30 maggio, 2011

Felicità, essere e tempo

L’insopprimibile anelito alla felicità che alberga in ogni uomo è forse il segno di una nostalgia, di una condizione contraddistinta da una perfezione primigenia. Chi e perché ci strappò da quello stato che cerchiamo disperatamente come ciechi che brancicano nel buio? Esiste la felicità o è solo una chimera? Perché è connaturata all’essere umano la ricerca della serenità? Sono domande che sono destinate a restare senza un responso soddisfacente, almeno nell’arco della nostra breve vita.

Un quesito cui, invece, è più facile replicare verte sulle circostanze che possiamo considerare elargitrici di gioia. Se, come notava Schopenauer, non sappiamo veramente per quale recondita ragione tendiamo verso obiettivi che ci donano un per quanto effimero appagamento, siamo consci di quanto siano gratificanti certi risultati. Il ricordo, sia pure sfocato, di quei piaceri ci sprona a ripercorrere le strade che menano al soddisfacimento. Sono strade – è arcinoto – disseminate di sassi roventi e di spini, ma tant’è…

Uomini simili a bruti perseguono solo la voluttà dei sensi, mentre le persone di natura elevata aspirano a ben altre mete, al nutrimento dell’anima. Le situazioni intermedie sono numerose. Gli Ottentotti, in fondo, desiderano prolungare indefinitamente certe sensazioni gradevoli, laddove gli “spiriti magni” vedono proprio nel tempo l’inciampo, adoperandosi per trascenderlo e negarlo. L’estasi di Plotino ed il nirvana sono proprio superamenti dei limiti spazio-temporali in cui è serrata l’esistenza.

Che cosa pensare dunque di quelle chiese che promettono una felicità eterna ai giusti in una terra rigenerata, ma pur sempre su questa terra, attraverso una vita idilliaca e serena, situata nello spazio e nel tempo? Mi pare una prospettiva poco desiderabile: non subentrerebbe ad un certo punto la noia? Anche qualora quella vita paradisiaca fosse allietata da mille delizie ed animata dal desiderio di studiare le meraviglie della natura, si gusterebbe, primo o dopo, il sapore stucchevole del già noto, a meno che tale stato non combaci con un flusso inconsapevole, ossia con una felicità dimentica, ignara di sé stessa, un po’ come quella degli animali che non provano la sofferenza legata alla coscienza di esistere. Suprema contraddizione: si è felici solo se non si sa di esserlo.

Vivere per sempre? Certo, Ziusudra tentò in ogni modo di carpire agli "dei" il segreto dell’immortalità, ma forse gli uomini sono più felici degli dei proprio perché mortali. Paradossalmente la felicità prospettata da taluni diverrebbe una condanna.

Antitetica è, ad esempio, la concezione della felicità in Dante che considera la beatitudine un pieno adeguamento alla volontà di Dio. Il Paradiso è luogo che è un non-luogo, un tempo che è un non-tempo. La beatitudine, ineffabile stato, è sull’orlo del non essere.

Chissà, forse l’unica vera felicità concessa all’uomo, creatura curva sul dolore e sull’angoscia, è l’estinzione, il nulla. Quante volte abbiamo desiderato spegnerci! Inutilmente. Eppure se la felicità non è l’annientamento, abita nelle regioni limitrofe dell’oblio, del silenzio, della lontananza infinita dal mondo.

Infine l’unica vera ricompensa per aver tanto patito e sopportato invano, potrebbe essere il niente… meglio di niente.


APOCALISSI ALIENE: il libro

28 maggio, 2011

Abzu

Recenti ricognizioni e studi nella Repubblica sudafricana, secondo alcuni studiosi, suggeriscono che la prima civiltà sulla Terra non sarebbe sbocciata in Sumeria circa 6.000 anni or sono, poiché i Sumeri potrebbero aver ereditato le loro conoscenze da un’antichissima cultura megalitica le cui vestigia sono costituite da strutture simili a fortezze e da menhir.

Che cosa?

Una cultura preistorica sudafricana ci ha lasciato statue scolpite nella dolerite che rappresentano enormi volatili, di cui alcuni simili al dio egizio Horus ed incisioni di dischi alati. Il monumento più significativo, che è stato battezzato Calendario di Adamo, è un cromlech, le cui colossali pietre del peso anche di cinque tonnellate, sono allineate ai punti cardinali, agli equinozi ed ai solstizi. Alcuni macigni traguardano Orione. Altre rovine di insediamenti sono disseminate oltre che nella Repubblica sudafricana, nello Zimbabwe, in Namibia, Zambia, Kenya, Mozambico ed in Botswana.

Dove?

In Africa australe: il complesso architettonico si estende in una zona compresa tra Waterval Boven, Machadodorp, Carolina e Dulstroom, nel Transvaal.

Quando?

Le testimonianze dovrebbero risalire a circa 100.000 anni fa. La cronologia è basata soprattutto su computi di natura precessionale.

Perché?

I manufatti, che sono presumibilmente osservatori astronomici, sono disseminati un’ampia regione dove sono stati rinvenuti pozzi minerari da cui si estraevano oro, rame, stagno, ferro e cobalto. Erano dunque dei siti dove accanto all’osservazione degli astri, si praticava un’intensa attività di estrazione.

Convergenze

Nota Michael Tellinger: “Le tavolette sumere descrivono per esteso i primi insediamenti umani ed un’attività di estrazione aurifera in una terra chiamata Abzu, la terra sotto l’equatore. I collegamenti tra civiltà sumera e Sud Africa non possono essere ignorati o cancellati e possono essere rintracciati etimologicamente nei nomi e nelle origini delle popolazioni indigene. La prova più evidente, che, però, non è mai stata spiegata, è la parola Abantu, il nome comunemente usato per i Neri sudafricani. Secondo lo sciamano, Credo Mutwa, il termine Abantu deriva dalla dea sumera Antu e significa “i figli o la gente di Antu”.

Sempre Tellinger osserva: “Il Calendario di Adamo è situato lungo la stessa linea longitudinale di 31 gradi dove sorgono il complesso di Great Zimbabwe e la Grande piramide di Gizah. Tre dei suoi monoliti erano allineati con il sorgere in orizzontale della cintura di Orione, quando questa si elevava all’orizzonte almeno 75.000 anni addietro. Il più recente calcolo astronomico suggerisce che l’ultima volta in cui la Cintura del Gran cacciatore si sarebbe elevata in orizzontale in quel luogo fu intorno a 160.000 anni fa. Il monolito coricato, posto sul cerchio esterno, ha la forma della testa del dio egizio Horus e ricorda anche i volatili scolpiti in cima ai pali di Great Zimbabwe.”

Scrive Adriano Forgione: “L’Università di Stanford in California ha appurato che gli esseri umani moderni ebbero origine in Africa meridionale più che in Africa orientale, come generalmente si supponeva”.

Le ricerche di Johan Heine, riprese e divulgate da Tellinger, paiono confermare le ipotesi del pur controverso Zecharia Sitchin circa una presenza nell’Africa australe (Abzu) di genti, dalle notevoli conoscenze, dedite soprattutto allo scavo di pozzi per ricavarne oro ed altri metalli. Lo studioso azero reputa che Homo sapiens sapiens fu creato circa 250.000 anni addietro proprio nell’Africa meridionale. Inoltre Sitchin et al. citano gli Igigu che, alle dipendenze degli Anunnaki, lavoravano di gran lena nelle miniere, come rievocato da certi miti sumeri, ma questa è un’altra storia…

Fonti:

Z. Sitchin, Il dodicesimo pianeta, 1976, passim
M. Tellinger, Il Calendario di Adamo, in Fenix n 30, aprile 2011




APOCALISSI ALIENE: il libro

25 maggio, 2011

La casa di Asterione

Ogni numero è una cifra.

Nel racconto "La casa di Asterione" J. L. Borges fotografa la condizione umana. Asterione, il Minotauro nato da un perverso connubio tra Pasife, regina di Cnosso, ed un toro, si aggira nel labirinto costruito da Dedalo: dilaniato dall'angoscia e dalla solitudine, egli aspetta il redentore. Il testo, con i meandri riflessivi in cui si perde il protagonista, rispecchia le circonvoluzioni cerebrali, le spire delle galassie, gli attorcigliamenti del pensiero. Non è forse il cosmo un immenso dedalo, come l'io che lo concepisce e lo percepisce?

Veramente, come scrisse Galilei, "l'universo è scritto in caratteri matematici": infatti è una vertigine di numeri che popolano le regioni astratte della mente. Insiemi infiniti di cifre si intersecano ad altri insiemi incommensurabili.

"Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo."... "Non compresi finché una visione notturna mi rivelò che anche i mari ed i templi sono infiniti".

La solitudine è il vagabondaggio in un mondo senza centro, le cui direzioni non portano in nessuna direzione: l'universo è una babele di simboli e di corridoi. La prigionia non è nei muri, nelle porte serrate, ma nell'infinità delle porte, degli aditi affacciati sul nulla. "Tutto esiste molte volte, infinite volte". Gli eoni si ripetono in un "eterno ritorno" di nascite e morti, di distruzioni e palingenesi, di risposte che partoriscono solo nuove domande.

"Soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto l'intricato sole: in basso Asterione. Forse fui io a creare le stelle ed il sole e questa enorme casa." Forse è l'io ad aver creato il tutto, ombra di un sogno perenne. Ecco: niente esiste, al di fuori di questo piccolo, gigantesco io che ha creato, nel suo ebbro delirio, gli astri e lo smisurato carcere della mente.

Il cosmo evocato dal narratore argentino nel suo abissale racconto è un incubo gnostico, nel cui cuore è annidato un dio febbricitante.

Quale può essere la via d'uscita da questa cella senza sbarre?

"Il sole brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.
'Lo crederesti, Arianna? - disse Teseo - 'Il Minotauro non s'è quasi difeso".

Come Asterione, anche noi attendiamo il redentore che "un giorno sorgerà dalla polvere".



APOCALISSI ALIENE: il libro

23 maggio, 2011

Franza o Spagna, purché non sia la solita lagna

Se certi eventi non accadono, ci si adopera in ogni modo affinché accadano.

Le recenti proteste in Spagna esigono che si compia un'analisi spassionata, senza lasciarsi trascinare dalle emozioni. Sentimenti di simpatia inducono a solidarizzare con i giovani "Indignati" che rivendicano un futuro migliore, emancipato dalla precarietà. Le istanze di una generazione priva di sbocchi sono condivisibili: gli "Indignati" chiedono lavoro e servizi, certezze per il loro avvenire, cui hanno diritto in quanto cittadini e contribuenti. Che abbiano deciso di manifestare in modo pacifico è lodevole.

Alcuni aspetti, però, non convincono: si ha l'impressione che, se il movimento non è stato creato dalle élites, se ne sia favorita la formazione, puntando sulla formidabile cassa di risonanza costituita oggi dalla Rete. Grazie ad Internet, sono stati fomentati disordini e rivoluzioni in alcuni stati medio-orientali: è noto che i gruppi arabi non sono spontanei, poiché sono finanziati e coordinati dall'esterno.

Alla prova del nove, il neonato movimento di contestazione, rivela già delle pecche: i giovani hanno invitato gli elettori a non votare per i due partiti maggiori spagnoli, invece di spronare a non votare tout court.

La protesta pare tenda ad atrofizzarsi nei soliti slogans contro le banche ed i governi corrotti, rei di ogni delitto: il tutto sa di deja-vu, il tutto ricorda i Grillini, una banda di sciagurati almeno quanto i potenti che fingono (o si illudono) di combattere.

Alcuni manifestanti inalberavano cartelli inneggianti a “Zeitgeist”, il pericoloso documentario che, simulando una critica serrata del sistema, vagheggia una società tecnocratica e mondialista. Sarà anche ingenuità, ma si somma all'astrattezza del programma e ad un'azione per ora più teatrale che concreta. Anche le maschere di V sono un segnale poco rassicurante...

Last, but not least: le manifestazioni non si sono saldate ad una chiara, incisiva lotta contro la geoingegneria, unico e solo grimaldello per scardinare il sistema. E' indiscutibile: o ci si decide a smascherare le ipocrisie e le nefandezze degli apparati, cominciando con la denuncia delle operazioni chimico-biologiche, come crimini contro l'umanità ed il pianeta, o ogni iniziativa si risolve, nel migliore dei casi, in una bolla di sapone. Gli "Indignati" potrebbero essere un espediente per sfilacciare ulteriormente il tessuto socio-economico con il fine di trovare il pretesto per dittatoriali giri di vite.

Votare per i partiti minori? Da quando in qua, optare per il cosiddetto male minore si è rivelata una scelta saggia? Speriamo che tale suggerimento sia stato una leggerezza, un errore tattico, ma cadono le braccia.

Per ora è bene sospendere il giudizio. Vediamo gli sviluppi della situazione: se studenti, operai, disoccupati spagnoli non si lasceranno strumentalizzare, se useranno la leva di Archimede, si potrà sperare in qualcosa di buono. Se...




APOCALISSI ALIENE: il libro

22 maggio, 2011

Verso Avalon

Salpasti per l'isola occidentale, verso orizzonti di azzurre praterie, tra fragranze d'infinito e di salsedine, seguendo nella notte le vie scintillanti degli astri sbriciolati sulle onde.

Nel vento planavano le sterne: in lontananza apparve Avalon, piena di meraviglie trasparenti, la terra su cui crescono alberi dai frutti d'oro.

Udisti la voce cullante della risacca, infine fu silenzio e quiete... più nulla...


APOCALISSI ALIENE: il libro

20 maggio, 2011

Pig

Roald Dahl è autore di un racconto atroce intitolato “Pig”. L’incipit è leggero: un giovane un po’ ingenuo di nome Lexington, allevato dalla zia Glosspan (Pangloss al contrario) nella più rigida osservanza dei principi vegetariani, dopo la morte della donna, scopre che gli piace il sapore della carne, sebbene di fatto non sappia che cosa stia mangiando. Ben presto, però, gli eventi prendono una piega inquietante. Mosso dalla curiosità per la succulenta pietanza nota come “carne suina”, su consiglio di un amico, Lexington decide di visitare un macello. Dopo aver atteso il suo turno, Lexington è chiamato per la visita guidata: viene così condotto in una zona in cui i maiali sono incatenati. Qui osserva come gli animali sono appesi per le zampe posteriori agli uncini di una catena mobile, come vengono scannati e come, sanguinando copiosamente dalla strozza, procedono a testa in giù lungo la “catena di smontaggio” per poi piombare in un calderone d’acqua bollente dove i suini vengono scuoiati. Dopodiché, tagliate le teste e gli arti, le carcasse sono pronte per essere squartate.

Mentre osserva la scena con una sorta di distaccato rapimento, Lexington stesso viene all’improvviso strattonato per una gamba e messo a testa in giù: così si accorge che è agganciato alla catena, proprio come i maiali. Allora si mette ad urlare come un ossesso: “C’è stato un terribile errore!”, ma gli operai ignorano le sue grida disperate. Presto la catena trascina lo sventurato vicino ad un tipo dalle sembianze bonarie che Lexington spera afferrerà l’assurdità della situazione, ma il cortese sgozzatore abbranca un orecchio e lo tira verso di sé. Infine sorridendogli in modo affabile gli recide con destrezza la vena giugulare con un coltello affilato. Mentre il giovane continua il suo straziante viaggio, il cuore gli pompa con forza il sangue che, scaturendo a fiotti dalla gola, inonda il pavimento di calcestruzzo. Benché Lexington si trovi a testa in giù e stia perdendo coscienza, nota in maniera indistinta i maiali davanti a lui che cadono, ad uno ad uno, nella caldaia fumante. Uno di loro, curiosamente, sembra indossare dei guanti bianchi sulle zampe anteriori: il particolare gli ricorda la giovane donna inguantata che poco prima lo aveva preceduto nel percorso dalla sala d’attesa alla zona della visita. Con un’immagine zoo-umana confusa nella mente, il protagonista scivola fuori da questo, “il migliore dei mondi possibili”, in quello successivo.

L’apologo di Dahl non descrive un mattatoio: è l’immagine truculenta ed atroce del mattatoio che definiamo in modo eufemistico “terra”. La prospettiva interna che spinge il lettore ad immedesimarsi, suo malgrado, nel protagonista, è lo stratagemma che rende il punto di vista un inferno. Lo Spannung, più che percuotere un punto della storia, si allarga in una ribollente pozza di sangue, tra carcasse sviscerate ed asettici macchinari. Le stesse sequenze non sono nuclei narrativi, ma osceni quarti di carne.

Il problema è il seguente: carneficina, massacro, macello, sgozzamento, sventramento… sono solo parole e, mentre scrivo questo testo, milioni di animali sono torturati negli allevamenti industriali e nei laboratori. Sono vivisezionati ed intossicati nei centri di ricerca. Sono presi all’amo, irretiti, scannati, decapitati, spellati, scorticati, cotti vivi, maciullati, tritati… per finire sulle nostre laute imbandigioni.

Tutto ciò avviene nella più beata indifferenza di un’umanità subumana: l’inenarrabile strazio è fagocitato dalla becera ipocrisia degli strenui difensori della vita, i paladini degli embrioni e dei malati senza speranza. Non mi si racconti la frottola, secondo cui le sevizie cui vengono sottoposti gli animali di laboratorio sarebbero il presupposto del progresso medico: se anche, per assurdo così fosse, ci rinuncerei senza esitazione. Non mi si racconti che le feroci sofferenze degli animali trovano una qualsiasi giustificazione o motivo nella magnifica economia dell’universo, nella leibnitziana “armonia prestabilita”.

Un nero, soffocato urlo di angoscia e di terrore si leva verso le deserte regioni del cielo. Se tutto questo finirà, sarà sempre troppo tardi. Se esiste un karman lo alimentiamo anche mentre ci alimentiamo con la carne: Dio solo sa quanti, quali e per quanto tempo i patimenti ci dilanieranno, prima di poter estinguere il nostro debito.

Tuttavia la vita si nutre della morte ed i vivi sono pieni all’interno di cadaveri nonché cadaveri dinoccolati essi stessi: è anche questo il mondo, piaccia o no.

Infine è quasi ora di cena. Un’appetitosa e calda costoletta è in tavola. Buon appetito.


APOCALISSI ALIENE: il libro

18 maggio, 2011

Vesica piscis

Nel libro X (capitolo XII) dell'opera intitolata "Le confessioni", Agostino scrive: "La memoria contiene altresì i rapporti e le numerosissime leggi dell'aritmetica e della geometria, nessuna delle quali è stata impressa dai sensi esterni, non essendo affatto colorate o sonore o odorose, non sapide, non tangibili. Quando se ne discute, percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un'altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci né latini né di qualsiasi altra lingua. Vidi linee sottilissime come fili di ragnatele tracciate da artefici, ma le linee geometriche sono ben diverse dalle immagine di quelle che l'occhio corporale mi ha fatto conoscere: uno le conosce dentro di sé, senza bisogno di pensare ad un oggetto qualsiasi".

Il passaggio riportato darebbe adito a tante e tali riflessioni che occorrerebbero interi volumi per svilupparle. Pertanto circoscrivo l'indagine a qualche aspetto di valenza linguistica ed epistemologica. Noto in primis che l'autore risente del dualismo peculiare della religione manichea cui aveva aderito in giovinezza e che, dopo l'incontro con Ambrogio, abbandonò sino a combatterlo strenuamente. Siamo in ambito diverso, non più etico, ma pur sempre di fronte ad una serie di dicotomie: la separazione tra significante (struttura del segno) e significato; la differenza tra esterno ed interno; la distinzione tra concreto ed astratto. Sono concetti filosofici sussunti nel senso comune [1], ma poiché per il pensiero non ci vuole l'accetta, si è costretti a concludere che nulla dimostra che fuori e dentro, concretezza ed astrazione sono entità divise.

La divaricazione agostiniana tra forma e contenuto è discutibile: "Percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un'altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci né latini né di qualsiasi altra lingua". Sappiamo che il significante è, in alcuni casi, agganciato al senso: non mi riferisco solo ai vocaboli onomatopeici (icone), piuttosto all'arcano potere delle vibrazioni di codificare modelli, immagini, archetipi sicché l'idea è almeno in parte impastata di suoni, di odori, di sapori... Non è forse il Logos ("verbo" che ha la stessa radice di vibrazione) a condensarsi in oggetti e ad adombrare significati? Non è del tutto vero che i concetti non sono né greci né latini: ogni idioma possiede un quid che struttura i contenuti, secondo schemi a priori. Queste categorie si riflettono sulle forme e sono riflessi da esse, essendo i fenomeni linguistici biunivoci.

La distinzione tra gli enti della matematica e gli oggetti della cosiddetta realtà è, in fondo, una petizione di principio: siamo certi che esistono idee geometriche ed aritmetiche innate? Se sì, chi le ha introdotte nella mente? Conoscere i numeri ed i loro rapporti può prescindere da un pensiero diretto verso un referente? Sono domande cui è arduo rispondere, poiché implicano la risoluzione di problemi quali la ricezione, la percezione, l'appercezione (percezione consapevole), la memoria, il pensiero... Chi pensa che cosa? Chi o che cos'è questo qui che pensa? Un'anima? Una sostanza? Un fascio di sensazioni, un sofisticato computer o che cos'altro?

La questione è molto più complessa di come la prospetta Agostino che esprime delle concezioni ancora oggi ben radicate (si pensi ai matematici platonici ed ai glottologi convenzionalisti), ma non per questo del tutto condivisibili. Così il vescovo di Ippona, al culmine di un lungo processo speculativo, si ferma ad un'esegesi del mondo che, pur non priva di qualche spunto originale, è per lo più una rielaborazione di teorie classiche, soprattutto platoniche e neo-platoniche.

Oggi, digiuni di qualsiasi cognizione epistemologica, certi individui, con sicumera tutta "scientifica" ed altrettanto dogmatica, riescono a distinguere tra reale ed irreale, tra esterno ed interno, tra output ed input, tra fatto e teoria etc. Difendono la loro misera, ingenua visione del mondo, con una corazza... di paglia.

[1] Si può reputare il senso comune una sorta di filosofia semplificata, pret-à-porter, pratica, utile, ma mediocre.


APOCALISSI ALIENE: il libro

15 maggio, 2011

Civiltà matrigne

La Paleoastronautica ha subìto in questi ultimi tempi una sensibile metamorfosi. Tramontati quasi del tutto gli ingenui sogni di un tempo, popolati da visitatori che incivilirono gli uomini, trasmettendo loro conoscenze e princìpi etici, la Clipeologia oggi comincia ad accarezzare ipotesi molto diverse: presunti alieni intervennero migliaia di anni fa, ma non per elargire doni (Timeo Danaos et dona ferentes), quanto per selezionare ominidi e trasformarli in schiavi (lulu) di “dei” infernali.

Non più astronavi rutilanti da cui scendevano “angeli” intenti a creare religioni atte a dirozzare genti nomadi dedite alla pastorizia, non più la rassicurante presenza di istruttori cosmici (alla Von Daniken et al.), ma spregiudicati e capricciosi extraterrestri che, dopo aver generato dei servitori, a loro immagine e somiglianza, pentitisi della loro creazione, decidono di sterminarli. Fazioni in strenua lotta e guerre nei cieli: qualcuno vuole preservare i “lavoratori primitivi", più che altro per continuare ad essere adorato e servito, qualcun altro intende distruggerli. “Schiavi degli invisibili”, pensiamo di decidere il nostro destino e che la natura sia perfida, quando gli stessi cataclismi cosiddetti “naturali” potrebbero essere stati delle armi di distruzione di massa, dei sistemi di controllo demografico, diluvio universale incluso.

Le infami “Georgia guidestones” indicano gli scopi delle élites che intendono falcidiare la popolazione del pianeta, ma queste carneficine non sono confinate nelle farneticazioni dei potenti di oggi, nei piani per un incombente futuro: tali stragi sono l’ignorato e collaudato stratagemma di civiltà matrigne. Dalle inondazioni universali alle ricorrenti pandemie, tra cui la rovinosa peste nera del 1346-1348, sino ai recenti sismi, la storia è costellata di calamità artificiali: altro che meteoriti o onde provenienti dal centro della Galassia o topi pulciosi! Il cielo è trafitto da luci che non sono stelle.

Così il documentario “Enigmi alieni: la guerra dei mondi” di History channel, pur nell’approccio a volte semplicistico al tema, rivela l’incredibile virata della Paleoastronautica, da ottimistica ricostruzione del passato a “teoria” della cospirazione ante litteram. Chi e perché ha agito dietro le quinte per dirigere gli eventi, da tempo immemorabile?

Gli antichi testi indiani, le tavolette sumeriche interpretate anche dal vituperato Sitchin che, dietro il suo sguardo sornione, sembra denunciare il pericolo costituito dagli Anunnaki, nonché molte altre tradizioni, ci mostrano in controluce i lineamenti di esseri sinistri.

Così oggi ferve il dibattito tra i sostenitori dei rapimenti come mezzo per elevare gli uomini o allenarli ad un futuro fantastico e chi vede nelle abductions l’interfaccia di un programma spaventoso tra ibridazione e psico-tecnologia, un progetto ideato da tagliagole cosmici, da vampiri di anime. Sono visioni più divergenti che incompatibili: ci pare che la prima abbia meno aggetto vista la durezza della situazione attuale.

Scie chimiche, armi segrete, terremoti indotti, malattie sempre più aggressive, schiavitù ed abbrutimento dell’umanità, cibo avvelenato, attività di depopulation, digitalizzazione dell’identità e chi più ne ha più ne metta… e noi ancora qui a pensare che sia tutta colpa di politici corrotti e di banchieri avidi.



APOCALISSI ALIENE: il libro

12 maggio, 2011

Il mistero dell'iniquità

Né le stelle né il sole
si risveglieranno,
non vi sarà mutamento di stagione,
né suoni melodiosi
o estatiche visioni.
Solo il sonno eterno
in una eterna notte.

(M. P., Proserpina)


Chi può negare che il mondo è dominato da una profonda ingiustizia? Vediamo il destino accanirsi contro i giusti, i deboli, gli inermi, mentre i reprobi trionfano e le loro malefatte non solo sono impunite, ma anche glorificate. Gli uomini talentuosi sono spesso misconosciuti, mentre i mestieranti occupano le cattedre universitarie. I benefattori ricevono come guiderdone ingratitudine, calunnie e sventure.

E' come se tale iniquità non fosse casuale.

Seneca scrive che Dio mette alla prova i probi, vagliando la loro capacità di sopportazione. Potrebbe essere. Sempre a proposito del Creatore, Nigel Kerner afferma che Dio (l’autore lo definisce Godverse) non interviene, poiché non può: è una prospettiva raggelante, ma forse non del tutto lontana dal vero. Quante invocazioni disperate e non di persone avvezze a pettinare le bambole, si perdono nel silenzio più nero! Il segreto dell’iniquità si sposa con il mistero del silenzio di Dio.

Sembra che l’unico miracolo elargito a chi è dilaniato da patimenti indicibili sia la morte, considerata la cessazione di ogni dolore, sempre che…

E’ naturale: il nodo si intreccia anche con l’enigma del male che sembra qualcosa di più di un semplice defectus boni, come sostiene Agostino.

Come compensazione gli uomini hanno ideato il futuro: è nel futuro, infatti, che sarà finalmente stabilita la giustizia. La giustizia è post mortem, l’equo riconoscimento è postumo, ai posteri spetta di pronunciare l’ardua e cristallina sentenza. Non sarà dunque così per sempre: i gaglioffi pagheranno il fio, ma per ora imperversano.

Le religioni rivestono un ruolo fondamentale, quali visioni prospettiche di un mondo rigenerato e redento. Anche quei filosofi che valorizzano l ’hic et nunc sono costretti a collocare in un avvenire incerto l’avvento di una nuova era: si pensi all’Ubermensch (Oltreuomo) di Nietzsche che è appunto oltre il suo stesso, trionfale annuncio. Le religioni e certe filosofie sono verbi che si coniugano solo al futuro.

L’ontogenesi palesa una situazione parallela: l’adolescente vagheggia gli anni in cui sarà felice, ignorando che cosa lo attenda. Sarebbe meglio se leggesse ed assimilasse l’insegnamento contenuto nella poesia “Il sabato del villaggio”: non solo prima o poi verrà “il dì di festa”, ma forse qualcuno gli farà la festa.

A volte si ha l’impressione che all’universo non soggiaccia l’irrazionalità, poiché una struttura siffatta sarebbe probabilistica e distribuirebbe rose e spine in modo più o meno equivalente, ma una razionalità al contrario.

Un dubbio più che cartesiano ci impone di dubitare delle promised lands, ci costringe non a credere, ma a cercare varchi eventuali, cardini che potrebbero cedere, brecce suscettibili di allargarsi.

Forse non risusciteremo, non continueremo a vivere in un altro “luogo”: spezzatosi il breve arco della vita, si sprofonda nel nulla. Lo stesso Dio potrebbe essere veramente, come opina Kerner, per la sua stessa natura, estraneo, volente o nolente, alle miserevoli vicende umane e non solo umane. Perché mai le nostre piccole vite dovrebbero essere tanto importanti in questo cosmo sconfinato e muto?

Un giorno il sole affonderà nel glaciale oceano di una notte infinita per non risorgere più.



APOCALISSI ALIENE: il libro

10 maggio, 2011

Viaggi astrali e presunti rapimenti alieni

Un incontro ravvicinato del terzo tipo, riportato da Antonio Chiumento nel libro “Apri gli occhi”, ci permette di svolgere qualche riflessione sulle analogie tra alcune esperienze di contatto ed i cosiddetti viaggi astrali.

Scrive Chiumento: “Il signor Paride nacque a Desio, in provincia di Milano, nel 1971. La sua famiglia si trasferì ben presto a Lignano Sabbiadoro (UD). Al tempo dell’indagine dell’autore, l’uomo prestava il servizio civile a Pozzuolo del Friuli (UD) ed era studente della facoltà di Scienze naturali all’Università degli studi di Trieste. Nel corso degli anni, il signor Paride fu implicato in quattro strani episodi. […] Quando aveva sette anni si verificò il primo episodio. 'Una notte mi svegliai gridando, per il fatto che sentii due mani che mi stringevano le caviglie'. Alcuni anni dopo, durante una notte, il giovane si sentì immobilizzato: non riusciva né a voltarsi né a muovere un arto, anche se stava tentando di tendere, inutilmente i muscoli. In quegli istanti sapeva di essere sveglio e di avere gli occhi chiusi ed era molto spaventato; egli comunque si rammentò di essersi svegliato normalmente qualche tempo dopo.

Il terzo episodio avvenne nel 1995 con le stesse modalità del secondo. Anche in questo caso si sentì immobilizzato: la differenza fu, però, rispetto alle esperienze precedenti, il fatto che il testimone si sentì dire nella sua mente: 'Dove credi di andare?'

L’ultimo episodio, il più importante, accadde nella notte tra domenica 21 giugno e lunedì 22 1998, sempre nella sua abitazione di Lignano Sabbiadoro. Il signor Paride, dopo aver trascorso la serata con alcuni amici, tornò a casa ed andò subito a dormire. Alle ore 1:30 - 2:00 circa si svegliò con il pensiero che ci fosse qualcosa d’insolito nella stanza. Quindi cercò di aprire gli occhi e di voltarsi, facendo leva su tutte le forze. Non appena riuscì a girarsi, vide alla sua destra degli esseri: uno di fronte a lui e, parzialmente, altri tre piccoli dietro al primo. L’uomo fu sicuro di ciò che stava osservando per il fatto che, attraverso le fessure della tapparella, tirata giù, della porta finestra della sua camera, vedeva entrare una luce bianchissima. Quest’ultima, secondo il testimone, non proveniva dal vicino lampione stradale, perché era molto intensa: infatti illuminava sufficientemente parte della stanza al punto che egli riusciva a vedere anche l’ombra di alcuni mobili. Alla vista degli esseri, il signor Paride urlò subito, ma dalla bocca uscì una voce assai fievole; cercò di gridare una seconda ed una terza volta ed in quest’ultimo tentativo venne fuori una voce molto più forte che, però, non riuscì a destare i genitori e la sorella, anche se dormivano tutti con la porta della propria camera aperta. […] L’uomo avvertì la presenza di un quinto essere situato ai piedi del letto, mentre un sesto essere esercitò una pressione con le mani sul suo petto; nel contempo sentì anche delle dita di una terza mano che gli entravano in gola. Dopodiché il teste si rilassò […] 'Era come se galleggiassi' ed in quella circostanza ebbe anche l’impressione di vedere il suo corpo disteso sul letto.[…] Venendo alla fisionomia degli esseri, il signor Paride ricorda che il più grande era alto 1,20 circa. Aveva due grandi occhi neri, la bocca piccola, la pelle era di un verde sbiadito tendente al grigio”.[1]

Come si può notare dalle esperienze riferite, certe condizioni accomunano i vissuti di contatto con presunti alieni ed i viaggi astrali, conosciuti anche come out of body experiences (O.O.B.E.). Le uscite dal soma sono di solito costellate dalle seguenti invarianti: il senso di panico, la paralisi, l’impossibilità di aprire gli occhi, la difficoltà a parlare, la sensazione di fluttuare, la visione del proprio corpo disteso sul letto. Sono aspetti rintracciabili nel caso del signor Paride ed in altri simili.

Che cosa implicano tali somiglianze? E’ possibile che supposti visitatori agiscano non nel piano fisico, ma nella sfera definita appunto astrale: forse il testimone di Lignano Sabbiadoro, nel momento in cui rievoca la percezione di galleggiamento, era stato rapito dai visitatori notturni. Probabilmente il testimone non è conscio né memore di essere stato vittima di un’abduction.

Fra i vari particolari che sembrano connettere le abductions alle esperienze extra-corporee, non trascurerei la luce descritta sovente dagli onironauti: è un chiarore azzurrognolo non dissimile dalla radiosità di colorazione analoga osservata dai sequestrati. Talora i rapiti e coloro che, volenti o nolenti, stanno per sgusciare dal soma, odono un ronzio.

Le creature che gli onironauti affermano di incontrare nel piano astrale sono le stesse che rapiscono o è un livello popolato ed attraversato da entità eteriche come da alieni? Comunque sia, pensare che eventuali rapitori prelevino il corpo fisico e che operino solo nella dimensione materiale densa è quasi certamente errato: esistono altri ambiti cui creature interdimensionali possono accedere (o vi sono intrappolate?) al punto che certe incongruenze riscontrate dai ricercatori paladini dell’Ufologia “viti e bulloni” non sono più tali, poiché, ad esempio, la concomitanza tra abduction e presenza nel letto della vittima con il suo corpo fisico si spiega, postulando l’esistenza di altri piani oltre a quello percettibile con i cinque sensi. La realtà è molto più complessa di quanto la più fervida immaginazione possa immaginare.

[1] E’ il classico disegno di un Grigio.

Fonti:

A. Bruno, La dinamica basilare dei viaggi astrali
A. Chiumento, Apri gli occhi, 2010, Padova, pp. 165-167




08 maggio, 2011

Il delitto corre sulle microonde

Il segnale del picchio verde

Il 14 ottobre 1976, tutte le comunicazioni radio del globo furono interrotte da segnali radio di forte intensità. Le emissioni erano irregolari e si alternavano frequenze molto elevate a frequenze molto basse.

L'Unione sovietica, dopo essere stata identificata come la diretta responsabile, presentò delle formali scuse a tutti i paesi che avevano protestato. I loro "esperimenti" erano all'origine di questi disturbi. Poco dopo i Russi cambiarono lunghezza d'onda e cominciarono così le emissioni di gigantesche onde elettromagnetiche stazionarie.

I Sovietici avevano usato il "PIVERT", chiamato anche "Woodpecker" (Picchio), a causa del caratteristico suono ritmato che i rilevatori di segnali elettromagnetici avevano registrato. Questo suono assomiglia al rumore che si produce, battendo su una tavola con una penna, a una velocità di 14 colpi al secondo. Pare che il segnale venisse dalle città sovietiche di Riga e di Gomel, dove i Sovietici sperimentavano dei mastodontici generatori ad energia continua basati sulla tecnologia di Tesla. Come bersaglio fu scelta l'ambasciata statunitense a Mosca: tra il personale del consolato molti accusarono disturbi di varia natura (cefalea, insonnia, inappetenza, irritabilità, depressione...); alcuni furono colpiti da patologie, anche gravi, tra cui emorragie cerebrali, ictus, attacchi epilettici e tumori.

La strana morte di Mark Purdey

L'abitazione del medico veterinario Mark Purdey fu incendiata. Un giorno trovò la sua linea telefonica isolata. Un'altra volta vide degli estranei che si aggiravano, con fare sospetto, nei paraggi della sua fattoria. Questi estranei pedinarono a lungo sia lui sia la moglie. L'avvocato di Purdey morì in un incidente stradale, avendo perso il controllo dell'auto su cui viaggiava. E' stato riferito che un giorno l'autoveicolo, con alla guida Purdey, incrociò un autocarro dotato di strane apparecchiature. La morte di Purdey è avvolta nel mistero: il tumore cerebrale che lo colpì fu causato da campi elettromagnetici mirati e potenti?

Da fine ottobre 2010 sino ad aprile 2011 la nostra famiglia è stata coinvolta in una serie di drammatici eventi che, alla fine, nonostante innumerevoli tentativi, hanno portato alla morte di nostro padre, avvenuta il 3 aprile 2011. Molti dei lettori sapranno che nel periodo compreso tra fine novembre 2010 sino al 17 gennaio 2011, mio padre ed io siamo stati a Rozzano (MI), presso il centro ospedaliero Humanitas. Non mi dilungo nei particolari, visto che chi vorrà approfondire, può leggere questa sorta di resoconto in memoria del papà.

Dobbiamo giocoforza, però, ritornare su questa storia, poiché abbiamo il fondato sospetto che nostro padre sia stato, diciamo così... aiutato a morire. Sul tetto dell'edificio di fronte (sette piani - ora disabitato), a 110 metri di distanza, nel marzo 2005, furono installate due antenne di telefonia mobile. Nel settembre 2005 mio padre cominciò a conclamare disturbi motori per un tumore (glioblastoma IV, causato dai campi magnetici della telefonia mobile), che, però, non gli fu diagnosticato. Infatti, sino a dicembre 2010, tutti pensavamo, a causa di una diagnosi sbagliata dei medici sanremesi, al morbo di Parkinson.

_blankUna relazione di causa-effetto tra smog elettromagnetico e cancro al cervello intercorre evidentemente. Fatto sta che il nostro babbo conclamò in modo drammatico il tumore all'encefalo, il Glioblastoma IV, solo nell'ottobre 2010. Per cercare di salvarlo, decidemmo il ricovero in un centro specializzato per questo tipo di neuropatie, l'Humanitas.

Alla fine di dicembre 2010 mio fratello ed io iniziammo a concordare telefonicamente il rientro a casa, affinché fosse tutto pronto per la lunga convalescenza di papà a letto.

Il 17 gennaio 2011 il babbo firmò per le dimissioni. Partimmo alla volta di Sanremo dove arrivammo nel tardo pomeriggio.

Papà quella sera cenò nel suo letto, seguì qualche programma in televisione e si addormentò sereno, finalmente era a casa sua, con la famiglia. Ci sembrava di aver toccato il cielo con un dito: pensammo che l'incubo fosse concluso, ma qualcosa di terribile stava per accadere.

18 gennaio 2011, alle 8:30 di mattina sentii gridare mio padre che accusava un fortissimo dolore al piede sinistro. Visto il viaggio del giorno prima in auto, pensai ad un crampo e cominciai a massaggiare l’arto. Non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto che non era un innocuo crampo muscolare. Vidi, infatti, che papà cominciava a contrarre il viso, a sbattere gli occhi, a serrare la bocca. Nell’attimo in cui compresi, saltando dall'altra sponda del letto, che si trattava di una probabile emorragia cerebrale con attacchi epilettici, il dramma era già compiuto, poiché in quei secondi preziosi papà si morse la lingua, le labbra e si sublussò la mandibola, scheggiando anche due denti incisivi. Dovemmo chiamare subito il pronto intervento. I paramedici arrivarono dopo pochi minuti, mentre le scariche epilettiche di papà si ripetevano ed il sangue schizzava da tutte le parti. Subito lo portarono via. Lo seguii in ospedale. Le crisi epilettiche si avvicendarono per circa 40 minuti, nonostante i sedativi somministrati per “spegnere” le scariche. Il cuore arrivò per un attimo a 150 pulsazioni al minuto, poi si stabilizzò e papà si risvegliò. Una lacrima gli sgorgò dall’occhio destro. Chiamai l’infermiera, che per quei lunghissimi minuti era rimasta fuori, in una saletta adiacente. La informai che papà era appena uscito dalle crisi epilettiche. Lo trasferirono quindi nella stroke-unit.

Incredibilmente l’emorragia cerebrale, con sede nella zona dell’intervento stereotassico e che aveva procurato le crisi epilettiche, non produsse all'apparenza ulteriori danni neurologici. Gli arti si muovevano ancora e papà parlava in modo normale. Soffriva, però, di un’amnesia a breve e medio termine, ma questo sintomo è spesso causato dell’epilessia. In realtà non ricordava più neanche del ricovero a Rozzano.

Una settimana prima del ritorno a Sanremo mio fratello mi aveva comunicato che erano state installate delle nuove antenne sulla palazzina di fronte. Scattò, per fortuna, una serie di fotografie, adoperando la nostra vecchia videocamera Panasonic.

Mio padre, tutto sommato, al rientro a Sanremo, era in buone condizioni. Fatto sta che, solo 14 ore circa dopo il nostro rientro a casa, egli subì una gravissima emorragia cerebrale con annesse crisi epilettiche che si protrasero per un'ora. Caso vuole, una settimana circa prima, sul tetto dello stabile di fronte, era stato aggiunto uno strano apparato, che poi fu, fatto strano, rimosso il giorno successivo al decesso di nostro padre e solo quattro mesi dopo la sua installazione. Si notino il cablaggio avvolto in modo visibilmente provvisorio, il diametro notevole dei cavi e lo strano aspetto e colore dell'"antenna".

Nei giorni immediatamente precedenti al decesso, nostro padre fu colpito da altre due emorragie con crisi epilettiche. Fu la fine. Il 2 aprile entrò in coma ed il 3 aprile 2011, alle ore 23.11, esalò l'ultimo suo respiro.

Ci è stato confermato da diverse fonti "del mestiere" che quel particolare apparato, installato in direzione dei nostri locali d'abitazione per circa 130 giorni ed ora rimosso, è un'apparecchiatura "camuffata" probabilmente con sottile telo che, con molta probabilità è un cosiddetto "quinta banda" e cioè un'attrezzatura militare realizzata ed installata per arrecare danni, mediante fasci di microonde concentrati in una ristretta area. "E' un'antenna con un beam (fascio di emissione) che può variare tra 1 e 2 gradi, a seconda della frequenza di impiego. Di conseguenza a 110 metri di distanza il beam ha un'apertura tale da formare un cerchio elettromagnetico concentrato di circa 3 metri".

In definitiva, si deve pensare che abbiano irradiato in modo indiscriminato l'appartamento ed il più debole (nostro padre) della famiglia ha avuto la peggio.

Visto il chiaro collegamento che esiste tra le microonde e le emorragie cerebrali (oltre che i tumori) e data la strana coincidenza di eventi e fatti relativi alla morte del nostro babbo, la mente va subito ad un amplificatore di microonde. Considerato che ci occupiamo di temi scomodi, propendiamo ad una specie di vendetta trasversale o comunque ad un tentativo di distrarci dalla nostra opera di divulgazione, così come accaduto, in casi luttuosi del tutto assimilabili al nostro, ad altri noti attivisti in questi anni.


NOTA: i nostri numeri telefonici sono sotto controllo e quindi chi di dovere poteva benissimo sapere del mio rientro a casa e predisporsi in modo adeguato.

06 maggio, 2011

L'Arte

Un tale – è Cicerone a riportare l'aneddoto - voleva insegnare a Temistocle, il fondatore della talassocrazia ateniese, l'arte della memoria. Temistocle non mostrò interesse: "Mi useresti un piacere di gran lunga maggiore, se mi insegnassi a dimenticare, piuttosto che a ricordare ciò che desidererei non ricordare." Saggia risposta quella dell'uomo politico. In verità non è solo auspicabile obliare gli affronti, come chiosa l'Arpinate: bisognerebbe imparare l'arte dell'oblio per cancellare quelle memorie (errori, sventure, incomprensioni, affanni) che assediano il presente.

Sebbene l'inglese sia ritenuto una lingua profana, alcune incursioni semantiche in tale idioma ci offrono motivi di riflessione: così che cos'è la dimenticanza, se non un conseguimento eccelso, una conquista gloriosa? Per questo motivo in inglese scordare è (to) forget, ossia ‘prendere, ottenere assai’ (il prefisso “for” ha valore intensivo). E' solo apparente il paradosso: molto stringe chi tutto perde, chi si lascia dietro di sé lo strascico tetro, fallace dei ricordi. Tra l'altro (to) forget è costruito secondo lo stesso modello di (to) forgive, omologo di “perdonare”: perdonare, infatti, è un donare molto, implicando un'elargizione di sé che è nobiltà d'animo.

Come apprendere dunque l'arte dell'oblio, dacché le rimembranze ci attorniano per espugnarci? Un ricordo assale il baluardo della coscienza, un altro le tende un'imboscata, un altro, muovendosi di soppiatto, entra da una breccia delle mura, un altro le dirocca, un po' alla volta, per penetrare nella cittadella...

Le reminiscenze sono in ogni dove. Scrutano, bisbigliano, fluttuano, quando non strattonano o non scaraventano nell’abisso del tempo trascorso. Là è un libro, qui un volto, lì un profumo, quivi una voce, ora è un sapore, talvolta è un brivido... Viviamo in un labirinto di memorie, tra riflessi di ombre ed ombre di larve. Né il sonno, con i suoi sogni pregni di esperienze, ci dà requie: durante la notte, anzi le ricordanze, trasfigurate in immagini emotive, ci turbano con in più quell'alone enigmatico che sfida il tentennante raziocinio.

Qualcuno scrisse che "un ricordo del dolore è ancora dolore, mentre un ricordo della gioia è dolore": è così, sebbene la qualità della sofferenza cambi. Cambiano il timbro e lo spessore: anche i patimenti appassiscono. Perché dovremmo, novelli Enea, rinnovare la pena con la rievocazione? No. Meglio tacere, quand’anche scordare significasse tacitare il cuore. L’oblio diventi obl-io, cancellazione dell’io caduto-caduco. Nel silenzio e nell'amnesia è il fuoco della speranza.

Che cosa saremmo senza le memorie, senza il solco del passato? Nulla. Ce ne dorremmo?



APOCALISSI ALIENE: il libro

04 maggio, 2011

Carahunge

Tra le montagne dell'attuale Armenia (nella parte meridionale, vicino alla città di Gori), sorge il sito megalitico di Carahunge (da "cara", pietra e "hunge", voce, suono, eco). Il luogo ha una storia di 7.500 anni: gli archeologi ritengono che intercorra uno stretto legame tra il complesso monumentale armeno e Stonehenge, datato per lo più al III millennio a.C. E' significativo che i due nomi si assomiglino.

Il libro "Armenians and old Armenia" del professor Paris Herouni spiega le caratteristiche di Carahunge. L'autore, che nel suo saggio indugia sulla storia dell'antica Armenia, l'Urartu, reputa di aver stabilito in modo sicuro l'epoca in cui Carahunge fu costruito come osservatorio astronomico usato da una civiltà avanzata.

Il monumento preistorico è costituito da centinaia di pietre disposte in cerchi su una superficie di circa sette ettari. Molte di queste lastre basaltiche (per la precisione 84 su 223) presentano dei fori levigati, dai 4 a 5 cm di diametro: i pertugi traguardavano precisi punti dell'orizzonte 7.500 anni addietro. Il periodo di costruzione è stato accertato, studiando il moto del Sole, della Luna e delle stelle: sono stati indagati gli spostamenti apparenti degli astri dovuti all'inclinazione dell'asse terrestre in rapporto al fenomeno noto come precessione degli equinozi.

Herouni asserisce che Carahunge prova come l'Armenia sia la regione in cui sbocciò la più antica civiltà del pianeta, culla delle lingue indo-europee. Una primigenia popolazione concepì il complesso come specola per stabilire la levata, il tramonto e la culminazione dei corpi celesti, ma Carahunge fu anche centro cultuale in onore di Ar, il dio del Sole, e di Tir, il dio della conoscenza. L’allineamento delle pietre corrisponde alla costellazione del Cigno, in cui alcuni popoli scorsero, però, un avvoltoio.

Se certe affermazioni di Herouni vanno rigettate (lo Stonehenge armeno non è il complesso architettonico più antico del mondo: almeno le piramidi di Visoko lo precedono), è indubbio che l'Armenia è terra legata ad una cultura primigenia ed enigmatica, collegabile al fenomeno delle costruzioni megalitiche che, con dolmen, menhir e cromlech, punteggiano un'amplissima regione euro-asiatica e non solo.

Nella stessa area medio-orientale, poi, è stato portato alla luce, in questi ultimi anni, l'enigmatico sito di Gobekli Tepe nell'attuale Turchia. Gli scavi hanno dissepolto colossali pilastri a forma di tau (alti fino a sei metri e del peso di parecchie tonnellate) ed altre vestigia che compongono un'enigmatica testimonianza lapidea. Se a Gobekli Tepe molti manufatti litici sono decorati con rilievi di animali (cinghiali, manzi, leoni, volpi, leopardi, avvoltoi… ) il cui significato non è chiaro, quantunque gli antropologi vi vedano evocazioni di esperienze sciamaniche, su alcune pietre armene sono effigiate creature molto simili ai classici Grigi.

Il mistero si… ingrigisce.

Fonti:

Enigmi alieni: strutture inspiegabili, 2011, documentario di History channel
P. Herouni, Armenians and old Armenia, 2009




APOCALISSI ALIENE: il libro

02 maggio, 2011

Il principio della fine

"Il principio della fine" è l'ultimo capitolo di "Demian" (1919), celebre romanzo di Herman Hesse. La prima parte dell'unità, di taglio narrativo-riflessivo, trascolora rapidamente dalla luce e dal senso di benessere in un'inquietudine alimentata da oscuri presentimenti. Un giorno, Emil Sinclair, il protagonista, in preda allo sconforto, raduna tutte le sue energie psichiche per comunicare con Eva, donna dei suoi pensieri, guida e dolce rifugio. Al suo richiamo risponde Max Demian che sopraggiunge come un messaggero dell'aldilà su un destriero al galoppo. Pallido e madido di sudore, egli annunzia all'amico l'ormai imminente conflitto mondiale.

La guerra rappresenta la cesura tra il noncurante torpore del mondo borghese e l'avvento di una nuova era in cui tutti saranno chiamati ad una prova tremenda. La conflagrazione incombente è pure la metafora del travaglio interiore del protagonista che, solo attraverso laceranti e dolorose trasformazioni, potrà generare un io rinnovellato. Come lo sparviero squarcia l'uovo per venire alla luce, così questo mondo deve andare in frantumi per rinascere. Nella rievocazione della vita al fronte, il giovane riflette sul significato del destino che soverchia gli uomini affratellati da una comune sventura.

Durante un combattimento Emil viene colpito da una granata, ma la descrizione del ferimento viene trasposta su un piano visionario ed apocalittico: compare nel cielo la grandiosa figura di Eva dalla cui fronte s'irradiano fulgide stelle. Dopo essere stato ricoverato in ospedale da campo, ripresa conoscenza, il soldato rivede per l'ultima volta Max Demian, al quale potrà d'ora in poi rivolgersi guardando in sé stesso.

L'epilogo del romanzo è potentemente drammatico e simbolico, sospeso com'è tra vertigine dell'autorealizzazione e supremo sacrificio di sé. Demian è morto: da lui, che ora è voce dell'anima, Emil potrà trovare consiglio ed il necessario ardimento per affrontare le sfide della vita.

L'ominosa conclusione dell'opera si squaderna, nella turbinosa ripetizione degli eventi, come un monito, un appello ad armarsi di coraggio di fronte al cimento decisivo.


APOCALISSI ALIENE: il libro