione di verosimiglianza, ma sùbito sembrano smentirla nel gioco narrativo. Si rischia così di ignorare il messaggio che si è inteso forse veicolare con il film: alludiamo alla “questione sumera”. Gli spaventevoli alieni, che rapiscono alcuni residenti di Nome e la stessa figlia della psicologa, si esprimono nell’antico idioma parlato in Mesopotamia. Questo riferimento non sembra fortuito, ma un indizio che qualcuno ha voluto lasciare.

Da alcuni decenni, il “problema sumero” è diventato decisivo, oltre che nell’archeologia (ufficiale e no), nella linguistica, nella storia… persino in campi in cui non ci saremmo attesi che acquisisse particolare aggetto. Si pensi alle speculazioni sul Pianeta X identificabile con Nibiru, l’enigmatico corpo celeste della mitologia mesopotamica. L’astronomia e la cultura sumere non catalizzarono l’interesse soltanto del controverso Zecharia Sitchin e dei suoi epigoni, ma anche del cosmologo Sagan.

Carl Edward Sagan (1934-1996), noto soprattutto per aver indagato con zelo il tema della possibile esistenza di civiltà tecnologiche nel cosmo e l’eventualità di comunicare con loro, partecipò a questo fine, con esperimenti e progetti, ai programmi spaziali Mariner, Viking e Voyager. Questi programmi della N.A.S.A. erano volti all’esplorazione dei pianeti e dei satelliti. Sagan studiò anche l’evoluzione(?) della vita sulla Terra fino all’uomo tecnologico. Ispirò pure il film “Contact”, con protagonista l’attrice Jodie Foster. La sceneggiatura della pellicola dipende dall’omonimo romanzo scritto dal cosmologo.

Sagan era un uomo che sapeva assai più di quanto osasse ammettere di fronte alla comunità degli scienziati(?) ed all’opinione pubblica. Negli anni ’70 del XX secolo, lo studioso predispose per la sonda Pioneer 10 un messaggio destinato a civiltà stellari. La comunicazione comprendeva musiche di un complesso mariachi ed auguri scritti in sumero, per illustrare a nazioni extraterrestri i caratteri precipui della vita sul nostro pianeta.

Infatti, reputando che anche altre civiltà stessero compiendo le stesse ricerche, ebbe l'idea di collocare sulla Pioneer 10, attualmente ancora in viaggio fuori dal sistema solare verso la stella Proxima Centauri, una targa d'oro con incisi i simboli della Terra, dell'uomo e della donna, del D.N.A. ed altre informazioni sul nostro pianeta, affinché un giorno qualche intelligenza aliena potesse scoprire da dove proveniva la sonda.

Leggi qui la seconda parte.

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02 giugno, 2013

Zanoni: ideali ed idoli

Non vi è mistero in ogni dove? Può il tuo occhio scoprire il maturare del seme sotto la terra? Nel mondo morale come in quello fisico, giacciono portenti. (E. Bulwer-Lytton)

“Zanoni” è un romanzo di Edward Bulwer-Lytton. [1] Pubblicato nel 1842, il libro si colloca lungo la direttrice del romanzo gotico, quando il sottogenere è ormai declinante e contaminato. L’autore, però, travalica i confini del gothic novel per comporre un’opera filosofica ed iniziatica: i concetti tuttavia si diluiscono nell’intreccio e vivono nei personaggi, tra cui spicca il protagonista, Zanoni, “oscuro uomo di luce”, quasi terribile nella sua sovrumana abnegazione.

Zanoni è un immortale che si muove al confine tra due dimensioni, l’eterno ed il mondo della caducità. Come potente magnete, l’amore per Viola, donna sensibile e soave, lo attrae nel vortice dell’esistenza, nel tumulto di eventi che un po’ alla volta lo sradicano dai princìpi esoterici e mistici della sua natura eccezionale.

Non sappiamo se Bulwer-Lytton fosse un Rosacroce e se veramente custodisse segreti iniziatici: è indubbio che lo scrittore britannico, noto soprattutto per l’epico “Gli ultimi giorni di Pompei”, seppe trasfondere in quest’opera enigmatica e suggestiva un profondo sentimento della vita, dilaniata dalle grinfie del tempo, eppure proiettata verso l’intangibile serenità dell’infinito.

Con la sua prosa elegante e frondosa, il N. crea una galleria di tipi umani indimenticabili: Meynour, ascetico ed umbratile, Glyndon, artista talentuoso, eppure velleitario, Nicot, spregiudicato e meschino, la sensuale Fillide… Il romanzo si apprezza quanto più si allontana dalle elucubrazioni, invero un po’ astratte (e sinistre), sui misteri del Sacro (Il Guardiano della Soglia, Adonay, l’Oltremondo ), per addentrarsi nei meandri della Storia. Per questa ragione l’episodio più emozionante è l’ultimo. Nell’epilogo, intitolato “Il regno del Terrore”, si è catapultati nella Parigi rivoluzionaria, dominata dal despota democratico, Robespierre.

I protagonisti della Rivoluzione sono dipinti a tinte fosche: l’atmosfera soffocante di sospetto e delazione è resa in modo magistrale. La Francia non è la patria della libertà, della fraternità e dell’eguaglianza, ma il proscenio crudele dove gli ideali più alti si sono impietriti in idoli assetati di sangue. La fredda luce della luna scintilla sulla mannaia della ghigliottina. E’ lontana la Napoli dei primi capitoli, solare e mediterranea. Alle amene e festevoli contrade campane è subentrato il ferreo squallore dei tribunali e delle carceri.

A Parigi si consuma la tragedia: Zanoni, in un supremo sacrificio di sé, dimostra che di fronte all’Amore, la stessa Sapienza è labile ombra.

[1] Bulwer-Lytton è figura molto controversa: fu un genuino rappresentante della saggezza rosacraciana o uno spregiudicato occultista? Certi aspetti della sua biografia depongono a favore della seconda ipotesi: egli, oltre ad essere nelle grazie dei reali britannici, nel 1861 ospitò nel maniero di Knebworth i fratelli polacchi Alexandre e Constatine Branicki. I due gli rivelarono le pratiche magico-sessuali che Eliphas Levi aveva appreso da Pierre Vintras, il mago francese che fu maestro di Boullan. Boullan, in seguito, nella "Clefs des grand mysthères", tacciò quelle pratiche come rituali di derivazione satanica.

Leggi qui un'altra recensione.

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