30 ottobre, 2016

Che cosa significa?



Come può la volontà opporsi alla Volontà?

Quante volte ci siamo chiesti, dopo aver sognato: “Che cosa significa? Quale messaggio è intessuto nella trama del sogno?” Siamo sinceri: è preferibile che i sogni restino elusivi, anzi indecifrabili, perché o preannunciano eventi futuri, non sempre fausti, o in quanto pescano nelle acque torbide dell’inconscio, un inconscio che è amorale e, per certi versi, spaventoso.

Ha ragione Cicerone – quanta saggezza nelle sue opere, anche se fra gli autori classici l’Arpinate non brilla, a differenza di altri, né per originalità né per profondità di pensiero – quando nel De divinatione scrive che è auspicabile non conoscere il futuro, qualunque cosa esso ci riservi. Per quanto riguarda i sogni, il discorso è simile: meglio che restino enigmi sfingei. Quale beneficio potremmo trarre dalla possibilità di prevedere l’avvenire tramite un’esperienza onirica, di interpretare situazioni imperscrutabili? Ancora qualcuno si illude di poter non solo stornare gli avvenimenti funesti, ma persino di essere in grado di piegare il reale alla propria volontà.

Una fra le più grandi illusioni dei nostri tempi disperati è quella diffusa dalla filosofia New age, secondo cui possiamo cocreare, dirigere la nostra esistenza verso le mete che desideriamo: il pensiero positivo, la legge dell’attrazione, il potere dell’intenzione… sono le droghe somministrate per ottenebrare la mente, affinché gli uomini non percepiscano più la realtà, una realtà che, nonostante tutto, ha la testa dura. [1]

No, la legge dell’attrazione non funziona, non può funzionare ed è anche giusto che non funzioni: infatti essa manifesta un’attitudine egocentrica, mirando ad attirare denaro e successo per sé stessi, mentre si dimentica il male che attanaglia quasi tutto il pianeta, quasi tutta l’umanità.

Sarebbe bello se non esistesse il Supermale, in tutte le sue declinazioni, ma esso è parte integrante della vita. Dov’è il libero arbitrio? Siamo appesi ad un filo sottile: da un momento all’altro una sciagura si può abbattere ed infrangere il fragile cristallo dei giorni, disperdere affetti e speranze.

I sogni sono simboli ed i simboli sono oscuri, impenetrabili, sfuggenti. Come i simboli, essi sono atemporali, eterni e, se proprio intendiamo distillarne un significato, è quello relativo ad un Destino metafisico. Siamo sogni di un Dio che sogna? Per quale ragione alcuni sogni si sono incupiti in incubi? Se ignoriamo l’origine della realtà e del male, che sono consustanziali, sappiamo, però, che essi, qualunque sia la loro genesi, sono qui: non possiamo né schivarli né trasformarli a nostro piacimento. Meglio: è possibile incidere sul mondo, ma solo se è scritto che possiamo. Tutto è possibile: le stesse “leggi” di natura possono essere violate, purché tale violazione sia inscritta nel disegno originario.

Perché? Il Supermale avrà pure la sua risposta, ma non la conosciamo. Forse un giorno la conosceremo e comprenderemo il disegno complessivo, una volta cambiata prospettiva. Non possiamo escludere che chi oggi è attanagliato dalle sciagure, domani non solo sarà felice, ma capirà pure il senso recondito del suo fato. Ora, però… Esorta Seneca: “Gli avvenimenti che sono destinati ad accadere giacciono nell’incertezza: vivi adesso!” Giusto! Peccato che adesso sovente si possa al massimo sopravvivere.

Sono queste le riflessioni, sono queste le parole che piacciono poco o punto (i dementi negazionisti possono anche evitare di leggerle, perché incapaci di intendere anche solo il senso letterale): le chimere devono essere nutrite di chimere. Pazienza… Gli scatti dei fiori ed i video con i mici sono fantastici, ma non esauriscono il meraviglioso, eppure terribile universo in cui siamo inquilini.

Ognuno di noi è qui per un breve transito, ognuno “libero con il suo destino”.

[1] Non si afferma che il pensiero non è importante, ma che non può agire nei termini meccanici e meccanicistici prospettati dalla New age.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

27 ottobre, 2016

Sheeple



In tempi recenti è stato coniato in inglese il termine “sheeple”: è il risultato di una crasi, ossia fusione, fra sheep, pecora, e people, gente. E’ un’invenzione linguistica, anche grazie al suono scivoloso, quanto mai ingegnosa, perché fotografa l’attuale condizione umana.

Non so chi a sia dovuto questo geniale neologismo, usato, tra gli altri, da David Icke nel suo ultimo, terribile saggio “L’imbroglio della realtà e l’inganno della percezione”. E’ comunque un vocabolo perfetto per la sua derisoria incisività: guardiamo quelle teorie di infelici studenti che al mattino arrancano verso scuole-penitenziari con zaini gonfi di libri inutili e mal scritti; guardiamo i miseri anziani in fila negli uffici postali per ritirare miserabili pensioni che permettono loro a mala pena di sopravvivere; guardiamo le interminabili code di gente che va a pagare le tangenti ad uno Stato-mafia…

Domina un senso di grigia rassegnazione, di acquiescenza, persino di stanco plauso nei confronti dei carnefici: esattori, ufficiali giudiziari, funzionari, dirigenti, burocrati, amministratori…

E’ questo il risveglio di cui da almeno dieci-quindici anni si ciancia? E’ questa la presa di coscienza per opera di una massa che, per definizione, può solo essere una moltitudine anonima e senza identità? Qualcuno ogni tanto si desta dal letargo, ma per uno che apre gli occhi, quanti sono quelli che finiscono nel tritacarne?

E’ in atto semmai una mutazione antropologica che ben analizza il Professor Francesco Lamendola nel suo “Verso una post-umanità”, 2016. Nonostante qualche smagliatura moralistica, la sconsolata disamina del Nostro è impeccabile. L’adulterazione ha quasi del tutto strappato agli uomini non solo la loro dimensione etica e spirituale, ma li ha privati pure della dignità. E’ un vero paradosso: negli animali si può scorgere un barlume di consapevolezza, persino nelle piante, mentre l’umanità è ormai annientata, reificata.

Di fronte a questo desolante spettacolo ci restano solo le parole, ci resta solo l’arma spuntata dell’ironia: lo squallore resta tale, ma l’umorismo rende un po’ meno amaro l’umore.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

23 ottobre, 2016

Falene



Che cosa scrivere di originale a proposito della noia, dopo che autori come Leopardi, Pessoa e Moravia - solo per menzionarne alcuni - hanno vergato pagine memorabili su tale tema? Eppure certi soggetti sono simili ai classici, testi che non smettono mai di evocare qualcosa di nuovo: così forse si può ancora svolgere qualche riflessione circa questa materia.

Giustamente Schopenauer ritiene che la vita umana sia come un pendolo oscillante tra la noia ed il dolore, suoi elementi costitutivi. Tuttavia è spesso la prima a prevalere, perché anche la sofferenza è, in fondo, il dominio della monotonia. Così l’uggia tende a fagocitare il patimento, ad appiattirlo in un’insopportabile abitudine. In fondo, il dolore è noia ed inquietudine insieme.

Che cos’è la noia? Senza dubbio è anche non sapere come occupare il tempo; è, come suggerisce Leopardi, un sentimento sublime, la consapevolezza di quanto è misero il destino di fronte al desiderio di infinito e di senso che alberga negli “spiriti magni”. Si è che tale sublimità della noia si avverte soprattutto nelle lunghe ore vuote, inerti, inani che costellano l’esistenza. E’ un vuoto che è sineddoche di un altro vuoto, essenziale, ontologico. E’ la mancanza di prospettiva tipica di giorni che sembrano tutti uguali, ma che sono fotocopie sempre più pallide di un originale smarrito. E’ la coscienza che nessuna palingenesi è dietro l’angolo, è la speranza logorata in un’attesa senza più attese.

Sì, il cambiamento non manca, ma è un cambiamento che rima con spavento. Anche questo è noia: il pigro sdrucciolare sulla china che porta alla decadenza ed alla fine. Sono ben altri i mutamenti che gli uomini con lo sguardo fisso oltre l’orizzonte, con la fronte sul vetro in un giorno di pioggia, vagheggiano.

Anche questo è noia: constatare che tutto si trasforma con lentezza indicibile. Si chiudono gli occhi per un istante: si riaprono per accorgersi che il volto del mondo è mutato a tal punto che non lo riconosciamo più, che non ci riconosciamo più in esso.

Il tedio, in modo all’apparenza paradossale, è soprattutto nella frenesia di azioni convulse più che nella stasi. Anzi, è proprio nell’intermissione del ritmo indiavolato che la noia può assurgere ad epifania di un possibile significato: illusione? Realtà? Non lo sappiamo, ma è in quegli attimi prodigiosi, in quegli istanti di ominoso oblio che si spalanca un abisso di luce.

Mentre il tempo ed il fato sbranano la vita, lasciando solo pochi brandelli di sogni, come falene di cenere fluttuante vicino alle fiamme, sorgono le costellazioni dall’oceano del silenzio.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

20 ottobre, 2016

Avenged sevenfold, "The stage": la storia come grottesco palcoscenico di una sanguinaria tragicommedia



Nell’articolo “Un esempio di programmazione predittiva?” ipotizzammo che la canzone di Ligabue “G come giungla” potesse adombrare lo scoppio di un Terzo conflitto mondiale. Invero, il prodotto potrebbe essere solo un’esecrazione della guerra, tuttavia ci è stato segnalato un motivo che è, invece, molto esplicito, eloquente: ci riferiamo a “The stage” del gruppo rock Avenged sevenfold. Il video è, infatti, una sarcastica, impietosa panoramica della storia umana dal Paleolitico sino ai nostri giorni ed oltre…

La storia, degradata a spettacolo di burattini, è concepita (Alessandro Manzoni sarebbe d’accordo) come sopraffazione e tirannide: protagonisti del video non sono soltanto le marionette che si avvicendano sul palco, ma pure gli spettatori: essi prima sono divertiti dalle gesta cruente dei pupazzi distinti in oppressori ed oppressi, ma, con lo scorrere del tempo, intervengono dei cambiamenti. Dopo che il fumo delle esplosioni si è diffuso nel teatro, il pubblico subisce una sconvolgente metamorfosi. Infine entrano in scena i pupi dei tempi finali, tra cui Wladimir Putin e Hillary Clinton (o chi per loro). I cosiddetti potenti sono nel contempo burattinai e burattini: tengono dei fili, ma sono altresì mossi da un’entità al di sopra di loro. [1]

Un artiglio pigia un pulsante e deflagra la Terza guerra planetaria, cui subentra un inverno nucleare, preludio di una nuova preistoria, in una sorta di eterno ritorno dell’uguale.

Mai come in questo periodo sembra che le notizie circa una prossima catastrofe bellica di proporzioni internazionali siano fondate: la cronaca, pur censurata e distorta dei media di regime, lascia presagire un’epocale conflagrazione fortemente voluta e fomentata dai banchieri internazionali e dai loro controllori neri, i famigerati G.

Purtroppo le calamità si abbatteranno in maniera indiscriminata: sia i pochi uomini degni sia la moltitudine delle persone degeneri, quelle che vivono in simbiosi con il cellulare, saranno colpiti da tribolazioni inimmaginabili.

Sarebbe da considerare necessaria, persino desiderabile una scopa che spazzasse via un’”umanità” ridotta a patetica parodia di sé stessa, a volgo volgare e vuoto. Auspichiamo che, quando si compirà ciò che si deve compiere (ciò ch’ha esser convien sia), qualcuno o qualcosa agirà per separare anche all’ultimo momento il grano dal loglio... ed il loglio bruciato formerà un’immensa colonna di fumo. E’ un auspicio, quasi una speranza…

[1] Il video lascerebbe intuire che nel “duello” per la Casa bianca tra la Clinton e Trump, alla fine prevarrà la psicopatica.

Si ringrazia ^J^ per la preziosa segnalazione.

Articolo correlato: Venti di guerra, 2016

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APOCALISSI ALIENE: il libro

16 ottobre, 2016

Elogio dell'ignoranza



Viviamo in una società dove il brusio dell’"informazione" e lo scientismo hanno quasi del tutto eclissato il vero sapere, la cultura nutrita di pristine tradizioni, di consuetudini semplici, di un’istintiva e schietta adesione alla natura.

La gente di campagna è considerata, per atavico pregiudizio, ignorante, come sono guardati con sufficienza gli anziani che, più per ragioni di temperamento che anagrafiche, non sono integrati nella “comunicazione” digitale, oggi glorificata, perché ritenuta l'unica efficace ed efficiente.

Eppure quanta saggezza in quelle persone spesso attempate che ancora usano vocaboli pregnanti, corposi modi di dire, antichi e sapidi proverbi: è un mondo ormai quasi del tutto tramontato. Quante risonanze a volte in un termine solo, in un verbo coniugato nel modo giusto, in una frase impreziosita da una cadenza o da una massima vernacolare!

E’ bello percorrere una viottola del contado ed imbattersi, di quando in quando, in uomini e donne che salutano il viandante, pur non conoscendolo. A volte ci si sofferma a scambiare qualche parola e, anche se il discorso non è profondo, è pieno di cordialità, di passione, di buon senso. E’ il buon senso di chi, ad esempio, ha compreso che il cielo ed il tempo non sono più quelli di una volta. E’ il fiuto di chi non si lascia abbindolare dagli “esperti”.

Ben venga dunque questa ignoranza piena di consapevolezza: è un’ignoranza che ha alcunché di aristocratico e persino di sdegnoso, malgrado la sua rustica genuinità. Ben venga l’incompetenza tecnologica. Ben venga il rifiuto di una realtà algida e cervellotica, a favore di un’attitudine pratica, eppure non priva di un suo soffio spirituale. E’ nelle concretezza delle cose, delle esperienze, delle relazioni umane che splende ancora un’ombra di significato.

Altri elogi

Elogio della Politica

Elogio della ripetizione

Elogio dell'inadeguatezza

Elogio della felicità

Elogio della selce

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13 ottobre, 2016

I.S.S. International space stupidity



La mirabolante N.A.S.A. offre la possibilità di ammirare la Terra dalla stazione spaziale internazionale (I.S.S.). Il tutto in diretta grazie alle riprese realizzate dagli astronauti in orbita. Che ghiotta occasione per contemplare il nostro pianeta dallo spazio!

Purtroppo l’iniziativa, che dovrebbe, tra le altre cose, dirimere una volta per tutte la vexata quaestio sulla forma di Gaia, pare una delle tante frodi in cui eccelle la nasuta N.A.S.A.

Consideriamo alcune anomalie.

• La Terra, vista dalla stazione orbitante, è quasi del tutto occupata da strati di nuvole e da oceani: non si riesce a distinguere un solo continente né una delle più vaste isole del pianeta, come la Groenlandia o la Papua-Nuova Guinea. Non si vedono terre emerse, con l’unica eccezione di una regione la cui forma non corrisponde, però, a quella di alcun territorio del pianeta.
• Le riprese non paiono il risultato di una diretta: allorquando cominciano a calare le tenebre, il cosmonauta, che sta immortalando la Terra, compie una capriola, guarda verso la camera, dopodiché le immagini precedenti si ripetono (loop) in una rotazione sempre uguale. Non solo, si può rilevare in concomitanza con l'elegante piroetta, uno stacco, traccia inconfondibile di un montaggio.
• Il Sole ha qualcosa che non convince: la sua luce è simile a quella di un riflettore.
• Non si notano i vortici degli uragani o delle aree di bassa pressione.
• Non compaiono le aree illuminate, quando scende la notte.
• Non si intravedono né la luna né le stelle. Sarà…

Insomma, sembra proprio di essere al cospetto di una montatura proveniente da un’agenzia di guitti, abituati a mentire su tutto ed il contrario di tutto, a cominciare dalla geoingegneria clandestina (alias scie chimiche, in inglese chemtrails). E’ una truffa tanto sfacciata quanto grossolana e raffazzonata. E’ un raggiro cui abboccano intere legioni di stupidi! La N.A.S.A., con i potenti mezzi di cui dispone, potrebbe almeno provare a creare dei falsi un po’ più credibili. Agenzia spaziale? Qui di spaziale abbiamo solo le balle!



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APOCALISSI ALIENE: il libro

09 ottobre, 2016

Parole e specchi



Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con il cinema, in generale con quelle espressioni artistiche che imitano e talora trasfigurano la vita. All’origine della mia ripulsa si situa l’insofferenza di ascendenza platonica per l’arte che, imitando le cose, a loro volta imitazione delle idee, rischia di essere doppiamente falsa.

Probabilmente più delle altre, grazie al suo impatto iconico, la decima Musa esibisce l’indiscutibile carattere fittizio, teatrale dell’esistenza. Una pellicola, “The words” (2012), per la regia di Brian Klugman e Lee Sternthal, è una riflessione sul carattere letterario del percorso umano: non si sa dove cominci la finzione e finisca la “realtà” e vice versa. Certo, niente di nuovo sotto il sole: si pensi, per citare solo due esempi, al dramma "La Vida es sueño", a tante opere di Pirandello dove allucinazione e mondo “reale” si intrecciano, si confondono. Tuttavia “The words” correttamente insiste, sin dal titolo, sulla pregnanza delle parole: la vita si solidifica solo nel momento in cui la si racconta e solo nel racconto essa assume un senso, per quanto illusorio. Tutto il resto evapora nella monotonia dei gesti e degli atti quotidiani, nell'assurdità degli avvenimenti che ci vengono addosso. A restare sono soltanto suoni nell’aria e tracce d’inchiostro sulla superficie del silenzio.

Illusione è la parola-chiave: “illusione” significa “gioco” più che “inganno”. Giochiamo, recitiamo - attori o semplice comparse - recitiamo parti che qualcuno ha scritto per noi, anche quando compiaciuti e tronfi, inalberiamo lo stendardo del “libero arbitrio”. In balia degli eventi, di un destino incomprensibile, seguiamo il copione del Supervisore, proprio come gli attori pronunciano le loro brave battute, diretti dal regista.

Lo stesso universo è forse in senso letterale un immenso passatempo dove “il Grande Giocatore, illudendosi di avere un avversario, si balocca e gioca sempre con sé stesso”. (F. Pessoa)

La letteratura ed il cinema sono specchi – sia pure deformanti – in cui si riflettono le commedie e le tragedie delle esistenze umane. L’importante è non immedesimarsi troppo nei personaggi. L’importante è non prendere troppo sul serio ciò che serio non è.

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06 ottobre, 2016

Dalla prospettiva ai modelli interpretativi del mondo



Al di fuori della Matematica che si riferisce solo a numeri morti e formule vuote e perciò può essere perfettamente logica, la Scienza non è altro che un gioco di bambini nel crepuscolo, un voler acchiappare ombre di volatili, fermare ombre di erbe al vento. (F. Pessoa)

La prospettiva, come di solito la si intende, fu elaborata nell’età umanistico-rinascimentale in primo luogo da uomini di genio quali Leon Battista Alberti, Filippo Brunelleschi e Piero della Francesca. Il termine “prospettiva” deriva dal latino “perspectiva” (Piero scrisse il trattato De perspectiva pingendi) e significa vedere bene, vedere in modo nitido (la radice indogermanica “spek” vale appunto “guardare”: si considerino lessemi come spettacolo, specchio, spia etc; il prefisso "per" ha valore intensivo). La prospettiva rinascimentale, basata su precisi criteri matematici, non è – come dimostrò Erwin Panofsky – la semplice riproduzione ottica del “reale”, ma una sua interpretazione aritmetica. Ne risulta un carattere astratto di là dal suo apparente realismo, consistente nella convergenza delle linee verso uno o più punti di fuga e nel rimpicciolimento degli oggetti all’aumentare della distanza dal punto di osservazione. La prospettiva matematica non tiene conto né della curvatura della retina né degli effetti atmosferici. Essa è dunque uno schema della realtà, sebbene dotato di un buon grado di approssimazione. La prospettiva degli antichi, invece, per quanto priva di rigore geometrico, tentava di rendere la natura ottica e retinica della percezione. Proprio per questo le colonne dei templi greci presentavano sovente, ad un terzo circa dell’altezza, un rigonfiamento definito entasi, che aveva scopo ottico-prospettico.

Ora, nei numerosi studi circa la Terra piatta si prescinde da un aspetto che, in una teoria fondata su un’osservazione diretta dei fenomeni dovrebbe essere essenziale: ci riferiamo alla convessità della retina che curva le rette e raddrizza le linee curve. Perché si trascura ciò? Tale omissione non rischia di rovesciare i corollari dei postulati? E’ poi plausibile una teoria imperniata sui sensi che sappiamo possono essere fallaci?

La stessa percezione non è mai del tutto oggettiva: è permeata di forme simboliche, di filtri culturali ed antropologici. E’ segno di superficialità porla a fondamento di un intero modello. Inoltre rivolgiamoci le seguenti domande: chi percepisce che cosa? In che modo? Soprattutto chiediamoci: che cos’è la cosa?

Come abbiamo scritto, il paradigma della Terra piatta, formulato con toni apodittici, rischia di tradursi in una resa all’oggetto, alla “realtà” là fuori, come se si potesse essere sicuri che davvero esiste un mondo esterno al soggetto che lo percepisce. E’ ovvio che tale obiezione vale anche nei confronti del paradigma opposto. Entrambi, quando esposti in termini assoluti e non proposti come ipotesi cosmologiche, denotano un ingenuo realismo, oggi superato dalla stragrande maggioranza non solo dei filosofi ma anche degli scienziati (si pensi almeno al biocentrismo di Robert Lanza) in favore di sistemi riconducibili, in misura più o meno radicale, alla teoria dell’universo olografico-noetico (dal greco nous, mente, intelletto), secondo cui spazio, tempo ed estensione sono proiezioni coscienziali, privi di una loro oggettività. Ammettiamo che il sistema olografico ha alcuni punti deboli, ma possiede tutto sommato una sua coerenza interna. E’ vero che non riesce a spiegare in modo convincente né la “concretezza” del cosmo né la genesi del male, inoltre – come abbiamo già osservato – è incompatibile con l’idea di libero arbitrio, dal momento che la Coscienza si estrinseca in un mondo che ab origine è già contenuto in sé (tutto è già accaduto). Nondimeno, il pattern olografico-coscienziale è ricco di spunti interessanti e può favorire una visione duttile e critica della “realtà”.

Al contrario, altre teorie impongono non una visione del mondo, ma un particolare tipo di mondo con coordinate rigide, promovendo il dogmatismo ora biblico ora scientista. Ci sembra un regresso rispetto alle acquisizioni più recenti, alla possibilità di ampliare gli orizzonti conoscitivi lontani da pregiudizi, semplificazioni, antiquate dicotomie.

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04 ottobre, 2016

Efficacia dell’azione pedagogica



Si ripone eccessiva fiducia nell’efficacia dell’azione pedagogica: pochissimi intellettuali dovrebbero riuscire, con il loro esempio ed i loro argomenti, ad educare le nuove generazioni e, più in generale, gli individui. Adolescenti, giovani e no, quando non sono già in loro radicati pregiudizi e comportamenti inculcati dal sistema – scolastico in primis – non nutrono un vero, spassionato interesse per la verità, per la cultura. Esistono le eccezioni che sono, però, simili a bicchieri con cui si toglie l’acqua da una nave che sta affondando e che è destinata ad inabissarsi.

Tutto congiura contro il successo di interventi formativi: l’establishment “scientifico”, la natura umana tra l’altro sempre più degradata, il tempo. Per dirozzare occorre molto tempo ed è proprio ciò che manca. E’ necessario anche insegnare la gradualità: non si può pretendere di imparare tutto subito, senza passaggi intermedi che richiedono abnegazione e tenacia. Spesso coloro che desiderano intraprendere un percorso conoscitivo manifestano una superficiale curiosità che conduce verso conclusioni affrettate, verso una comprensione parziale dei problemi, ammesso che una comprensione siffatta sia intelligenza del reale.

Bisogna instillare il discernimento con cui far capire quali sono le priorità: gli antichi dicevano “Primum vivere, deinde philosophari”. E’ un detto per lo più ignorato: ci si avventura in elucubrazioni, si formulano teorie complesse, senza neppure accorgersi che l’esistenza e la salute sono minacciate in modo spaventoso, come i residui diritti. Così, mentre immense risorse intellettuali sono impiegate per definire i presupposti del modello inerente alla Terra piatta o alla Terra sferica, il baluardo dove ormai si tenta di sopravvivere è assediato dalle feroci legioni della dissoluzione. La scala delle priorità è stravolta, dimenticando che l’essere umano quasi sempre ha un’indole pragmatica, non teoretica. Sarebbe più utile, se si avessero gli strumenti idonei, un progetto educativo globale sul signoraggio e sulla geoingegneria clandestina: il cambiamento di paradigma potrebbe essere propiziato da conoscenze che toccano nel vivo le persone, piuttosto che dal ritorno ad una visione geocentrica ed antropocentrica, Weltanschauung collegata alla dottrina della Terra piatta.

Ipotizziamo che un giorno i media di regime decidano di rivelare che il 9 11 fu orchestrato e perpetrato dai servizi segreti internazionali: quale sarebbe il feedback dell’opinione pubblica? Non crediamo che si realizzerebbe una rivoluzione copernicana nel modo di vedere il mondo; molti probabilmente esclamerebbero: “Va be’, si sapeva, qualcuno aveva sospettato che gli Americani se l’erano fatto da soli… Ma pensiamo a cose serie: votiamo P.D. o Cinquestelle?”. Figuriamoci quindi quali cambiamenti profondi potrebbe favorire l'adesione ad un nuovo paradigma.

Questo è il livello e sperare che un’azione pedagogica, pur oculata e capillare, possa conseguire un successo, è ben oltre l’utopia.

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01 ottobre, 2016

Un esempio di programmazione predittiva?



E’ stata definita “programmazione predittiva” la strategia, usata soprattutto nelle pellicole cinematografiche, con cui si preannunciano (forse si propiziano pure tramite la creazione di eggregore), in modo obliquo e subliminale eventi ideati e poi attuati dalle sedicenti élites. L’esempio più celebre riguarda l’inside job del giorno 11 settembre 2001, autoattentato preconizzato in decine di produzioni. [1]

Il vaticinio di conflitti, calamità “naturali”, operazioni falsa bandiera, “incidenti” etc. è affidato, come si accennava, quasi sempre al cinema dove le intuizioni di registi e sceneggiatori si abbinano a vere e proprie flash forward alias prolessi. Nondimeno a volte queste profezie sono disseminate in canzoni, pubblicità, fumetti e via discorrendo.

Ci ha colpito in questi ultimi tempi una composizione di Ligabue intitolata “G come giungla”: sappiamo che stelle dello spettacolo, della musica e dello sport sono quasi sempre, volenti o nolenti, figure integrate nel sistema, eppure il motivo sopra citato ha un testo che è piuttosto esplicito e, più che essere riconducibile alla programmazione predittiva, pare un avvertimento, se non addirittura una denuncia circa una nuova possibile guerra mondiale fomentata, come la Prima e la Seconda, dai banchieri internazionali, chiamati in causa senza tanti giri di parole. Gli usurai sono per di più evocati come una genìa che da tempo pilota i destini del pianeta. Siamo dunque al cospetto di un monito (che resterà inascoltato) o è solo un’operazione commerciale, nonostante il riferimento all’attualità più scottante?

Di seguito il testo della canzone: in neretto le espressioni e le frasi più incisive ed eloquenti.

G come giungla
la notte comunque si allunga
le regole sono saltate
le favole sono dimenticate

G come guerra
e giù tutti quanti per terra
non basta restare al riparo
chi vuol sopravvivere deve cambiare

E' sorto il sole su un piccolo mondo
e vecchi banchieri stanno pranzando
ti devi spingere ancora più fuori
ché qui sei cacciato o cacciatore

La polveriera su cui sei seduto
aspetta solo il gesto compiuto

e tutti fumano e buttano cicche
hai visto il fuoco come si appicca?

G come giungla
la notte comunque si allunga
le regole sono saltate
le favole sono dimenticate

G come guerra
e giù tutti quanti per terra
non basta restare al riparo
chi vuol sopravvivere deve cambiare

Il sole ti è contro ti porta la luce
non riesci a distinguere tutti i nemici
è proprio quando ti senti un po' in pace
che sa presentarsi la bestia feroce

Anche fra loro si stanno sbranando
non hanno fame ma mangiano intanto
è l'abitudine che li mantiene
così spietati così senza fine


G come giungla
la notte comunque si allunga
le regole sono saltate
le favole sono dimenticate

G come guerra
e giù tutti quanti per terra
non basta restare al riparo
chi vuol sopravvivere deve cambiare


[1] Semplificando, la “programmazione predittiva” è un progetto che è preannunciato dai mondialisti, diffondendone indizi nei media con il fine di abituare l’opinione pubblica, in modo dissimulato e graduale, ai cambiamenti che l’accadimento, una volta occorso, porterà con sé.

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