Aveva ragione il narratore e poeta tedesco, Hermann Hesse, a scrivere che “la psicologia serve a scrivere libri, non a risolvere i problemi delle persone”. Nonostante ciò, a volte qualche psicologo ha delle intuizioni.
Verbigrazia, la psicologia transazionale ritiene che all’interno dei rapporti interpersonali si creino circostanze per cui a ciascun attore si sovrappone il ruolo che egli/ella riveste.
Così, quando il genitore dialoga con il figlio piccolo, in primo luogo esprime sé stesso, ma in maniera inconsapevole esterna le caratteristiche del genitore, in quanto figura con un preciso ruolo sociale. Il dialogo tra genitore e figlio non è un dialogo, ma una conversazione a tre, addirittura a quattro, qualora il genitore, ad esempio, in qualità di generale dell’aeronautica, manifesti qualche lineamento della sua maschera, tipica di militare d’alto grado.
Si comprende che nelle dinamiche umane si generano interferenze, come se uno o più intrusi intervenissero nell'interazione. Il problema si pone ogni volta in cui è un adulto (l’età adulta è in parte adulterata) ad intervenire: l’adulto non sa del tutto emanciparsi del suo ruolo. In taluni casi ci imbatteremo in personae (letteralmente maschere) che hanno annullato la loro natura primaria per identificarsi in toto in uno stato gerarchico. L’abito non fa il monaco ma il vescovo, vale a dire che, quanto più un individuo è in alto nella scala del consorzio umano, tanto più l’indole si assottiglia, nascosta sotto strati e strati di finzioni. Sono finzioni di cui certi soggetti non sono neppure più consci. L’annichilimento della coscienza passa attraverso la costruzione di un ego falso.
A ben vedere, questo intreccio relazionale era stato già compreso da Pirandello che scopre all’interno della “comunicazione” inganni, travisamenti, moltiplicazione e disgregazione dell’identità, la iattura dell’incomunicabilità.
Uno più uno dà due, solo quando sono due bambini ad interagire: il bambino non conosce riserve mentali, secondi fini, infingimenti, sottotesti… Sono la scuola, la società e l’”educazione” a rovinarlo… [1]
E’ necessario il più possibile scrollarsi di dosso tutte le mistificazioni che si stratificano sul temperamento per recuperare la sincerità, anche con tutti i suoi spigoli, e la trasparenza. La diversità tra schiettezza ed ipocrisia, sia pure involontaria, è spartiacque tra essere ed esistere (ex-sistere), cioè essere fuori di sé, alienati.
“In verità vi dico: se non vi convertite e non diventate come fanciulli, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli”. (Matteo, 18,5)
[1] Anche nei bambini qualcosa non quadra: non si può idealizzare l’infanzia. L’analisi di questo problema, però, esula dalla breve riflessione svolta.
Verbigrazia, la psicologia transazionale ritiene che all’interno dei rapporti interpersonali si creino circostanze per cui a ciascun attore si sovrappone il ruolo che egli/ella riveste.
Così, quando il genitore dialoga con il figlio piccolo, in primo luogo esprime sé stesso, ma in maniera inconsapevole esterna le caratteristiche del genitore, in quanto figura con un preciso ruolo sociale. Il dialogo tra genitore e figlio non è un dialogo, ma una conversazione a tre, addirittura a quattro, qualora il genitore, ad esempio, in qualità di generale dell’aeronautica, manifesti qualche lineamento della sua maschera, tipica di militare d’alto grado.
Si comprende che nelle dinamiche umane si generano interferenze, come se uno o più intrusi intervenissero nell'interazione. Il problema si pone ogni volta in cui è un adulto (l’età adulta è in parte adulterata) ad intervenire: l’adulto non sa del tutto emanciparsi del suo ruolo. In taluni casi ci imbatteremo in personae (letteralmente maschere) che hanno annullato la loro natura primaria per identificarsi in toto in uno stato gerarchico. L’abito non fa il monaco ma il vescovo, vale a dire che, quanto più un individuo è in alto nella scala del consorzio umano, tanto più l’indole si assottiglia, nascosta sotto strati e strati di finzioni. Sono finzioni di cui certi soggetti non sono neppure più consci. L’annichilimento della coscienza passa attraverso la costruzione di un ego falso.
A ben vedere, questo intreccio relazionale era stato già compreso da Pirandello che scopre all’interno della “comunicazione” inganni, travisamenti, moltiplicazione e disgregazione dell’identità, la iattura dell’incomunicabilità.
Uno più uno dà due, solo quando sono due bambini ad interagire: il bambino non conosce riserve mentali, secondi fini, infingimenti, sottotesti… Sono la scuola, la società e l’”educazione” a rovinarlo… [1]
E’ necessario il più possibile scrollarsi di dosso tutte le mistificazioni che si stratificano sul temperamento per recuperare la sincerità, anche con tutti i suoi spigoli, e la trasparenza. La diversità tra schiettezza ed ipocrisia, sia pure involontaria, è spartiacque tra essere ed esistere (ex-sistere), cioè essere fuori di sé, alienati.
“In verità vi dico: se non vi convertite e non diventate come fanciulli, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli”. (Matteo, 18,5)
[1] Anche nei bambini qualcosa non quadra: non si può idealizzare l’infanzia. L’analisi di questo problema, però, esula dalla breve riflessione svolta.
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