Al versetto 32,25 del Genesi si legge: “Giacobbe rimase solo: or, un uomo lottò con lui fino allo spuntar dell’alba e, vedendo che non poteva vincere Giacobbe, lo colpì nella giuntura della coscia, sicché la giuntura dell’anca di Giacobbe si slogò nel lottare con lui. Allora quell’angelo gli disse:" Lasciami andare, perché sta spuntando l’alba. Ma Giacobbe rispose:" Non ti lascerò, finché tu non mi avrai benedetto". L’altro gli domandò: "Come ti chiami?" Rispose: "Giacobbe". Ed egli:" Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché sei stato forte contro Dio e con gli uomini ed hai vinto". Giacobbe gli chiese:" Dimmi, ti prego, il tuo nome". Ma quello rispose: "Perché vuoi sapere il mio nome?" E lì stesso lo benedisse. Giacobbe pose nome a quel luogo Fanuel, perché, disse, ho visto Dio faccia a faccia ed ho avuto salva la vita...” [1]
L'episodio biblico in cui l'autore indugia sulla lotta di Giacobbe contro l'angelo è uno dei più enigmatici del Genesi. E' forse, come il brano dedicato ai Nephelim, un lacerto di un'antica tradizione che rispecchia una mentalità "magica" poi offuscata e normalizzata, allorquando la Torah conobbe l'intervento di P il quale non accenna ad animali parlanti né a situazioni prodigiose né a malachim.
I teologi, quasi sempre, al cospetto di questo strano passo, offrono interpretazioni in cui sottolineano i valori simbolici ed etici della pugna. L'angelo è di solito identificato con Dio: tale esegesi è convalidata per mezzo dell'etimologia, giacché Israel significa "Colui che lotta contro Dio".
Nondimeno non si potrebbe tradurre con "Colui che lotta contro un dio, contro un essere soprannaturale?" Se restiamo ancorati all'ermeneutica canonica, difficilmente cercheremo di render conto dell'angelo che intende dileguarsi prima dell'alba. Proviamo a collocare tra parentesi le spiegazioni convenzionali e (gli interrogativi ) silenzi [2] :è possibile che il racconto sia la testimonianza di un incontro con l'"altro", quando gli uomini, non confinati nell'universo empirico, percepivano talora l'invisibile e si inoltravano in arcane dimensioni rasentanti quella ordinaria. L'episodio, benché inscritto in una rassicurante cornice teologica, lascia filtrare alcunché di ambiguo, quasi di conturbante. L'angelo abita nelle tenebre e rifiuta di comunicare il suo nome ad Israele.[3]
Il nome per gli antichi non era un flatus vocis, un'arbitraria sequenza di fonemi, ma essenza stessa della realtà, principio. Non sorprende quindi che l'angelo sia tanto restio a palesarlo: la sua natura profonda sarebbe stata disvelata. L'umano ed il divino, anche se si sfiorano, debbono rimanere distinti. Giacobbe ha scorto il volto di una creatura soprannaturale, ma di più non gli è concesso. Se proviamo ad enucleare una valenza metaforica dall'episodio, si potrebbe pensare ad un ammonimento a non profanare lo spazio del sacro.
Altrimenti, una lettura della lotta ingaggiata da Giacobbe contro l'angelo, come incontro-scontro con una potente creatura abitante di un regno contiguo al mondo ordinario, non mi pare peregrina. Le metafore teologiche ed etiche sono legittime, poiché è nella natura dei testi la stratificazione, ma paiono il risultato di un intento pedagogico.
[1] Fanuel o Peniel significa "Volto di Dio" o "Davanti a Dio".
[2] Ne riporto un esempio classico: “Il patriarca si attacca a Dio, gli forza la mano per ottenere una benedizione che obbligherà Dio nei confronti di coloro che dopo di lui porteranno il nome di Israele. Così la scena è potuta diventare l’immagine del combattimento spirituale e dell’efficacia di una preghiera insistente (Girolamo, Origene). Per altri l’angelo, lasciandosi vincere in questa lotta, dava una ferma speranza a Giacobbe di poter superare con molta maggiore facilità non solo Esaù, ma anche tutti i nemici e le avversità, come emerge dalle parole “perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Per altri si vuole anche indicare che Giacobbe, sempre più umile e diffidando di sé stesso, sente tutta la propria incapacità e con uno sforzo supremo si appella alla bontà e alla misericordia di Dio.
[3] Non mancano alcuni studiosi che reperiscono nell'etnonimo Israele un addentellato con la cultura egizia: Israel conterrebbe un rimando agli dei Iside ed a Ra. Se ne dedurrebbe un'origine egizia degli Ebrei o di un loro gruppo, un'origine rintracciabile pure nel nome Mosé e nella sua figura.
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L'episodio biblico in cui l'autore indugia sulla lotta di Giacobbe contro l'angelo è uno dei più enigmatici del Genesi. E' forse, come il brano dedicato ai Nephelim, un lacerto di un'antica tradizione che rispecchia una mentalità "magica" poi offuscata e normalizzata, allorquando la Torah conobbe l'intervento di P il quale non accenna ad animali parlanti né a situazioni prodigiose né a malachim.
I teologi, quasi sempre, al cospetto di questo strano passo, offrono interpretazioni in cui sottolineano i valori simbolici ed etici della pugna. L'angelo è di solito identificato con Dio: tale esegesi è convalidata per mezzo dell'etimologia, giacché Israel significa "Colui che lotta contro Dio".
Nondimeno non si potrebbe tradurre con "Colui che lotta contro un dio, contro un essere soprannaturale?" Se restiamo ancorati all'ermeneutica canonica, difficilmente cercheremo di render conto dell'angelo che intende dileguarsi prima dell'alba. Proviamo a collocare tra parentesi le spiegazioni convenzionali e (gli interrogativi ) silenzi [2] :è possibile che il racconto sia la testimonianza di un incontro con l'"altro", quando gli uomini, non confinati nell'universo empirico, percepivano talora l'invisibile e si inoltravano in arcane dimensioni rasentanti quella ordinaria. L'episodio, benché inscritto in una rassicurante cornice teologica, lascia filtrare alcunché di ambiguo, quasi di conturbante. L'angelo abita nelle tenebre e rifiuta di comunicare il suo nome ad Israele.[3]
Il nome per gli antichi non era un flatus vocis, un'arbitraria sequenza di fonemi, ma essenza stessa della realtà, principio. Non sorprende quindi che l'angelo sia tanto restio a palesarlo: la sua natura profonda sarebbe stata disvelata. L'umano ed il divino, anche se si sfiorano, debbono rimanere distinti. Giacobbe ha scorto il volto di una creatura soprannaturale, ma di più non gli è concesso. Se proviamo ad enucleare una valenza metaforica dall'episodio, si potrebbe pensare ad un ammonimento a non profanare lo spazio del sacro.
Altrimenti, una lettura della lotta ingaggiata da Giacobbe contro l'angelo, come incontro-scontro con una potente creatura abitante di un regno contiguo al mondo ordinario, non mi pare peregrina. Le metafore teologiche ed etiche sono legittime, poiché è nella natura dei testi la stratificazione, ma paiono il risultato di un intento pedagogico.
[1] Fanuel o Peniel significa "Volto di Dio" o "Davanti a Dio".
[2] Ne riporto un esempio classico: “Il patriarca si attacca a Dio, gli forza la mano per ottenere una benedizione che obbligherà Dio nei confronti di coloro che dopo di lui porteranno il nome di Israele. Così la scena è potuta diventare l’immagine del combattimento spirituale e dell’efficacia di una preghiera insistente (Girolamo, Origene). Per altri l’angelo, lasciandosi vincere in questa lotta, dava una ferma speranza a Giacobbe di poter superare con molta maggiore facilità non solo Esaù, ma anche tutti i nemici e le avversità, come emerge dalle parole “perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Per altri si vuole anche indicare che Giacobbe, sempre più umile e diffidando di sé stesso, sente tutta la propria incapacità e con uno sforzo supremo si appella alla bontà e alla misericordia di Dio.
[3] Non mancano alcuni studiosi che reperiscono nell'etnonimo Israele un addentellato con la cultura egizia: Israel conterrebbe un rimando agli dei Iside ed a Ra. Se ne dedurrebbe un'origine egizia degli Ebrei o di un loro gruppo, un'origine rintracciabile pure nel nome Mosé e nella sua figura.
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Interessantissimo!
RispondiEliminaNon ho capito bene però cosa pensi tu ? cosa era esattamente quell'angelo secondo te?
Difficile dire cosa stia a significare tale passo biblico, vera e propria 'crux interpretum'.
RispondiEliminaCi troviamo probabilmente di fronte ad una immagine astrale - una costellazione? - che parrebbe aver a che fare o con il Sagittario o riferirsi al punto di passaggio fra lo Scorpione ed il Sagittario.
Si noti appunto il cenno alla coscia o meglio alla giuntura fra bacino - in analogia con lo Scorpione - e la coscia stessa, parte del corpo quest'ultima astrologicamente in analogia con il Sagittario.
E mi pare di ricordare che anche nella Mitologia greca vi sia un personaggio - forse Priamo, ma non ricordo bene - che venne ferito ad una coscia da un cinghiale.
Probabilmente i redattori della Genesi avevano trovato da qualche parte fra la letteratura folkloristica del Medio Oriente antico tale leggenda, ma sicuramente pure ad essi il significato appariva ormai del tutto oscuro. Immagino che si siano presi pertanto la briga di umanizzarlo riferendolo ad un personaggio anch'esso mitico quale Giacobbe.
Se diamo ragione al buon vecchio Gerald Massey - uno dei padri ottocenteschi dell'Astroteologia - Giacobbe non è un personaggio storico ma corrisponde ad una immagine astrale, forse coincide con una stella (nota bene il riferimento all'alba che sta arrivando) anche se non saprei dire quale. Nulla a che vedere con interpretazioni di tipo misticheggiante od ascetico-esoterico.
Insomma dal mio punto di vista l'unica interpretazione possibile è quella astroteologica. Massey ha scritto molte cose sulla Genesi e sui rapporti fra l'Israele antico e l'Egitto. Per trovare la soluzione all'enigma si dovrebbero compulsare le sue opere.
Paolo è molto istruttiva l'interpretazione da te riportata e credo plausibile: nell'Odissea si descrive la ferita ricevuta da Odisseo alla coscia durante una caccia al cinghiale. Alcuni studiosi la interpretano in senso astronomico (mi pare anche De Santillana- Von Echend nel loro corposo Il mulino di Amleto). Anche la gara dell'arco (sempre nell'Odissea) in onore di Apollo è interpretata con riferimento allo Zodiaco: Apollo è (anche) il Sole e la freccia passa attraversi i fori di 12 scuri.
RispondiEliminaIniziato, non credo che l'esegesi mistica ed etica sia corretta: è un'esegesi a posteriori di un passo oscuro. Il motivo dell'alba che l'angelo pare temere mi induce a propendere che l'episodio sia la reminiscenza di un incontro con una creatura della notte che teme la luce. Non mi pare tuttavia peregrina l'ipotesi esplicativa riferita da Paolo.
Ciao e grazie.
Per quello che riguarda di nomi cambiati, la bibbia ne è piena, e come se fosse un vero cambiamento nella vita dell'individuo quando le succedeva qualcosa di eclatante ed importante per l'allora popolo di "Israele" alcuni esempi sono : Abram/Abramo, Sarai/Sara, Simone/Pietro, Saulo/Paolo), e così per tanti altri, tutto questo è perché la vita stessa di quel personaggio sta per cambiare.
RispondiEliminaPer quello che riguarda Giacobbe, (Ya‘aqov) e comunque la sua parola "aqev" vuol dire tallone, proprio perché Giacobbe venne alla luce attaccato al tallone di suo fratello gemello Esaù, e comunque ... la parola aqev vuol dire anche ingannare, truffare inciampare e falsificare.
Per quello che le è successo in Genesi 32,29: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!” secondo un racconto rabbinico l'angelo in questione dovrebbe essere "Michele".
Ysrael, è anche l’acrostico dei nomi di tutti i patriarchi e le matriarche del popolo ebraico.
Riconosco in tutto questo (anche se sono ancora in ricerca) l'influenza di saturno come il pianeta oscuro ed il riferimento alla serpe e allo scorpione di cui parlava Paolo.
wlady
Wlady, la tua osservazione sul cambiamento dei nomi, oltre ad essere opportuna, aggiunge un'altra tessera ad un mosaico affatto incompiuto.
RispondiEliminaCiti Esaù e mi sovvengono i Rossi cui dedicai tempo fa l'articolo Alla ricerca del sigillo reale. Ho dianzi scoperto su un forum in cui tale breve e modesta ricerca è stata riportata che è uno dei pochissimi studi sul gruppo RH negativo in correlazione alla Bibbia. Bisogna riconoscere che la Bibbia è piena di spunti interessanti. Penso qui ai Figli di Seth: se essi fossero gli eletti di Apocalisse e se gli eletti appartenessero ad una stirpe?
Attendo altri contributi.
Ciao e grazie.
A proposito di poemi omerici, Felice Vinci, fisico nucleare italiano, li ha studiati per 20 anni arrivando alla conclusione che siano ambientati nel Mar Baltico.
RispondiEliminaLink al suo libro "Omero nel Baltico":
http://tecalibri.altervista.org/V/VINCI-F_omero.htm
Sì, Anna, l'ipotesi di Vinci, sostenuta dalla Calzecchi Onesti e da pochi altri studiosi, ma avversata dalla maggioranza di archeologi e grecisti, è stata ripresa dai Settentrionalisti. Ho citato Vinci in alcuni articoli, tra cui I popoli del mare: un'origine nordica?
RispondiEliminaCiao e grazie.
Ti diro di piu, Zret, quello che viene chiamato ANGELO, nel testo orginale ebraico è chiamato ELOHIM!! Altro che Angelo! E sino ad allora solo D-o si è permesso di cambiare il nome a qualcuno, come ha fatto con Sarai che ha chiamato Sara e con Avrahm che ha chiamato Avraham.
RispondiEliminahttp://morgellons.splinder.com/tag/beth+qol+xiii
Sì, Betty, "angelo" è traduzione quanto mai approssimativa e forviante, tipica delle Bibbie... for dummies.
RispondiEliminaCiao e grazie.