L'autentica filosofia dell'Occidente, nella sua essenza e nel suo più rigoroso e potente sviluppo, è la filosofia di Leopardi. (E. Severino)
Un libero flusso di considerazioni sul male
Una delle ultime opere di Giacomo Leopardi è l’Inno ad Ahriman, un componimento che fu solo abbozzato. Ahriman è, nella teologia di Zarathustra, il profeta battriano (o persiano) vissuto forse nel VI secolo a. C, il dio del male e delle tenebre, contrapposto ad Ahura Mazda, la divinità del bene e della luce. Nel poeta e filosofo recanatese, Ahriman assurge a simbolo definitivo di una forza cosmica e metafisica cieca e distruttrice. Il lucido sguardo di Leopardi sulla natura inesplicabile del male culmina in una celebrazione sarcastica ed amara dell’unica vera realtà. L’autore sa elevarsi di sopra la consueta, a volte consunta, percezione del male come conseguenza di scelte libere e responsabili dell’uomo, poiché egli enuclea l’essenza, trascurando le proteiformi manifestazioni del male.
Senza dubbio, come afferma William Golding, autore del celebre romanzo Il signore delle mosche, “l’uomo produce il male, come le api producono il miele”, ma l’opera di Golding, amara, sofferta e disincantata, è ancora per lo più una constatazione della malvagità umana, non un’indagine della sua genesi, del suo oscuro fondamento. Di fronte ad un problema così arduo, le risposte semplici mi sembrano insufficienti: Dio ha creato gli uomini dotandoli di libero arbitrio. A loro spetta scegliere: la diffusione della perversità è il risultato di una libera decisione. È una risposta consequenziale, ma che rischia di restare nel cerchio magico delle petizioni di principio tipiche dei tautoteologi, dacché introduce il concetto di libero arbitrio, senza né aver spiegato in che cosa consista né aver dimostrato la sua esistenza. Correttamente, anche se in conformità a premesse assurde, Agostino postula (è costretto a postulare) una sorta di tara genetica che si trasmette di generazione in generazione, risalente al peccato originale cosicché l’uomo, pur dotato di libero arbitrio, è incline al peccato. Quella del vescovo d’Ippona è una risoluzione, in una certa misura, accettabile che, però, sposta il baricentro del problema, destinato a rimanere irrisolto.
Tommaso d’Aquino, nell’ambito di una teologia che ha ormai acquisito e precisato la nozione di anima immortale, non può più nemmeno ricorrere al gioco di prestigio di Agostino: infatti, se l’anima è creata da Dio ed insufflata nel corpo ad alcuni mesi di distanza dal concepimento, come può in essa albergare un’inclinazione al male? Bisognerebbe supporre che Dio accolga in sé, almeno in una certa misura, l’oscurità insieme con la luce. Per il doctor angelicus, tale idea è blasfema ed inconcepibile, pertanto all’obiezione mossa non ribatte, poiché non può in nessun modo ribattere. Tale eventualità è, invece, presa in considerazione da Schelling che, in maniera consequenziale, elabora una concezione in cui l’Assoluto contiene in sé anche un quid negativo. Questa dottrina del filosofo tedesco può sembrare una bestemmia, qualora la si stimi con un metro manicheo, separando nettamente il bene dal male, principi che, sul piano storico ed umano e forse, anche sotto il profilo metafisico, non sono realtà assolute, checché ne dicano certi mistificatori. Costoro hanno pure inventato l’ingannevole, calunniosa espressione “asse del male”, come se solo gli “altri” (Arabi, islamici, Coreani del nord e qualcun altro…) fossero irremissibilmente cattivi e noi del tutto e sempre buoni.
Ancora una volta, si devia l’attenzione sulle atrocità umane – una sorta di ossimoro -, per dimenticare la sostanza del male che non è, a mio parere, soltanto un epifenomeno storico, economico, sociale e psicologico, ma il cuore nero dell’universo in quanto esistente. In fondo, come sostiene Schopenauer, che era ateo, (ma ateo è chi intende scagionare Dio più di chi non crede nella sua esistenza), per quanto si tenti e si ritenti, con le argomentazioni più sottili di addossare ogni colpa all’uomo, il male ridonda alla fine su chi, se volesse o avesse voluto, avrebbe potuto evitarlo, essendo sia onnisciente sia onnipotente.
Se Dio, però, non fosse onnisciente ed onnipotente? Se non lo si dovesse immaginare come ce lo siamo quasi sempre figurati? La prossima volta, indugerò su queste speculazioni.
Un libero flusso di considerazioni sul male
Una delle ultime opere di Giacomo Leopardi è l’Inno ad Ahriman, un componimento che fu solo abbozzato. Ahriman è, nella teologia di Zarathustra, il profeta battriano (o persiano) vissuto forse nel VI secolo a. C, il dio del male e delle tenebre, contrapposto ad Ahura Mazda, la divinità del bene e della luce. Nel poeta e filosofo recanatese, Ahriman assurge a simbolo definitivo di una forza cosmica e metafisica cieca e distruttrice. Il lucido sguardo di Leopardi sulla natura inesplicabile del male culmina in una celebrazione sarcastica ed amara dell’unica vera realtà. L’autore sa elevarsi di sopra la consueta, a volte consunta, percezione del male come conseguenza di scelte libere e responsabili dell’uomo, poiché egli enuclea l’essenza, trascurando le proteiformi manifestazioni del male.
Senza dubbio, come afferma William Golding, autore del celebre romanzo Il signore delle mosche, “l’uomo produce il male, come le api producono il miele”, ma l’opera di Golding, amara, sofferta e disincantata, è ancora per lo più una constatazione della malvagità umana, non un’indagine della sua genesi, del suo oscuro fondamento. Di fronte ad un problema così arduo, le risposte semplici mi sembrano insufficienti: Dio ha creato gli uomini dotandoli di libero arbitrio. A loro spetta scegliere: la diffusione della perversità è il risultato di una libera decisione. È una risposta consequenziale, ma che rischia di restare nel cerchio magico delle petizioni di principio tipiche dei tautoteologi, dacché introduce il concetto di libero arbitrio, senza né aver spiegato in che cosa consista né aver dimostrato la sua esistenza. Correttamente, anche se in conformità a premesse assurde, Agostino postula (è costretto a postulare) una sorta di tara genetica che si trasmette di generazione in generazione, risalente al peccato originale cosicché l’uomo, pur dotato di libero arbitrio, è incline al peccato. Quella del vescovo d’Ippona è una risoluzione, in una certa misura, accettabile che, però, sposta il baricentro del problema, destinato a rimanere irrisolto.
Tommaso d’Aquino, nell’ambito di una teologia che ha ormai acquisito e precisato la nozione di anima immortale, non può più nemmeno ricorrere al gioco di prestigio di Agostino: infatti, se l’anima è creata da Dio ed insufflata nel corpo ad alcuni mesi di distanza dal concepimento, come può in essa albergare un’inclinazione al male? Bisognerebbe supporre che Dio accolga in sé, almeno in una certa misura, l’oscurità insieme con la luce. Per il doctor angelicus, tale idea è blasfema ed inconcepibile, pertanto all’obiezione mossa non ribatte, poiché non può in nessun modo ribattere. Tale eventualità è, invece, presa in considerazione da Schelling che, in maniera consequenziale, elabora una concezione in cui l’Assoluto contiene in sé anche un quid negativo. Questa dottrina del filosofo tedesco può sembrare una bestemmia, qualora la si stimi con un metro manicheo, separando nettamente il bene dal male, principi che, sul piano storico ed umano e forse, anche sotto il profilo metafisico, non sono realtà assolute, checché ne dicano certi mistificatori. Costoro hanno pure inventato l’ingannevole, calunniosa espressione “asse del male”, come se solo gli “altri” (Arabi, islamici, Coreani del nord e qualcun altro…) fossero irremissibilmente cattivi e noi del tutto e sempre buoni.
Ancora una volta, si devia l’attenzione sulle atrocità umane – una sorta di ossimoro -, per dimenticare la sostanza del male che non è, a mio parere, soltanto un epifenomeno storico, economico, sociale e psicologico, ma il cuore nero dell’universo in quanto esistente. In fondo, come sostiene Schopenauer, che era ateo, (ma ateo è chi intende scagionare Dio più di chi non crede nella sua esistenza), per quanto si tenti e si ritenti, con le argomentazioni più sottili di addossare ogni colpa all’uomo, il male ridonda alla fine su chi, se volesse o avesse voluto, avrebbe potuto evitarlo, essendo sia onnisciente sia onnipotente.
Se Dio, però, non fosse onnisciente ed onnipotente? Se non lo si dovesse immaginare come ce lo siamo quasi sempre figurati? La prossima volta, indugerò su queste speculazioni.
....alla prossima Zret!
RispondiEliminaCIAO!...STAMMI BENE!
Ciao, oggi sei laconica. Buona serata e buona fine settimana!!!
RispondiEliminaGIA'....
RispondiEliminaSto rileggendo di DEEPAK CHOPRA "L'AVVENTURA DI UN'ANIMA"
voglio capire se i QUANTI sono responsabili del MALE!
...non sorridere!...
Angela
Non conosco questo libro, Angela. Fammene una breve relazione, quando avrai finito di leggerlo. Grazie. Ciao!!!
RispondiEliminaE' già ardua impresa leggerlo
RispondiEliminafigurarsi fare una relazione!
non conosci il libro o l'autore?