"La legge dell’identità è un monarca assoluto, ma i suoi sudditi non protestano contro la sua autocrazia solo perché sono spettri senza sangue, privi di esistenza reale, non sono persone, ma solo ombre razionalistiche di persone. Questo è lo sheol, il regno della morte". (Florenskij)
Se si persegue il Risveglio, significa che siamo addormentati; se si aspira all'Illuminazione, significa che siamo avvolti nelle ombre. E’ un percorso a ritroso verso il Vuoto che meglio sarebbe definire Nirvana, visto che il Vuoto presuppone un recipiente che è ancora qualcosa, laddove il fine è il ritorno all'attimo-atomo, quindi indivisibile, prima dello scartamento nello spazio-tempo, del deragliamento nei pensieri associativi.
L'evocazione di questa sfera atemporale è affidata alla migliore pittura di paesaggio cinese in cui nebbie leggere aleggiano tra vette dai profili sfumati. La caligine, simile ad una seta frusciante, liscia le valli e le sponde indistinte dei fiumi. Le ombreggiature sono tenui e delicate, il nero dell'inchiostro si diluisce nel grigio ed un mistico, quieto silenzio scivola sui crinali.
E' una ricerca incessante, non agevole: numerose tecniche orientali insegnano a creare il "vuoto", sebbene la stessa parola "tecnica" contenga alcunché di meccanico. Allora è meglio concepirle come un cammino il cui ultimo passo sarà un salto improvviso ed audace: potrà essere un fulmineo, bruciante koan a propiziare il satori o il tuffo nel gelo della solitudine più abissale, nella rescissione dei legami, dove tutte le separazioni, manifestatesi come costruzioni mentali, si appianano come la superficie del lago, dopo che è passato molto tempo dal lancio del sasso.
E' quindi la mente che deve essere trasmutata o depurata o spenta: oltre non sappiamo che cosa si squaderni, ma sentiamo incoercibile l'esigenza di un'identità vera. Se avvertiamo, anche per un solo istante nella vita, l'anelito verso l'essere senza più determinazioni, vuol dire che qualcosa si è incrinato, ma anche che la via è stata intrapresa.
E' una ricerca non agevole, ma dev'essere percorsa senza sforzo, con naturalezza, noncuranza ed umorismo: si è che è all'uomo, in particolare all'uomo occidentale, pare preclusa la meta suprema, risultato pressoché inattingibile di un'attenzione smemorata, di una meditazione senza contenuti. Ecco allora le scorciatoie chimiche (ahuayasca, melatonina, psilocibina...): il misticismo decade nella farmacologia, la visione diviene allucinazione.
Distacco dal corpo, perdita della personalità, estasi: Plotino affidò all'attimo ineffabile il sublime disvelamento dell'Uno.
La persona è letteralmente "maschera", quindi finzione: non è sufficiente toglierla. Non basta recidere i fili della mente. Sempre riaffiora, come un cadavere nell'acqua che l'omicida ha tentato di zavorrare sul fondo, l'io, qualsiasi cosa esso sia.
L'horror pleni non estingue l'horror vacui: occorre coraggio per inoltrarsi ai margini della morte, forse passando attraverso i sogni o le immagini ipnagogiche, scivolando nella trance, nella catalessi.
Per questo motivo il Risvegliato appare, in modo apparentemente paradossale, immerso in un sonno stranito. Talora si è sfiorati da un'impressione di aridità.
Jiun Onko (1718-1804), studioso di sanscrito, cultore di discipline storico religiose e letterarie, pittore Zen, è autore di un'opera straordinaria intitolata "Uomo", "ancor oggi sintesi di valori pittorici e calligrafici, saldati in un'unità armonica d'intensa forza espressiva. Essa consiste in null'altro che due potenti pennellate d'inchiostro nero cupo che formano l'ideogramma cinese di "uomo" (jen, in giapponese hito), suggestivamente rappresentato dall'immagine di un tronco umano con le gambe divaricate. Nel suo vivo dinamismo, l'uomo di Jiun raffigura l'umanità intera in marcia verso il suo destino, attraverso il tempo fuggevole della sua esistenza terrena”. (G. Bigliani, Pittura Zen, Viterbo, 1982)"
I vigorosi ed irriflessi tocchi di Jiun tracciano questo tronco-uomo da cui gocciolano stille di sudore e di sangue: nella contemplativa, serena, distaccata arte Zen si insinua la dolorosa coscienza del tempo, come spina che lacera un prezioso tessuto.
L'Oriente Zen, nel suo calmo, silente, tiepido seno accoglie il grido dell'uomo esule.
Se si persegue il Risveglio, significa che siamo addormentati; se si aspira all'Illuminazione, significa che siamo avvolti nelle ombre. E’ un percorso a ritroso verso il Vuoto che meglio sarebbe definire Nirvana, visto che il Vuoto presuppone un recipiente che è ancora qualcosa, laddove il fine è il ritorno all'attimo-atomo, quindi indivisibile, prima dello scartamento nello spazio-tempo, del deragliamento nei pensieri associativi.
L'evocazione di questa sfera atemporale è affidata alla migliore pittura di paesaggio cinese in cui nebbie leggere aleggiano tra vette dai profili sfumati. La caligine, simile ad una seta frusciante, liscia le valli e le sponde indistinte dei fiumi. Le ombreggiature sono tenui e delicate, il nero dell'inchiostro si diluisce nel grigio ed un mistico, quieto silenzio scivola sui crinali.
E' una ricerca incessante, non agevole: numerose tecniche orientali insegnano a creare il "vuoto", sebbene la stessa parola "tecnica" contenga alcunché di meccanico. Allora è meglio concepirle come un cammino il cui ultimo passo sarà un salto improvviso ed audace: potrà essere un fulmineo, bruciante koan a propiziare il satori o il tuffo nel gelo della solitudine più abissale, nella rescissione dei legami, dove tutte le separazioni, manifestatesi come costruzioni mentali, si appianano come la superficie del lago, dopo che è passato molto tempo dal lancio del sasso.
E' quindi la mente che deve essere trasmutata o depurata o spenta: oltre non sappiamo che cosa si squaderni, ma sentiamo incoercibile l'esigenza di un'identità vera. Se avvertiamo, anche per un solo istante nella vita, l'anelito verso l'essere senza più determinazioni, vuol dire che qualcosa si è incrinato, ma anche che la via è stata intrapresa.
E' una ricerca non agevole, ma dev'essere percorsa senza sforzo, con naturalezza, noncuranza ed umorismo: si è che è all'uomo, in particolare all'uomo occidentale, pare preclusa la meta suprema, risultato pressoché inattingibile di un'attenzione smemorata, di una meditazione senza contenuti. Ecco allora le scorciatoie chimiche (ahuayasca, melatonina, psilocibina...): il misticismo decade nella farmacologia, la visione diviene allucinazione.
Distacco dal corpo, perdita della personalità, estasi: Plotino affidò all'attimo ineffabile il sublime disvelamento dell'Uno.
La persona è letteralmente "maschera", quindi finzione: non è sufficiente toglierla. Non basta recidere i fili della mente. Sempre riaffiora, come un cadavere nell'acqua che l'omicida ha tentato di zavorrare sul fondo, l'io, qualsiasi cosa esso sia.
L'horror pleni non estingue l'horror vacui: occorre coraggio per inoltrarsi ai margini della morte, forse passando attraverso i sogni o le immagini ipnagogiche, scivolando nella trance, nella catalessi.
Per questo motivo il Risvegliato appare, in modo apparentemente paradossale, immerso in un sonno stranito. Talora si è sfiorati da un'impressione di aridità.
Jiun Onko (1718-1804), studioso di sanscrito, cultore di discipline storico religiose e letterarie, pittore Zen, è autore di un'opera straordinaria intitolata "Uomo", "ancor oggi sintesi di valori pittorici e calligrafici, saldati in un'unità armonica d'intensa forza espressiva. Essa consiste in null'altro che due potenti pennellate d'inchiostro nero cupo che formano l'ideogramma cinese di "uomo" (jen, in giapponese hito), suggestivamente rappresentato dall'immagine di un tronco umano con le gambe divaricate. Nel suo vivo dinamismo, l'uomo di Jiun raffigura l'umanità intera in marcia verso il suo destino, attraverso il tempo fuggevole della sua esistenza terrena”. (G. Bigliani, Pittura Zen, Viterbo, 1982)"
I vigorosi ed irriflessi tocchi di Jiun tracciano questo tronco-uomo da cui gocciolano stille di sudore e di sangue: nella contemplativa, serena, distaccata arte Zen si insinua la dolorosa coscienza del tempo, come spina che lacera un prezioso tessuto.
L'Oriente Zen, nel suo calmo, silente, tiepido seno accoglie il grido dell'uomo esule.
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Ecco un bell' articolo, Zret.
RispondiEliminaTanti spunti per commentare e riflettere serenamente sul cammino al quale siamo costretti.
Non ardisco essere il primo.
Ciao.
Mi trovo sostanzialmente d'accordo con qanto affermi anche se divergo su alcuni punti.
RispondiEliminaAnch'io una volta pensavo che vi fosse differenza fra occidentali ed orientali. Ma da tempo ho radicalmente cambiato idea in quanto, strtturalmente parlando, riconosco che l'uomo è uguale a se stesso e possiede quindi le stesse attitudini e prerogative sotto qualsivoglia latitudine nasca o si trovi a vivere.
Ciò che ci distingue dagli orientali non è la struttura ontologica di base ma sono gli impedimenti alla conoscenza creatici da un'educazione che da moltissimo tempo ha trascurato quello che veramente conta nella vita, vale a dire la ricerca del proprio Sè spirituale.
Oltre a questo dovremo per forza segnalare anche l'eredità atavica o karmica derivataci da un numero imprecisato di antenati che ci hanno fluidicamente trasmesso orientamenti innati sbagliati e verso i quali lottiamo incessantemente al fine di estrometterli dal nostro io profondo.
L'obiettivo finale viene notoriamente definito come quello stato interiore denominato 'Vuoto' o 'Shunyata' dai Buddhisti e del quale non abbiamo la più pallida di come sia fatto. Ma a chi deve ancora nascere per la seconda volta basta molto meno poichè i conseguimenti e le realizzazioni necessitano quasi sempre di lunghe gestazioni e maturazioni.
Per quanto riguarda l'utilizzo di sostanze allucinogene non getterei fango eccessivo sul loro uso, ammesso che questo sia motivato da una sincera, profonda ricerca interiore. Nelle società arcaiche esse venivano somministrate ritualmente in contesto appropriato, di solito per scopi sciamanici.
Personalmente ho usato solamente piccoe dosi di psicofarmai molti anni fa e mai sostanze quali LSD o ayahuasca ma sono certo che esperienze da queste evocate, qualora vissute positivamente, lascino un ricordo indelebile, ricordo che sprona a ricercare nuovamente l'esperienza con mezzi naturali, non più chimici.
Non disprezzerei nemmeno ciò che chiamiamo 'persona', termine che notoriamente significa 'maschera'. Il voler dissociarsi da essa comporta uno stato d lacerazione interiore, una schizofrenia dell'essere, il che non può che far aumentare la sofferenza, il disagio interiore. Almeno idealmente esterno ed interno devono essere tutt'uno, una sola inscindibile entità.
La differenza tra Occidente ed Oriente è culturale, ma la radice della civiltà è forse altrove.
RispondiEliminaLa via chimica presuppone, a mio parere, un itinerario propedeutico ed una vigoria notevole: gli antichi sciamani seguivano un percorso iniziatico ed erano scelti dalla comunità per il loro dono di comunicazione con l'invisibile; oggi il rischio è quello di prendere alla leggera certe possibilità. Recentemente Graham Hancock, in Sciamani, saggio che ho apprezzato più del prolisso Mondi sommersi, ha intrapreso la via delle sostanze psicoattive con interessanti risultati.
Ciao e grazie.
Zret bellissimo articolo.
RispondiEliminaE Paolo ha bene espresso i punti che non risuonavano con la mia esperienza e realizzazione.
Certe esperienze mi hanno permesso di Ricordare da dove provenivo. E quel ricordo infiltratosi fra le maglie del tempo e della mia esistenza umana mi ha permesso di iniziare a sentire la bellezza e sacralità della vita tutta come espressione di me stesso e della mia propria coscienza.
Per questo sento che Samsara e Nirvana sono una cosa sola, che Vuoto e Pieno, Vita e Morte sono espressione polare di una stessa indistricabile Unità.
E non ho motivi razionali per supportare ciò che sento e ciò che appare ai miei occhi.
Perchè nessuna logica può giustificare la Presenza dell'Essere e della Coscienza.
Sat-Chit-Ananda è la vera natura dell'essere, solo che abbiamo temporalmente dimenticato assumendo una forma, un'identità apparentemente separata dalla totalità che ci esalta ma anche ci offende con limiti spigolosi e taglienti e con distanze apparentemente incolmabili.
Ma questa è stata la scelta più bella e nobile che l'Essere potesse fare a se stesso e per se stesso. Per questo abbiamo creato il tempo, lo spazio e i suoi limiti.
Mi rendo conto che intendere questo significa ribaltare il punto di prospettiva mentale e soprattutto iniziare a Sentire la vita con un senso estetico completamente aperto alla scoperta e alla commozione e questo nonostante il dolore, la morte, l'odio e tutti quei taglienti spigoli che hanno continuamente ferito noi anime in evoluzione.
Ma anche questo ci è stato concesso o ci siamo concessi affinchè potessimo imparare a scegliere, a intraprendere un percorso che seppure di riscoperta non sarà mai uguale a se stesso.
Il Nirvana è.....
Il Vuoto è.....
Il Cielo è.....
Ciao
Magnifico commento, Timor, una gemma lucente e preziosa da incastonare insiema con quella di Paolo e di altri lettori, nel diadema dei contributi.
RispondiEliminaCiao e grazie.
Ciao, Zret!
RispondiEliminaUn articolo (?) dall'interesse immenso, per me, oltre la scrittura, schiava di se stessa, ma ancora utile, talvolta.
Approfitto per augurarti un sereno 2009
Già, Giorgio, la scrittura è schiava di sé stessa, un movimento tautologico cui non rinunciamo.
RispondiEliminaCiao e grazie.