Pubblico un accuratissimo e documentato studio di Julius Ebnoether sul millenarismo, anche a complemento del testo “Il 666 è un numero d’uomo”. La fonte dell'articolo è la seguente: http://www.galluzzo.it/news.asp?id=1701
“Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell'Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo di questi dovrà essere sciolto per un po' di tempo. Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni. (Ap. 20,1-6).
Questo brano è stato interpretato letteralmente da Papia di Gerapoli (Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 39), da Ireneo di Lione (Ireneo, Contro le Eresie, V, 32-35), da Melitone di Sardi, da Tertulliano (Tertulliano, De Spe Fidelium e Tertulliano, Adversus Marcionem, III, 25), da Ippolito di Roma, da Cerinto (Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 28), da Metodio di Olimpo (Metodio, Symposium, IX, 1), da Apollinare di Laodicea (Epifanio, Contro le eresie, LXX, 36), da Commodiano (Instructiones, 41-44) e da Lattanzio (Divinae Institutiones, VII). Giustino martire (Dialogo con Trifone, 80) riferisce poi come, al suo tempo, alcuni cristiani interpretassero il regno millenario di Cristo in senso letterale, mentre altri propendevano per una spiegazione simbolica. Una lettura simbolica ed allegorica del regno millenario di Cristo fu invece data dal presbitero Caio (Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 28), da Origene, da Dionigi di Alessandria, da Eusebio di Cesarea (Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 39), da Girolamo (Girolamo, Gli Uomini Illustri, XVIII) e da Agostino (La Città di Dio, XX).
Il millenarismo è una dottrina cristiana, detta anche "chiliasmo", che, partendo dall’interpretazione letterale del capitolo XX dell’Apocalisse, annuncia l’imminente ritorno di Cristo sulla terra per stabilirvi un regno di beatitudine e di pace destinato a durare mille anni e riservato solo ad alcuni giusti. Questi vengono, di solito, identificati con i martiri delle persecuzioni (i 144.000 del libro dell’Apocalisse) che, grazie al sacrificio della loro vita in nome della fede, avranno il privilegio di una prima resurrezione, con precedenza assoluta sulla resurrezione di tutta l'umanità, sul giudizio universale e sull’instaurazione definitiva e gloriosa del regno di Dio (al termine del millennio). Il millenarismo si diffuse negli ambienti cristiani dell'Asia Minore soprattutto nel II secolo ed ebbe un certo rilievo anche in Occidente (grazie soprattutto all’opinione autorevole di Papia di Gerapoli, di Ireneo di Lione e di Tertulliano), sollevando un intenso dibattito teologico prima della sua condanna definitiva come dottrina eretica. Moltissimi eretici contribuirono poi a screditare il millenarismo letterale, proclamando l'attesa di un tempo di bengodi, di perversioni, di vizi, di dissolutezze e di depravazioni.
Dopo Agostino, il millenarismo letterale non ha più goduto il favore della chiesa ed anche oggi quasi tutti i cattolici considerano il millennio come un lungo periodo di tempo intercorrente dalla fine delle persecuzioni (e del paganesimo della Roma imperiale) alla liberazione di Satana, prima dell'attacco finale alla Chiesa e del ritorno visibile di Cristo per il giudizio universale. La prima resurrezione sarebbe pertanto simbolica e corrisponderebbe all'entrata nella gloria celeste delle anime dei martiri e dei cristiani, che non hanno ceduto alle tentazioni della bestia e del falso profeta (Apocalisse 6,9-11). A favore di tale tesi si dice infatti che: i) mai, in tutto il Nuovo Testamento, si parla di due resurrezioni e di due giudizi (si veda a tal proposito Matteo 25,31; Luca 16,4-31; Giovanni 5,28-29; 2 Corinzi 5,10; Ebrei 9,27); ii) nel Nuovo Testamento si parla invece, in senso simbolico, della resurrezione per spiegare il battesimo e la rinascita dell'uomo dalle tenebre della legge, dell'ignoranza e del peccato e per rappresentare la nuova vita in Cristo, nella luce, nella grazia e nello Spirito Santo (si veda a tal proposito Giovanni 5,24-26; Romani 6,4-5; Efesini 2,6; Colossesi 3,1); iii) il millenarismo letterale sembra avere matrice ebraica ed apocrifa (1 Enoch XCI-CIV; Salmi di Salomone XI-XVII; Oracoli Sibillini III), piuttosto che origini cristiane.
La condanna del millenarismo da parte della cristianità non è stata però dogmatica e definitiva e, anche all’interno della Chiesa Cattolica, sono sopravvissute, nei vari secoli, forme di millenarismo spirituale e moderato. Lo stesso Agostino, nella Città di Dio, prima di spiegare il senso del capitolo XX dell’Apocalisse, molto onestamente scrisse: Coloro, che sulla base delle parole di questo libro hanno congetturato che la prima risurrezione sarà dei corpi, sono stati spinti soprattutto dal numero di mille anni. Sembrò loro opportuno che nei santi in quella condizione avvenisse la celebrazione del sabato di un sacrale grande periodo di tempo, cioè con un periodo di riposo dopo seimila anni, da quando è stato creato l'uomo e per la pena del grande peccato fu espulso dalla felicità del paradiso nelle tribolazioni dell'attuale soggezione alla morte. Poiché si ha nella Scrittura: “Un solo giorno nel Signore come mille anni e mille anni come un sol giorno”, passati seimila anni come sei giorni, dovrebbe seguire il settimo del sabato negli ultimi mille anni per celebrare, cioè, il sabato con la risurrezione dei santi. L'opinione sarebbe comunque ammissibile se in quel sabato fosse riservato ai santi qualche godimento spirituale. Anch'io una volta ho avuto questa opinione. Ma essi dicono che coloro, i quali risusciteranno in quel tempo, attenderanno a sfrenate orge carnali, nelle quali sarebbe così abbondante il cibo e le bevande non solo da violare la moderazione, ma da sorpassare perfino la misura dell'incredibile. Ma queste storie possono essere credute soltanto dai carnali. Gli spirituali definiscono coloro che le credono con la parola greca χιλιασται che noi, derivando parola da parola, potremmo denominare i "millenaristi". È lungo ribatterli dettagliatamente; piuttosto dobbiamo esporre come si deve interpretare questo passo della Scrittura. (Agostino, La Città di Dio, XX, 7)
Fuori dalla Chiesa Cattolica il millenarismo è riaffiorato a più riprese nell'ambito di vari movimenti ereticali e riformati: basti pensare a Gioacchino da Fiore (1130-1202), ai francescani spirituali (XIII-XIV secolo), ai fratelli boemi (XV secolo), a Girolamo Savonarola (1452-1498) e agli anabattisti (secolo XVI). Oggi il millenarismo costituisce uno dei motivi di identificazione, e, allo stesso tempo, di maggiore popolarità, di alcune confessioni religiose, come gli avventisti del settimo giorno, i testimoni di Geova ed alcune sette fondamentaliste statunitensi.
Il millenarismo ha incontrato ed incontra un terreno fertile soprattutto laddove sono emerse ed emergono prospettive di fede poco equilibrate. Il rifugio in una speranza utopistica ma fortemente radicata alle realtà terrene potrebbe infatti essere frutto di un tentativo di fuga da posizioni estreme, oscillanti tra tentativi politico-temporali di autocostruzione del Regno di Dio e totale differimento delle speranze di salvezza ad una realtà trascendente ed ultraterrena. Nei secoli passati, nei confronti della fede e della preghiera l’atteggiamento di molti credenti non è stato, infatti, sempre equilibrato. Di fatto, convivono, tuttora, anche all’interno della Chiesa cattolica, posizioni magiche e fideistiche (che vedono nella preghiera la via maestra per forzare la mano a Dio, per ottenere continui miracoli, per sovvertire il mondo e la realtà) con atteggiamenti razionalisti ed intimisti (secondo cui la Divinità non ascolterebbe quasi mai le suppliche degli uomini, raramente difenderebbe gli oppressi, si interesserebbe limitatamente alla realtà ed alle sofferenze degli uomini, limitandosi a dispensare quantità peraltro limitate di forza, coraggio e saggezza ai suoi fedeli). Purtroppo i due atteggiamenti sono spesso legati a concezioni radicali della missione salvifica della Chiesa. Da un lato, il desiderio di una Chiesa politicizzata, gloriosa e trionfante già qui sulla terra, poco disposta a soffrire ma molto propensa a far soffrire peccatori, infedeli ed eretici, mentre dall’altro lato la simpatia verso una Chiesa esaltatrice della rinuncia, del dolore, della sofferenza, della persecuzione e della “croce a tutti i costi”.
Evidentemente, in Cristo, croce e resurrezione, sofferenza e gloria, umiliazione ed esaltazione sono indissolubilmente legate. Anche per il cristiano sono pertanto possibili gioie e sofferenze, sconfitte e vittorie, martirii e trionfi: sicuramente utopistica è l’opinione che il cristianesimo metta i credenti al riparo dalle prove della vita (Salmo 34,20) ma certamente blasfema è la convinzione che Dio non si prenda cura di noi (Salmo 55,23; 1 Corinzi 10,13; 1 Pietro 5,7; 2 Pietro 2,9). La verità più profonda ed equilibrata contenuta nella croce e nella partecipazione del cristiano alle sofferenze di Cristo per la costruzione della Chiesa (Colossesi 1,24) sembra pertanto risiedere, più che in posizioni estreme e poco equilibrate, nell’umile quotidianità (Matteo 10,38), cioè nella progressiva crocifissione delle opere morte della carne (Galati 5,18-21) e nella contemporanea graduale crescita dell’uomo nuovo (Efesini 4-5) e dei suoi frutti nello Spirito Santo (Galati 5,22-29). Il mistero della sofferenza, a questo punto, potrebbe perdere larga parte di quel carattere casuale e stocastico oggi tanto spesso invocato: la missione della Chiesa e dei credenti sarebbe quindi non tanto quella di indicare colpevoli ed innocenti, misteri ed enigmi, dubbi ed interrogativi, ma piuttosto quella di riflettere e di far riflettere sulla possibilità che molti mali che oggi affliggono l’umanità non siano solo frutto di esperienze di malvagità e stoltezza, ma anche dell’incapacità di crescere e di portare frutti di salvezza. Non è forse un caso che, nel Vangelo di Luca, la parabola del fico sterile (Luca 13, 6-9) segua immediatamente gli inviti alla conversione, dopo gli inspiegabili massacri di Pilato e l’incomprensibile caduta della torre di Siloe sui giudei innocenti (Luca 13,1-5).
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