L’universo economico attuale è un mostruoso ibrido tra il Socialismo statalista ed il Capitalismo delle corporations: ne consegue una struttura in cui piccoli e medi imprenditori ed artigiani sono soffocati sia dallo Stato, con il suo esoso sistema fiscale ed un ginepraio di norme abnormi, sia dallo strapotere delle multinazionali.
Fulcro di questo impianto è il denaro-merce: siano gli Stati o banche private a concedere denaro ad usura poco cambia. Nel momento in cui il denaro diventa una merce come tutte le altre, si innesca un processo che, un po’ alla volta, porta ad eccessi, iniquità e frodi. L’economia diventa finanza, persino religione, la religione che prospetta un paradiso di benessere, garantito dagli interessi, dalla magica moltiplicazione del capitale. In verità, sappiamo come i capitali iniziali si accrescono: con investimenti in industrie belliche, farmaceutiche ed agro-alimentari, nella modifica del clima o lucrando sui rifiuti (anche tossici e radioattivi) e le discariche o sul traffico di esseri umani.
Quand’anche, investendo in titoli di stato, in obbligazioni, in azioni, trascorso un certo lasso di tempo, si ottengono degli introiti, essi sono decurtati o azzerati da un aumento dei tributi, aumento con cui gli Stati versano gli interessi sul debito contratto con i cittadini. Qual è l’utile? Dov’è poi il beneficio dei “titoli tossici” che, promettendo astronomici proventi, frutto di truffe e di audaci speculazioni, hanno immiserito legioni di gonzi?
Questa non è economia, ossia insieme delle regole per amministrare la “casa”, ma depauperamento e distruzione. Più di tanti economisti classici e di oggi, un intellettuale come Ezra Pound aveva colto le aberrazioni di un complesso produttivo inficiato dall’usura: di per sé, in linea teorica, prestare una somma, chiedendo che dopo un periodo di tempo, sia restituita con una quota supplementare, non è disdicevole. Tuttavia, se il prestito si trasforma in un cappio per soffocare i debitori, in uno stratagemma per arricchirsi, sfruttando il lavoro altrui, esso va condannato, perché produce più danni che vantaggi.
Molti affermano che un sistema capitalistico-finanziario favorisce il benessere: è vero che la circolazione del denaro è fonte di prosperità, dà impulso ai commerci ed alle transazioni, ma bisogna vedere che cosa si intende per benessere. Possedere cellulari, televisori, automobili etc. è segno di ricchezza più o meno diffusa in alcuni strati della popolazione, ma è davvero benessere? Prescindendo dalle scandalose sperequazioni nel possesso di beni, dal fatto che la floridezza di pochi consuona con la miseria e la schiavitù di altri, con la spoliazione delle risorse, oggi benessere significa poter disporre dei principali agi, ma soprattutto godere di buona salute e vivere in un luogo armonioso e benefico sotto ogni profilo, persino estetico. Questo ambiente oggi non esiste quasi più: le nostre invivibili ed alienanti città sono quanto di più disumano ed orribile la "civiltà" ha costruito.
Chi ha tre smartphone, la fuoriserie, la villa al mare… gode della prosperità, se non si ammala e se non perde il senno, a causa di uno stile di vita viziato e di un milieu malsano. Naturalmente può essere felice chi si accontenta di quel che ha e chi trova un senso non nel mero possesso di cose, ma in altri valori, negli affetti, in un mestiere o professione gratificante. [1]
Forse, però, mi sbaglio: floridezza e felicità sono garantite da un feretro di ebano e da un mausoleo costruito impiegando marmi pregiati…
[1] Si prescinde qui dal fatto che si possa essere veramente felici: Schopenauer lo nega. Crediamo non abbia torto.
Fulcro di questo impianto è il denaro-merce: siano gli Stati o banche private a concedere denaro ad usura poco cambia. Nel momento in cui il denaro diventa una merce come tutte le altre, si innesca un processo che, un po’ alla volta, porta ad eccessi, iniquità e frodi. L’economia diventa finanza, persino religione, la religione che prospetta un paradiso di benessere, garantito dagli interessi, dalla magica moltiplicazione del capitale. In verità, sappiamo come i capitali iniziali si accrescono: con investimenti in industrie belliche, farmaceutiche ed agro-alimentari, nella modifica del clima o lucrando sui rifiuti (anche tossici e radioattivi) e le discariche o sul traffico di esseri umani.
Quand’anche, investendo in titoli di stato, in obbligazioni, in azioni, trascorso un certo lasso di tempo, si ottengono degli introiti, essi sono decurtati o azzerati da un aumento dei tributi, aumento con cui gli Stati versano gli interessi sul debito contratto con i cittadini. Qual è l’utile? Dov’è poi il beneficio dei “titoli tossici” che, promettendo astronomici proventi, frutto di truffe e di audaci speculazioni, hanno immiserito legioni di gonzi?
Questa non è economia, ossia insieme delle regole per amministrare la “casa”, ma depauperamento e distruzione. Più di tanti economisti classici e di oggi, un intellettuale come Ezra Pound aveva colto le aberrazioni di un complesso produttivo inficiato dall’usura: di per sé, in linea teorica, prestare una somma, chiedendo che dopo un periodo di tempo, sia restituita con una quota supplementare, non è disdicevole. Tuttavia, se il prestito si trasforma in un cappio per soffocare i debitori, in uno stratagemma per arricchirsi, sfruttando il lavoro altrui, esso va condannato, perché produce più danni che vantaggi.
Molti affermano che un sistema capitalistico-finanziario favorisce il benessere: è vero che la circolazione del denaro è fonte di prosperità, dà impulso ai commerci ed alle transazioni, ma bisogna vedere che cosa si intende per benessere. Possedere cellulari, televisori, automobili etc. è segno di ricchezza più o meno diffusa in alcuni strati della popolazione, ma è davvero benessere? Prescindendo dalle scandalose sperequazioni nel possesso di beni, dal fatto che la floridezza di pochi consuona con la miseria e la schiavitù di altri, con la spoliazione delle risorse, oggi benessere significa poter disporre dei principali agi, ma soprattutto godere di buona salute e vivere in un luogo armonioso e benefico sotto ogni profilo, persino estetico. Questo ambiente oggi non esiste quasi più: le nostre invivibili ed alienanti città sono quanto di più disumano ed orribile la "civiltà" ha costruito.
Chi ha tre smartphone, la fuoriserie, la villa al mare… gode della prosperità, se non si ammala e se non perde il senno, a causa di uno stile di vita viziato e di un milieu malsano. Naturalmente può essere felice chi si accontenta di quel che ha e chi trova un senso non nel mero possesso di cose, ma in altri valori, negli affetti, in un mestiere o professione gratificante. [1]
Forse, però, mi sbaglio: floridezza e felicità sono garantite da un feretro di ebano e da un mausoleo costruito impiegando marmi pregiati…
[1] Si prescinde qui dal fatto che si possa essere veramente felici: Schopenauer lo nega. Crediamo non abbia torto.
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Come suggerisce Stefano (felceemirtillo) è l'invidiocrazia che rende 'prospera' (ed intrinsecamente infelice) questa società dei consumi. Ciao
RispondiEliminaUna delle tante tare di un'umanità ormai quasi sempre ex umana.
EliminaCiao