Tradurre il pensiero in parole: esiste un compito più arduo? Invalicabile il linguaggio si interpone tra la verità e la sua manifestazione, come un vetro che separa dal mondo oltre. Le parole sono fedifraghe e quasi sempre offendono l'idea per restituirne un pallido riflesso. Non rinunciamo ad usarle, poiché, se il silenzio assomiglia al fulgore del sole, talora una frase scolpita è come la luce tagliente, benché riverberata, della luna.
Sappiamo, però, in quanti vicoli ciechi s'infila il linguaggio, in quante pastoie di incomprensioni è annodato. Soprattutto sentiamo che il dono della vera comunicazione è raro, stupefacente, a guisa di quegli aeroplanini di carta che i ragazzi confezionano: per un miracoloso gioco di correnti, per la sapienza con cui il velivolo è stato costruito, anche per la giusta dose di saliva con cui si umettano gli alettoni, l'aereo si libra a lungo e leggiadro per atterrare lontano con naturale eleganza. Quante volte succede, però? Di solito le parole cadono miserande dopo pochi attimi: goffe caracollano per procombere, sacchi pesanti. Si è che quanto più ci accostiamo a verità essenziali, tanto più la loro luce ci abbaglia ed ogni tentativo di rendere il senso del tutto che è nulla naufraga.
Il problema è la distanza non tanto tra il significante ed il significato o tra il concetto e la cosa, ma tra il senso colto nella sua intimità ineffabile (e spaventosa) e la vertiginosa insufficienza dell'espressione. Le realtà profonde rifuggono dall'eloquio: si rintanano nelle viscere dell'infinito. Solo alcuni privilegiati riescono a gettare avventurosi ponti tra i pensieri e le elocuzioni: questi ponti sono le metafore, le analogie, ma il rischio è che anche il valore primario, letterale sia scambiato per metafora, per gioco linguistico.
Che cosa pensare dei vocaboli? Paiono forme senza voce. Che cosa delle parole? Parabole dalla parabola discendente. Che cosa dei termini? Sono il punto terminale dell'idea, la morte dell'intuizione. Resta l'ironia: l'ironia vera è la coscienza del distacco tra reale ed ideale, è pure la spada con cui tagliare i nodi (concettuali) di Gordio. Di fronte alla panoplia dell'accademismo, ai paludamenti della retorica, l'ironia è irridente, dissacrante. Di fronte al gioco crudele della vita, si converte in sorriso enigmatico, appena velato di malinconia, come quello del Buddha o quello del Cristo di certi versetti.
Talora vorremmo cancellare tutto e scrivere ex novo. A volte siamo tentati di tacere per sempre. Eppure, per serendipità, il linguaggio ci conduce in lande inesplorate o ci sospinge verso nuovi incontri. E' certo che abbiamo nostalgia del silenzio che era in principio (il Logos subentrò subito dopo), come del non-io e dell'istante atemporale, ma, in quanto uomini, viviamo in prossimità del linguaggio, sebbene qualcos'altro alberghi oltre.
Osserva Elémire Zolla in Stupore del Fanciullo: "A scavare si intorbidano le fonti alle quali occorrerebbe bere e tacere sicché si ascoltino i pensieri oscuri, interiori, in rigoroso silenzio."
E’ così, poiché il silenzio è misura della vicinanza alla verità.
Sappiamo, però, in quanti vicoli ciechi s'infila il linguaggio, in quante pastoie di incomprensioni è annodato. Soprattutto sentiamo che il dono della vera comunicazione è raro, stupefacente, a guisa di quegli aeroplanini di carta che i ragazzi confezionano: per un miracoloso gioco di correnti, per la sapienza con cui il velivolo è stato costruito, anche per la giusta dose di saliva con cui si umettano gli alettoni, l'aereo si libra a lungo e leggiadro per atterrare lontano con naturale eleganza. Quante volte succede, però? Di solito le parole cadono miserande dopo pochi attimi: goffe caracollano per procombere, sacchi pesanti. Si è che quanto più ci accostiamo a verità essenziali, tanto più la loro luce ci abbaglia ed ogni tentativo di rendere il senso del tutto che è nulla naufraga.
Il problema è la distanza non tanto tra il significante ed il significato o tra il concetto e la cosa, ma tra il senso colto nella sua intimità ineffabile (e spaventosa) e la vertiginosa insufficienza dell'espressione. Le realtà profonde rifuggono dall'eloquio: si rintanano nelle viscere dell'infinito. Solo alcuni privilegiati riescono a gettare avventurosi ponti tra i pensieri e le elocuzioni: questi ponti sono le metafore, le analogie, ma il rischio è che anche il valore primario, letterale sia scambiato per metafora, per gioco linguistico.
Che cosa pensare dei vocaboli? Paiono forme senza voce. Che cosa delle parole? Parabole dalla parabola discendente. Che cosa dei termini? Sono il punto terminale dell'idea, la morte dell'intuizione. Resta l'ironia: l'ironia vera è la coscienza del distacco tra reale ed ideale, è pure la spada con cui tagliare i nodi (concettuali) di Gordio. Di fronte alla panoplia dell'accademismo, ai paludamenti della retorica, l'ironia è irridente, dissacrante. Di fronte al gioco crudele della vita, si converte in sorriso enigmatico, appena velato di malinconia, come quello del Buddha o quello del Cristo di certi versetti.
Talora vorremmo cancellare tutto e scrivere ex novo. A volte siamo tentati di tacere per sempre. Eppure, per serendipità, il linguaggio ci conduce in lande inesplorate o ci sospinge verso nuovi incontri. E' certo che abbiamo nostalgia del silenzio che era in principio (il Logos subentrò subito dopo), come del non-io e dell'istante atemporale, ma, in quanto uomini, viviamo in prossimità del linguaggio, sebbene qualcos'altro alberghi oltre.
Osserva Elémire Zolla in Stupore del Fanciullo: "A scavare si intorbidano le fonti alle quali occorrerebbe bere e tacere sicché si ascoltino i pensieri oscuri, interiori, in rigoroso silenzio."
E’ così, poiché il silenzio è misura della vicinanza alla verità.
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Le parole sono radici nella mente, radici che evitano frane.
RispondiEliminaOh zret vorrei sedermi ai piedi del tuo pulpito e ascolarti.
RispondiEliminaCosa scorre fra due individui appena sotto le lastre di ghiaccio del linguaggio?
Vedo abissali sconvolgimenti e nascondigli e tradimenti e speranze e illusioni e sogni e tempeste e desideri e poi....in fondo, in fondo all'abisso pace e accettazione.
Il sorriso di alcuni versetti e di chi muore vivendo
Ciao e grazie
Timor, ti rispondo con Eraclito: "L'uomo, in quanto tale, abita in prossimità del linguaggio".
RispondiElimina"Pace e accettazione", sì, sono quello cui aneliamo.
Grazie a te!
le parole, ogni parola porta in se un'energia, ogni lettera, come la voce, le parole, l'espressione, il linguaggio communicano quello che siamo. Piu uno sara vicino alla sua Fonte, al suo IO esistensiale..piu le parole che pronunciera , scrivera, sarano creatrice di verita, trasmeterano quest' energia di amore. Certo, il silenzio contiene la verita. Pero Il Logos, DIA LOGOS vero.. e quello che ci fa incontrare il divino tra di noi, se siamo sulla stessa vibrazione / frequenza.
RispondiEliminaE' vero, Plucky. Il suono è magia, musica e vibrazione. Come dice Di Benedetto, In principio era la vibrazione.
RispondiEliminaCiao e grazie.