Nella terzina il gigante è il re di Francia che tresca con la Chiesa, (la fuia, letteralmente “ladra”): entrambi saranno vinti dal messo di Dio. Quasi tutti i commentatori notano che, anagrammando le lettere romane D X V, con cui si indicano i numeri 500, 10 e 5, si ottiene la parola dux, condottiero, guida. Il messo di Dio echeggia il veltro, mentre la “selva oscura” si connette per antitesi-somiglianza alla “divina foresta”: le corrispondenze non possono essere casuali. Nel medesimo canto è pure ripreso il tema stellare collegato, come nel I canto dell’inferno, al motivo del veltro. Infatti Beatrice predice:
…io veggio certamente e però il narro
a darne tempo stelle propinque,
secure d’ogn’intoppo e d’ogne sbarro…
Le “stelle” non sono, a mio parere, generici influssi celesti ma gli astri di una costellazione o una congiunzione che preannuncia l’avvento del liberatore: il verbo “vedere” non lascia alcun dubbio. Le stelle poi sono “propinque”, cioè vicine. Lo scenario simbolico-astronomico non è molto diverso da quello delineato nella parte iniziale del poema e dal nucleo del canto XX, sopra esaminato.
L’aspetto spaziale di questi passaggi di ardua interpretazione s’intreccia alla dimensione cronologica, non meno intricata: infatti una ricercatrice (1) legge nel “cinquecento diece e cinque” non l’allusione ad un condottiero, ma una data, il 515 a.C., anno in cui fu completata la ricostruzione del secondo tempio di Gerusalemme, dopo che agli Ebrei fu consentito da Ciro il Grande di tornare un Palestina. Non so quanto sia plausibile tale interpretazione, ma non si può escludere che Dante avesse in mente pure una cronologia legata al 515 a.C. Infatti, se sommiamo a tale cifra 1300, il numero corrispondente all’anno in cui il poeta intraprese il suo viaggio oltremondano, otteniamo 1815, che è all’incirca la metà del ciclo cosmico di origine sumera, pari a 3.600 anni. Vinassa de Regny opina che il verso iniziale della Commedia, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, indichi non i 35 anni del poeta, ma che egli principiò la sua esperienza di redenzione nell’anno che è a metà tra la creazione del mondo, il 3760 a.C., ed il giudizio finale. Alcuni studiosi hanno scoperto che il “poema sacro” include al suo interno il riferimento al moto precessionale; Giuseppe Badalucco ne ha evidenziato la configurazione iconico-narrativo nella struttura conica della voragine infernale cui corrisponde il monte del Purgatorio… Il moto più lento a cui il passaggio si riferisce è quello delle stelle fisse, moto che si osserva proprio per effetto della precessione degli equinozi; gli astrologi del tempo di Dante, però, valutavano questo moto di 1 grado ogni 100 anni, ritenendo quindi che 36.000 fossero gli anni necessari per il compimento dell’intera rivoluzione (di 360 gradi); il periodo attribuito a questo ciclo è significativamente diverso da quello precessionale di circa 26000 anni.” Il numero 36.000 ci riporta al sottomultiplo 3600, nascosto nel “cinquecento diece e cinque”.
Alla luce di questa ipotesi esegetica, il Tempio citato in Purg. XX, 93, potrebbe riferirsi anche all’edificio sacro di Gerusalemme, nell’ambito di una stratificazione in cui un significato ne nasconde un altro. Il Tempio potrebbe essere il fulcro spaziale associato ad un perno temporale, l’anno 515, a sua volta da collegare ad un evento astronomico. La notevole somiglianza tra le parole “tempio” e “tempo” forse non è casuale. In ogni caso il VI secolo a.C. è un periodo storico cruciale, in cui vissero ed insegnarono Confucio (551 a.C. ca.- 479 a.C), Siddharta Gautama detto il Buddha (565 a.C. ca.- 486 a.C), Pitagora (570 a.C. 490 a.C.) (…)
Violato il tempio, in senso morale, allegorico, anagogico ed esoterico, e trascorso il tempo propizio, la lupa, con tutto ciò che essa rappresenta, poté continuare ad infierire contro l’umanità. La costellazione, annunciatrice del cambiamento, splendette nel cielo, ma senza arrecare quella palingenesi del mondo tanto sperata.
…io veggio certamente e però il narro
a darne tempo stelle propinque,
secure d’ogn’intoppo e d’ogne sbarro…
Le “stelle” non sono, a mio parere, generici influssi celesti ma gli astri di una costellazione o una congiunzione che preannuncia l’avvento del liberatore: il verbo “vedere” non lascia alcun dubbio. Le stelle poi sono “propinque”, cioè vicine. Lo scenario simbolico-astronomico non è molto diverso da quello delineato nella parte iniziale del poema e dal nucleo del canto XX, sopra esaminato.
L’aspetto spaziale di questi passaggi di ardua interpretazione s’intreccia alla dimensione cronologica, non meno intricata: infatti una ricercatrice (1) legge nel “cinquecento diece e cinque” non l’allusione ad un condottiero, ma una data, il 515 a.C., anno in cui fu completata la ricostruzione del secondo tempio di Gerusalemme, dopo che agli Ebrei fu consentito da Ciro il Grande di tornare un Palestina. Non so quanto sia plausibile tale interpretazione, ma non si può escludere che Dante avesse in mente pure una cronologia legata al 515 a.C. Infatti, se sommiamo a tale cifra 1300, il numero corrispondente all’anno in cui il poeta intraprese il suo viaggio oltremondano, otteniamo 1815, che è all’incirca la metà del ciclo cosmico di origine sumera, pari a 3.600 anni. Vinassa de Regny opina che il verso iniziale della Commedia, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, indichi non i 35 anni del poeta, ma che egli principiò la sua esperienza di redenzione nell’anno che è a metà tra la creazione del mondo, il 3760 a.C., ed il giudizio finale. Alcuni studiosi hanno scoperto che il “poema sacro” include al suo interno il riferimento al moto precessionale; Giuseppe Badalucco ne ha evidenziato la configurazione iconico-narrativo nella struttura conica della voragine infernale cui corrisponde il monte del Purgatorio… Il moto più lento a cui il passaggio si riferisce è quello delle stelle fisse, moto che si osserva proprio per effetto della precessione degli equinozi; gli astrologi del tempo di Dante, però, valutavano questo moto di 1 grado ogni 100 anni, ritenendo quindi che 36.000 fossero gli anni necessari per il compimento dell’intera rivoluzione (di 360 gradi); il periodo attribuito a questo ciclo è significativamente diverso da quello precessionale di circa 26000 anni.” Il numero 36.000 ci riporta al sottomultiplo 3600, nascosto nel “cinquecento diece e cinque”.
Alla luce di questa ipotesi esegetica, il Tempio citato in Purg. XX, 93, potrebbe riferirsi anche all’edificio sacro di Gerusalemme, nell’ambito di una stratificazione in cui un significato ne nasconde un altro. Il Tempio potrebbe essere il fulcro spaziale associato ad un perno temporale, l’anno 515, a sua volta da collegare ad un evento astronomico. La notevole somiglianza tra le parole “tempio” e “tempo” forse non è casuale. In ogni caso il VI secolo a.C. è un periodo storico cruciale, in cui vissero ed insegnarono Confucio (551 a.C. ca.- 479 a.C), Siddharta Gautama detto il Buddha (565 a.C. ca.- 486 a.C), Pitagora (570 a.C. 490 a.C.) (…)
Violato il tempio, in senso morale, allegorico, anagogico ed esoterico, e trascorso il tempo propizio, la lupa, con tutto ciò che essa rappresenta, poté continuare ad infierire contro l’umanità. La costellazione, annunciatrice del cambiamento, splendette nel cielo, ma senza arrecare quella palingenesi del mondo tanto sperata.
(1) Non sono più riuscito a trovare l'articolo di questa ricercatrice.
Fonti:
D. Alighieri, La Divina Commedia, a cura di G. Giacalone, Roma, 1978
G. Badalucco, La struttura dell’inferno dantesco
M. De Pieri, Il numero, 2005
R. Guenon, L’esoterismo di Dante
P. Vinassa de Regny, Dante e il simbolismo pitagorico
Zret, Alla ricerca del sigillo reale
Prima parte qui.
Alla luce delle considerazioni esposte, appare chiaro come la Divina Commedia (come molti altri testi) è fatta in modo da celare la Verità sotto vari strati di comprensione. La correlazione Dante-astronomia è molto interessante e meriterebbe ulteriori approfondimenti.Ciao
RispondiEliminaCiao capitano Nemo, è proprio come dici: la Divina Commedia è un testo esoterico, checché ne pensi l'egoico Eco. Per ulteriori approfondimenti circa la correlazione con l'astronomia, occorrerebbe uno scienziato che, ad esempio, studiasse le configurazioni del cielo nel 1300. Ciao!
RispondiEliminaSi ritiene che Dante abbia acquisito certe conoscenze dagli Arabi e da un ebreo di nome Emanuel Romano: ovviamente non poteva rivelare le sue fonti. Già fu esiliato e diffamato per motivi politici. Avrebbe rischiato il rogo. Anch'io ho cominciato ad apprezzare Dante tardi, ma non è mai troppo tardi. Circa la Croce del sud, credo sia vero quello che riporti. Ciao e grazie!
RispondiElimina