"Non è giusto!" Così esclama il bimbo cui è stato sottratto in modo immotivato un balocco. Si deve ritenere che un senso etico, per quanto confuso, sia innato o, per lo meno, precoce nell'essere umano. Che cosa significa "giusto"? Qual è la differenza tra "giusto" ed "ingiusto" di là da una concezione empirica e superficiale? Ancora una volta l'indagine etimologica non ci è di grande ausilio: "Giusto proviene dal latino ius, antichissima definizione di una formula di incitamento, portafortuna, sopravvissuta solo nelle aree che hanno conservata intatta la classe sacerdotale (indo-iranica e latina) e da cui si è svolta la nozione di diritto. Forma originaria è yeus alternante con yewes".(G. Devoto) Il lessema latino si connette al verbo iurare, giurare.
Dunque il diritto sembra radicato in forme solenni e sacre di giuramento. Tuttavia la sacralità del giuramento è venata di alcunché di sacrilego, se, ad esempio, in inglese, il verbo (to) swear significa sia "giurare" sia "bestemmiare". Anche i Vangeli condannano il giuramento. E' impossibile quindi definire il concetto di giustizia, laddove il quasi sinonimo "equità" riesce ad evocare un'ombra di significato, allorché pensiamo al latino aequor, mare, da aequus, inteso come superficie piana. Quindi l'equità è qualcosa di livellato, di uniforme.
Non erra alla fine Platone (attraverso il suo alter ego, Socrate) che, rifiutando l'idea secondo cui l'equità sarebbe "beneficare gli amici e nuocere ai nemici", o "l'utile del più forte", alla fine getta la spugna. Infatti, nella conclusione della “Politeia”, il filosofo ateniese riconosce che le sue argomentazioni non hanno fruttato i risultati sperati: non è stato chiarito che cosa sia veramente la giustizia, sebbene se ne sia riconosciuto il giovamento e si sia ammesso che essa deve essere una qualche virtù.
Che differenza rispetto a molti filosofastri, intellettualoidi, pseudo-scienziati contemporanei che pensano di poter distinguere tra giusto ed ingiusto, tra vero e falso, tra scientifico e non scientifico! Certi concetti e vocaboli dovrebbero essere maneggiati con cura, altrimenti si rischia di cristallizzarsi nel dogmatismo. Nonostante la tanto sbandierata tolleranza, la società attuale è dogmatica, intransigente. Il "sapere" è diventato apodittico. Ignoranti ed idioti, con la cassa di risonanza costituita dai media istituzionali, propagandano il pensiero unico. Lo spirito critico, l'abitudine alla ricerca e l'approccio epistemologico sono defunti. E’ necessario persino il buon gusto, quando ci si accosta a taluni lessemi e sensi. E’ una questione di savoir faire: si deve cominciare con il riconoscimento che la "giustizia" dei tribunali è quasi sempre una parodia per poi degustare i veri valori dell’equità, nel senso più nobile del termine. Proprio come un assaggiatore di vini, occorre saper apprezzare il bouquet delle parole.
Le persone sono regredite a livelli infantili, simili a quei pargoli che gridano: "Non è giusto!", quando ad un coetaneo sono date due caramelle ed a lui neanche una. Come i bambini, oggi gli adulti sono del tutto incapaci di suggerire un'idea di "giustizia", mentre si lasciano trascinare da parole emotive, da motivazioni deamicisiane. Ecco allora che i governi ed il clero facilmente persuadono la gente che una guerra è “giusta”, “umanitaria”. Il popolino è convinto che le armi sono “intelligenti”. Il popolino non si accorge dello stridente contrasto tra il nome “guerra” e gli opportunistici aggettivi che vi sono incollati. Ecco perché è sufficiente una campagna orchestrata dai parolai al "potere" per scatenare un sanguinoso conflitto. Si affila la lingua, prima di affilare le baionette.
Dunque il diritto sembra radicato in forme solenni e sacre di giuramento. Tuttavia la sacralità del giuramento è venata di alcunché di sacrilego, se, ad esempio, in inglese, il verbo (to) swear significa sia "giurare" sia "bestemmiare". Anche i Vangeli condannano il giuramento. E' impossibile quindi definire il concetto di giustizia, laddove il quasi sinonimo "equità" riesce ad evocare un'ombra di significato, allorché pensiamo al latino aequor, mare, da aequus, inteso come superficie piana. Quindi l'equità è qualcosa di livellato, di uniforme.
Non erra alla fine Platone (attraverso il suo alter ego, Socrate) che, rifiutando l'idea secondo cui l'equità sarebbe "beneficare gli amici e nuocere ai nemici", o "l'utile del più forte", alla fine getta la spugna. Infatti, nella conclusione della “Politeia”, il filosofo ateniese riconosce che le sue argomentazioni non hanno fruttato i risultati sperati: non è stato chiarito che cosa sia veramente la giustizia, sebbene se ne sia riconosciuto il giovamento e si sia ammesso che essa deve essere una qualche virtù.
Che differenza rispetto a molti filosofastri, intellettualoidi, pseudo-scienziati contemporanei che pensano di poter distinguere tra giusto ed ingiusto, tra vero e falso, tra scientifico e non scientifico! Certi concetti e vocaboli dovrebbero essere maneggiati con cura, altrimenti si rischia di cristallizzarsi nel dogmatismo. Nonostante la tanto sbandierata tolleranza, la società attuale è dogmatica, intransigente. Il "sapere" è diventato apodittico. Ignoranti ed idioti, con la cassa di risonanza costituita dai media istituzionali, propagandano il pensiero unico. Lo spirito critico, l'abitudine alla ricerca e l'approccio epistemologico sono defunti. E’ necessario persino il buon gusto, quando ci si accosta a taluni lessemi e sensi. E’ una questione di savoir faire: si deve cominciare con il riconoscimento che la "giustizia" dei tribunali è quasi sempre una parodia per poi degustare i veri valori dell’equità, nel senso più nobile del termine. Proprio come un assaggiatore di vini, occorre saper apprezzare il bouquet delle parole.
Le persone sono regredite a livelli infantili, simili a quei pargoli che gridano: "Non è giusto!", quando ad un coetaneo sono date due caramelle ed a lui neanche una. Come i bambini, oggi gli adulti sono del tutto incapaci di suggerire un'idea di "giustizia", mentre si lasciano trascinare da parole emotive, da motivazioni deamicisiane. Ecco allora che i governi ed il clero facilmente persuadono la gente che una guerra è “giusta”, “umanitaria”. Il popolino è convinto che le armi sono “intelligenti”. Il popolino non si accorge dello stridente contrasto tra il nome “guerra” e gli opportunistici aggettivi che vi sono incollati. Ecco perché è sufficiente una campagna orchestrata dai parolai al "potere" per scatenare un sanguinoso conflitto. Si affila la lingua, prima di affilare le baionette.
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Ciao Zret
RispondiEliminaPrendo spunto dal tuo post e rifletto su quanta contraddizione è intriso il sistema sociale. Inoltre mi viene in mente una conversazione avuta con una persona a me al quanto vicina parlando proprio di cosa sia giusto e di cosa sia sbagliato nella magistratura italiana ed al mio interlocure scappo' detto che è meglio un innocente in carcere che non trovare alcuno al quale addossare la colpa in base alla legge "colpevole fino a prova contraria". Mi sono sentita interdetta e la mia reazione è stata "ma che diamine sta dicendo?". Che giustizia sarebbe mai questa? A patto che il concetto di giustizia esista veramente o sia solo un'utopia, un'ideologia, un'illusione con i quali i bimbi sono cullati fin dall'inizio, talmente tanto da pronunciare "Non è giusto!". Leggendo il tuo post mi trovo ancora ad essere confusa.
Inoltre pare proprio che certi concetti/argomenti sono affrontati perchè lo ha detto un filosofo,psicologo,scienziato di un degno spessore o semplicemente per il fatto che è diventato non solo luogo comune ma come principio insito nella nostra mente. Si da importanza ad mucchio di definizioni sparsi per manuali vari e quello che viene fuori è un gran caos delle menti.
Non ci sono più domande vere e proprie, non per questo voglio screditare i più grandi pensatori ed inventori, il fatto è che siamo talmente pieni di idee e di concetti che per il 90% non sono veramente nostri, ma li abbiamo fatti nostri come se li avessimo creati noi: una biblioteca mentale con cui affrontare ogni argomentazione. Ma in realtà dove vogliamo arrivare? A cosa serve? Ad alimentare le coscienze? Quali coscienze (dal latino "sapere insieme") se si ripete a pappagallo ciò che disse l'uno e ciò che disse l'altro.. Certo, so già che la risposta è: tutto serve per un sano confronto e per nuove idee. Ma tutte queste nuove idee non le vedo nella mia attuale vita quotidiana. Vedo solo il ripetere, il ripetersi della storia.
Scusa se mi sono prolungata ed ho toccato più punti. Ma credo di aver disegnato il quadro della mia perplessità.
Spero di poter continuare con te questa riflessione in quanto il post sembra venir incontro alla mia attuale perplessità!
Sconvolgente l'episodio che hai raccontato, DOcean. Il tema della giustizia è spinoso. Me ne sono occupato spesso, ad esempi in "Jail".
EliminaQuanto scrivi è condivisibile: troppe informazioni generano confusione, ma, quando desidero trovare un po' di saggezza, rileggo i classici. Certo non apro i brogliacci di Eco o di altri autoracci contemporanei che riescono nell'impresa di stuprare nel contempo la lingua italiana ed il buon senso. Nei classici non troveremo la verità, ma almeno la bellezza dello stile e la profondità dei concetti.
Ciao
Grazie per la tua risposta sincera, Zret. Mi piacerebbe approfondire questo tema dei classici, non ho mai potuto apprezzare a pieno, ti lascio immaginare il perchè.. Comincerò a rispolverare libri di Aristotele e Platone. Sarebbe necessario anche un riepilogo di quei tempi. Per internet si trova di tutto e anche di troppo. Spero che un approfondimento ed un ripasso possano portare almeno un raggio di luce alla mia perplessità, non solo ad alimentare le coscienze ma anche ad evolverle. Ci sono troppe bocche meccaniche.
EliminaGrazie per la tua attenzione
E' un tema complesso. I classici sono inossidabili e leggerli o rileggerli è sempre giovevole. Tuttavia si impara di più dagli alberi, come osservava Bernardo di Chiaravalle.
EliminaCiao
Sui classici tempo fa riflettevo nella seguente guisa:
EliminaNon so per quale motivo generazioni di studenti si accostino alla cultura classica anche nelle forme semplificate del sistema “educativo” liceale ed universitario di questi ultimi lustri, se poi non se ne ricava alcun insegnamento.
Lo storico Tucidide, nelle Storie, descrive con mirabile icasticità l’imperialismo ateniese, quando la pòlis attica represse in modo sanguinario la rivolta degli abitanti di Mitilene, nel 427 a.C. Perché allora non comprendiamo che le attuali “democrazie” sono basate sugli stessi strumenti coercitivi di cui si avvalsero i politici ateniesi, per imporre il loro predominio sugli avversari e sulle città “alleate”? Le vicende della Grecia, mutatis mutandis, contengono in nuce la storia contemporanea con la politica egemone ed aggressiva degli Stati Uniti… di Roma?
Fedro, considerato a torto un minore, con le sue favole ci insegna che i potenti sono tutti uguali: adattata ai nostri tempi, la morale dell'apologo L’asino ed il vecchio pastore è un’esortazione a non votare. Prima o dopo, infatti, gli uomini delle classi dirigenti tradiscono gli ingenui elettori. Un esempio: la liberalizzazione del mercato dell'energia, voluta dal ministro Bersani, ha comportato l’autorizzazione alla costruzione di una centrale turbogas ad Aprilia. Sono state numerose, in questi mesi, le manifestazioni dei cittadini, delle associazioni, dei comitati di quartiere, contrari alla realizzazione di un impianto rumoroso ed inquinante. Sia detto per inciso, le emissioni di ossido di carbonio derivanti da queste centrali sono un balsamo, se confrontate con le velenose sostanze contenute nelle scie chimiche, ma tant’è… Marrazzo, presidente della regione Lazio, durante la campagna elettorale aveva giurato e spergiurato che l’impianto non sarebbe stato costruito. È una promessa che ora non mantiene, perché colui ha dato il suo assenso alla realizzazione della centrale. Sì, proprio marrazzo che, in una nota trasmissione televisiva, berciava, gli occhi strabuzzati e le vene del collo turgide, contro i soprusi, le ingiustizie, le vessazioni del sistema italiano, ora, con disinvoltura, avalla le decisioni degli inquinatori.
Ammiano Marcellino, storico del IV secolo, ci offre un eccelso insegnamento sull’informazione che oscilla tra censura ed invenzione di notizie, quando afferma: “Chi tace i fatti da lui conosciuti non inganna meno di colui che inventa cose mai avvenute”. Difficile trovare parole più calzanti per descrivere le strategie disinformative dei media di regime e la genia dei “giornalisti”, pusillanimi barzelletieri.
Potrei proporre molti altri esempi che dimostrano come gli scrittori greci e latini più accorti avevano compreso quasi tutto dell’uomo e della storia. Chi ne ha letto le pagine più significative ed ha compenetrato l’intimo senso delle loro opere non può recarsi alle urne, non può credere alle menzogne dei pennivendoli, non può affidarsi all’uomo (homo, humus; uomo, fango). Non mi si citi Cicerone, scrittore di talento, ma, quasi sempre, noioso e superficiale divulgatore della filosofia greca, nonché democristiano ante litteram, come lo definisce Massimo Fini. Se dipendesse da me, ridimensionerei la presenza dell’Arpinate nei programmi di studio a favore di altri autori.
Si consideri infine la modernità del pensiero di molti classici, sul piano delle idee, ma anche la bellezza imperitura della letteratura greca e latina. Ne risalterà per contrasto, il servilismo e la crassa ignoranza della maggior parte degli “intellettuali” di oggi che amano esibire la loro “cultura”: le loro riflessioni non sono più profonde di quelle degli antichi, ma solo cerebrali ed astruse.
Davvero interessante questa tua riflessione, Zret.
EliminaIl motivo per cui i giovani si avvicinano alla cultura classica per via liceale ed universitaria, colpisce maggiormente il fattore superficiale ed anche il fascino che ha la cultura latina e greca nelle menti giovani. Sicuramente quando si giunge alle porte dell'istruzione universitaria, il fascino per la cultura greca e latina si amplia alle filosofie e dialettiche di certi autori di quel tempo. Qualcosa se ne trae ma vige sempre il "noi non possiamo far niente di fronte alla società attuale" perciò continuano a votare, continuano a dedicarsi agli svaghi e agli h(l)obby sempre più guidati e meno individuali.
A mio parere ed a mie spese, posso inoltre dire che per addentrarsi nella profondità di certe materie e studi, non si deve solo avere la passione di scoprire oltre e di sapere, ma soprattutto il coraggio, la tenacia di superare condizionamenti mentali, limiti. Sempre più difficile visto la solitudine e il disagio con cui la società ferma le menti brillanti.
Affermi:
" [...] Si consideri infine la modernità del pensiero di molti classici, sul piano delle idee, ma anche la bellezza imperitura della letteratura greca e latina. Ne risalterà per contrasto, il servilismo e la crassa ignoranza della maggior parte degli “intellettuali” di oggi che amano esibire la loro “cultura”: le loro riflessioni non sono più profonde di quelle degli antichi, ma solo cerebrali ed astruse. "
Motivo per cui ho tanta perplessità. Per non parlar poi di questi fantomatici intellettuali che ricoprono ruoli nella cerchia delle élite-caste, tanto più se non sei dentro alla loro gerarchia piramidale, i tuoi studi e le tue ricerche non valgono nulla. Non basta nemmeno che tu sia laureato.
Sembra proprio che la laurea sia spunto solo per chi può permettersi salti verso l'alto. Un titolo per loro, non per i comuni mortali.
Ps: tanto per farsi un'idea, dei 3 autori classici che hai citato non ne conosco nessuno!
EliminaPoco importa se non si conoscono i classici. Preferisco colloquiare con un agricoltore che con un laureato-ricercatore... dipendente. Poi basta osservare le cose e si impara molto di più. Il sapere cartaceo è inerte, diventa sterile erudizione, se non è avvivato dalla fiamma della curiositas.
EliminaHai ritratto i negazionisti, sedicenti intellettuali e scienziati che valgono meno di un baiocco bucato.
Ciao
http://zret.blogspot.it/2011/07/jail.html
RispondiEliminaPermettimi di intervenire ancora. Oltre al post ho osservato anche i commenti ed ho trovato interessante una tua risposta datata appunto 4 luglio 2011:
Elimina" [...] Le rivoluzioni sono ideate e sobillate dalle élites: anche le prossime sedizioni, invece di portare dei miglioramenti, saranno il preludio della tirannia mondiale. Temo. "
Credo che tuttora si continui a temere, dopo soli 3 anni, sembra avvicinarsi sempre più la tirannia mondiale!
Temi giustamente DOcean;
EliminaVi ho letto attentamente con veemenza, cerco di coinvolgermi con una piccola nota che ho tradotto:
"Anche se la nostra società non assomiglia alla distopia di Orwell, i suoi metodi di controllo mentale operano in luoghi molto critici, in cui si genera "l'informazione" della popolazione. Noi, naturalmente abbiamo la sorveglianza universale, per gentile concessione della NSA, telecamere CATV onnipresenti, e il monitoraggio cellulare. Il Grande Fratello che vede tutto è con noi, ma lui rimane dietro le quinte, e lui decide quali storie ci saranno dette circa il mondo da parte dei media mainstream."
"il sistema del multi-culto"
Ciao
Il mondo di oggi è una miscela micidiale tra Orwell e Huxley.
EliminaCiao
Talmente sorvegliati che basta persino un orologio sempre a portata di mano per sapere dove sei, come spendi i tuoi soldi e in che condizioni fisiche ti trovi.
Eliminahttp://it.euronews.com/2014/09/10/apple-a-cupertino-svelati-l-orologio-intelligente-e-il-nuovo-iphone/
Lo hanno ben pubblicizzato in tutte le TV oggi e, di come sarà comodo pagare senza contante.
EliminaTutto quello che ci succede, è che siamo noi stessi a permetterlo, anelando certi gadget ...
Essere posseduti dalla tecnologia è come essere posseduti da un demone. Heidegger l'aveva intuito.
EliminaCiao
La tirannia è ormai qui.
EliminaNon è tanto la cultura e l'informazione che ci condizionano, ma piuttosto i dogmi che vengono in tal modo creati, e quindi tramandati, e imposti .. se è scritto in un libro allora è vero. Se lo dicono in TV allora è vero etc ....
RispondiEliminaInternet sarebbe un ottimo mezzo di informazione ma la capacità di dar prova di buon senso e quella del discernimento scompaiono davanti alla facilità del delegare .. Vero, la tirannia, in tutti gli ambiti, la creiamo noi con l'accettazione passiva.
P.S. Nemmeno io conosco i classici ;)
Sì, la cultura è sempre crescita, mai condizionamento. Sono, invece, la propaganda e la disinformazione a strappare via l'intelligenza ed il discernimento. Dispiace dirlo, ma, tranne qualche eccezione, è la scuola il perno di un'ignoranza saccente, retorica e dolciastra.
EliminaCiao
In sociologia la seconda istituzione in cui cresce ed evolve la coscienza del bambino dopo la famiglia è la scuola infatti. Abbattere i dogmi con i quali la società forma i suoi sudditi è il primo sintomo di una mente che non vuole vivere limiti.
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