30 aprile, 2009

Meccanicità

Interrogandomi sulla possibile origine del Male, mi sono anche imbattuto nella meccanicità. La macchina segue un algoritmo nel suo funzionamento, una serie di istruzioni. Di per sé la macchina è di là dal bene e dal male: funziona oppure si guasta. Quel che di ripetitivo inerisce ai fenomeni naturali parve a Hegel, filosofo da chi scrive non molto apprezzato, ma che pure ebbe qualche intuizione, una mancanza di creatività. Ora, sappiamo come la natura sappia essere estrosa e sorprendente, eppure nella materia sono insiti modelli che rivelano una tendenza alla ripetizione. E' all'opera un imprinting che lega le specie e gli individui a schemi di comportamento che denotano un progetto. Infrangere gli schemi può coincidere con un'evoluzione individuale o della specie? Evolvere è un atto creativo, una digressione dalla via tracciata, un tuffo nell'imprevisto con tutti i rischi connessi.

In fondo alcune persone che consideriamo per alcuni versi censurabili non sono malvagie, ma irretite in tòpoi comportamentali: la mancanza di immaginazione le spinge a riprodurre meccanicamente i soliti programmi. Introdotti dati, si limitano a seguire delle istruzioni. Da dove provengono queste istruzioni? Da memorie ancestrali, genetiche e non solo. Chi di noi può affermare di essere del tutto libero da impronte? Un archivio di esperienze e di conoscenze potenziali appartiene già al feto: già nel D.N.A. sono incluse informazioni ataviche (Qualcuna risale alla stessa origine della vita?). In "cellule" non fisiche si trovano frammenti di altre realtà. Il confine dell'io è più apparente che reale. L'io assomiglia più ad una nuvola sempre diversa da sé stessa, modellata dal vento e dal calore, che ad un sasso immobile, circoscritto ad una precisa porzione di spazio.

Molti frammenti si riferiscono all'istinto di conservazione ed a quel programma che dalla nascita porta allo sviluppo, alla vecchiaia ed alla morte. "E' un ciclo naturale", si suole asserire. Certo, ma è un ciclo che possiede alcunché di meccanico. Perché invecchiare? Perché morire? La natura (in questa parola è contenuto il suffisso "ura" che indica una crescita spontanea, un ininterrotto impulso creativo, un dinamismo incessante) pare aver inglobato una meccanicità forse di origine esterna. A questo alludeva Shaul-Paolo (o chi per lui) quando agognava la redenzione per la stessa natura sofferente? La redenzione potrebbe significare recuperare quella forma di libertà dalle "leggi" che costringono a reputare naturale ciò che è, invece, ripetitivo. [1]

Oggi avvertiamo che le forze oscure sempre più, avvalendosi della tecnologia, spesso surrogato della creatività, intendono esercitare il loro controllo, producendo un meccanismo perfettamente oliato in cui l'individuo sia ingranaggio. E' questo il lato meccanico del male: la macchina mondiale tende verso una sorta di moto perpetuo, un moto cieco, tautologico. Continuare a muoversi per continuare a muoversi: non importa quanti saranno stritolati nel meccanismo. La macchina "vuole" continuare a funzionare: le categorie etiche non rivestono alcuna importanza. Il male può assumere questo aspetto metallico, asettico.

Si spiega come il tramonto dell'arte, l'eclissi della letteratura, il crepuscolo della spontaneità consuoni con la fondazione del mondo ipertecnologico, efficiente ma gelido.

Immaginare altri universi, generare pensieri creativi, spezzare la catena della necessità, soprattutto credere nell'impossibile è, invece, la via della Vita.

[1] Sul tema della natura che attende la redenzione, si legga il recente articolo del Professor Francesco Lamendola, Se non ci fosse stato bisogno della Redenzione, vi sarebbe stata egualmente l'Incarnazione?, 2009



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29 aprile, 2009

Splendore

Solo la notte può illuminare i recessi più profondi dell'anima. Nelle tenebre rischiarate da sciami di stelle, dai rivoli dei lampioni, il silenzio è sospeso in una stupefatta irrealtà. E' un silenzio solcato da echi di melodie in cui traluce il respiro della trascendenza. Si può immaginare un luogo più incantato della notte, cara agli insonni ed ai visionari? La stessa angoscia si stempera nella voluttà dell'oblio.

Gli orizzonti si dilatano sino ai confini del sogno. In una vertigine cupa si frangono onde di chiarore lunare. Fremono le ombre dei platani nelle strade. Ali di nubi fosche planano tra i rami delle costellazioni. Le note lontane del vento scivolano sui prati.

L'esperienza della tenebra è il battesimo della solitudine, dove la mente accoglie in trasparenze trepide e fantastiche i profili delle immagini e dove il profumo dell'azzurro si addensa in presentimenti di epoche defunte, tra bagliori smeraldini.

Si può immaginare un paradiso in cui non splenda, ogni tanto, l’imperscrutabile oscurità della notte?



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27 aprile, 2009

L'Aquila, Celestino V, i Templari e S. Giovanni Battista: quale collegamento?

L'Aquila è città dell'Abruzzo sorta poco tempo dopo la metà del XIII secolo, per decreto dell'imperatore Federico II, a partire da preesistenti insediamenti rurali e cisterciensi. Nel 1259 papa Alessandro IV vi trasferì la sede episcopale di Forcona. Di orientamento guelfo, fu distrutta da Manfredi nel 1259, mentre Carlo I D'Angiò ne ordinò la ricostruzione. Sotto gli Angioini divenne la seconda città del Regno di Napoli e conobbe un notevole sviluppo economico e culturale. Nel 1423-24 sostenne l'assedio postole da Braccio di Montone; fedele agli Angioini, nel 1485 si sollevò contro gli Aragonesi, ma già l'anno successivo ricadde sotto il dominio di Alfonso II d'Aragona. Colpita da un sisma nel 1458 e da una pestilenza nel 1477, la città declinò progressivamente nel XVI secolo.

L'Aquila è una città sui generis, nata non per una casualità, ma secondo un disegno armonico. Fu costituita dall'unione di molti villaggi della zona (99, secondo la tradizione leggendaria, in realtà in numero vicino a questo, ma quasi certamente inferiore), ognuno dei quali costituì un quartiere che rimase legato al villaggio-madre e fu considerato parte dello stesso per circa un secolo. Nella nuova città demaniale i cittadini dei castelli inurbati dentro le mura (intra moenia) e quelli rimasti nei castra d'origine (extra moenia) mantennero gli stessi diritti civici e nell’uso delle proprietà collettive, come pascoli e boschi.

La leggenda vuole che 100 castelli abruzzesi si riunissero per fondare la città dell'Aquila. Ogni castello doveva fondare in città una piazza, una chiesa e una fontana per un totale così di 100 piazze 100 chiese e 100 fontane, ma, all'ultimo momento, un castello ci ripensò. Gli altri 99 castelli, però, decisero di fondare lo stesso la città che così ebbe 99 piazze, 99 chiese e 99 fontane.

In realtà i castelli che fondarono la città furono meno di 99 e molti di essi erano semplici villaggi di poche decine di abitanti che scomparvero nel giro di qualche decennio e non furono in grado di fondare alcunché a L'Aquila.

Quando fu scelto il sito per la fondazione del centro, si individuò un luogo chiamato Acquilis o Acculi o anche Acculae, per l’abbondanza delle sorgenti che vi sgorgavano. La zona era in una posizione strategica tra i due poli entro i quali doveva nascere il nuovo sito urbano e cioè i due centri di Forcona e Amiternum. Acculi, vicina anche al fiume Aterno, corrisponde all’attuale Borgo Rivera, dove oggi si trova la Fontana delle 99 cannelle; al tempo della fondazione sorgeva lì una chiesa con un monastero, Santa Maria ad Fontes de Acquilis (o de Aquila). Fu dunque scelto per la nuova città il nome di Aquila, che riprendeva il toponimo già esistente, ma che richiamava anche l'emblema dell'aquila imperiale, secondo il Diploma di fondazione attribuito all'Imperatore Corrado IV. Nello stemma della città appare, infatti, un'aquila. Lateralmente si legge la divisa “Immota manet” e l’abbreviazione PHS. Il motto “Immota manet” significa “Resta ferma”. L’espressione è forse tratta da un verso del poeta latino Virgilio, che attribuisce alla quercia la capacità di radicarsi fortemente e dunque di restare ferma, ben salda. Il PHS è un vero mistero. Alcuni pensano ad un errore di trascrizione del motto Iesus Hominum Salvator o del nome di Cristo (secondo San Bernardino); altri ritengono che significhi Publica Hic Salus, cioè “Qui [c’è] la salute pubblica”.

L'Aquila è centro legato alla figura di Celestino V, elettovi nel conclave tenutosi nel 1294. Celestino V, Piero da Morrone (Sant'Angelo Limosano, Campobasso - Fumone, Frosinone, 1296), fu papa dal maggio al dicembre del 1294. Di umili origini, divenne monaco benedettino nel monastero di Santa Maria di Faifoli, ma nel 1231 se ne allontanò per intraprendere la vita eremitica sul massiccio della Maiella, presso Sulmona, prima sul monte Porrara e poi in una grotta del monte Morrone. Eletto il 5 luglio del 1294, cadde subito sotto l'influsso di Carlo II d'Angiò che lo fece consacrare nella basilica di Collemaggio e cercò di convincerlo a stabilire la sede pontificia a Napoli. Disgustato dai maneggi dei cardinali, decise di abdicare il 13 dicembre del 1294. Si ritirò allora di nuovo in un eremo, ma il successore Bonifacio VIII lo confinò nella rocca di Fumone, dove morì nel 1296. Celestino V fu canonizzato nel 1313.

Il 29 settembre del 1294, il pontefice aveva istituito la Perdonanza a beneficio della chiesa di Santa Maria di Collemaggio, di cui egli stesso aveva promosso l'edificazione nel 1287. Il provvedimento concedeva l'indulgenza plenaria ai visitatori della basilica in occasione della festività della decollazione di San Giovanni Battista (29 agosto). La Perdonanza celestiniana fu soppressa nell'anno successivo da una bolla di Bonifacio VIII che in essa vedeva un ostacolo alla centralizzazione dei poteri papali.

La Perdonanza di Celestino V si svolge ogni anno, nei giorni del 28 e 29 agosto.

Il terremoto che ha colpito il capoluogo abruzzese il 6 aprile scorso, rilevato alle ore 3:32 di notte (3.33 a Roma) e che purtroppo ha causato ingenti danni e la morte di molte persone, è stato preceduto da una scoperta forse in qualche modo collegata. Il 5 aprile, infatti, sono stati divulgati i risultati di una ricerca condotta da Barbara Frale, secondo cui l'idolo venerato dai Templari era la Sindone. "Nel 1978 lo storico di Oxford Ian Wilson, ricorda la studiosa, fu il primo a sostenere la tesi che il misterioso «idolo» barbuto dei Templari fosse in realtà il telo rubato dalla cappella degli imperatori bizantini nel 1204, durante la quarta crociata e che i Cavalieri l'avessero custodito in segreto. Ora Barbara Frale spiega di aver trovato 'molti tasselli mancanti' a sostegno della teoria, ossia fonti inedite che spiegano anche le ragioni dell'adorazione e della segretezza. 'I Templari si procurarono la Sindone per scongiurare il rischio che il loro ordine subisse la stessa contaminazione ereticale che stava affliggendo gran parte della società cristiana al loro tempo: era il miglior antidoto contro tutte le eresie', scrive. 'I Catari e gli altri eretici affermavano che Cristo non aveva vero corpo umano né vero sangue, che non aveva mai sofferto la Passione, non era mai morto, non era risorto'. Che l'avessero trafugata i Templari o fosse stata acquistata, doveva rimanere nascosta: sui responsabili del saccheggio pendeva la scomunica di papa Innocenzo III, ma era una reliquia potente e ne valeva la pena: 'L'umanità di Cristo che i Catari dicevano immaginaria, si poteva invece vedere, toccare, baciare. Questo è qualcosa che per l'uomo del Medioevo non aveva prezzo'."

Non indugio sulle valutazioni della Frale circa la dottrina dei Catari e la presunta ortodossia dei Templari: sono interpretazioni frettolose e discutibili, irrigidite in una schematica e, a mio parere, errata contrapposizione tra ortodossia templare ed eterodossia catara, laddove si sa che l'ordine monastico-cavalleresco, la cui regola fu dettata da Bernardo di Chiaravalle, annoverò tra le sue fila qualche sostenitore dei "buoni cristiani". Al tema ho già dedicato alcune riflessioni e non mi ripeterò. Qui tuttavia noto che L'Aquila è città templare: vicino alle posizioni dei Cavalieri di Cristo fu Celestino V, come d'altronde Dante Alighieri.

Altresì bisogna osservare che, a causa del sisma, la Basilica di Collemaggio, in cui sono custodite le spoglie mortali del papa eremita, ha subito crolli e lesioni. E' una chiesa di cui chi scrive, alcuni mesi fa, esaminò un singolare bassorilievo raffigurante una torre con una mezzaluna, forse indizio di un nesso tra Templari e cultura islamica. Pare che l'edificio sacro abbia subito danni seri e "la ricostruzione potrebbe essere un pretesto per cancellare definitivamente i simboli legati al rosone, ossia frequenze, rapporti metrici, riferimento alla precessione degli equinozi ed ai cicli delle ere. Sono segni che lo studioso Michele Proclamato stava analizzando. Egli ha denunciato che volevano essere scientemente nascosti tramite nuove pavimentazioni" (M.B.)

Si riporta che l’eremita, di ritorno da Lione, dove aveva ottenuto l'approvazione dell'ordine dei Fratelli dello Spirito Santo, nei primi mesi del 1275, si trovò a passare la notte a L'Aquila. Si racconta che, in sogno, la Vergine Maria (?) gli comandò di erigerle una basilica sul Colle di Maggio. La costruzione, che in un centro di recenti origini come era L'Aquila a quel tempo costituiva una novità, fu lunga e complessa tanto che la chiesa, benché ultimata, poté essere consacrata solo nel 1288 e la fabbrica del monastero annesso era ancora in corso quando Pietro da Morrone vi fu incoronato pontefice, il 29 agosto del 1294.

Bisogna ricordare infine che la decollazione del Battista si celebra proprio il 29 agosto, lo stesso giorno in cui si svolge la Perdonanza. Si può notare un legame tra la decapitazione del profeta e la Sindone. Prescindo da una disamina del sudario sulla cui origine, storia, datazione… sono stati versati fiumi di inchiostro ed al centro di accese polemiche: mi limito ad osservare che la testa dell’Uomo sindonico è attraversata, in corrispondenza del collo da un taglio che ricorda la decapitazione del Battista. “La testa è separata dal resto del corpo, come se Cristo fosse stato decapitato”, osservano Picknett e Prince. E’ un particolare dell’immagine che non è forse privo di significato.

Il fenomeno tellurico del 6 aprile, anche sulla base di queste pur frammentarie considerazioni e delle segnature numeriche, pare non essere stato naturale. Sembra che in questo evento, in un modo o nell'altro, si debbano evocare i discendenti dei Templari ed i loro rivali, come il Sovrano militare ordine di Malta. Sono ipotesi persino lambiccate più che ingegnose, ma non prive del tutto di qualche fondamento, considerando vari sincronismi ed indizi.


Fonti:

Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2008, sotto le voci Celestino V, L’Aquila, Perdonanza
G. Lattanzi, La Basilica di S. Maria di Collemaggio, 2008
L. Picknett, C. Prince, La rivelazione dei Templari, Milano, 1998
M. Proclamato, Il linguaggio dei rosoni, 2006
Relazione di M.B. sul sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009
Zret, Uno strano bassorilievo nella Basilica di Collemaggio, 2008




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26 aprile, 2009

Entropia e buchi neri

Si intitola E Dio creò la mente il nuovo, paradossale libro (sin dal titolo) di Fiorella Rustici. L'opera dell'autrice, sebbene apparentemente inscrivibile nell'eterogeneo filone della New age, è agli antipodi di testi come il noto The secret e di tutti i manuali per diventare ricchi, belli, felici in dieci lezioni. So bene che molti considereranno quest'opera gratuita ed insulsa, ma, nel mio caso, non mi ha lasciato indifferente per le traumatiche convergenze che vi ho rintracciato.

Chi scrive non è uno scienziato e non è mosso dal culto fanatico né del "fatto" né del numero, tuttavia ritengo sia auspicabile collocare certe opinioni in un contesto coerente e documentato. Non ci si può solo basare sulle proprie esperienze e visioni: il testo della Rustici trae proprio le mosse da un vissuto soggettivo, eppure, nonostante ciò e pur tra qualche oscurità e stramberia, approda a conclusioni che mi paiono degne di interesse.

Sconcertante che le recensioni dei lettori colgano solo gli aspetti solari del libro (in verità pochi), ignorando dure "verità" (da prendere tutte con le pinze) che la scrittrice, tra l'altro, evidenzia con il grassetto. Un esempio: "Avevo sempre confuso la purezza con la saggezza, credendo che la prima non potesse fare errori né nascere da qualcosa che si degradasse e che creasse solo amore, gioia, vita luce. Ma era una bugia! "

In bilico tra noologia (mi si passi il neologismo, ma è necessario) e cosmologia, la Rustici getta uno sguardo inquieto sulle vite umane, incatenate in un eterno ritorno psichico, specchio dell'eterno ritorno (del simile) cosmico: un ciclo che si ripete in una serqua di big bang e big crunch ed originato dal non essere, "un immenso di Amore puro, un Nulla".

Chi leggerà il testo non mancherà di notare similitudini con alcune concezioni scientifiche (lo spin, la carica positiva e negativa di alcune particelle, l'universo che affiora della coscienza, lo spazio-tempo come fenomeno secondario...), ma, a mio parere, sono più significativi gli addentellati con il pensiero che vede nel cosmo una caduta, un cedimento rispetto ad un'originaria perfezione, la materia il risultato di una vibrazione dimenticata. Il moto delle spirali coniche implica una perdita di energia e, attraverso processi che non mi sono chiari, una generazione di buchi neri con cui tutto si distrugge per poi ricrearsi, ma ormai segnato da meccaniche mentali. Ammettiamolo: i buchi neri, questi oggetti su cui sappiamo pochissimo e che hanno suscitato le ipotesi più fantasiose, sembrano giganteschi "errori", bolge dantesche che si aprono nei sereni spazi siderali. Sono proprio parole come "errore", "decadenza"... ad incidere solchi neri sulla pagine. Sono affermazioni come "La purezza non è sinonimo di consapevolezza", "Mi sono accorta che, così come c'è una Luce-Dio che pulsa in energie di amore, gioia, vita e giustizia con le Sue Gerarchie spirituali, esiste anche all'opposto una Luce/Dio che pulsa nel buio, un buio inteso come assenza totale di spiritualità, carico di energie distruttive e turbolente", "Noi nasciamo da una Mente senza alcuna coscienza"... ad allungare ombre scure, inquietanti.

Ampie parti dedica la Rustici a temi etici, all'eterna lotta tra Bene e Male, senza naturalmente poter spiegare in che modo la duplicità energetica determini tale conflitto (non è che un positrone sia buono ed un elettrone cattivo o viceversa). Tuttavia, in un cosmo così concepito, ossia scivolante nell'imperfezione entropica, poco tempo dopo, la sua creazione da lampi di energia (?), il male, lato sensu, si "giustifica" come in-coscienza primigenia. Sarà degno di biasimo un bimbo che, vispo e gioioso, mentre corre in un prato, schiaccia delle formiche?

Qual è dunque la via d'uscita? Qui si evidenzia la discrepanza rispetto ad opere affini solo nel titolo e nei tipi della casa editrice: la Rustici, con bruciante sincerità, sebbene tenti di edulcorare la sua "rivelazione" con l'appello alla presa di coscienza, non sembra prospettare dei veri sbocchi. La Terra stessa è dominata da una scienza senza coscienza (ma...), da costruttori in possesso di sbalorditive tecnologie: il pianeta è prossimo ad un "esaurimento energetico".

La via d'uscita allora è nel confidare in un ritorno, presto o tardi, pur dopo mille peripezie esistenziali e cosmiche, all'"immenso di Amore puro, al Nulla".




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24 aprile, 2009

Il gigante di Grenada

"Alcuni resti fossili rivelerebbero che un'antica progenie di giganti era contraddistinta dall’esadattilia, ossia la presenza di mani e piedi con sei dita. È questo un carattere anatomico che si è conservato in alcune popolazioni indiane ed africane. Secondo Alan Alford, i giganti erano una specie molto longeva e robusta, ma sterile: essa era stata selezionata dagli “dèi” affinché i suoi componenti fossero adibiti a lavori come la costruzione di imponenti edifici e lo scavo di gallerie nelle miniere da cui estrarre, in particolar modo, stagno ed oro. Per Alford, gli Olmechi furono un popolo di stirpe negroide che, intorno al XV secolo a.C., si stanziò nell’attuale Messico: essi edificarono Teotihuacan e scolpirono teste, dagli inconfondibili tratti negroidi (naso camuso, labbra carnose), pesanti parecchie tonnellate. Di queste teste di basalto, dall’espressione misteriosa ed accigliata, non si conosce la funzione. Gli archeologi ufficiali affermano che le loro sembianze, tutto sommato, sono riconducibili alla fisionomia degli attuali abitanti del Mesoamerica, discendenti dei Maya" (Vedi l'articolo intitolato Goliath). Un bel modo di eludere scomode testimonianze paleontologiche.

Eric Gairy, primo ministro e ministro degli esteri dell'isola di Grenada, è noto perché il 12 ottobre del 1978, tenne un discorso all'assemblea dell'O.N.U. in occasione della trentesima e seconda riunione plenaria, i cui cardini, tra gli altri, furono i seguenti: il Triangolo delle Bermuda, gli oggetti volanti non identificati ed il fenomeno extraterrestre.

Gairy, dopo una serie di avvistamenti di U.F.O. nell'isola di Grenada, cominciò ad interessarsi del tema, chiedendosi che cosa potesse collegare il piccolo stato delle Antille a presunti extraterrestri. Un episodio in particolare cambiò la sua vita: un giorno venne a sapere che alcuni pescatori avevano trovato sulla battigia il corpo senza vita di un essere alto circa tre metri, con il capo incorniciato da lunghi capelli intrecciati. La creatura era di pelle bianca ed aveva sei dita per mano. Lo stesso Gairy, recatosi sul luogo del ritrovamento, potè vedere la salma del gigante che gli parve dimostrare una trentina d'anni. L'essere - stando a Gairy si trattava di un alieno - indossava una tuta aderente di colore blu scuro: l'abito era del tutto privo di cuciture ed era tutt'uno con le calzature. La spiaggia su cui fu rinvenuto il corpo era coperta di rottami metallici di diverse dimensioni. Gairy ordinò di fotografare la creatura e di portarla alla Medical School. Gairy morì il 23 agosto 1997, a Grand Anse, Grenada, dove era ritornato nel 1984, al termine del suo esilio negli U.S.A. Del gigante non si è saputo più alcunché.

In questi ultimi anni, a possibile conferma della singolare scoperta compiuta a Grenada, si possono citare gli esseri con sei dita per mano descritti da supposti rapiti. "Sono biondi, di alta statura, con pupille chiare e verticali, attaccatura dei capelli molto alta, vestiti con una specie di camicione bianco e, di solito, con un medaglione appeso al collo e riportante strani segni triangolari".

Si può notare, a contrasto con la diversità nell'abbigliamento, una certa somiglianza fenotipica tra il gigante di Grenada e gli "alieni" le cui fattezze sono rievocate da persone che, sotto ipnosi, ricordano di essere state rapite: questi soggetti ed i loro vissuti sono stati studiati da Corrado Malanga. Anche l'entità biologica extraterrestre del controverso filmato di Santilli, che per Umberto Telarico comprende qualche fotogramma genuino, mostra sei dita.

L’esadattilia è un tratto che accomuna antichi abitanti del pianeta, secondo alcuni autori di origine non terrestre [1], ed alcuni resoconti nell'ambito dell'Ufologia: è un argomento che merita ulteriore attenzione per tentare di annodare i fili che legano un passato remoto ad un presente contesto di enigmi biologici ed esobiologici.

[1] B. Teseo, nello studio Calcoli alieni a base 12, 2009, cita dei documenti della N.S.A. (Agenzia per la sicurezza statunitense), recentemente declassificati, che si riferiscono a contatti con alieni con mani di sei dita. L'autore ipotizza che il sistema sumero a base 12 fosse di origine esterna.

Fonti:

A. Alford, Il mistero della genesi delle antiche civiltà, Roma, 2000
W. T. Bateman, Il segreto ET di Sir Eric Gairy, in X Times, n. 6, aprile, 2009
C. Malanga, L'inferno e le anime, ibidem
U. Telarico, 1995 Alien autopsy footage, in Area 51, n. 12, settembre, 2006



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22 aprile, 2009

Barack e burattini

A volte cerchiamo di distogliere il pensiero dagli eventi dell'attualità, ma è difficile ignorarne il corso. Il leit-motiv di questi ultimi mesi è l'aggressione, un assalto per lo più silenzioso, al cuore della Terra, ai pochi sopravvissuti alla globalizzazione, volto all'annichilimento delle coscienze. Il funesto Codex alimentarius, la politica interna ed estera di Baracca Obama, i cataclismi artificiali, i conflitti fomentati dagli Oscurati, i programmi per la centralizzazione del potere, l'avvelenamento deliberato del pianeta... sono altrettanti marchi anticristici. Queste sono le premesse per la catabasi nell'inferno del Depravato mondo nuovo.

La direzione da prendere sarebbe quella diametralmente opposta: non la mondializzazione, ma la valorizzazione delle culture locali. Moltiplicare le lingue, rinnovellare le tradizioni ed i dialetti, creare tante comunità regionali ognuna con la sua specificità culturale, intendendo per specificità l'idioma, le manifestazioni letterarie ed artistiche, i manufatti artigianali, i prodotti agricoli... L'alba di un nuovo Medioevo? Paradossalmente, almeno in parte, è proprio al Medioevo che si potrebbe guardare. I cittadini dovrebbero essere liberi di muoversi, senza documenti, come nell'età di mezzo i pellegrini percorrevano la via francigena ed altre strade che conducevano ai più venerati santuari, attraversando interi stati. E' vero: a volte li assalivano i briganti, ma noi siamo assaliti ogni giorno dai governanti. E' una provocazione, ma, constatando gli infiniti mali di questi tempi malati, talora si è tentati di tessere l'elogio di quei secoli in cui, nella peggiore delle ipotesi, ci si poteva nutrire di frutti che crescevano spontanei e dissetarsi con l'acqua di sorgente. Si respirava un'altra aria e non solo in senso letterale. Oggi si respira un'aria maligna.

Coniugare i vantaggi veri della tecnologia attuale, per lo più tenuta segreta, con l'antica sapienza e la sensibilità per la bellezza: questo sarebbe auspicabile. Invano oggi, però, cercheremo qualcosa di naturale, di autentico, di profondo: tutto è omologato, pianificato, controllato. Persino la scienza della vita, la biologia, copulando con la tecnologia, ha generato un monstrum, la biotecnologia. La cultura è evaporata nella piatta "informazione" o è abortita in mendacio mediatico. Invano cercheremo plaghe che non siano stuprate da centrali nucleari, antenne, piantagioni geneticamente modificate, discariche, inceneritori... Intere regione disseminate di villaggi autosufficienti o quasi, di campi coltivati, boschi, praterie: è un'utopia che senza il potere forse potrebbe diventare in qualche caso realtà. Il potere non corrompe: il potere è corruzione.

Sul palco il pupo protagonista è Barack: ammicca e smanaccia. Tutto intorno, con movimenti legnosi e convulsi, si agitano gli altri burattini manovrati dai potenti: magistrati minus habentes, ambientalisti più dannosi per l'ambiente delle scie tumorali, imbonitori reclutati dalle logge, disinformatori disgrafici, divise con sotto niente...

Abietta si abbrutisce l'umanità: si rigira nel fango, mentre crede di cospargersi di unguenti profumati.



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20 aprile, 2009

Stile

Lo stile è l'impronta inconfondibile di un autore, la cifra peculiare di un movimento, di una corrente. In questa età di ferraglie arrugginite, è impresa improba scovare uno scrittore le cui pagine siano vibranti di stile. Oggi il linguaggio, che già è un povero sussidio del pensiero, una protesi dell'intuizione, è a tal punto decaduto da rasentare il rantolo. Come valutare l'espressione desultoria di Eco, la stipsi linguistica di Kattivix, le forme amorfe che si accavallano nei testi dei pennivendoli? Manca lo stile: manca tutto. Il modello è oggi dato dai discorsi degli "uomini politici", in cui gli stessi slogans sono stati rimpiazzati dagli sloguns, ossia parole sparate come proiettili di pistole, non con l'intento di persuadere o di argomentare, ma con lo scopo di colpire gli istinti viscerali di elettori decerebrati, ridotti a mostriciattoli mono-organo simili a quelli dipinti da Bosch.

Chiunque abbia avuto il cuore di assistere alla recente volgare incoronazione di silvio a reuccio, tra cortigiani sbavanti piaggeria, sarà rimasto colpito dal Kitch della cerimonia, ma soprattutto dalle parole d'ordine: "Legge ed ordine", "più poteri al premier"... La retorica con cui Hitler ammaliava le folle, una retorica ebbra, forsennata, solcata da bagliori sinistri, è morta: oggi belzebusconi ed i suoi accoliti cavano cliché dall'armamentario più vieto della propaganda.

Come reputare il linguaggio prostituito dei disinformatori? Neanche il turpiloquio riesce ad innalzare le loro frasi sputacchiate: la corposa trivialità degli scaricatori sprofonda nella motosa e prepotente banalità del bullo.

Istruttivo il nesso tra stile e stilo: lo stile è strumento affilato che richiede precisione. Serve per incidere la cera delle idee, per scalfire, per levigare, cambiando con gesto destro l'inclinazione. E' il risultato provvisorio di un tirocinio lungo e faticoso, il segno di una personalità che non si lascia catturare da pastoie, etichette. Modellato sugli auctores e consonante con intime risonanze, si stacca dalla mera elocuzione per assurgere ad istanza, per slanciarsi verso la dimensione semantica. Sostanziato di succhi che corrodono o di elisir che sciolgono o di liquidi che rendono splendide superfici opache, lo stile trova le sue altezze vertiginose nel paradosso, nel contrasto, nell'ossimoro. In modo affine lo scalatore, dopo essersi a lungo inerpicato su declivi precipiti, ammira l'abisso esalante nebbia, attratto e, nel contempo, spaventato dal vuoto.

Stile significa saper osservare per emulare la naturalezza delle manifestazioni: la levità di un volo, lo scatto della folgore, il nitore di una goccia...

Lo stile si materia più del silenzio che delle parole, tra non detto, suggerito; si affievolisce in echi, pause e sbigottite sospensioni. Anche lo stile tace di fronte al mistero dell'essere.



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Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

18 aprile, 2009

Vizi e virtù del virtuale

Nell'ormai lontano 1966, Primo Levi scrisse un racconto intitolato Trattamento di quiescenza. L'autore riuscì a predire la tecnologia su cui si fonda la realtà virtuale: una macchina trasmette sensazioni a livello nervoso, generando scenari fittizi ma realistici. Fino a qualche anno addietro il virtuale era legato ad un casco ed un guanto ad hoc. Si penetrava in una dimensione parallela, astrattamente verosimile.

Oggi le tecnologie mettono a disposizione strumenti con cui la differenza tra la “realtà” empirica ed il mondo ricostruito per mezzo di matrici si è ridotta. In futuro entreremo in modo inavvertito in una gabbia dorata? Lì le sensazioni saranno portate ad un diapason parossistico, con la perdita della sensibilità. E' evidente che questa parabola implica una rivoluzione antropologica poiché non sappiamo che significato assuma l'io in una rielaborazione tecnologica del reale e come si configuri l'identità. La percezione assumerà inedite, distorte configurazioni. Sono questioni complesse e che presuppongono quesiti ancora più radicali: che cos'è la realtà? Non è forse anch'essa, almeno sotto certi rispetti, una matrice? Forse viviamo in una simulazione di cui non siamo consapevoli.

Il celebre film Matrix descrive un mondo reale che è un cupo, angosciante sotterraneo, mentre le macchine creano una simulazione scambiata per realtà. Uscire da Matrix è un'esperienza sconvolgente, perché si scopre il vero volto della vita: alla fine, però, si sfocia in una sorta di antiliberazione, giacché la conoscenza della verità, invece di elevare verso uno stato di affrancamento totale, costringe ad una lotta spesso impari contro il potere, imprigiona in un'esistenza travagliata. Manca una prospettiva superiore né le arti marziali o qualche conoscenza tecnica possono colmare il vuoto.

In verità, i fenomeni, pur nella loro caducità, paiono manifestazioni di una coscienza invisibile il cui potere creativo lascia meravigliati. E' una Mente che inscena spettacoli grandiosi, che intreccia le collane delle costellazioni alle ghirlande dei corimbi, lascia vibrare nel canto delle balene l'eco remota della genesi.

Proprio perché i demoni incrudeliscono in quest'angolo di cosmo, allestendo spettacoli rutilanti e finti come dozzinali scenografie di cartapesta, dimostrando un pazzo odio per la natura, siamo indotti ad allontanarci sempre più dalla seduzione silicea del virtuale per (ri)scoprire la bellezza delle rive sideree dove si infrangono onde di silenzio ineffabile. Senza ascoltare il canto delle sirene di plastica, potremo navigare verso isole incognite, fantastiche.

L'armonia è spontanea e naturale. E' agli antipodi di avvilenti simulazioni virtuali riconducibili, alla fine, a sequenze di gelide cifre.

Qualche orizzonte più arioso si disegna, se comprendiamo che la tecnologia non è il rimedio contro la tecnologia.



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16 aprile, 2009

Una base extraterrestre in Corsica?

Jean-Pierre Chambraud, scrittore e giornalista lionese, in un libro risalente all'ultimo scorcio degli anni '70, intitolato Le Corse, base secrète d'O.V.N.I., l’hypothese et les contacts extraterrestres, Monaco, 1979, riporta alcune dichiarazioni del contattista corso Michel Ange Mozziconacci. In particolare, il contattista rivela che nella parte meridionale dell'isola, non distante da Sartène, sorge un'installazione extraterrestre.

Sartène (in còrso Sartè, in italiano anche Sartèna) è un comune di 3.410 abitanti situato nel dipartimento della Corsica del Sud. E' uno dei pochi grandi paesi corsi non ubicati sulla costa. Sartène, dalle pendici di un imponente massiccio montuoso, lungo la valle di Rizzanese, domina il golfo di Valinco.

E' credibile l'affermazione di Mozziconacci? Davvero una civiltà "aliena" aveva costruito una base segreta nella Corsica meridionale e con quali scopi? Su queste presunte installazioni si è soffermato soprattutto l'ufologo britannico Timothy Good in alcuni suoi saggi. Anni fa il meteorologo toscano Bino Bini ipotizzò, in seguito a varie osservazioni e ricerche, che una base si trovasse nei fondali del Mar Ligure, presumibilmente di fronte a Capo Berta (Liguria occidentale). Per il contattato Maurizio Cavallo, una base, ospitante visitatori di Clarion, è situata nel Golfo di Genova.

Ora, prescindendo da tali controverse e labili tracce, si deve ricordare che, in concomitanza con le ormai pressoché quotidiane operazioni chimiche, attuate in sinergia con sistemi di tipo H.A.A.R.P., si notano configurazioni bizzarre di nuvole naturali, ma manipolate e di enormi scie, proprio nella zona adiacente alla Corsica occidentale. E' possibile che la struttura citata da Chambraud sia oggi gestita dalle forze armate francesi forse in collaborazione con "alieni".

La Corsica è comunque regione adatta all'installazione di basi, grazie al suo isolamento, al territorio impervio e con scarsa densità abitativa. E' anche strategica per il coordinamento e la gestione di attività che interessano il Mediterraneo occidentale e specialmente la vasta area che comprende la Sardegna, il Mar Ligure, la Liguria, la Provenza, uno dei quadranti più bersagliati dagli aerei chimici e dalle concomitanti emissioni elettromagnetiche. Il gigantesco impianto radar di Nizza, il centro logistico della N.A.T.O. di Sanremo, i poligoni disseminati nella Sardegna... per limitarci alle strutture ufficiali, inducono a ritenere che la vasta area, interessata altresì da avvistamenti U.F.O. anche piuttosto sorprendenti, sia piuttosto "calda".


Fonti:

T. Good, Base Terra, Milano, 1998
C. Macé, French ufologue Bernard Bidault is dead, 2006
G. Pattera, U.F.O.: vent'anni di indagini e ricerche, 2007. L'autore, valente biologo ed esobiologo, menziona Chambraud a proposito di inusuali fenomeni ottici in relazione ad avvistamenti di U.F.O.



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15 aprile, 2009

Oltre il dualismo (articolo di Davy-prima parte)

Pubblico un articolo che ha suscitato in me alcune riflessioni. In primo luogo, ha ragione Davy, nel momento in cui avverte che, non di rado, certe contrapposizioni sono fittizie e create dal sistema per attuare il solito "divide et impera". Un giornalista italiano, reputato dai più uno strenuo ricercatore delle verità scomode, in realtà, non ricordando mai che il C.F.R. fu fondato dai Gesuiti (è solo un esempio), con i suoi pur pregevoli e documentati articoli, ma a senso unico, alla fine disinforma. Dunque è bene imparare (è arduo, ma bisogna provarci) a distinguere tra veri e falsi attivisti: anche nel campo delle scie chimiche siti infiltrati dai servizi servono a sterilizzare il problema, a deviare l'attenzione su questioni marginali e depistanti, a dividere e confondere i cittadini.

E' palese: Davy vuole andare oltre per cercare di rendere conto dell'eterna lotta tra il bene ed il male (mi si passi l'espressione un po' enfatica e riduttiva, ma rende l'idea), riferendo questa distinzione ad un substrato cosmico ed energetico. Non mancherò di notare che il balzo è notevole e pure un po' audace: possiamo assimilare bene e male alle cariche positive e negative di alcune particelle? Qui noto un inevitabile iato, ma apprezzo che ci si interroghi su questo radicale tema per fornire qualche risposta, sebbene provvisoria e parziale. Esiste un punto in cui non ha più alcun senso parlare di bene e di male? Sì, quel punto, a mio parere, è il Nulla. Già negli istanti successivi al Nulla (o Nirvana, il non-respiro), almeno come possibilità cominciò ad affiorare un'anomalia: già il tempo lo è. Può essere stato un azzardo alla Hawking o l''entropia o una scheggia proiettata dallo scalpello, nel momento in cui la mirabile scultura della creazione prendeva forma. Forse è un aspetto consustanziale all'universo o connaturato a questo universo in cui viviamo noi terrestri ed altri esseri. E' possibile che un giorno questa frattura sarà ricomposta. Spero che quel giorno non sia lontano, pur nella coscienza che il tempo è illusorio.

Sull'anomalia mi soffermerò nell'ambito di una recensione. Quindi per ora non aggiungo altro, ma sottolineo un passaggio del testo di Davy che ritengo cruciale: "La massa è per il 95% ottusa ed ignorante ed è così che deve essere al 1.000 per 1.000 affinché sia controllata in modo definitivo". Porsi e porre dei quesiti, interrogare la realtà, indagare, per quanto possibile a 360 gradi, rifiutarsi di accettare "verità" preconfezionate serve a non essere controllati in modo definitivo, serve a non servire.



La distinzione tra bene e male è in sé il paradosso più grande dell’intera umanità, perché tutto è basato su tale antitesi. Il sistema nel globo crea contrasti nelle popolazioni a causa delle differenti ideologie di uno stesso paese, come di paesi differenti. Ci sono governi che la pensano in un modo ed altri in un altro, altri stanno un po’ da una parte ed un po’ dall’altra, ma mai in un punto in comune che concili tutti quanti.

Lo stesso vale per il credente come per l’attivista politico o studioso di cospirazioni che sia, il quale spreme di continuo le proprie meningi per capire quale sia la cosa giusta per l’umanità, ma ciò accade anche allo stesso fantomatico cospiratore che sta da una parte o dall’altra. Entrambe le parti, qualunque esse siano, esprimono il consenso da una parte ed il dissenso dall’altra. Esprimono un’intesa che crea degli opposti, in cui gli stessi opposti determinano un’intesa nell’opposta ideologia. Il rischio è che la parola “cospiratore” resti nel mezzo del libro delle parole e che il suo significato dipenda solo da chi l’analizza.

Su ciò è basato il “dividi e comanda” e la “trascendenza”, ossia sulla creazione di un’ideologia come la religione o la politica: esse, scisse in opposti, diventano varie confessioni o fazioni politiche che inducono la massa umana a scannarsi dentro quegli opposti (creati appositamente e gestiti dagli strati più alti della piramide), con il solo scopo di portare una persona a credere che si può essere di un colore o di un altro, ma mai di essere del proprio colore e della propria convinzione personale.

Purtroppo (o per fortuna), in questi ultimi anni, in molti hanno imparato a capire e generalizzare il singolo individuo, come anche la propaganda che può influire su miliardi di persone in modo contemporaneo. (Si pensi agli eventi del 9-11).

Quello che si può riscontrare nelle varie parti analizzate, è in sé l’assuefazione del singolo individuo, come della massa a cui appartiene, verso l’ufficialità mediatica che è posta come verità standard dai libri di scuola e dai mezzi di comunicazione di massa. La stessa verità ufficiale, però, non è solo questo: è anche tutto ciò che viene consentito di pubblicare anche nei siti più accusati, la cui più realistica descrizione dei fatti è comunque una verità che crea opposizioni e consensi tra attivisti ed “attivissimi burattinai”.

Come tempo addietro scrissi nell’articolo Le limitazioni del proprio io, quando un individuo va un po’ oltre alle concezioni standard, trova le risposte più adeguate alle sue domande in recinti appropriati e, come nel caso di chi dedica la propria Esistenza alla divulgazione, ci si trova molto spesso a fornire risposte consone a quegli individui che sono andati di là dalle normali concezioni. Purtroppo (o per fortuna), però, a loro sono sicuramente state date risposte adeguate ai relativi dubbi. Tuttavia fino a che punto abbiamo scavato nella tana del bianconiglio per ottenere tali risposte?

Negli ultimi anni, la scienza ha tentato di dimostrare come alcune caratteristiche della materia-energia rispecchino una struttura più profonda. Si è dimostrato che qualunque elemento (come ogni situazione), per esistere deve avere almeno un opposto, descrivendo dalla reazione dalla molecola creata da atomi con differente carica fino alla composizione di qualunque sostanza tramite le stesse molecole composte da atomi. Tutto è descrivibile in equazioni, la cui rappresentazione è semplificata e generalizzata nel linguaggio scientifico che pare sempre più simile alla descrizione di un programma creato da evoluti programmatori : essi talora lo paragonano nelle proprie conclusioni ad una realtà in stile Matrix. Se ciò fosse vero, se fossimo veramente in Matrix, come sarebbero in realtà le cose?

Ho riscontrato negli anni che è vero che non tutti sono uguali e che la nuova classe di potere punta proprio all’inadeguata eguaglianza sociale, perché la massa è per il 95% ottusa ed ignorante ed è così che deve essere al 1.000 per 1.000 affinché sia controllata in modo definitivo. Se così non fosse, infatti, oggi l’attivismo sarebbe la forza sociale che avrebbe preso le redini dell’Italia e del mondo, ma così non è e mai sarà, poiché la “massa” è un semplice software che legge il programma, secondo la propria programmazione genetica che tende ad essere influenzata drasticamente da determinati fattori esterni che puntano ad equalizzarla.

Chi è andato oltre nel capire la logica, spesso cerca le vere spiegazioni: chi è andato oltre è un’anomalia che sarà chippata da “fantomatici” alieni per rimettere l’individuo sulla “retta via”.

In sintesi, le persone normali (ovvero i menomati senza possibilità di ragionamento) sono quelli senza consistenti interferenze esterne, perché i chips sono impiantati solo a chi si pone DETERMINATE domande.



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14 aprile, 2009

Distanza, vicinanza

Tradurre il pensiero in parole: esiste un compito più arduo? Invalicabile il linguaggio si interpone tra la verità e la sua manifestazione, come un vetro che separa dal mondo oltre. Le parole sono fedifraghe e quasi sempre offendono l'idea per restituirne un pallido riflesso. Non rinunciamo ad usarle, poiché, se il silenzio assomiglia al fulgore del sole, talora una frase scolpita è come la luce tagliente, benché riverberata, della luna.

Sappiamo, però, in quanti vicoli ciechi s'infila il linguaggio, in quante pastoie di incomprensioni è annodato. Soprattutto sentiamo che il dono della vera comunicazione è raro, stupefacente, a guisa di quegli aeroplanini di carta che i ragazzi confezionano: per un miracoloso gioco di correnti, per la sapienza con cui il velivolo è stato costruito, anche per la giusta dose di saliva con cui si umettano gli alettoni, l'aereo si libra a lungo e leggiadro per atterrare lontano con naturale eleganza. Quante volte succede, però? Di solito le parole cadono miserande dopo pochi attimi: goffe caracollano per procombere, sacchi pesanti. Si è che quanto più ci accostiamo a verità essenziali, tanto più la loro luce ci abbaglia ed ogni tentativo di rendere il senso del tutto che è nulla naufraga.

Il problema è la distanza non tanto tra il significante ed il significato o tra il concetto e la cosa, ma tra il senso colto nella sua intimità ineffabile (e spaventosa) e la vertiginosa insufficienza dell'espressione. Le realtà profonde rifuggono dall'eloquio: si rintanano nelle viscere dell'infinito. Solo alcuni privilegiati riescono a gettare avventurosi ponti tra i pensieri e le elocuzioni: questi ponti sono le metafore, le analogie, ma il rischio è che anche il valore primario, letterale sia scambiato per metafora, per gioco linguistico.

Che cosa pensare dei vocaboli? Paiono forme senza voce. Che cosa delle parole? Parabole dalla parabola discendente. Che cosa dei termini? Sono il punto terminale dell'idea, la morte dell'intuizione. Resta l'ironia: l'ironia vera è la coscienza del distacco tra reale ed ideale, è pure la spada con cui tagliare i nodi (concettuali) di Gordio. Di fronte alla panoplia dell'accademismo, ai paludamenti della retorica, l'ironia è irridente, dissacrante. Di fronte al gioco crudele della vita, si converte in sorriso enigmatico, appena velato di malinconia, come quello del Buddha o quello del Cristo di certi versetti.

Talora vorremmo cancellare tutto e scrivere ex novo. A volte siamo tentati di tacere per sempre. Eppure, per serendipità, il linguaggio ci conduce in lande inesplorate o ci sospinge verso nuovi incontri. E' certo che abbiamo nostalgia del silenzio che era in principio (il Logos subentrò subito dopo), come del non-io e dell'istante atemporale, ma, in quanto uomini, viviamo in prossimità del linguaggio, sebbene qualcos'altro alberghi oltre.

Osserva Elémire Zolla in Stupore del Fanciullo: "A scavare si intorbidano le fonti alle quali occorrerebbe bere e tacere sicché si ascoltino i pensieri oscuri, interiori, in rigoroso silenzio."

E’ così, poiché il silenzio è misura della vicinanza alla verità.


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13 aprile, 2009

Interpretazioni dell'Apocalisse (terza ed ultima parte)

Interpretazione storica

Secondo Robin Lane Fox, autore di Verità ed invenzione nella Bibbia, Milano, 1992, l’Apocalisse deve essere rigorosamente collocata nel suo contesto storico, nella polemica anti-romana ed anti-imperiale di una primitiva comunità cristiana che vedeva nell’Urbe l’incarnazione del Male. Lane Fox riconduce lo stesso marchio della Bestia (il 616 o 666) ad usanze pagane, senza intravedervi alcunché di profetico. Di solito gli esegeti non credenti privilegiano un’analisi di Rivelazione per situarla nell’ambito della cultura e della Weltanschauung peculiari del I secolo dell’era volgare. Qualora ne colgano linee anticipatrici, le situano nei tempi immediatamente successivi alla composizione, tempi di cui era possibile presagire o vagheggiare gli sviluppi sulla base delle condizioni di allora.

Elemire Zolla, nel saggio Lo stupore infantile, all’interno del capitolo intitolato Apocalissi e Genesi, osserva: “Forse l’Apocalisse è un’elaborata maledizione di Roma. Quando Roma si convertì, essa fu sconfessata da Eusebio di Cesarea”. Stando all’autore, "le interpretazioni dell’Apocalisse sono combinate a puntino con la situazione politica dell’istante”.

Mi pare non si possa dubitare che il libello del Veggente di Patmos sia animato da una tensione escatologica che, però, pare proiettata in un futuro non lontano rispetto all’età in cui visse l’autore. Si riteneva in genere che la Parousia del prossimo fosse prossima. Questo anelito anima anche alcuni versetti evangelici ed alcuni passi delle Lettere paoline. Tuttavia pare che il testo si adatti, almeno per quanto attiene ad alcuni particolari, ad eventi della nostra epoca: mi riferisco specialmente al 666.

È noto che il 666 è codificato nel codice a barre, la sequenza di linee verticali di diverso spessore e separate da una spaziatura variabile, usata per identificare i prodotti ed il relativo prezzo. A questo punto ci si potrebbe chiedere come fu possibile ad un semisconosciuto filosofo dell’Asia minore, intuire che in futuro la cifra 666 sarebbe stata adoperata in un metodo di identificazione che per di più si inserisce all’interno di un sistema in cui le persone sono ridotte a numeri [1].

Le coincidenze sono suggestive: 666, oltre ad essere un multiplo di 11,1, indicante il ciclo delle macchie solari, è contenuto nei numeri romani presenti nella formula VICARIUS FILII DEI, che designa il papa. Babilonia la grande, descritta con un linguaggio immaginoso e criptico, evoca non solo l’Urbe pagana, ma anche la sede della Chiesa cattolica? Questa fu l’interpretazione prevalente nel Medioevo, visione che fu condivisa anche da Dante Alighieri. La traslazione semantica dalla Caput mundi imperiale al cuore della Chiesa cattolica (una chiesa che di cristiano non conserva quasi nulla) non appare difficile da un punto di vista esegetico, sebbene sia subordinata ad una lettura non meramente storica del libretto.

Alcune conclusioni provvisorie

Non escluderei che l’autore dell’opuscolo abbia squarciato il velo del tempo e intravisto avvenimenti lontanissimi, considerando anche la tendenza della storia a ripetere certi suoi modelli: forse alcune parti si possono leggere prospetticamente, evidenziando simbologie adatte a circostanze imminenti come ad altre più remote. Forse solo ad un’età spetta adempiere l’intera profezia, mentre per altre si allineano segni di cui solo alcuni compiuti. Pare che il 666 sia la cifra (lato sensu) che potrà trovare il suo compimento nei prossimi anni, laddove resta incongrua, se riferita ad altri secoli.

La filigrana dell’Apocalisse, almeno del suo nucleo primigenio, dovrebbe essere astronomico-astrologica: non manca chi (come Burak Eldem, Rendez-vous with Marduk, 2003) nel numero della Bestia ha colto, con argomentazioni alquanto tortuose, un addentellato con Nibiru e con il periodo, pari a 3.600 anni, del presunto pianeta. A prescindere da ciò, mi pare indiscutibile che Rivelazione contenga simboli astronomici che valgono come deittici temporali, come gli indicatori codificati in antichi monumenti, nelle cattedrali gotiche, in numerosi quadri etc. Recentemente Jan Wicherinch, autore del saggio intitolato Souls of distortion awakenings, A convergence of science and spirituality, 2009, ha ribadito tale dimensione: egli, studiando le chiese gotiche francesi, tra cui il duomo di Chartres, si è soffermato sulle sculture del timpano sormontante il portale principale. Qui il Cristo inscritto in una mandorla (Vescica piscis) è circondato dai quattro esseri dell’Apocalisse, simboleggianti gli estensori dei vangeli canonici: l’Angelo (Matteo); il Leone (Marco); il Toro (Luca); l’Aquila (Giovanni). Correttamente Wicherinch e, prima di lui, molti altri vedono nelle quattro figure anche dei segni zodiacali: Acquario (Matteo); Leone (Marco); Toro (Luca); Aquila-Scorpione (Giovanni). Wicherinch, cogliendo nei quattro segni zodiacali i bracci della Croce galattica, azzarda la congettura secondo cui le sculture di Chartres ed altre opere plastiche nascondono un messaggio: la nascita del nuovo Sole, in concomitanza con la congiunzione astrale del 2012, quando dovrebbe concludersi l’attuale ciclo precessionale e cominciarne un altro, l’era dell’Acquario.

Dunque l’Apocalisse indicherebbe un preciso punto cronologico, preceduto e seguito da accadimenti il cui valore, come spesso avviene, diviene trasparente solo a posteriori, vuoi per un contributo ermeneutico delle generazioni di lettori vuoi per un chiarimento progressivo degli emblemi (la Vergine, l’Agnello, le stelle, gli scorpioni, il numero sette, il numero ventidue etc.)

Individuare analogie con altri vaticini appartenenti alle più disparate culture potrà corroborare o indebolire la forza predittiva dell’Apocalisse, in vista di una svolta (positiva o negativa che sia) che è comunque sotto gli occhi di chi vuole vedere.

Leggi qui la seconda parte.


[1] 16 - Inoltre faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla loro mano destra o sulla fronte 17 - e che nessuno potesse acquistare o vendere, se non chi aveva il marchio o il nome della bestia o il numero del suo nome. 18 - Qui sta la sapienza. Chi ha intendimento conti il numero della bestia, perché è un numero d'uomo; e il suo numero è seicentosessantasei.



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11 aprile, 2009

Senza nome

Ci sfiora la sensazione a volte che qualcosa sia accaduto: è come un'anomalia o un rumore di fondo di cui non è possibile comprendere la vera natura. E' un quid che non si può ricondurre ad una genesi. Il linguaggio cerca invano di catturare la forma di questa incrinatura, di definirne il profilo spezzato.

In una giornata perfetta, si insinua un pensiero oscuro, simile ad un velo fuggevole sulla luce del cielo, ad una sottilissima ruga che solca la pelle liscia. Qualcosa si è infranto: una vena quasi invisibile percorre il calice di cristallo.

Katherine Mansfield, nel suo introspettivo racconto Il canarino, affida alla protagonista queste riflessioni: "Eppure, anche senza essere morbosi e senza abbandonarsi ai ricordi... e così via, devo confessare che mi sembra ci sia qualcosa di triste nella vita. E' difficile dire che cosa. Non mi sto riferendo a quei dolori che tutti conosciamo, come le malattie, la miseria e la morte. No, è qualcosa di diverso. E' qui, dentro, nel profondo, fa parte di noi come il nostro respiro. Per quanto duramente io lavori e mi stanchi, appena mi fermo un attimo sento che è lì che mi aspetta. Spesso mi chiedo se tutti abbiano la stessa sensazione. Non si può mai sapere".

E' vero, come intuisce la Mansfield, che avvertiamo la trafittura di questa spina, soprattutto quando ci fermiamo, quando interrompiamo per un istante le consuete attività quotidiane. Anche Lucrezio descrisse in modo mirabile l'angoscia che attanaglia l'uomo, pure Pascal evocò il tedio che adombra la vita, ma essi, come molti altri, trovarono una causa a tale condizione: la paura della morte o la comprensione dell'insufficienza della vita umana senza Dio. L'autrice neozelandese, invece, non le attribuisce un nome, poiché non lo conosce e forse non l'ha. E' un sentimento senza voce, un fuoco senza fiamma, un'ombra senza colore. Come afferrarli?

Viene il dubbio a volte che il cosmo intero sia pregno di questa misteriosa eco. Appartiene al nostro respiro, ma pure al respiro dell'universo.

E' l'alito che si effonde nelle innumerevoli espansioni e contrazioni del tutto.

E' l'alito che un giorno esalerà, senza risposta, nel silenzio dell'ultima fine?




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09 aprile, 2009

Lotteria

E' irritante ascoltare certi "esperti" e certi soloni che, mentre censurano l'Italia, patria dell'inefficienza e della corruzione, tessono le lodi dei paesi "civili" come la Francia, il Regno Unito, gli stati scandinavi... Molti intellettuali scambiano per perfette democrazie dei sistemi che hanno creato dei servizi sociali senza dubbio migliori di quelli italiani, ma si ignora o si finge di ignorare che, con strumenti raffinatissimi, i cittadini delle nazioni “progredite” sono stati convinti che il sistema non può agire né tanto meno congiurare contro la popolazione. Tuttavia le operazioni chimiche non conoscono confini ed i "politici" di tutto il mondo o quasi hanno svenduto, per una manciata di privilegi, la sovranità nazionale. Ciò dimostra che la vera civiltà non è di questo mondo. Succubi di entità mondialiste, i barattieri obbediscono ad ordini superiori, senza battere ciglio.

Così gli Scandinavi, ad esempio, ancor più di popoli mediterranei come l'italiano ed il greco, rifiutano pervicacemente di concepire, anche solo per un istante, un esecutivo che mira in verità al dominio più perverso. Gli Scandinavi, tranne qualche eccezione, non immaginano neppure a quale subdola manipolazione sono soggetti. Le persone sono state blandite, narcotizzate (una narcosi piacevolmente ferale): ora, sotto anestesia, i chirurghi della morte possono intervenire sulle cavie umane. Così, nei "progrediti" paesi scandinavi, sono state installate delle gigantesche basi H.A.A.R.P. con cui modificare il clima ed irradiare perniciose emissioni elettromagnetiche. Non solo, recentemente è stato introdotto in Svezia un nuovo sistema, denominato Energy box, per l'erogazione dell'energia elettrica nelle abitazioni. Non sappiamo in che cosa consista di preciso tale sistema, ma alcuni attivisti svedesi hanno lanciato l'allarme: Energy box è usato per il controllo mentale e, in quanto correlato a potenti emissioni elettrodinamiche, potrà provocare malattie anche gravi. A questo punto risulta quasi irrilevante che le apparecchiature elettriche subiscano dei malfunzionamenti o dei danni irreparabili.

L'atavica ed endemica insipienza delle istituzioni italiane, le lungaggini di burocrati rimbambiti ci consentono di essere buoni ultimi, sebbene molte innovazioni deleterie siano state diffuse anche nella nostra penisola, sempre con il pretesto di migliorare i servizi ed il rapporto dei cittadini con la “pubblica” amministrazione. Naturalmente tutte le iniziative del potere nascondono delle insidie, spesso feroci. La gestione dei servizi, demandata dai governi a società private, che agiscono in modo monopolistico, implica una progressiva informatizzazione, la creazione di banche dati, di realtà telematiche (anche i libri cartacei dovranno essere sostituiti da pubblicazioni in Rete).

Il governo del futuro, nei piani degli Oscurati, è un fantomatico software che gestisce individui-dati, cifre anonime.

L'ultimo rantolo della "civiltà" sarà una lotteria di numeri irrazionali.



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08 aprile, 2009

Natività mistica

«Questo dipinto (nella foto un dettaglio) è stato dipinto da me, Alessandro, alla fine dell'anno 1500, durante i tumulti dell'Italia nel mezzo tempo dopo il tempo in cui, secondo compimento dell'undicesimo di Giovanni nella seconda piaga dell'Apocalisse, nella liberazione del Demonio di tre anni e mezzo. Poi sarà incatenato in corrispondenza del dodicesimo e noi lo vedremo (gettato al suolo) come nel presente dipinto»

La Natività della National Gallery di Londra è una delle ultime opere dipinte da Sandro Filipepi, detto il Botticelli (1445-1510). E' un dipinto "pervaso da un senso di inquietudine e di una nuova complicazione drammatica (per esempio, gli abbracci degli angeli e degli uomini in basso) davvero inconsueti." (F. Negri Arnoldi). Nella Firenze su cui proiettava la sua ombra l'esagitata predicazione del Savonarola, la poetica del pittore si anima di palpiti e di incerti presagi. Conclusasi ormai la gloriosa stagione del Rinascimento fiorentino, con la morte di Lorenzo il Magnifico (1492), l'ispirazione del Botticelli trascolora in una penombra rischiarata da luci mistiche.

Il Botticelli nega nella Natività una delle conquiste più alte della pittura rinascimentale, la prospettiva geometrica, il cui carattere prevalentemente astratto e matematico l'artista aveva denunciato, privilegiando il linearismo costruttivo ed il simbolismo ermetico. In questa frattura sta la novità del quadro in cui sono recuperati moduli arcaici, come la prospettiva gerarchica, ma che, rispetto ai solenni e ieratici modelli pre-umanistici, sviluppa movimenti drammatici. Al fondo aureo l'artista sostituisce colori smaglianti e, senza rinunciare ai simboli (si pensi alla valenza emblematica dei colori: i colori delle tuniche dei tre angeli che, inginocchiati sul tetto di paglia, sorreggono un libro aperto), punta su una nuova descrizione della "realtà" in cui l'inganno ottico (i personaggi in primo piano sono non realisticamente più piccoli della Sacra Famiglia) è abbandonato. Una luce tagliente scolpisce le rocce, tornisce i tronchi, affila l'erba. Questa luce sprofonda nell'ombra misteriosa del bosco di latifoglie che è, a mio parere, il brano più bello del capolavoro. Oltre la grotta, immagine potentemente evocativa, un alone dorato si mesce al verde delimitato dal bianco latteo che digrada nel celeste del firmamento. La natura, come riflesso di un ordine superiore, incornicia esseri e valori soprannaturali.

E' veramente un'opera mistica, se mistico significa vedere, ma non con gli occhi, se mistico significa vedere oltre gli occhi. Nonostante certi stilemi arcaizzanti, la Natività è opera modernissima, poiché mostra il carattere fittizio e caduco dell'illusione percettiva, aprendo la visione verso l'interiorità. Significativo che questa visione si approfondisca, recuperando lo sguardo interno, in un'epoca cruciale per Firenze e l'Italia in bilico tra XV e XVI secolo. Anche oggi sembra che lo sguardo penetri in recessi insondati.

Molte epoche avvertono l'imminenza dell'Apocalisse: i cinque piccoli diavoli sprofondati nei crepacci o trafitti dai loro stessi forconi e l’abbraccio degli angeli con gli uomini sembrano adombrare una liberazione dell’umanità. Molte epoche avvertono l'imminenza dell'Apocalisse: ognuna adatta eventi e circostanze alla Rivelazione, all'éschaton, spesso a ragione. In questo anelito verso il significato ultimo, verso la trasformazione della storia in metastoria, risiede il valore dell'arte e della filosofia. La vita stessa non è scevra di tale tensione. A volte un istante può inabissarsi fino al fondo e portare in superficie il segreto senza nome.




APOCALISSI ALIENE: il libro
TANKER ENEMY TV: i filmati del Comitato Nazionale

Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

07 aprile, 2009

Hard and soft

"E' necessario che gli animali si divorino tra loro. [...] Il morire è un cambiare di corpo, come l'attore cambia di abito. [...] Gli uomini si armano gli uni contro gli altri perché sono mortali ed i loro ordinati combattimenti che assomigliano a danze pirriche, ci mostrano che gli affari degli uomini sono semplicemente dei giochi e che la morte non è nulla di terribile [...]. Come sulle scene del teatro, così dobbiamo contemplare le stragi, le morti come fossero tutti cambiamenti di scena e di costume, lamenti e gemiti teatrali. [...] Coloro che non conoscono ciò che è serio, prendono sul serio i loro giochi e sono giocattoli essi stessi. Anche i fanciulli piangono e si lamentano per cose che non sono mali".


Così si esprime il filosofo Plotino, convinto che la vita è illusione, fantasma ludico. Sulla scia di Platone, il pensatore ritiene che la vera realtà sia iperuranica. Il celebre film Matrix si richiama, tra le varie fonti, al fondatore dell'Accademia, ma con una fondamentale differenza: il mondo reale è orribile, squallido, mentre in Platone il regno delle idee è radioso, illuminato dall'Idea del Bene. Quale Weltanschauung si avvicina maggiormente al vero?

Sono numerose e, almeno all'apparenza inconciliabili, le concezioni dell'universo: a concezioni soft, secondo le quali il cosmo è Maya, mentre il vero essere è oltre (Vedanta, Parmenide sino a Bohm e Wheeler, passando per Berkeley), si contrappongono interpretazioni hard, per cui il reale possiede una sua oggettività, un suo substrato. Alle quattro interazioni fondamentali, manifestazioni della materia-energia, soggiacciono delle leggi avulse dalla mente. La stesse visioni cosmologiche oscillano tra versioni radicali (per Wheeler l'essere si palesa quando è percepito), ad altre che postulano un quid indipendente dall'osservatore che influisce su certe condizioni, ma non le pone.

Apparenza? Realtà? In che cosa consiste la differenza e come distinguerle? Se il mondo fenomenico è solo un velo ingannevole o un programma in cui tutto è codificato, allora ha ragione Plotino e "gli affari degli uomini sono semplicemente dei giochi". Da quale principio promanino le parvenze e per quale motivo l'essere scivoli nell'hyle, resta un arcano. Lo slittamento era ed è un male necessario?

Se la vita è un dramma in cui si recita una parte, l'etica rischia di perdere i suoi fondamenti; se l'esistenza è predeterminata da un oloprogramma, si dissolve il libero arbitrio.

E' possibile che il non essere si sia, in qualche modo, solidificato, sebbene, come i solidi possa essere ricondotto ad una vibrazione originaria, ad un movimento rapidissimo di fili sottilissimi. E’ proprio questo moto velocissimo a dare l’illusione della stasi. Similmente la luce bianca contiene tutti i colori, benché noi ne vediamo uno solo.

La totalità è attraversata da profonde fratture da cui si genera il molteplice con una proliferazione di enti, dalla materia sino all’essere, passando per numerosi livelli intermedi.

Il non essere così, espulso dalla porta, altro allotrio rispetto all'Uno, rientra dalla finestra come relativo al cui interno gli schemi spazio-temporali e le ripetizioni meccaniche paiono infrangibili, assolute.

Suprema, improba impresa soltanto immaginare un modo di uscire dalla caverna, ma è il nostro destino, anche se, dapprincipio, la luce che splende là fuori ci accecherà.



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Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

06 aprile, 2009

Portali-addendum

Secondo Angelo Ciccarella, la città di Lipsia, nell'ex Germania est si può considerare un portale. Nell'articolo intitolato La faccia occulta del Comunismo, lo studioso riferisce di audaci e pericolosi esperimenti compiuti dalla Stasi, la famigerata polizia segreta della Repubblica "democratica" tedesca, nel centro militare di Lipsia.

L'autore scrive: "Ad un certo punto degli esperimenti collettivi, qualcosa avvenne, qualcosa di terribile si rivelò. Un arco di radiazioni elettromagnetiche in espansione saliva attraverso gli strati delle vecchie e mai perdute trasmissioni radio di tutto il mondo. Mentre l'arco procedeva in avanti nello spazio, viaggiava indietro nel tempo e tutti i sensitivi, i tecnici, gli agenti Stasi presenti nel laboratorio, ascoltarono voci di persone morte da tempo, fino a tornare verso la prima trasmissione di Marconi e... verso il silenzio. Poi, di botto, una cascata inarrestabile di fenomeni: onde scalari, anomali flussi energetici, ampio spettro di frequenze E.M. e nota di fondo dominante, fragorosa. Uno squarcio nel vuoto ed ecco comparire un grande arazzo sopra le teste dei presenti. Vi era raffigurato un animale, una salamandra in mezzo alle fiamme. Si era creato un punto cieco, un varco dimensionale. Inavvertitamente, pigiando un tasto, oltre lo specchio si era acceso un led. Le facoltà extrasensoriali di uomini e donne unite ad un glifo psicoacustico ed ad un codice alieno (?) avevano trapassato le Porte del Tempo. La Quarta dimensione non è impenetrabile. Quando si lacera la sua struttura connettiva
, ne sopravviene un universo tangente, instabile, limitato nella trasmissione. Esisterebbero così infiniti universi, nei quali si svilupperebbero, in maniera indipendente, tutte le alternative possibili, a partire da una situazione che ha la possibilità di evolvere in diversi modi... Ciascuna alternativa diventerebbe così realizzata e praticabile in un mondo a sé, senza essere cancellata dalle altre nelle vicende di un unico mondo... Lipsia era un cancello stellare che attendeva da tempo di essere aperto, un dispositivo in grado di viaggiare nel tempo e nelle dimensioni. I massimi esperti di fisica e di elettronica provarono inutilmente ad usare il portale come arma. Il portale da solo non serve a nulla; per funzionare ha bisogno di un suo omologo di uscita nel segmento spazio-temporale di arrivo. Indovinate dove si trova l'altra porta e soprattutto chi la detiene?"

Ciccarella intravede dietro le quinte della storia una cospirazione di proporzioni gigantesche: il nome in codice dell’Entità che agisce nell’ombra è Salamandra. La salamandra, animale che, nella tradizione, era in grado di vivere nel fuoco, ricorda le figure create dal plasma.

Nel suo testo criptico, non privo di autocompiacimento e di qualche tono da ierofante, Ciccarella ha comunque il merito di rispolverare gli inquietanti scenari di un conflitto segreto, il conflitto delle psicospie. Durante gli anni della Guerra fredda, agenti psichici statunitensi (famoso è lo scienziato ed artista Ingo Swann) e dell'est europeo si confrontarono in esperimenti di visione a distanza ed in altri ambiti relativi all'uso a fini spionistici dei poteri mentali. L'ipotesi dell'autore pare la seguente: forze extrasensoriali furono all'origine di un'apertura nella sfera spazio-temporale. E' probabile che ai risultati concorsero diaboliche tecnologie. La convergenza tra dimensione medianica e tecnologica sembra essere all'origine delle scoperte che resero celebre Marconi; un ascolto di esseri dell'altrove illuminò la mente di Tesla. Gli scientisti reputano tale approccio ridicolo, poiché essi distinguono tra la scienza e la superstizione. Sappiamo, però, quanto le ricerche di eminenti studiosi anche razionalisti siano venate di magia, di occultismo.

La riflessione sui portali, su questi aditi verso regioni invisibili ci conduce al confine della percezione ordinaria, là dove i concetti razionali si appannano per compenetrarsi con idee controintuitive, con i paradossi delle verità eccentriche ed inaccettabili, appena rasentate da intelletti sublimi. Quando ci accostiamo a certe verità mai attinte prime, esse si sbriciolano e si depauperano, a contatto con il linguaggio e la logica.

Dove potrebbe essere l'altra porta verso l'Ade? Forse nelle viscere del Gran Sasso, cui accennai in Portali, visto che si trova più o meno sulla stessa longitudine (13 gradi e 34 primi) di Lipsia (12 gradi e 23 primi)? In laboratori ricavati nel cuore della montagna, non si studierebbero solo neutrini, ma si compirebbero esperimenti segreti. Alcuni scalatori hanno affermato di aver colà notato anomalie.

Nulla è certo; tutte queste informazioni e voci vanno prese con il beneficio del dubbio, ma è evidente che la realtà è molto più enigmatica e paradossale di quanto si possa immaginare.



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