09 marzo, 2006

La stella

Il celebre racconto di Arthur C. Clarke, intitolato La stella, narra di un’esplosione di un astro intorno all’anno zero. L’esplosione distrugge i pianeti del sistema con le civiltà che vi si erano sviluppate. La conflagrazione è visibile sulla Terra come l’astro che indica ai Magi il luogo in cui è nato il Salvatore.

Alcune migliaia di anni dopo un astronomo, appartenente alla Compagnia di Gesù, parte dalla Terra per una missione scientifica volta a studiare un ammasso denominato Phoenix. L’astronave, su cui viaggia un’equipe di ricercatori, raggiunge la nebulosa generata da un’immane catastrofe cosmica: approdato su un corpo celeste disabitato, il religioso scopre un congegno elettronico in cui sono registrate le informazioni di una civiltà annichilita dal collasso della stella. Allora sgomento capisce che la “cometa” della Natività, mentre indicava ai saggi orientali Betlemme, inceneriva gli evoluti abitanti di un pianeta distante migliaia di anni-luce.

La novella può, in un certo senso, sembrare quasi blasfema, poiché il protagonista comprende che Dio forse non esiste o, se esiste, gioca a dadi con l’universo, noncurante del destino delle creature che popolano le galassie. La fede dello scienziato, di fronte all’incomprensibile assurdità degli eventi, vacilla pericolosamente. Ciò che mina la fede è proprio la concomitanza tra l’apparizione della stella che annuncia la nascita di Cristo e l’annichilimento totale di una splendida civiltà.

Il testo si conclude con queste accorate parole del religioso: “Signore, perché avete gettato popoli così belli nella fornace ardente, per far brillare su Betlemme lo splendore della loro fine?”

In realtà l’autore, alieno da ogni polemica anticristiana e lontano da un grossolano ateismo, s’interroga sull’enigma del male o, forse, sull’imperscrutabilità delle decisioni divine, che, anche quando sembrano contraddittorie ed inesplicabili, adombrano un senso recondito. Infatti le verità ultime, se esistono, sono sepolte nell’abisso profondissimo del silenzio. Le domande sul dolore, sulla morte, sull’ineluttabilità degli eventi echeggiano negli spazi bui, gelidi e sterminati dell’universo, perdendosi come “la cenere degli astri”.

Un racconto come questo, nonostante le apparenze, è permeato da un afflato spirituale: credo che siano molto più spirituali quegli artisti e quelle persone che, tormentate dal dubbio, cercano una risposta, un significato trascendente rispetto a chi, invece, è convinto di possedere la “verità” e, a causa della sua fede tetragona ma ottusa, ignora il brivido del mistero.


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