18 maggio, 2009

Descrizione

Non riscuotono molti consensi le pagine descrittive: all'interno della maggioranza dei romanzi attuali le sequenze iconiche sono ridotte a miseri brandelli o a indugi esornativi. Si pensi alle paludate raffigurazioni di autorucoli come Eco, in cui lo stitico sfoggio di erudizione è solo un modo per coprire lo squallore del significato: in modo simile si appende un quadro ad una parete per nascondere una macchia di muffa.

Quasi tutti i lettori, avvinti dall'intreccio (le storie si assomigliano un po' tutte, ma si trae piacere dall'affabulazione), saltano a piè pari le parti descrittive o le scorrono distrattamente. Eppure la descrizione possiede una forza straordinaria, poiché dipende dall'osservazione: si fissano fotogrammi del reale con l'occhio che penetra la trasparente opacità degli oggetti. Si blocca il tempo per isolare frammenti di immagini il cui nitore sfolgora nel profilo tagliente dei contorni.

La descrizione consente di interrompere il flusso illusorio degli eventi per ritagliare prospettive di senso. Si scoprono così le sfaccettature degli oggetti, le loro dinamiche nascoste. Da un'attenta esplorazione della natura, uomini di valore estrassero frattali di possibili verità.

La descrizione è ricostruzione di mondi tramontati, di scenari lontani, di future costellazioni: un vero artista sa che, mentre l'intrico degli accadimenti scorre sul binario delle "cause", la rappresentazione, in quanto sottratta all'imperio dei nessi, può elevarsi oltre la dimensione dei "fatti" per sfiorare l'Empireo delle visioni. Il vero osservatore trascende la semplice ricezione del fenomeno per sviluppare un'immaginazione creativa in cui si lasciano affiorare e collegare le figure. La scrittura osservante diviene esplorazione degli anditi che conducono oltre l'abitudine empirica.

Lo sguardo si concentra sul particolare, ne indaga le relazioni con il tutto, cerca di accendere l'intuizione che è letteralmente un guardare dentro. Nell'ec-stasi della percezione, la mente sprofonda in universi inimmaginabili, anche solo per un istante. L'avventura dello sguardo, pur nella sua staticità atemporale, è molto più emozionante del turbinio delle peripezie, perché spinge il pensiero su sponde inattese.

Che cosa può favorire questa supremazia della percezione? Un particolare stato della coscienza, una sostanza, un sogno ad occhi aperti, l'abitudine a stupirsi... E' come se un'inquadratura filmica fosse strappata allo scorrimento immobile delle sequenze per scoprire il valore profondo di ciascun segno.

E' pur vero che alcuni segni rivelano, se osservati da vicino, un meraviglioso orrore, ma questo è uno dei volti dell'universo.



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7 commenti:

  1. A dire il vero gli Antichi, che erano psicologicamente molto più sani di noi, nelle loro descrizioni non è che indugiassero con mille fioriture e sofisticazioni. Se prendiamo in mano quello che ci è rimasto dei romanzi del periodo ellenistico, diciamo che il taglio dei medesimi era alquanto artigianale. Tante ricercatezze davano forse fastidio e non venivano ritenute essenziali. Ed anche i Vangeli, che rientrano nello stesso genere di letteratura, denotano le medesime caratteristiche.

    Forse quello che dovrebbe importare in una storia è la sua natura esemplare, paradigmatica con condimento di 'semeia kai terata', proprio come avviene negli scritti del Nuovo Testamento cui ho appena accennato.

    Ma da allora con tutta l'acqua che è passata sotto i ponti il gusto è cambiato e si chiedono all'artista nuovi brividi, nuove emozioni estetiche e,a proposito, ben pochi narratori si sono trovati all'altezza.

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  2. Poeti come Omero e Virgilio sapevano osservare e descrivere: essi vivevano la natura e, con pochi aggettivi o luminose, sorgive similitudini, la rendevano viva e palpitante dinanzi agli occhi del lettore. L'epica antica era equivalente al romanzo moderno e contemporaneo.

    Molti artisti del passato dipingevano il paesaggio con callidae iuncturae. La grande stagione dei romanzieri che sapevano tratteggiare gli scenari è tramontata ed oggi, salvo qualche eccezione, le opere narrative sono scheletri, mattoni senza calce.

    La fine della descrizione è segno dell'incapacità di osservare, un'incapacità deplorata anche da Hillman.

    Senza dubbio, contemporaneamente o quasi, il valore paradigmatico della narrazione si è perso, sostituito dai cliché della "letteratura" di consumo.

    Ciao e grazie.

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  3. Ma la mancnaza di descrizioni talvolta è un dato positivo. Bisogna lasciare spazio alla fantasia del lettore, lasciare a lui il compito di creare l'universo fitizio in cui si ambienta una storia.
    Cosi facendo l'immaginario che si crea il lettore diventa personale e prende la forma della mente del lettore.

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  4. Gli antichi solevano ripetere Ut pictura poesis. Difficilmente troveremo pitture di caratteri e di paesaggi nella letteratura contemporanea, isterilita nei romanzi di... appendicite.

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  5. gli artisti di oggi, non fanno altro che fare le stesse cose che facevano gli "antichi".
    è la fonte dove si attinge che non è piu la stessa,o si attinge ad altre fonti?

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  6. Anto-az, forse oggi molti scrittori attingono a fonti avvelenate. Castalia si è inaridita.

    Ciao

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  7. è stata veramente lei a fuggire dal dio o viceversa?!


    ciao.

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