L'erudito parla, il sapiente preferisce tacere.
La sapienza non è conoscenza. L’etimologia è istruttiva: sapienza (latino sapientia) provenendo dal verbo “sapere”, che vale assaporare, è essere in grado di gustare la verità, di sentirla dentro di sé, di afferrare il senso. Non è una verità intellettuale, ma il sentimento profondo delle cose, la cui scoperta è affidata ad una balenante intuizione o ad un itinerario lungo e difficile. Si comprende quanto sia lontana dalla sapienza la nostra epoca che è tutta dominata dalle scienze profane, bandite come certezze, poiché radicate nei numeri, nelle analisi spinte sino alla cavillosità e nelle “leggi” di natura.
La sapienza è agli antipodi: che sia simboleggiata dal sale e dal pane, che il termine stesso, così vicino alla sfera spirituale, appartenga al mondo della concretezza sensoriale, il sapore, tutto ciò scava la trincea della distanza rispetto alle cognizioni razionali e quantitative tanto più astratte, cerebrali, quanto più avulse dalla vita.
La sapienza è ignoranza delle cause, poiché le cause si situano nella dimensione fenomenica e nell’illusorietà dei paradigmi scientifici. E’ poi tanto importante apprendere tutti i segreti della materia, quando si comprende il come, ma non il perché?
Sapienza è dunque gustare: ma possiamo spiegare agli altri le inafferrabili qualità di un sapore? Ecco: la sapienza è conquista personale, in gran parte incomunicabile, un patrimonio che non si può dividere né condividere.
La sapienza è imparentata con la saggezza: per questo motivo Orazio, rivolgendosi a Leuconoe, la esorta, in Carm. I, 11: Sapias, vina liques et spatio spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
"Sii saggia, mesci il vino e riconduci in un breve lasso di tempo la speranza che si protende nel futuro. Mentre parliamo, il tempo sarà fuggito invidioso: cogli il giorno, senza confidare troppo nell’avvenire".
La sapienza è consapevolezza dei limiti umani come dei suoi illimitati orizzonti.
La sapienza non è conoscenza. L’etimologia è istruttiva: sapienza (latino sapientia) provenendo dal verbo “sapere”, che vale assaporare, è essere in grado di gustare la verità, di sentirla dentro di sé, di afferrare il senso. Non è una verità intellettuale, ma il sentimento profondo delle cose, la cui scoperta è affidata ad una balenante intuizione o ad un itinerario lungo e difficile. Si comprende quanto sia lontana dalla sapienza la nostra epoca che è tutta dominata dalle scienze profane, bandite come certezze, poiché radicate nei numeri, nelle analisi spinte sino alla cavillosità e nelle “leggi” di natura.
La sapienza è agli antipodi: che sia simboleggiata dal sale e dal pane, che il termine stesso, così vicino alla sfera spirituale, appartenga al mondo della concretezza sensoriale, il sapore, tutto ciò scava la trincea della distanza rispetto alle cognizioni razionali e quantitative tanto più astratte, cerebrali, quanto più avulse dalla vita.
La sapienza è ignoranza delle cause, poiché le cause si situano nella dimensione fenomenica e nell’illusorietà dei paradigmi scientifici. E’ poi tanto importante apprendere tutti i segreti della materia, quando si comprende il come, ma non il perché?
Sapienza è dunque gustare: ma possiamo spiegare agli altri le inafferrabili qualità di un sapore? Ecco: la sapienza è conquista personale, in gran parte incomunicabile, un patrimonio che non si può dividere né condividere.
La sapienza è imparentata con la saggezza: per questo motivo Orazio, rivolgendosi a Leuconoe, la esorta, in Carm. I, 11: Sapias, vina liques et spatio spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
"Sii saggia, mesci il vino e riconduci in un breve lasso di tempo la speranza che si protende nel futuro. Mentre parliamo, il tempo sarà fuggito invidioso: cogli il giorno, senza confidare troppo nell’avvenire".
La sapienza è consapevolezza dei limiti umani come dei suoi illimitati orizzonti.
Rifletto con te: la sapienza è proprio una conquista personale e di difficile comunicabilità, ma per fortuna ci sono anime sorelle di cielo con cui condividere questa sapienza.
RispondiEliminaE la frase finale, bé dice proprio tutto e stimola altre meditazioni.
Come sempre, ti ho letto con piacere e interesse. Ciao
Sono lieto,86Francesca86, che tu abbia apprezzato questa breve ed incompleta riflessione sulla sapienza. E' vero, quando scrivi che esistono anime sorelle, partecipi e forse propiziatrici di conquiste spirituali. Probabilmente queste anime non appartengono tutto al nostro mondo fisico.
RispondiEliminaCiao e grazie.
I sapienti ormai sono estinti, tutti tentano i Babylonios numeros, tutti vogliono sapere quanti inverni gli sono stati riservati. Il futuro è diventato la priorità, il presente è solo un mezzo per raggiungerlo, chi filtra il vino e si gode l’attimo è visto come uno squilibrato o un ingenuo. C’è chi dice che chi non pensa al suo futuro non ne avrà mai uno, ma chi non pensa a presente non avrà mai un presente, e la vita gli sfuggirà in un attimo.
RispondiEliminaNo, non appartengono tutte al nostro mondo fisico...forse la vera sapienza è avere il privilegio di conoscere ciò che agli occhi non appare ma nello spirito lascia il segno e ci accompagna nella vita.
RispondiEliminaMi piacerebbe leggere una tua riflessione sul tempo che stiamo vivendo, un tempo dopo la Storia, una bobina impazzita che continua a vorticare dopo aver strappato il nastro. Io personalmente ho l'impressione di un disfacimento, di una decadenza imperiale, di una perdita della provincia, di un terremoto del baricentro.
RispondiEliminaAngoscia? Direi piuttosto indifferenza, apatia e rassegnazione.
Ecco la domanda è questa, credi anche tu che siamo in una sorta di terra di mezzo, all'alba di un cambiamento di cui probabilmente per ragioni anagrafiche vedremo solo la fase distruttiva e non quella creativa?
Le cose saranno invece repentine, vedremo la nascita di un mondo nuovo? Una nuova aurora, come voleva Nietzsche?
Ma io no sono certo un Oltreuomo...
Il nichilismo che vedo è quasi consolatorio per chi mi sta intorno, è un'accettazione della propria condizione, della malvagità e dell'egoismo del prossimo, della pochezza delle nostre illusioni e delle nostre inutili speranze.
Vorrei tanto, tanto essere un ottimista.
Vorrei poter credere di essere al crocevia tra un mondo davvero "storto" e uno ontologicamente ente, e non ni-ente.
Manuel, chi può sapere quando avverrà il transito. Siamo frastornati da mille informazioni contraddittorie: alcune alimentano la speranza, altre, invece, gettano nello scoramento e nell'ambascia. Forse vivremo e vedremo eventi decisivi, ma solo per qualche istante, perché saremo poi risucchiati dal buco nero del cambiamento e saremo cenere per sempre. Non saranno illusioni i sogni di una "terra promessa" da dei falsi e bugiardi o vagheggiata da un cuore che non sa rassegnarsi alla mancanza di senso?
RispondiEliminaIntanto il tempo fugge e noi ci ostiniamo ad ignorare i segni della fine, un po' per paura, un po' per cecità. Saremo saggi abbastanza da comprendere che il cambiamento verrà come il ladro nella notte? Chi si pone queste domande? Pochi. Il volgo si adagia in un misero edonismo, come se fosse destinato a vivere per sempre.
Non sarà tutto "storto"? La ragione lo nega, ma l'universo sa essere logicamente irrazionale.
Ciao e grazie.