Per definire le persone contrarie alla globalizzazione, fu coniata qualche anno fa un'obbrobriosa espressione, "no global", affibbiata a chiunque criticasse il modello dell'economia planetaria. Tra i contrari alla globalizzazione si annoverano senza dubbio moltissimi pseudo-comunisti, borghesi snob, enfantes gatés, rivoluzionari da salotto, scaltri manipolatori... Ciò non implica che il sistema economico-sociale creato dall'élite sia condivisibile perché a censurarlo, soltanto a parole e senza averne compreso la reale natura, siano spesso dei beoti o dei fanatici. Ammettiamolo: la globalizzazione è aberrante, mostruosa.
Chiunque comprende che essa è stata imposta per favorire le già potenti multinazionali che, attraverso la delocalizzazione e lo sfruttamento di manodopera a basso costo, hanno conosciuto incrementi esponenziali del fatturato. Chiunque comprende che i tanto sbandierati vantaggi della globalizzazione, quelli che si leggono all'interno dei manuali di geografia scritti per indottrinare le nuove generazioni, sono inesistenti. Si ciancia, infatti, di una più equa distribuzione delle risorse e della diffusione di tecnologie informatiche anche in "paesi in via di sviluppo" (come sono chiamati in modo quanto mai falso ed ipocrita gli stati poveri): evidentemente gli agricoltori indiani che si sono uccisi a migliaia in questi anni, hanno deciso di togliersi la vita, non perché oberati di debiti in quanto strangolati dalle società che vendono sementi geneticamente modificate e sterili, ma poiché non riuscivano a scaricarsi la puntata n. 76.543 di Beautiful.
E' naturale che il sistema produttivo globale è assurdo, ignobile. Eppure presenta dei benefici, sì, ma per i sinarchisti. Vediamo brevemente quali. Incrementa l'inquinamento, visto che le merci vengono spesso importate da stati lontani, con il ricorso per lo più a mezzi di trasporto aereo o ad autoarticolati. Immiserisce paesi già poveri di cui vengono depredate le risorse, rendendoli vie più dipendenti dagli aiuti internazionali, dai prestiti interessati ed ad alto interesse della Banca mondiale. Diffonde un dissennato modello consumistico nelle nazioni occidentali dove i prodotti più disparati e provenienti da regioni lontane possono essere acquistati a prezzi non molto elevati. Deprime o distrugge le economie locali, incentrate su manufatti e prestazioni artigianali e su prodotti tipici che hanno il "difetto" di non essere del tutto adulterati e quindi patogeni. Sono piccole realtà produttive che il sistema schiaccia con ogni stratagemma: dagli studi di settore all'esosa pressione fiscale, dall'apertura dei maledetti supermercati ed ipermercati, causa del fallimento di piccoli esercenti, alla normativa kafkiana per chi vuole aprire un'attività...
Tutto è congegnato per azzerare la libertà d'impresa, la vera concorrenza, un'economia che tenda all'autosufficienza, in ogni settore, dall'agricoltura alla produzione energetica.
Qui, però, bisogna rovesciare il postulato di Marx, secondo il quale i fattori economici sono la struttura della società umana, mentre tutte le altre espressioni, dalla politica alla religione, sono sovrastrutture. No. La "politica" è la struttura, laddove l'economia, di cui pure non si deve disconoscere l'importanza, è epifenomeno: qui per "politica" non intendo l'amministrazione dello stato che, secondo Aristotele, perseguiva come fine la felicità di ogni cittadino, ma il progetto planetario consistente nella creazione di un superstato mondiale di tipo totalitario, introdotto surrettiziamente tramite la leva dell'economia. Un unico mercato, un'unica moneta, un unico esercito, un'unica lingua, un'unica massa controllata, un'unica religione: questo è il Leviatano concepito dalle menti depravate dei globalizzatori.
Chi promuove lo sviluppo sostenibile, la decrescita, la valorizzazione della cultura e dell'economia locali potrebbe orientarsi verso una sorta di economia curtense in cui i commerci siano ridotti all'essenziale: può essere, mutatis mutandis, un modello produttivo giovevole desunto dal tanto vituperato ed incompreso Medio evo. Non si dovrebbe poi neppure disdegnare qualche forma di sana concorrenza, evitando modelli centralistici, ma fondamentale è individuare il fine "politico" ed ideologico (in un certo senso religioso, se riferito ad un culto luciferino) più che economico del mondialismo per contrastarlo in modo efficace. Diversamente, si rischia di restare ancorati ad una sterile, antiquata critica del sistema capitalista, quando, in fondo, questo sistema non è tanto capitalista, quanto capzioso.
Chiunque comprende che essa è stata imposta per favorire le già potenti multinazionali che, attraverso la delocalizzazione e lo sfruttamento di manodopera a basso costo, hanno conosciuto incrementi esponenziali del fatturato. Chiunque comprende che i tanto sbandierati vantaggi della globalizzazione, quelli che si leggono all'interno dei manuali di geografia scritti per indottrinare le nuove generazioni, sono inesistenti. Si ciancia, infatti, di una più equa distribuzione delle risorse e della diffusione di tecnologie informatiche anche in "paesi in via di sviluppo" (come sono chiamati in modo quanto mai falso ed ipocrita gli stati poveri): evidentemente gli agricoltori indiani che si sono uccisi a migliaia in questi anni, hanno deciso di togliersi la vita, non perché oberati di debiti in quanto strangolati dalle società che vendono sementi geneticamente modificate e sterili, ma poiché non riuscivano a scaricarsi la puntata n. 76.543 di Beautiful.
E' naturale che il sistema produttivo globale è assurdo, ignobile. Eppure presenta dei benefici, sì, ma per i sinarchisti. Vediamo brevemente quali. Incrementa l'inquinamento, visto che le merci vengono spesso importate da stati lontani, con il ricorso per lo più a mezzi di trasporto aereo o ad autoarticolati. Immiserisce paesi già poveri di cui vengono depredate le risorse, rendendoli vie più dipendenti dagli aiuti internazionali, dai prestiti interessati ed ad alto interesse della Banca mondiale. Diffonde un dissennato modello consumistico nelle nazioni occidentali dove i prodotti più disparati e provenienti da regioni lontane possono essere acquistati a prezzi non molto elevati. Deprime o distrugge le economie locali, incentrate su manufatti e prestazioni artigianali e su prodotti tipici che hanno il "difetto" di non essere del tutto adulterati e quindi patogeni. Sono piccole realtà produttive che il sistema schiaccia con ogni stratagemma: dagli studi di settore all'esosa pressione fiscale, dall'apertura dei maledetti supermercati ed ipermercati, causa del fallimento di piccoli esercenti, alla normativa kafkiana per chi vuole aprire un'attività...
Tutto è congegnato per azzerare la libertà d'impresa, la vera concorrenza, un'economia che tenda all'autosufficienza, in ogni settore, dall'agricoltura alla produzione energetica.
Qui, però, bisogna rovesciare il postulato di Marx, secondo il quale i fattori economici sono la struttura della società umana, mentre tutte le altre espressioni, dalla politica alla religione, sono sovrastrutture. No. La "politica" è la struttura, laddove l'economia, di cui pure non si deve disconoscere l'importanza, è epifenomeno: qui per "politica" non intendo l'amministrazione dello stato che, secondo Aristotele, perseguiva come fine la felicità di ogni cittadino, ma il progetto planetario consistente nella creazione di un superstato mondiale di tipo totalitario, introdotto surrettiziamente tramite la leva dell'economia. Un unico mercato, un'unica moneta, un unico esercito, un'unica lingua, un'unica massa controllata, un'unica religione: questo è il Leviatano concepito dalle menti depravate dei globalizzatori.
Chi promuove lo sviluppo sostenibile, la decrescita, la valorizzazione della cultura e dell'economia locali potrebbe orientarsi verso una sorta di economia curtense in cui i commerci siano ridotti all'essenziale: può essere, mutatis mutandis, un modello produttivo giovevole desunto dal tanto vituperato ed incompreso Medio evo. Non si dovrebbe poi neppure disdegnare qualche forma di sana concorrenza, evitando modelli centralistici, ma fondamentale è individuare il fine "politico" ed ideologico (in un certo senso religioso, se riferito ad un culto luciferino) più che economico del mondialismo per contrastarlo in modo efficace. Diversamente, si rischia di restare ancorati ad una sterile, antiquata critica del sistema capitalista, quando, in fondo, questo sistema non è tanto capitalista, quanto capzioso.
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E' vero, Zret. L'etichetta NO GLOBAL è un marchio creato per generare -tanto per cambiare- ulteriore disordine nella mente delle persone già abbastanza confuse, un'altra arma studiata per perseguire meglio certi piani diabolici (che, come al solito, senza l'inganno e la menzogna non andrebbero lontano). E' comoda ed efficace perchè riunisce tutti sotto un'unica categoria di casinisti che vanno in giro a prendere a sprangate i vetri e ad incendiare i cassonetti, opere (queste ed altre) delle quali è risaputo chi siano i veri responsabili. E così, chiunque si azzardi a esprimere di non voler essere inglobato in un unico sistema perverso a gestione centralizzata, usando mezzi leciti come la sana e semplice informazione (e non sfasciando mezzo mondo dietro precisa commissione), viene additato come un rompiscatole piantagrane da cui prendere le distanze. Si dice sempre che ognuno è libero di pensare come vuole: speriamo bene. Buona serata.
RispondiEliminaNel momento in cui etichettano e catalogano ed omologano, annullano le persone.
RispondiElimina"E' risaputo chi siano i veri responsabili". Purtroppo ancora la maggioranza delle persone non lo sa, ma qualcuno comincerà ad intuirlo.
Per obiettività, vorrei elencare i reali benefici della globalizzazione.
Sono i seguenti:
Ciao e grazie.
Concordo in pieno.
RispondiEliminaCi sono sciuramente "no-global" in buona fede che si danno da fare pe run mondo migliore, ma i loro leader (come al solito) per lo più sono comprati, sono dei fantocci al servizio (talora anche inconsapevole?) delle élite, come quel tale che dice di lottare contro la guerra e poi contribuisce allo sterminio dei cosiddetti malati di AIDS con veleni mortali.
Quel tale è noto. E'un po' come il WWF War world fund, il Fondo mondiale per la guerra, fondato da un tristo personaggio che non ha cuore né la natura né la vita umana, anzi. Purtroppo molti cittadini sono manipolati.
RispondiEliminaCiao
Questa mattina riunione a Roma dell'Aspen Institute, in pratica un mini-Bilderberg in casa nostra tenutostavolta a porte aperte.
RispondiEliminaC'erano alcuni noti membri nostrani del Bilderberg e cioè il Governatore dela Banca d'Italia, il sublime John Elkann soprannominato dagli amici 'faccia d'angelo', il solito Henry Kissinger detto 'Mangiafoco', il 'sapientino Tremonti che tempo fa pareva avesse fatto abiura circa la sua appartenenza alla setta degli Illuminati.
A presiedere il tutto campeggiava ovviamente quel comunista 'buono' e 'moderato' sempre in doppio petto a partire dagli Anni Cinquanta che va sotto il nome di G.Napolitano.
Lo slogan del convegno era 'l'Italia ce la può fare'. 'Si, ma a fare che cosa?' mi chiedo io.
La risposta suona: ' a farsi mettere definitivamnte nel bartavello del Nuovo Ordine Mondiale'.
Ciao Paolo, ho notato l'espressione imbarazzata di Elkann al cospetto di cotanti personaggi e quella contrariata del Sapientino: non avrà ottenuto quel che agognava?
RispondiEliminaCiao
il libero mercato globalizzante non può essere frenato. se in europa cerchiamo ancora di porre qualche freno al meccanismo, in america ma ancora di più in asia, il rullo modernista procede senza trovare ostacoli e quei pochi che osano interporsi vengono sistematicamenti annientati. interloquendo con giovani asiatici mi trovo davanti ad un muro. ci sono un miliardo di cinesi pronti a tutto pur di migliorare il proprio tenore di vita, costi quel che costi. è solo da sperare che dopo la devastazione possa risorgere una nuova era.
RispondiEliminaLe Sirene della globalizzazione hanno incantato i Cinesi ed altri popoli. Tardi si accorgeranno dell'inganno. Temo.
RispondiEliminaCiao