31 dicembre, 2015

Profezie o programmi?



In questi ultimi tempi sto leggendo alcuni libri i cui autori sviluppano ipotesi interpretative coincidenti con quelle formulate da chi scrive. Sono congetture ventilate anche in anni non recenti, quando il quadro della situazione era ancora sfocato, eppure si sono rivelate quasi sempre esatte. Dalle riflessioni su Roma antica alla dittatura globale, dagli Arconti alle interferenze non terrestri, dall’etere alla biogeoingegneria clandestina, dal Cristianesimo alla storia dei Merovingi etc. è tutto un pullulare di conferme, convergenze, sovrapposizioni. [1]

Vediamo un esempio. Nel corposo saggio intitolato “Il sangue degli Illuminati” (titolo volutamente anfibologico), Diego Marin e Stefania Marin scrivono a proposito dell’oracolo di Siwa, sacerdote che aveva preconizzato ad Alessandro Magno la sua morte prematura avvenuta nel 323 a.C., quando il Macedone aveva 33 anni ("come" il Messia) dopo 13 anni di regno (come Mosè): “Le profezie sono programmi che si realizzano, perché qualcuno, provvisto di uomini e mezzi, ne costruisce le cause a tavolino. Forse il vaticinio su Alessandro appartiene a questa categoria?

Pare proprio sia così: le predizioni si adempiono sovente poiché persone altolocate si adoperano affinché esse si avverino. Il volgo, oggi come un tempo, si lascia incantare dai presagi e con la sua inerzia, il suo fatalismo lascia piena libertà d’azione ai congiurati che possono dunque più facilmente attuare i loro piani criminali, senza neanche incontrare una pur debole resistenza tra la popolazione.

Ci chiediamo se anche le profezie dell’Apocalisse, il libretto attribuito all’apostolo Giovanni, ma compilato probabilmente dallo gnostico Cerinto di Efeso, siano dei progetti di cui le sedicenti élites curano il compimento o se tali previsioni esulino dal novero dei piani orchestrati dagli Ottenebrati.

E’ arduo rispondere: possiamo solo constatare che, vuoi si tratti di divinazioni vere e proprie vuoi di idee escogitate e poi eseguite, pare restino pochi margini ai popoli per un agire autonomo.

“Costruire le cause a tavolino”: sì, si congegnano i pretesti. Non solo, si studiano le mosse, prevenendo le contromosse e le reazioni. Si ricavano dalle reazioni della massa le “risoluzioni” pensate ab origine, secondo la nota dialettica para-hegeliana problema-reazione-“risoluzione”. Ci si impicca con la corda che noi stessi abbiamo pagato… profumatamente.

[1] Se sarà possibile, ci si soffermerà su alcune di queste corrispondenze.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

27 dicembre, 2015

Posti fuori posto



Nel saggio intitolato “Incontri” Jacques Vallée riesamina il celebre caso del Dottor X, riferendo particolari ed episodi inediti che suggeriscono un tema enigmatico e poco studiato all’interno dell’Ufologia, quello della percezione di luoghi non esistenti o fuori posto.

Notte del 2 novembre 1968. Francia. Dopo la mezzanotte il Dottor X fu svegliato dal pianto del figlio di quattordici mesi. Senza accendere la luce, egli si alzò ed andò nella stanza del bambino, notando dei lampi fuori in giardino. Il bimbo era in piedi nella culla e stava indicando la finestra: oltre le persiane s’intravedeva una luce intensa. L’uomo uscì sul terrazzo da dove scorse due grossi dischi di dimensioni identiche. I due dischi si mossero lentamente, avvicinandosi l’uno all’altro. Alla fine si fusero in un unico ordigno. L’oggetto cambiò rotta per avanzare verso il Dottor X che fu colpito da un raggio. Il testimone udì uno scoppio. Dopodiché l’U.F.O. svanì, lasciando una sostanza biancastra simile a zucchero filato: la sostanza fu portata via dal vento.

A seguito dell’incontro ravvicinato, il Dottor X guarì non solo da una ferita alla gamba, lesione che si era procurato tagliando la legna con un’accetta, ma anche da alcune patologie pregresse tra cui un'emiparesi. Inoltre l’uomo riferì di una successiva spontanea guarigione di una frattura. Un altro lascito dell’avventura fu una macchia triangolare sulla pelle dell’addome, un segno simile comparve pure attorno all’ombelico del figlioletto.

Negli anni susseguenti all’episodio qui ripercorso in modo succinto, il Dottor X visse esperienze inusuali e conturbanti: fischi nella testa, Poltergeist, abboccamenti con un presunto extraterrestre alto e con gli occhi azzurri. L’essere lo istruì su questioni attinenti al soprannaturale, al teletrasporto, ai viaggi nel tempo.

Una volta l’experiencer si trovò a viaggiare con l’automobile percorrendo una strada che, stando al contattato, non esiste. In un’altra occasione, l’alieno (battezzato Bied dal protagonista di questi strani avvenimenti) entrò in casa accompagnato da alcuni umanoidi alti circa un metro con la pelle mummificata. Questi ufonauti sono descritti, tra gli altri, da Withley Strieber in “Communion” ed in “Contatto con l’infinito”. Strieber ricorda di aver visto posti fuori posto: campi di fiori gialli dove non avrebbero dovuto essere. [1]

Vallée riporta anche un caso risalente agli anni ‘40 del XX secolo. E’ un accadimento tratto da un dossier (quasi certamente un militare) di un suo lettore. Dei piloti, intenti ad intercettare un missile, si ritrovarono a volare in paesaggi illusori.

Che cosa pensare, trascurando le varie anomalie inerenti a codesti abboccamenti con l’ignoto, a proposito delle visioni di “paesaggi alternativi”, come li definisce Vallée? Sono fugaci sguardi gettati su realtà ulteriori, parallele o dipendono dalla capacità di qualcuno che influisce sulla percezione, modellando la “realtà” a suo piacimento, magari con l’uso di microonde o altre diavolerie, foriere di allucinazioni? Quest’ultima domanda si potrebbe estendere per cercare di capire se l’intero universo, come è percepito, non sia un gigantesco diorama, un inganno dei sensi e della mente. Un inganno tessuto da chi e perché?

Sia come sia, è plausibile che il reale trascenda di gran lunga il mondo quadridimensionale in cui sia il senso comune sia la scienza accademica l’hanno imprigionato.

[1] Un altro accadimento sbalorditivo è il seguente: una volta, dopo essere salito in auto, il Dottor X avvertì l’impulso irrefrenabile di recarsi in una località dove si incontrò con il misterioso Bied. Lo sconosciuto disse che “dovevano andare da un’altra parte”. D’un tratto il contattato si ritrovò disteso sul letto di un’abitazione a Parigi, presso il Ministero degli interni. Dalla finestra vide l’automobile di Bied passare nella strada sottostante ed entrare nel cortile dell’edificio ospitante il Dicastero, accolta dalle guardie con saluto militare. Dopo circa venti minuti la vettura di Bied uscì dallo spiazzo ed il Dottor X si ritrovò esterrefatto di nuovo nella sua città. Era stato teletrasportato?

Fonti:

A. Michel, in Flying saucer review, n. 3, settembre 1969
W. Strieber, Communion, 1987
Id., Contatto con l’infinito, 1988
J. Vallée, Incontri, Roma, 2015



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APOCALISSI ALIENE: il libro

25 dicembre, 2015

Golden age



Riflessione dedicata agli adorati genitori.

Perché l’infanzia è l’età dell’oro? Perché la puerizia si accontenta di cose semplici: la sua magia risiede nella capacità di trasfigurare il mondo, di trasformare oggetti insignificanti in altrettante lance di Longino.

Ricordo che, quando eravamo bambini, assieme alla mamma addobbavamo l’abete natalizio non solo con i festoni, le stelle e gli angeli acquistati nella merceria, ma pure con palline create da noi: erano nocciole rivestite di carta stagnola. Era quello il momento più bello ed emozionante: appendere ai rami dell’albero quei piccoli pomi luccicanti. Era il tocco finale. Si restava ore incantati ad ammirare l’abete con le luci intermittenti che gettavano riflessi multicolori sulle decorazioni.

Perché l’infanzia è l’età dell’oro? Soprattutto perché la puerizia non è stata ancora sfiorata dalle ali gelide della morte. E’ un’età senza tempo, senza passato né futuro, concentrata in un presente dilatato ed aurorale.

Il giorno in cui, direttamente o indirettamente, si scoprono il decadimento, la malattia e la morte, tutto cambia. Da allora un’ombra, che neanche il Sole allo zenith riesce a cancellare, ci accompagna in ogni istante dell’esistenza. La morte (la nostra ed altrui), con la sua irrazionale implacabilità, incombe a somiglianza di un macigno in bilico su una cengia: è una roccia che da un momento all’altro può precipitare nel dirupo.

La morte e la vita s’intrecciano nell’esistenza a tal punto che non sapresti spiegare dove finisce l’una e comincia l’altra e vice versa.

Forse non ha torto chi pensa che la vita vera non sia qui, ma altrove, con un’età dell’oro che non è più collocata in un passato remoto ed irrevocabile, ma oltre l’orizzonte della nostra povera realtà, chiusa su sé stessa come un guscio inscalfibile. E’ un’illusione?

Svegliarsi un mattino ed essere avvolti dallo splendore dell’infinito…

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

22 dicembre, 2015

Dalla Fenicia al New Mexico

A Linda Moulton Howe è stato segnalato da un lettore britannico che nel giardino del museo dell’isola di Portland (Inghilterra) si trova una misteriosa testa presumibilmente di granito: la testa scolpita presenta tratti strani, allotrii. Gli archeologi suppongono che la scultura litica sia riconducibile alla civiltà fenicia.

Sorprendono le notevoli somiglianze fisiognomiche tra il simulacro in oggetto e le raffigurazioni dei presunti alieni che il 25 aprile del 1964 incontrarono alcuni rappresentanti del governo statunitense a Hollloman nel New Mexico. L’approdo alieno a Holloman fu reso noto per la prima volta da Robert Emmeneger, documentarista ed esponente del Partito Repubblicano. Egli così dipinse gli ufonauti: “Erano esseri simili all’uomo, vestiti con una tuta aderente, alti circa un metro e sessanta, pelle grigio-azzurrina, grandi occhi distanziati dal taglio orientale, testa a ‘pera’ che si allunga dietro, vistoso naso adunco. In testa portavano copricapo adornati da vari giri di larghe fasce (o nastri), portavano orecchini, in mano tenevano un bastone simile ad uno scettro”. L’asta era probabilmente uno strumento per la traduzione automatica.

L’ufologo tedesco Michael Hesenmann, nel suo saggio “Il mistero dei cerchi nel grano”, aveva già notato curiose affinità: “Quando lo vidi per la prima volta (il disegno di Emmenger raffigurante gli alieni nasuti, n.d.a.) mi causò un effetto di déjà vù: da qualche parte dovevo aver visto quella fisionomia. Poi mi ricordai: a Berlino, nella sezione dell’Asia Anteriore del museo di Pergamo su un bassorilievo antico di 2800 anni, proveniente da Kalchu, città del regno assiro di Assurnasirpal II (883-859 a.C.) corrispondente all’attuale Iraq settentrionale. Vi si vede un genio – com’era denominato nel catalogo del museo – in realtà uno degli Anunnaki, cioè di 'quelli che vengono sulla Terra dal Cielo' per creare (o manipolare? N.d.r.) gli uomini a loro immagine e somiglianza. Lo stesso volto dal naso aquilino (sul bassorilievo guarnito, però, anche con una lunga barba), lo stesso scettro, lo stesso orecchino, lo stesso ‘elmo’ anche se, forse perché persona di rango inferiore, qui ornato con soli tre giri di nastro. Gli Egizi raffiguravano questi dei – che chiamavano Neteru, cioè ‘guardiani’ – con una pelle grigio-azzurrina e ne allungavano la parte posteriore del capo, una caratteristica che – prodotta artificialmente o geneticamente – ritroviamo nelle famiglie dei faraoni (come pure il naso aquilino, indice di nobiltà) che si ritenevano diretti discendenti degli dei.”

Alle similitudini riscontrate da Hesenmann tra l’iconografia degli extraterrestri nasuti ed il bassorilievo assiro si aggiungono ora quelle, ancora più evidenti, intercorrenti fra i visitatori di Holloman e il manufatto cananeo. Anzi, più che somiglianze paiono situazioni sovrapponibili.

Tutto ciò può essere interpretato come una curiosità erudita o a guisa di una semplice coincidenza, sennonché sappiamo che è nelle civiltà originarie, medio-orientali e non solo, che si trovano molte delle risposte che cerchiamo sul nostro martoriato presente. Chi avrà il tempo e la pazienza di studiare le culture primigenie, poste tra parentesi le ricostruzioni della storiografia e dell’archeologia accademica, scoprirà che le famiglie e le stirpi oggi ai vertici della politica e dell’economia discendono proprio dalle élites di popoli (Sumeri, Egizi, Hyksos, Assiri, Shasu- Habiru, Fenici, Amorrei, Persiani etc.) insediati nella Mezzaluna fertile e nelle regioni limitrofe. Un filo molto sottile, quasi invisibile, unisce il passato remoto all’oggi: è un filo che, se non individuato, rischia di attorcigliarsi attorno al collo e di strangolarci…

Fonti:

- earthfiles.com
- La pista sumera

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APOCALISSI ALIENE: il libro

19 dicembre, 2015

Cool school



L’ignoranza è forza. (G. Orwell)

E’ solo una sorta di esperimento mentale o un sogno ad occhi aperti, perché è naturale che nessun governo ha veramente a cuore la cultura, anzi agisce proprio per affossarla, vedendo la conoscenza, che è sinonimo di spirito critico e di consapevolezza, come il fumo negli occhi. Le classi dirigenti brillano per perversità, più che per inefficienza: la loro astuzia consiste nella capacità di occultare la nequizia dietro l’insipienza.

Come dovrebbe essere organizzata l’educazione? I licei dovrebbero essere dei centri di ricerca e di elaborazione culturale. Poche, ma dense ore di lezione, destinate soprattutto a discipline in grado di stimolare la fantasia e la capacità di osservazione; argomenti svolti in modo da assecondare le attitudini e gli interessi di ciascun allievo; reale libertà d’insegnamento; tempi idonei riservati ad attività manuali: questi dovrebbero essere i cardini dell’istruzione tesa a valorizzare le risorse dell’emisfero destro.

Tuttavia un’evoluzione dei processi di apprendimento ed insegnamento, più che da una saggia ed efficace articolazione dei quadri orari, dei contenuti e dei metodi, sarebbe propiziata da una radicale trasformazione del contesto architettonico ed ambientale: gli edifici scolastici dovrebbero essere concepiti con locali ampi, ariosi, con studi per ciascun docente. Le aule dovrebbero essere circondate da logge e persino da giardini pensili dove svolgere lezioni en plen air, come era consuetudine di alcuni filosofi antichi.

L’architettura influisce sul modo di essere delle persone, sulla maniera di rapportarsi allo spazio, di interagire con la luce, con i cambiamenti atmosferici. Essa agisce sulla percezione del reale, con le sue valenze prospettiche e cromatiche in cui si diffondono risonanze emotive.

L’architettura, sia nelle configurazioni esterne sia nella gestione degli interni, si associa ad aspetti etici. L’estetica è etica.

Ovviamente la realtà è ben diversa: la censura più ottusa, l’ignoranza, l’ideologia, la propaganda o, nel migliore dei casi, uno sterile ed ammuffito nozionismo, purtroppo sembrano dominare incontrastati nel sistema scolastico, nonostante qualche lodevole eccezione.

Infine l’invasione della tecnologia e della digitalizzazione, lungi dal migliorare la didattica e le relazioni interpersonali, hanno solo disumanizzato, inaridito e ristretto i già angusti orizzonti culturali.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

16 dicembre, 2015

Chi erano veramente i Cherubini?



Chi erano veramente i Cherubini delle antiche tradizioni medio-orientali? Per tentare di comprenderlo, bisogna risalire all’etimologia che, però, è controversa. Il termine “cherubino” – scrive G. Devoto – deriva dall’ebraico “cherubim,” “coloro che pregano”. Così l’erudito liquida la questione che è, invece, molto complessa. Non tutti sono d’accordo, infatti, nel collegare all'accadico "karabu", "benedire" il lessema in oggetto: l’accadico è una lingua semitica come l’ebraico. Diego e Stefania Marin ritengono che la parola “Cherubini” discenda dal sumero Ka.bu.ri o Ka.ri.bu che vale “colonna di fuoco”. Annotano gli autori succitati: “I Cherubini erano sfingi alate dal volto barbuto e fungevano da piedistallo alle colonne Boaz e Jachim. Queste davano accesso al Sancta sanctorum del Tempio di Salomone ed ancora oggi difendono l’ingresso al tempio nelle sedi massoniche”.

Nella scultura accadica i Karibu, genî intercessori, avevano forma umana; in seguito invalse l'uso di rappresentarli mediante simboli diretti ad esprimere la forza, l'agilità, l'intelligenza: esseri con testa umana, ma corpo di toro o di leone, con ali d'aquila, talvolta con una semplice testa umana o leonina, come nei monumenti di Zengirli.

Presso gli Ebrei rintracciamo i Cherubini foggiati a coprire con le ali l'arca dell’Alleanza (Es., XXV, 17-22; XXXVII, 7) oppure rappresentati sulle pareti interne del tempio e collocati avanti l'adytum con le ali distese in modo da formare una cortina [III 8(I) Re, XI, 23-28; II Cronache, III, 10-13; cfr. Ez., XXXVI, 18]. In Genesi, III, 24, dei Cherubini sono posti come guardiani all'ingresso del Paradiso terrestre. Una loro descrizione si trova presso Ezechiele (I e IX). Il profeta raffigura il cocchio della divinità trascinato da quattro Cherubini, tori o leoni alati a testa di uomo, forniti di sei ali e due mani, col capo rivolto a ciascuno dei punti cardinali.

Talora i Cherubini erano rappresentati come serpenti, forse perché sono animali connessi alla conoscenza: in ebraico le parole che indicano la conoscenza ed il serpente sono simili ed hanno una radice che ricorda l’inglese “snake”… una coincidenza?

Il cristianesimo conservò, con la fede nell'esistenza degli angeli, anche quella nell'esistenza dei cherubini, di cui affermò sempre più nitidamente la natura spirituale. Nei nove Cori angelici i Cherubini si distinguono per una più limpida visione della divinità. Dai Cherubini di Ezechiele, richiamati nell'Apocalisse di S. Giovanni, derivarono il simbolismo dei quattro Evangelisti e molti motivi di decorazione pittorica e plastica nelle chiese medievali.

E’ probabile che i Cherubini, creature legate al fuoco, alla luce, alla gnosi, siano pure gli antenati o gli omologhi dei Cabiri greci, misteriose divinità, il cui principale santuario si trovava in Samotracia, ma che erano adorate un po’ dappertutto anche in Egitto a Menfi, secondo Erodoto. Generalmente Efesto è ricordato come loro padre o almeno ascendente divino. Numi del culto misterico, i Cabiri non potevano essere nominati impunemente.

E’ significativo che, stando alla tradizione cabalistica, i Cherubini appartengano ad una gerarchia angelica composta da tre schiere a loro volta suddivise in tre classi, ognuna con 72 angeli. Torna il numero 72, cifra dal valore sacro ed astronomico, essendo il 72 un contrassegno precessionale.

Come si può arguire da queste poche righe, i Cherubini sono figure enigmatiche e dense di significati esoterici. Una cosa è certa: immaginiamoli un po’ come più ci aggrada, ma dimentichiamoci l’iconografia leziosa e falsa che li ritrae come bimbi paffuti, con il viso incorniciato da boccoli biondi.

Fonti:

G. Devoto, Avviamento all’etimologia italiana, Milano, 1979, s.v. Cherubini
Enciclopedia della Mitologia, Milano, 2005, s.v. Cabiri
D. Marin, S. Marin, Il sangue degli Illuminati, Cesena, 2015, pp. 164-165


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APOCALISSI ALIENE: il libro

12 dicembre, 2015

Vittoria



Qualche settimana addietro considerai con un amico l’inaccettabile preponderanza del male in questa dimensione. E’ palese che il male domina incontrastato in ogni campo, dalla “politica” all’economia, dalla società alla “scienza”, dall’”educazione” alla “medicina” e via discorrendo. E’ vero che su mille persone se ne trova una onesta ed intelligente, ma è una percentuale irrisoria, non bastevole a soddisfare la fame e sete di giustizia dei pochi uomini integerrimi: è una quota inadatta a lasciar presagire una palingenesi.

Sarà anche vero, come scrive Eben Alexander, nel bel libro “Milioni di farfalle”, che il male dell’esistenza terrena, se confrontato con le infinite, luminose meraviglie della realtà trascendente, è solo una piccola macchia, ma ci chiediamo perché il bene sia sempre collocato in un futuro lontanissimo o in una sfera metafisica. Possibile che gli esseri precipitati sul pianeta Terra debbano ognora attendere una svolta destinata a non manifestarsi mai? E’ tollerabile che ci si debba proiettare in un altrove che conosciamo poco o punto? Intanto si deve lottare con le unghie e con i denti per preservare un momento di autenticità, per custodire la propria libertà.

E’ comprensibile che molti, disgustati dalla corruzione e dall’iniquità, esigano un cambiamento qui ed ora. Ecco perché, essi, nonostante siano consapevoli che ad essere marcia non è solo la Danimarca, cercano un appiglio purchessia: ora è un movimento politico ora una chiesa ora un nuovo orientamento esistenziale. Immancabili, feroci sono le disillusioni.

Si può scovare qualche politico animato da nobili ideali, ma ha lo stesso coraggio di don Abbondio.

Che pensare poi delle varie chiese? Il Cristianesimo, nelle sue numerose ramificazioni, esercita ancora la sua attrattiva, poiché prospetta, attraverso l’idea dell’Uomo-Dio, una natura umana riconciliata con il divino. [1] Tuttavia, anche ammessa e non concessa la buona fede del clero, qual è la forma di Cristianesimo giusta fra tutte quelle esistenti? Si ha l’impressione che credere sia un placebo, un modo per placare l’ansia, per ricucire il doloroso strappo dell’anima che avvertiamo in quanto esseri senzienti. Il pifferaio Francesco attira a sé molti ingenui, ma la Chiesa cattolica tradizionalista, pur denunciando la degenerazione della dottrina, è essa stessa il risultato di una sofisticazione che risale al IV sec. d.C., ai tempi di Costantino e Teodosio. Todos caballeros.

Qualcuno vede in un leader mondiale il salvatore del genere umano… Brucerà molto il disinganno. Rinunciare alla fede in un mondo in cui poteri buoni conmbattono contro poteri cattivi è doloroso, ma, nel migliore dei casi, ad un male maggiore si oppone un male minore.

“Non praevalebunt”, si suole ripetere, ossia “Le forze del male non prevarranno”. Appunto, in futuro il male non trionferà, ma per ora stravince e prende tutto, come il banco al tavolo da gioco. The winner takes it all…

E’ incredibile l’accelerazione che le legioni delle tenebre hanno impresso a questi tempi scivolosi: si è ogni istante colpiti da fitte gragnole di menzogne e di angherie. Non appena crediamo di poter alzare il capo, ecco che un’altra grandinata di bugie e di vessazioni ci costringe a rannicchiarci. Si vive ormai sulla difensiva, si arretra ogni giorno un po’, gli avamposti sono conquistati uno dopo l’altro.

Resta oggi solo la roccaforte della propria coscienza: il baluardo inespugnabile che, circondato dalle armate ahrimaniche, troneggia a testimoniare la Vittoria, quella vera, quella definitiva.

[1] Precisiamo che non tutte le confessioni cristiane (paoline?) vedono in Gesù l’Uomo-Dio, ma non vogliamo qui affrontare un discorso teologico su cui ci siamo diffusi in altri articoli.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

08 dicembre, 2015

Giapeto è un satellite artificiale?



Giapeto è uno dei satelliti di Saturno. Fu scoperto nel 1671 da Gian Domenico Cassini (1625-1712), il celebre astronomo ed astrologo di Perinaldo (Liguria occidentale). Una metà di questa luna è oscura, ricoperta di un materiale ancora oggi ignoto, mentre l’altro emisfero è luminoso, rivestito di ghiaccio e costellato di crateri: si ignorano i motivi di questa differenza. Giapeto orbita intorno a Saturno ad una distanza media di 3,5 milioni di chilometri, ha un raggio di 720 chilometri ed una massa di 0,025 masse lunari.

Sono numerose le singolarità di Giapeto, stranezze che si sommano ai misteri che circondano il “Signore degli anelli", tra cui ricordiamo l’esagono visibile al polo Nord. Vediamo le principali.

• In prossimità dell’equatore si snoda una sorta di cresta larga 20 chilometri circa ed alta pressappoco 13. La protuberanza è formata a sua volta da tre “cornici”.
• Il corpo celeste è schiacciato ai poli del 5 per cento: il che è una percentuale notevole per una luna del suo diametro.
• Su Giapeto si può osservare un’ellissi scura e che si estende per 240°, ossia 2 X 120°. 120 gradi è l'angolo esterno di un triangolo equilatero. Se si inscrive un tetraedro in Giapeto, due angoli della base di questo solido coincidono con l’inizio e la fine dell’ellissi. Ciò è riscontrabile con grande precisione. Il tetraedro è un solido platonico associato all’elemento fuoco.
• L’ellissi comincia e finisce tra due punti distanti 240 gradi: i due punti corrispondono ad altrettante formazioni circolari, forse crateri.
• Molte cavità hanno forma esagonale: l’esagono non pare riferirsi a configurazioni naturali.
• Sono state rilevate formazioni squadrate.
• Il satellite sembra possedere una superficie sfaccettata, come se rispettasse la geometria del dottor Fuller, ossia la geometria geodesica che è l'ideale per racchiudere spazi enormi con una struttura leggera e resistente.
• Giapeto rivolge a Saturno sempre la stessa faccia, come la Luna.
• Saturno, riflettendo la sua luce sul satellite, disegna una mezzaluna luminosa lungo la circonferenza di Giapeto. Questo crescente, stando ad alcuni autori, è all’origine di antichi simboli (si pensi alla falce sulle bandiere degli Stati islamici) che non sono quindi riferiti al satellite terrestre.



Che cosa pensare di queste anomalie? Davvero Giapeto è un avamposto di una civiltà galattica, come altri corpi celesti del sistema solare? Come si accennava, l’enigma di questo satellite fa da pendant alle bizzarrie di Saturno, i cui anelli, secondo l’insigne ingegnere statunitense Norman Bengrum, sono creati da giganteschi oggetti cilindrici, di natura elettromagnetica, identificabili in molte delle fotografie scattate dalle sonde. Qui ci fermiamo, perché continuare ad investigare gli enigmi di Saturno significa inoltrarsi in un territorio minato… La Mitologia (Giapeto era uno dei Titani che si ribellarono a Zeus) e l’Astronomia non sono soltanto discipline da eruditi, a differenza di quanto si potrebbe pensare.

Fonti:

Dizionario di Astronomia e Cosmologia, a cura di J. Gribbin, Milano, 1998-2005, s.v. inerente
Dizionario di Mitologia, Milano, 2005, s.v. inerente. Giapeto appartiene alla prima generazione degli dei ed è uno dei fratelli maggiori di Crono. Secondo Esiodo, sposò Climene, da cui ebbe tra gli altri Prometeo, da cui discese Deucalione, progenitore della stirpe umana, dopo il diluvio universale.
R. Hoagland, Moon with a view or what did Arthur know … and when did he know it?, 2005

D. Icke, L’imbroglio della realtà, Cesena, 2015, pp. 163-181. Il capitolo intitolato “La Matrice Saturno-Luna” contiene informazioni ed ipotesi a dir poco sconvolgenti sul nostro satellite e sul pianeta con gli anelli: il tutto è collegato a significati simbolici, a sinistri influssi, a tradizioni oscure che oggi riemergono nell’inquietante sinopia del Nuovo ordine mondiale. Anche cinema e letteratura (si pensi alla saga di “Star wars” ed all’epopea di Tolkien) codificano messaggi esoterici.


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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

07 dicembre, 2015

Informazione, disinformazione, negazionismo



Aveva ragione Giacomo Leopardi, acuto osservatore della realtà oltre che sommo artista, ad affermare che “nella società delle gazzette la cultura evapora nell’informazione”. Infatti l’informazione è già segno di declino rispetto al sapere, poiché essa è circoscritta al qui ed ora, alla cronaca. Con l’informazione l’orizzonte si restringe: tutto tende a ridursi ad interessi pragmatici, mentre il patrimonio di conoscenze abitua a leggere nel passato, anche quello lontano, il disegno del presente e del futuro, a rintracciare delle costanti nella Storia, a scrutare il mondo con lo sguardo sapiente dei classici antichi, medievali, moderni e contemporanei. Molte risposte a domande decisive si possono reperire spesso sotto forma di indagine e di riflessione, più che come “verità” preconfezionate, nei testi tradizionali. Sì, Omero e Virgilio sono più attuali di Gramellini, senza dimenticare che Gramellini, proprio come tutti gli altri scombiccheracarte, non sa scrivere.

Che cos’è accaduto negli ultimi lustri? I fruitori dei media sono stati defraudati anche dell’informazione, una volta che la cultura, di cui la scuola dovrebbe essere custode e dispensatrice, laddove oggi è quasi sempre centro di controllo mentale, si è pressoché estinta. E’ vero: l’informazione sopravvive, ma come in riserve indiane, ormai limitata a poche voci libere, ad un drappello di ricercatori indipendenti. Paventiamo che costoro potranno esprimersi con una certa libertà ancora per poco tempo.

Senza eccezione, le notizie degli organi di regime non coincidono neppure con una forma superficiale di aggiornamento: sono un coacervo di bugie, distorsioni e sciocchezze. Nei decenni scorsi un quotidiano di destra si riconosceva da uno di centro o di sinistra, perché, nonostante i giornalisti non fossero neanche allora del tutto autonomi, quando riportavano i fatti o li interpretavano, erano ancora animati da una passione politica, da una conoscenza del mestiere, cronisti o editorialisti che fossero. Oggi lo stesso editore possiede scartafacci di “destra” e di “sinistra” su cui sono pubblicate identiche veline, addirittura ammannite con lo stesso ebete linguaggio. L’omologazione del linguaggio precede ed accompagna il livellamento del “pensiero” che è oggi il pensiero unico, l’ideologia dominante di un sistema in cui la più dolciastra ipocrisia si sposa con la più perversa malvagità.

La situazione è stravolta: un tempo il redattore riportava il fatto; oggi lo inventa o si limita ad arricchire di particolari romanzeschi un comunicato d’agenzia. Le agenzie di stampa sono tutte controllate dall’establishment ed è solo per caso se, una tantum, diramano una verità. La situazione è del tutto stravolta: i lettori ed i telespettatori non sono paradossalmente più passivi fruitori del fatto, ma strumenti inconsapevoli per provocarli. Infatti, ad esempio, un’operazione falsa bandiera, che di per sé è un non-fatto, genera un feedback emotivo ed altre reazioni che innescano disastrose conseguenze. Se, passo dopo passo, è eretto sotto i nostri occhi sgomenti lo Stato totalitario, ciò si deve agli eventi che accadono subito dopo una sceneggiata: inasprimento delle leggi in nome della “sicurezza”, misure coercitive sempre più soffocanti. Un non-problema (il “terrorismo islamico”, il “riscaldamento globale da biossido di carbonio"...) determina problemi abnormi per i cittadini, con la fondamentale e criminale connivenza, anzi responsabilità dei media negazionisti.

La stessa degenere disinformazione è degenerata nel negazionismo (che non riguarda purtroppo solo la geoingegneria clandestina), ossia non mira più soltanto a diffondere dispacci falsi o alterati pur di influire sull’opinione pubblica, il cui tratto fondamentale è quello di non avere alcuna opinione, ma si prefigge pure di negare ed epurare quelle poche verità che riescono talora faticosamente a spuntare nell’intrico del negazionismo, a somiglianza di un verde virgulto soffocato da un groviglio di sterpaglie. Negazionismo è sinonimo di ignoranza e di idiozia. E’ soprattutto sinonimo di dittatura, una dittatura che crollerebbe, se TUTTI spegnessero il televisore, se TUTTI evitassero di leggere e soprattutto di credere anche una sola riga degli immondi scartafacci governativi.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

04 dicembre, 2015

In-Audi-ta manipolazione



Continua ad imperversare la manipolazione del pensiero attraverso le pubblicità, soprattutto di autovetture, il prodotto che più di altri, in quanto status symbol, si nutre di immagini simboliche, di una libido sublimata: pulsioni ed associazioni psichiche attecchiscono nel subconscio. [1]

Meno sfacciato della réclame in cui è esibita un’italica giumenta, più sottile e persino raffinato – di una raffinatezza perversa - il messaggio che promuove un veicolo di una nota marca teutonica, gioca con i soliti emblemi.

Subito dopo un’inquadratura del prodotto, spicca la sequenza con un cavallo nero che ricorda da vicino la scultura del purosangue dagli occhi fiammei, opera collocata nell’aeroporto di Denver. Lo scalo, con i suoi murales, è una vera antologia dei funesti soggetti preferiti dagli Ottenebrati.

Il destriero, che è altresì un richiamo a Rivelazione, è ripreso sullo sfondo di uno scenario apocalittico: una landa desolata è schiacciata da un cielo tenebroso, solcato da comete. Nei fotogrammi successivi spiccano gli uomini(?) del futuro: sono esseri bionici, audaci cosmonauti che intraprendono viaggi avventurosi. La navicella spaziale è accostata alla fiammante vettura di cui la prima è enfatico ed iperbolico rispecchiamento per velocità, linee filanti ed aggressive.

La seconda parte dello spot vira verso evocazioni molto sinistre, inaugurate dalla rigida simmetria con cui è inquadrato il frontale del veicolo (la simmetria nel Medioevo era considerata attributo del diavolo, come la logica): icone luciferine ed ignee sono qui esibite senza pudore. Dopo questo spaventevole Spannung, nell’epilogo la tensione si spegne di botto con le immagini-rinforzo dei contenuti principali.



Anche in questa produzione i colori non sono per nulla casuali: dominano tonalità infernali, un nero inargentato, alla “Blade runner”, ed il rosso-arancio. Il montaggio secco e la regia comunque sapiente fanno risaltare per contrasto la sconvolgente rozzezza della pubblicità italiota che pare realizzata da un Mefistofele alle prime armi.

Inquietante il testo che accompagna le riprese. Ascoltate le frasi (deturpate tra l'altro da insopportabili pleonasmi) in relazione alle varie sequenze: l’ascolto vale più di mille analisi iconografiche.

[1] Si ricordi che il vocabolo italiano “automobile” in origine era maschile, come tutti i composti di mobile (ancora oggi “aeromobile” è di genere maschile). Tuttavia, poiché l’automezzo presto diventò un oggetto del desiderio nonché un surrogato della figura muliebre, un po’ alla volta il vocabolo “automobile” e l’accorciamento “auto” cominciarono ad essere associati ad articoli ed aggettivi femminili: alla fine il lessema cambiò genere.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

30 novembre, 2015

L'Internazionale del Terrore



I “fatti” parigini del 13 novembre 2015 hanno giustamente insospettito molti ricercatori ed osservatori che negano qualsiasi coinvolgimento di “attentatori islamici” nei presunti attacchi al teatro Bataclan, allo stadio di calcio ed in altri luoghi. E’ ovvio che fantomatiche “cellule jihadiste” non c’entrano alcunché con lo spettacolo grandguignolesco inscenato nella Ville lumière: è stata, invece, un’operazione dei servizi. Sì, ma quali? Qualcuno ha chiamato in causa la C.I.A., qualcun altro il Mossad, altri i servizi francesi. Certo, molte attricette ingaggiate per l’occasione (novelle prefiche) provengono dall’Impero di U.S.A.tana, come quella lì che piange al telefono e che non si stacca dal cellulare neppure se la minacci di dover recitare in un cinepanettone dei fratelli Vanzina.

Tuttavia crediamo sia errato cercare un unico ideatore e responsabile dell’inside job, perché i servizi segreti sono, alla fine della fiera, un unico soggetto, anche se con vari… complementi. E’ possibile che una struttura straniera sia riuscita ad agire a Parigi, senza che l’”intelligence” d’oltralpe abbia avuto almeno il sentore che si stava architettando qualcosa di grosso? E’ credibile che i Francesi con il loro presidente-gnomo, l’orrendo Hollande, non solo non sapessero uno iota, ma che non abbiano collaborato per allestire il false flag?

Secondo il parere di taluni, il vaudeville sarebbe un monito contro il governo di Hollande ufficialmente ed in modo del tutto ipocrita, come il Vaticano, incline ad appoggiare le rivendicazioni dei dilaniati Palestinesi. Se così fosse, perché François il galletto ha partecipato con tanta convinzione alla tragicommedia, subito accusando barbuti integralisti di aver turbato con le loro moleste raffiche il celestiale concerto che si teneva al Bataclan? E’ stato per lui un ottimo casus belli per decidere ipso facto di bombardare le postazioni dell’I.S.I.S. in Siria, anche se è probabile che gli ordigni siano sganciati e siano stati sganciati contro l’esercito di Assad, senza dubbio non un santo, ma mille volte migliore dei presidenti criminali assisi sugli scranni dell’Occidente, migliore dei monarchi sauditi.

Come nel caso di una malattia autoimmune, sono i servizi di ciascuno Stato, spesso in sinergia con quelli di altre nazioni, ad attaccare i propri cittadini, a spargere sangue sul proprio stesso suolo. Si pensi agli anni della strategia della tensione in Italia, con le varie stragi perpetrate da servizi “deviati” rigorosamente made in Italy, anche se con la complicità di forze appartenenti ad altri paesi della N.A.T.O. (Vedi F. Imposimato, La Repubblica delle stragi impunite).

Poiché gli apparati del sistema, sono compartimentalizzati, agenti di rango inferiore nulla sanno dei piani decisi ai piani alti: un normale agente della C.I.A. crede veramente di lavorare per gli Stati Uniti e che il suo compito sia quello di sventare azioni terroristiche ideate in tenebrose grotte afghane. Ai vertici, però, si orchestrano e si attuano azioni che vedono la stretta cooperazione di potentati che formano l’Internazionale del Terrore. E’ questo il governo occulto che trama dietro gli stessi poteri forti (banchieri, multinazionali, complesso militare ed industriale, organizzazioni mondialiste etc.) che poi così forti non sono, giacché anch’essi sono pilotati da un’entità nefanda.

La vera natura di codesta entità è così incredibile e malefica che è meglio si pensi che il mondo sia governato dai pur abominevoli, disgustosi banchieri.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

27 novembre, 2015

Alessandro Manzoni e la narratologia: che cosa possono suggerirci sugli eventi parigini del 13 novembre 2015?



La narratologia è per lo più considerata disciplina arida e noiosa. In parte ciò è vero, tuttavia, forse per serendipidità, essa si rivela utile non solo nell’analisi di molti testi letterari, ma pure nell’esplorazione dell’attualità.

Consideriamo solo due aspetti naratologici per rapportarli agli episodî parigini del 13 novembre 2015: la focalizzazione multipla e la caratterizzazione antropologica. La prima implica la relazione dello stesso accadimento secondo l’ottica di due o più testimoni: è quanto si verifica nel momento in cui il “fatto”, così come è occorso, è subito filtrato dai media ufficiali che propongono ed impongono la propria narrazione, mentre osservatori spassionati ed indipendenti ricostruiscono o provano a ricostruire quanto davvero è accaduto. Così la versione fittizia di regime è contraddetta e corretta dai cronisti e dai ricercatori. Nei “Promessi sposi” il mercante dell’osteria di Gorgonzola riferisce i tumulti di San Martino con l’assalto ai forni per opera di una popolazione inferocita ed affamata (11 novembre 1628), sulla base della sua ideologia piccolo-borghese, radicata in una mentalità classista, sino a trasformare il mite Renzo in un feroce sedizioso. L’autore, invece, dipana le vicende milanesi con obiettività, evidenziando l’atteggiamento ingenuo ed avventato del protagonista, di cui, però, mette in luce l’indole pacifica, la sua innata ripugnanza per ogni atto violento. Così, nella focalizzazione multipla, verità e menzogna collidono.

E’ quel che succede nella disamina degli eventi parigini con le narrazioni convenzionali in stridente contrasto con una verità che stenta ad emergere a causa dell’inebetimento generale e dell’egemonia detenuta dai potenti mezzi di disinformazione.

Consideriamo ora un'altra circostanza: le reazioni dei parenti delle vittime. Senza scomodare la programmazione neuro-linguistica, che comunque si può rivelare giovevole nelle nostre indagini, è sufficiente ricorrere ad un altro potentissimo strumento della narratologia, vale a dire lo studio della caratterizzazione. La caratterizzazione è l’insieme delle note che rendono un personaggio verosimile, realistico, accattivante. Sempre nei “Promessi sposi”, Manzoni, ancor prima di dedicare un ampio ritratto a don Abbondio, descrizione da cui emerge l’indole di un sacerdote pusillanime, opportunista e stizzoso, già definisce il curato, raffigurandolo mentre “bel bello” rientra in canonica, compiuta la sua consueta passeggiata serale. La raffigurazione antropologica (l’insieme delle glosse che dipingono il modo di camminare, di gesticolare e di ammiccare) rivela da sola l’indole oziosa e superficiale del curato: il linguaggio del corpo tradisce la sua natura di uomo abitudinario, mediocre e pacioso.

Mutatis mutandis, ci sembra che i genitori di Valeria Solesin nella gestualità, nel tono della voce, nel movimento oculare lascino emergere una certa affettazione, una commozione appena percepibile e comunque studiata, come studiate paiono le frasi, addirittura con quel cedere la parola e con quel lapsussiamo andati a letto, a dorm…” su cui Freud, se fosse vivo, si potrebbe sbizzarrire. La sincerità sembra controllata, il controllo pare appena velato da un tentativo di veicolare emozioni: ne risulta un pàthos gelido e retorico, un turbamento imperturbabile, come di una fiamma che non scalda.

Naturalmente non tutti reagiscono alle disgrazie allo stesso modo: alcune persone non piangono, non si disperano. Nondimeno i lati antropologici e neurolinguistici deporrebbero a favore di un’incongruenza fra la condotta dei genitori e la sventura piombata loro addosso. E’ un’incongruenza cui si aggiunge il carattere nazional-letterario di Valeria Solesin, più simile ad personaggio con un suo ruolo preciso, l’eroina animata da nobili valori, che persona in carne ed ossa.

E’ ovvio che le nostre sono ipotesi, benché fondate su osservazioni non di poco conto, tra l’altro suffragate da numerosi altri riscontri ed acquisizioni. In ogni caso, non ha torto lo scrittore Giorgio Manganelli ad affermare che la “letteratura è menzogna”, soprattutto la letteratura dei media mainstream, chiosiamo noi.

Video correlato: Attentato a Parigi. L'altra verità, 2015



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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

23 novembre, 2015

Il solito Alfa-beto



“La pubblicità è l’anima del commercio”: si ripete questo frusto detto che è vero solo in parte, specialmente oggigiorno visto che la pubblicità non è volta solo ad incrementare un consumo frenetico ed irrazionale, ma è pure un potente linguaggio. Non è un caso se in questo linguaggio si esplica oltre alla funzione conativa, con cui si incita ad acquistare il prodotto, anche la funzione poetica che valorizza la retorica, l’efficacia strutturale e semantica del messaggio. Si giunge talora alla diffusione di quelli che sono definiti messaggi subliminali, ossia in grado di varcare la soglia della coscienza per colonizzare il subconscio e l’inconscio, simili a programmi mentali con cui molte persone sono gestite, eterodirette.



Tra i numerosi spot che veicolano i sinistri simboli dei soliti noti, spicca quello di una marca automobilistica. La produzione è stata così presentata: “In concomitanza con la diretta del "Match for Expo Milano 2015", è partita (sono partiti anche gli ideatori della réclame) su RAI Uno la nuova campagna pubblicitaria Alfa Romeo: immagini emozionanti, inondate dal rosso Alfa , ‘danzano’ al ritmo incalzante del nuovo singolo dei Negramaro, ‘Sei tu la mia città’, accompagnando Giulietta e MiTo in un viaggio suggestivo, fatto di evocazioni visive forti e seducenti”.

Altro che evocazioni visive! Siamo di fronte all’inquietante campionario di immagini ed adombramenti dei maramaldi, un bric à brac dove un imbarazzante cattivo gusto si sposa con la più smaccata esibizione di simboli erotico-satanici: la farfalla che ricorda il progetto di controllo mentale noto come Monarch, donne dalla movenze lascive, occhi onniveggenti con classico sfondo di cieli chimici, della serie “ti ficco la scia chimica anche dove non c’entra un emerito fico secco, così ti abitui e credi che sia tutto normale”.



La bellezza delle figure femminili entra in dissonanza con l’orrore delle altre icone, sino al fiore lacerato, emblema di disfacimento. Il tutto è dominato dal rosso e dal nero, colori su cui scrivemmo già tempo fa, per evidenziarne in certi contesti le proprietà bieche, entropiche, degenerative. I colori sono frequenze, vibrazioni nonché simboli: è facile immaginare quali effetti generino tinte siffatte insieme con segni destinati ad addentrarsi un po’ alla volta nei meandri della psiche, a definire un immaginario distorto e volgare.

Dulcis in fundo, anzi venenum in cauda (e che veleno!) lo spot contiene negli ultimi fotogrammi un’immagine velocissima, impercettibile che pare una testa cornuta o un pianeta alato (che in fondo sono la stessa cosa...). E’ questa la televisione, è questo il mondo in cui “viviamo”… non propriamente bello né accogliente.

E’ grave che siano escogitati questi orrendi messaggi; più grave che il pubblico li apprezzi.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

19 novembre, 2015

E' vero?



E’ vero che i veicoli potrebbero essere alimentati da energie pulite e poco costose?
E’ vero che esistono terapie efficaci per le varie patologie, compresi i tumori?
E’ vero che il riscaldamento globale da biossido di carbonio è una fandonia gigantesca?
E’ vero che, in assenza di servizi segreti, non sarebbero perpetrati attentati?
E’ vero che si potrebbe lavorare solo venti ore alla settimana ed avere un reddito più che decoroso?
E’ vero che si potrebbe garantire a tutti il necessario per vivere?
E’ vero che, senza i centri occulti di potere, non si combatterebbero guerre, non si creerebbero flussi migratori ed esodi di massa, crisi economiche, disgregazioni e tensioni sociali?
E’ vero che potremmo disporre di cibo sano e genuino?
E’ vero che potremmo contemplare un cielo azzurro cosparso di cumuli vaporosi?
E’ vero che potremmo vivere fino a cent’anni ed oltre?
E’ vero che si potrebbe sostenere l’amministrazione pubblica con una sola imposta indiretta, senza altri tributi e balzelli?
E’ vero che le carceri e gli ospedali sarebbero semivuoti?
E’ vero che gli eserciti e gli armamenti non avrebbero più alcuna ragione d’essere?
E’ vero che papa Ciccio è un pericoloso impostore?
E’ vero che la tecnologia potrebbe risolvere un numero enorme di problemi, invece di causarli?
E’ vero che gli esponenti della feccia dovrebbero andare non a casa, ma a lavorare nelle miniere di diamanti?
E’ vero che gli eventi più feroci non sono il risultato di coincidenze, ma che accadono perché Essi li fanno accadere?
E’ vero che non esistono “poteri buoni”?
E’ vero che i banchieri sono degli usurai?
E’ vero che Destra e Sinistra sono due facce della stessa patacca?
E’ vero che Noi non siamo come Loro?
E’ vero che…?

Scrive amaramente Michael Ellner: “Guardiamoci attorno. E’ tutto alla rovescia. I medici distruggono la salute, gli avvocati distruggono la giustizia, gli psichiatri distruggono le menti, gli scienziati distruggono la verità, i principali mezzi di comunicazione distruggono l’informazione, le religioni distruggono la spiritualità ed i governi distruggono la libertà”.

Stando così le cose, è vero o non è vero che dobbiamo svegliarci, prima che sia troppo tardi?

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14 novembre, 2015

Thoreau e lo Stato



La disobbedienza civile è l’unico modo per obbedire alla voce della coscienza, ergo è un obbligo.

Com’è potuto succedere ciò? Com’è potuto succedere che nel luogo in cui si estendevano prati con gruppi di alberi e viottole costeggiate da siepi, dove scorrevano rogge fra campi coltivati oggi si trovi un quartiere suburbano di tetri casermoni stagliati su un cielo pieno di grovigli: oggi solo cemento, centri commerciali, monumentali rotatorie, mefitici immondezzai… La metamorfosi è avvenuta con inesorabile lentezza: prima un condominio ancora circondato dal verde, poi due, tre, quindi le strade di collegamento, i tralicci dell’alta tensione, le antenne della telefonia mobile. I suoli da agricoli diventano edificabili e la deturpazione del territorio un po’ alla volta avanza.

In modo simile i primi consorzi umani si sono trasformati in Stati, mostruose costruzioni che hanno divorato gli ultimi brandelli di civiltà. Veramente, come scrive Henry David Thoreau (Concord, 12 luglio 1817 – Concord, 6 maggio 1862), filosofo, scrittore e poeta statunitense, lo Stato è uno stupido. Oltre alla coercizione, che esplica attraverso le forze di polizia e l’esercito, per mezzo di un ginepraio burocratico (basti pensare alle infinite e cervellotiche scadenze fiscali), mercé i grotteschi tribunali, il monstrum manifesta un’irredimibile ottusità. E’ l’ottusità di chi confida solo nella violenza, nella frode, nella codardia dei sudditi e nella connivenza degli adulatori. E’ l’idiozia di chi, sopraffacendo gli uomini, dimostra la sua totale inumanità. Ribellarsi allo Stato, rinnegare tutte le sue ignobili istituzioni non è un’occasione, non è neppure un auspicio, bensì un preciso, ineludibile dovere morale. Accettare codesta compagine significa non tanto essere vili, quanto, aderendo ad una natura tarata, essere deficienti e beoti, come le norme che il Leviatano rigurgita senza requie.

La sconfessione dello Stato è il fondamento della libertà interiore, il viatico della verità, il perno della rettitudine.

Nel 1846 Thoreau rifiutò di versare la tassa (poll-tax) che il governo imponeva per finanziare la guerra schiavista contro il Messico, conflitto da lui reputato iniquo e contrario ai principi di libertà, dignità e uguaglianza sanciti dalla Costituzione degli Stati Uniti. Per questo fu incarcerato per una notte e liberato il giorno successivo quando, tra le sue vibrate proteste, sua zia pagò il tributo per lui. In “Disobbedienza civile” Thoreau scrive:

“Per sei anni non ho pagato la ‘poll-tax’’. Una volta per questo fui imprigionato, per una notte; e, mentre stavo lì ad esaminare i muri di pietra massiccia, spessi due o tre piedi, la porta di legno e ferro spessa un piede e le grate di ferro dalle quali filtrava la luce, non potevo fare a meno di rimanere colpito dall’assurdità di quell’istituzione che mi trattava come fossi semplice carne e sangue e ossa, da mettere sotto chiave. Mi stupivo che esso avesse concluso alla fine che quello fosse il migliore uso che poteva fare di me e che non avesse mai pensato di avvalersi in qualche maniera dei miei servigi. Compresi che, se c’era un muro di pietra fra me e i miei concittadini, ce n’era uno ancora più difficile da scalare o rompere prima che essi potessero arrivare ad essere liberi come lo ero io. Non mi sentii segregato neppure per un attimo e quel muro mi apparve solo un grosso spreco di pietra e di malta. Mi sentivo come se io solo, tra tutti i miei concittadini, avessi pagato la mia tassa.

Chiaramente essi non sapevano come trattarmi, ma si comportavano come persone rozze. In ogni minaccia e in ogni lusinga vi era grossolanità, poiché essi erano convinti che il mio più grande desiderio fosse quello di trovarmi dall’altra parte di quel muro di pietra. Non potevo evitare di sorridere nel vedere con quanta industriosità chiudessero la porta in faccia alle mie riflessioni, riflessioni che li seguivano fuori senza alcun impedimento peraltro e che costituivano l’unico vero pericolo. Poiché non potevano raggiungere me, avevano deciso di punire il mio corpo; si comportavano come certi bambini che, quando non possono arrivare a qualcuno per il quale nutrono risentimento, finiscono per maltrattarne il cane.

Capii anche che lo Stato era un idiota, un timorato al pari di una donnina nubile in mezzo all'argenteria, incapace di distinguere i suoi amici dai suoi nemici e così finii col perdere del tutto il rispetto che m’era rimasto nei suoi confronti e lo compatii. Lo Stato, dunque, non si misura mai direttamente con la sensibilità di un uomo, intellettuale o morale, ma solo con il suo corpo, con i suoi sensi. Esso non è dotato d’intelligenza o onestà superiore, ma solo di superiore forza fisica”.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

07 novembre, 2015

Che cosa succede dopo la morte?



Che cosa succede veramente dopo la morte? E’ domanda che dovrebbe incalzare tutti, ma – si sa – siamo presi da cose più importanti: il calcio, Renzi, "X Factor", il sabato sera in discoteca… Comunque è quesito che vogliamo porci.

Accantonati gli scenari secondo cui, dopo il decesso, ci attende il nulla o un sonno profondissimo prima della resurrezione, proviamo ad immaginare che la coscienza individuale sopravviva, una volta azzerati i parametri vitali. Gli studi ed i resoconti sulle esperienze di pre-morte hanno lasciato intravedere le dimensioni in cui l’anima presumibilmente si inoltra ed è singolare non tanto che queste esperienze si assomiglino un po’ tutte, piuttosto che, pur nella sostanziale affinità con altri vissuti, il racconto del neurochirurgo Eben Alexander se ne discosti, con la descrizione di particolari eccentrici ed anomali. Alexander, dopo essere “morto” per una settimana a causa di un’infezione da Escherichia coli che aveva colpito l’encefalo, non solo tornò in “vita”, ma, contro ogni prognosi, recuperò presto le facoltà motorie e cognitive. L’uomo, oltre a ricordare un’estatica avventura in una terra meravigliosa popolata da farfalle multicolori, riferì di aver dimorato in una regione repellente, piena di miasmi e dove aveva udito un suono meccanico ed ossessivo. Forse Alexander si era smarrito nell’Inferno, prima di trovare la strada per il Paradiso?

Non mancano relazioni di esperienze terribili (di solito narrate da persone che hanno tentato il suicidio) né rapporti antitetici con “viaggi” in plaghe luminose dove i redivivi hanno provato un senso di ineffabile beatitudine, ma reperire nello stesso resoconto entrambi i vissuti lascia esterrefatti. Quella zona tenebrosa, invasa da creature ripugnanti e mefitiche, in cui la coscienza di Alexander rimase per un po’ di tempo imprigionata, è l’Inferno?

Per rispondere, dobbiamo rispolverare una veneranda e negletta Tradizione, quella gnostica. La Gnosi antica è simile ad un fiore profumato e bellissimo che riesce a spuntare in uno stretto interstizio: è pressoché l’unico retaggio che pare essere senza ambiguità dalla parte degli Uomini e non degli Arconti. (1) E’ la Gnosi antica che tenta di avvisare l’umanità dell’arazzo di inganni tessuto dai Dominatori, non solo durante l’esistenza ma pure nel momento decisivo del trapasso.

Non è scontato che l’anima, una volta uscita dal guscio corporeo, si rechi nell’aldilà: essa potrebbe rimanere, per un periodo più o meno lungo, in una sorta di zona di frontiera (l’astrale?) che presenta tratti simili a quelli del mondo tetro e mefitico rappresentato da Alexander. Forse non è solo la condotta durante la vita terrena ad influire sul destino post mortem, ma pure una particolare consapevolezza della propria natura e del fatto che i Guardiani della soglia hanno tutto l’interesse ad evitare che l’anima ritorni nella sua sede primigenia per cui tentano di acciuffarla e di rigettarla nel calderone del samsara.

La Prima Apocalisse di Giacomo rivela una sorta di salvacondotto verso la Liberazione? In questo testo apocrifo (segreto) leggiamo: “Il Signore disse a lui: 'Giacomo, ecco, ti rivelerò la redenzione. Quando sei afferrato e subisci queste sofferenze, una moltitudine si armerà contro di te per afferrarti. E in particolare tre di loro ti ghermiranno - coloro che siedono come esattori di pedaggio. Non solo chiedono il pedaggio, ma portano via le anime con un furto. Quando si cade in loro potere, uno di loro che è a guardia ti dirà: 'Chi sei tu e da dove vieni?' Gli risponderai: 'Io sono un figlio e sono dal Padre'. Egli ti chiederà: 'Che tipo di figlio sei ed a quale Padre appartieni?' Dirai: 'Vengo dal Padre pre-esistente e sono un figlio pre-esistente".

La cella buia e maleodorante evocata da Alexander potrebbe non essere l’Inferno, ma il ribrezzoso Regno degli Arconti ed il cosmo, dove siamo incarcerati, una propaggine tecno-olografica del loro Impero nefando e squallido. Notiamo in primo luogo che nel film “Matrix”, l’ambiente in cui le macchine allevano il bestiame umano è desolato e freddo come l’Ade raffigurato da Alexander.

Inoltre, in questi ultimi anni alcuni scienziati, preceduti, però, da un artista visionario come Philip K. Dick, hanno ipotizzato che l’universo sia una neurosimulazione o, meglio, un sofisticato software: qualche ricercatore si è accorto che la strutture basilari del cosmo paiono avere i caratteri dei pixel, come se la “realtà” fosse l’immagine di uno schermo, un’immagine composta in ultima istanza da innumerevoli puntini. A quale cosmo ci riferiamo? Probabilmente a quello generato e distorto dagli Arconti, non alla realtà reale (dall’iperuranio di Platone all’ordine implicito di David Bohm). Si comprende allora perché molte sinistre confraternite adorano il Grande Architetto dell’Universo (G.A.U.): esse venererebbero il Signore degli Arconti, un essere in cui una sbalorditiva conoscenza della matematica si abbina alla smania di controllo. Culto fanatico della tecnologia, smania di controllo non sono le ossessioni delle sedicenti élites, composte dai sicari delle Potenze?

Galilei scrisse che “l’universo è scritto in caratteri matematici”: quale universo? La caverna arcontica (il programma informatico percepito come unica realtà) o l’Empireo dove non hanno cittadinanza i perfetti, algidi numeri?


(1) Nei testi gnostici gli Arconti sono dipinti come una progenie imitatrice. “Arconti” significa sia “reggitori” sia “esseri del principio”, giacché nacquero prematuramente, donde l’analogia con l’aborto spontaneo nei papiri di Nag Hammâdi. Questa genia deviante venne alla luce prima che si formasse la Terra: a differenza degli uomini e delle altre specie, gli Arconti non originarono dalla Luce, ma dalla materia inorganica. In principio gli Arconti non possedevano un habitat, ma brulicavano attorno alla Terra a guisa di cavallette fameliche, attratti da Sophia, da cui furono respinti. Queste creature sono prive di ennoia, ossia volontà ed intenzione, rappresentando un’aberrazione cosmica. Degli Arconti ci siamo occupati in parecchie occasioni soprattutto in relazione ad orizzonti xenologici. Perciò rimando i lettori ai precedenti articoli per approfondire il tema e per le fonti.

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