26 giugno, 2006

Et in Arca dia ego

Una delle opere più profonde che siano mai state dipinte è Et in Arcadia ego (Les bergers d’Arcadie) di Nicolas Poussin. È un dipinto celebre che è stato studiato ed interpretato sotto il profilo iconografico e stilistico, eppure, come spesso avviene, mi pare che critici d’arte ed insigni studiosi siano incorsi in un malinteso da cui discendono poi opinabili interpretazioni. Così anche uno dei lettori più acuti e sensibili di questi ultimi decenni, Piero Citati, in una sua pur fine disamina dell’opera, non sfugge all’errore dovuto ad un impulso esegetico: il centro compositivo ed ideale del dipinto è l’arca. L’arca evoca la morte, da cui le ispirate considerazioni di Citati: “Credo che i Greci dell’età classica… avrebbero amato quella gravità, quel vasto senso della tragedia e quella serenità, quell’armonia scaturite da non si sa quale sorgente nascosta che permettono di varcare con un balzo leggero, il regno della morte… Su questo monumento Poussin incise una scritta terribile: Et in Arcadia ego; Io, la morte sono anche in Arcadia”.

Non si può certo escludere che il quadro sia un’altissima meditazione sulla morte, eppure si ha l’impressione che il dipinto di Poussin alluda pure a qualche altro mistero. Sembra che tra gli alberi, i pastori e la ieratica donna raffigurata sulla destra echeggi una voce arcana. Questa voce prende forma nell’epigrafe Et in Arcadia ego. Il mito letterario dell’Arcadia è solo una nota della misteriosa sinfonia. Prendiamo in esame la parola Arcadia: vi troveremo l’arca… E’ un adombramento dell’arca dell’Alleanza o del sepolcro di Cristo? Non sono poi due manufatti così dissimili, a ben riflettere. Ancora una volta i corridoi del labirinto ci conducono in Egitto: Cristo fu crocifisso come Osiride ed i cherubini che ornavano la cassa erano sfingi.

Qualcuno ha notato che la breve frase, se anagrammata, diviene Tego arcana Dei, cioè “Custodisco i segreti di Dio”. È vero che con gli anagrammi si può affermare tutto ed il contrario di tutto, ma qual è l’ oggetto più idoneo a suggerire una relazione tra l’uomo ed il divino (?), se non l’arca degli Ebrei un tempo conservata nel penetrale del tempio di Salomone? Se si aggiunge che il profilo dei monti effigiati sullo sfondo delinea, stando ad alcuni ricercatori, il paesaggio di Rennes le Chateau, villaggio dei Pirenei al centro di molti misteri, se si ricorda che Poussin era un esoterista, risulta alla fine convenzionale l’interpretazione di Citati e della maggior parte dei critici.

L’uomo chinato non sta solo leggendo l’epigrafe, sta tentando di decriptarne il significato recondito. Non si obietti, affermando che gli illetterati pastori non sanno leggere: essi sono personaggi simbolici. Dunque lo sguardo interrogativo del pastore sulla destra non esprime solo lo sgomento di fronte all’enigma della morte, ma soprattutto lo stupore al cospetto dell’indecifrabile.



Fonti:

M. Baigent, R. Leigh, H. Lincoln, Il Santo Graal, Milano, 1982
P. Citati, La luce della notte, Milano, 1996


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