31 dicembre, 2005

Lenticchie, cotechino e... terrorismo

Tra poche ore, l’uomo del colle, con i consueti modi paternalistici ed untuosi, da conte zio di manzoniana memoria, ci torturerà con il suo messaggio agli Italiani a reti unificate. Il suo discorso sarà come il pranzo dell’ultimo dell’anno di cui si conosce in anticipo il menu. Già possiamo “pregustare” le solite insipide e vomitevoli pietanze ammannite da questo cuoco senza fantasia: un antipasto a base di logori luoghi comuni; un primo condito con la salsa di valori della nazione o, meglio, della patria; un secondo insaporito con un’esortazione all’ottimismo; un contorno di rievocazioni dei “successi” della politica italiana; un dolce di zuccherosi, falsi auguri per un felice anno nuovo.

Per digerire un amaro e l’amaro - si sa - è il terrorismo: la magistratura e le forze dell’ordine si stanno adoperando per combattere il terrorismo, ma purtroppo le cellule di kamikaze proliferano e questi scellerati islamici, godendo del sostegno di qualche imam, sono difficili da stanare. Non bisogna pertanto abbassare la guardia e lottare contro questa terribile minaccia per le “democrazie” occidentali.

Che bel discorso! Molto originale e profondo! Chi gliel’avrà scritto? Non sarà stato per caso quel “tedesco lurco” che si vede spesso in giro con un mitra, pardon una mitra?

Di fronte a riflessioni così insulse e banali sulla realtà che ci circonda, due sono le conclusioni possibili: o l’uomo del colle è l’incarnazione del vuoto assoluto oppure, ipotesi più probabile, è un altro sepolcro imbiancato, le cui parole non contengono mai neppure una verità, tanto meno quelle sul terrorismo.

Terrorismo? Questa parola non vi evoca una sigla? Per esempio, AL… CIADA…

Buon anno.

30 dicembre, 2005

San Giorgio e i Draghi

Ieri i saggi del governo, nella loro infinita, commovente, disinteressata sollecitudine per il bene pubblico, hanno deciso di designare come nuovo governatore della Banca d’Italia, mario draghi, un uomo probissimo, dal passato cristallino e dall’anima candida, un uomo che ha trascorso tutta la sua vita in attività filantropiche e che, attualmente, si sta impegnando in un progetto teso all’abolizione dell’esecrando signoraggio. Infatti codesto sant’uomo si è chiesto per quale motivo i cittadini italiani debbano essere dissanguati e frodati con questo odioso sistema: ha perciò deciso di far stampare le banconote allo stato di modo che la collettività non debba più restituire il capitale con gli interessi ai briganti delle banche private. La designazione di draghi ha ottenuto il plauso dell’intero (o quasi) mondo politico, a dimostrazione di come la classe dirigente condivida le linee d’intervento del neogovernatore. Soprattutto quell’intelligentissimo, eloquente, onesto professore a capo dell’Unione, è giubilante per la nomina di draghi.

A questo punto mi domando perché alcuni si ostinino ad ammonire l'opinione pubblica, ricordando che draghi è membro del gruppo Bilderberg, che è stato fautore di una politica di privatizzazioni, che è vicepresidente del Goldman Sachs, un istituto di credito la cui sede europea è situata nella City, il cuore finanziario del globo… Costoro credono forse di atteggiarsi a San Giorgio che combatte i draghi?

Chissà che cosa penserà il britannico David di un governatore con cotante eccellenti credenziali e per giunta con questo cognome che…?

Nomina sunt consequentia rerum, dicevano i Latini. Se avessero ragione?

28 dicembre, 2005

La banca degli imputati

In questi giorni, quotidiani e telegiornali si soffermano sullo scandalo finanziario che vede coinvolti Fiorani, Consorte ed altri grassatori. Senza dubbio, all’interno dell’apparato bancario, agiscono persone spregiudicate i cui reati devono essere perseguiti. È questo che i cittadini italiani auspicano.

Tuttavia molti dimenticano che esiste qualcosa di molto più esecrando del ladrocinio perpetrato da qualche disonesto speculatore: è il sistema creditizio stesso, fondato sul furto che è stato denominato interesse. È l’interesse, non tanto il plusvalore, la pietra angolare del capitalismo sin dal tempo in cui i sacerdoti babilonesi, che, non a caso erano anche banchieri, caricavano i prestiti d’interessi.(1) Tale metodo, che conobbe un notevole sviluppo nel Basso medioevo con la gente avida di “subiti guadagni”, destinato a diventare il perno medesimo di un’economia finanziaria incentrata sull’usura, come denunciò Ezra Pound, più che sulla produzione di beni e servizi, costituisce oggi le fondamenta, solidissime e fragili al tempo stesso, sulle quali è eretto il mostruoso edificio del debito. Infatti buoni di stato ed obbligazioni sono titoli del debito pubblico e delle società creati con il turpe scopo di depredare i cittadini per cui è fatto balenare il miraggio di un utile, ad una data scadenza. Sennonché l’utile può essere garantito soltanto emettendo nuovi titoli, che in fin dei conti, sono fogli di carta o cifre digitate sulla tastiera di un elaboratore. In questo modo s’innesca una reazione a catena con debiti che alimentano debiti sempre maggiori. Perciò lo stato aumenta l'imposizione fiscale diretta ed indiretta, spillando altri quattrini ai contribuenti per versare ai risparmiatori qualche baiocco. In pratica lo stato con una mano ti dà uno e con l'altra ti toglie dieci. Bel guadagno!

Le banche, inoltre, nel momento in cui concedono dei prestiti (fidi, mutui) creano denaro dal nulla, denaro che non esiste: gravandolo di onerosi interessi, i banchieri riescono ancora una volta a svenare i consumatori e, non di rado, ad impadronirsi di aziende e di proprietà sottratte ai debitori insolventi.

Insomma, quello dell’interesse è una colossale, spudorata truffa, neppure giustificata dal problema dell’inflazione, causata, in gran parte, proprio dal diabolico meccanismo dell’usura.

Vorrei sapere perché, se chiedo un prestito di mille euro, dovrò l’anno prossimo restituirne millecentocinquanta. In cambio di quale servizio o prodotto? Forse l’istituto di credito ha attinto al suo capitale per concedermi tale somma? Non ha forse semplicemente generato soldi ex nihilo o non li ha prelevati dal conto di qualche inconsapevole piccolo risparmiatore?

Per questi motivi, è giusto che sul banco degli imputati siedano loschi profittatori, ma è necessario, doveroso che, a sedere sul banco, siano le banche stesse, vere società di usurai.

1) Ricorda W. Keller, nel saggio La Bibbia aveva ragione, che, nel VI secolo a.C. a Babilonia, i tassi si aggiravano sul 20 per cento.

27 dicembre, 2005

Radiazione di fondo

Il dolore, la radiazione di fondo dell'universo.

26 dicembre, 2005

Dietro il velame

“Papa Benedetto XVI, nel suo primo messaggio natalizio, ha invitato l'umanità ad unirsi contro il terrore, la povertà e il degrado ambientale, invocando un "nuovo ordine mondiale" per correggere gli squilibri economici. Il Papa ha parlato di fronte a decine di migliaia di pellegrini riuniti sotto gli ombrelli in una piovosa piazza San Pietro per il discorso e per la benedizione Urbi et Orbi.Nel suo messaggio, trasmesso in diretta dal balcone centrale della basilica di San Pietro a decine di milioni di persone in circa quaranta paesi, ha esortato anche a non lasciare che le conquiste della tecnologia offuschino i veri valori umani.”



In questo modo Philip Pullella dell’agenzia di stampa, Reuters, ha condensato il discorso tenuto dal sommo orefice, Benedetto XVI, in occasione del Natale. L’allocuzione del papa, trasudante la solita bolsa e reboante retorica, è per giunta ipocrita, considerando che al vescovo di Roma non cale punto né del terrorismo né dell’indigenza né dei disastri ambientali, poiché il successore di Giovanni Paolo II, è in questi giorni, alacremente impegnato ad arredare la sua sfarzosa, principesca dimora.

La fiacca concione si potrebbe liquidare come ciarpame papesco, se non fosse, insieme con la cornice in cui è stata pronunciata, punteggiata di sinistri simboli che rivelano l’appartenenza di codesto papa alla sinarchia. L’omelia è stata tenuta dalla loggia di San Pietro: per l’occasione, la balaustra è stata coperta con un drappo rosso su cui è effigiato l’emblema della Santa sede, due chiavi incrociate sormontate dalla mitra, a guisa di due tibie con il teschio. Inoltre, il papa, nell’ambito del suo pernicioso ragionamento, ha invocato ledificazione di un nuovo ordine mondiale. Proprio così, Sua santità ha auspicato la creazione di un nuovo ordine mondiale: questa è l’infame, diabolica, spaventevole espressione tanto cara a Bush senior ed alla sua setta di degenerati. Infine il "vicario" di Cristo ha rivolto gli auguri natalizi, trasmessi da centoundici televisioni, in trentatré lingue: trentatré è numero massonico per eccellenza. Trentatré, ad esempio, sono i gradi della Massoneria di antico rito scozzese ed accettato.

Un potente membro del governo occulto ha ieri gettato la maschera.

Per chi non solo non sa interpretare i simboli, ma neppure li nota, la scenografia ed il messaggio sono kitch e banali; coloro i quali, invece, sono in grado di leggere e decodificare immagini ambivalenti e polisemiche, spesso rovesciate nei loro significati, Benedetto XVI è, come è definito nella nota profezia, la “gloria dell’ulivo”, dove il ramoscello d’ulivo, da emblema di pace diventa, a causa dell’inversione semantica e satanica, figura della morte e della distruzione.

Gente che applaudite l’orefice e che, con sguardo rapito e un po’ ebete, lo contemplate, guardatevi dai falsi profeti, dai lupi travestiti da agnelli.

25 dicembre, 2005

Alla ricerca dei libri di Thot

Pubblico una recensione del saggio scritto da Daniela Bortoluzzi, valentissima ricercatrice indipendente nel campo dell’archeologia e delle discipline esoteriche. L’articolo è tratto da http://www.edicolaweb.net/

Un cannocchiale puntato sull'infinito, con il quale l'autrice capta i segnali che l'Universo dei misteri, in ogni momento e in ogni luogo, lancia a chi intende raccoglierli, comprenderli e decodificarli. Un percorso di ricerca, iniziato sulle tracce dei nostri predecessori su questo pianeta, in ogni momento e in ogni luogo, diventa un viaggio insolito e mistico, la cui meta è impossibile raggiungere in una sola vita... Dalla Grande Piramide alla Sfinge, da Atlantide a Nazca, da Osiride a Mosè... Dagli OOParts ai Cerchi nel Grano, dal Graal ai Maestri Ascesi: questi e molti altri imbarazzanti "argomenti proibiti" formano un minimo comune denominatore in questo libro che merita di diventare un punto di riferimento per i lettori intelligenti e inquieti, quelli che si domandano: "chi sono... da dove vengo e verso dove vado?".

Gli antichi Egizi furono indiscutibilmente grandi conoscitori di "ARTI" in senso lato, e nel Pantheon delle loro divinità ognuna presiedeva a una di queste. Ovviamente l'insieme di questa conoscenza era scritta, non sappiamo se su papiro, su carta, su tessuto... o incisa su roccia, su metallo, su dischi di vinile, o registrata su nastro magnetico o su C.D... o resa in forma olografica. Di un fatto dobbiamo avere la massima certezza: da qualche parte esiste un luogo dove presto sapremo di cosa si tratta.

Nelle migliaia di papiri giunti fino a noi, gli scribi hanno meticolosamente riportato un po' di tutto, suddividendoli per argomenti e materie, né più e né meno di come si fa oggi con i libri; così abbiamo appreso quasi tutto su questo popolo e sui suoi costumi, quasi tutto sulla sua religione, quasi tutto sulle sue origini... Ma in quel quasi sta il nocciolo della questione: i "Libri di Thot", come erano chiamati i "libri della conoscenza nascosta" tanto decantati e tanto preziosi, non sono ancora stati trovati. Non si può nemmeno essere certi che siano stati perduti, visto che rivestivano un'importanza tale da essere conservati in un luogo segreto e praticamente inaccessibile.


Dobbiamo ragionevolmente pensare che si trovino ancora là.

Non è vero che nessuno li ha mai trovati; ci sono le prove che almeno due persone abbiano scoperto il loro nascondiglio segreto. Giurarono di tacere, pensando che l'umanità non fosse ancora pronta... e informarono della loro scoperta e della relativa decisione le autorità egiziane. Poiché erano massoni, mantennero il silenzio fino alla morte: si chiamavano William Petrie e Ora Kinnaman.


In questo momento c'è una spasmodica ricerca dell'accesso a questo luogo, specialmente da quando è stato rinvenuto, tra le carte, il foglio dattiloscritto dove Kinnaman, prima di morire, ruppe il patto di silenzio e indicò come raggiungere la "porta segreta".

Il momentum sta per arrivare.

Daniela Bortoluzzi
Eremon Edizioni

pagg. 320 - € 16,50

24 dicembre, 2005

Risurrezione

Il Natale è vicino e milioni di persone si accingono a celebrare una ricorrenza di cui ignorano tutto o quasi e che, col passare del tempo, si è trasformata in un rituale meramente consumistico. Il Natale dovrebbe essere la celebrazione della nascita di Cristo, l’Uomo-Dio che, con il suo sacrificio, redense l’umanità dal peccato. Egli nacque a Betlemme, trascorse l’infanzia in Egitto. Compiuti trent’anni, cominciò a predicare l’amore e la fratellanza tra tutti gli uomini. Inviso alle autorità religiose ebraiche incapaci di comprendere un messaggio dai così sublimi contenuti spirituali, esse complottarono per eliminarlo. Il Sinedrio fece catturare Gesù che fu giudicato colpevole da un tribunale romano, ma su istigazione dei perfidi giudei. Condannato all’infamante pena della crocifissione, Cristo s’immolò per l’umanità intera. Spirato sulla croce, il terzo giorno resuscitò per apparire prima alla peccatrice Maria Maddalena, poi agli apostoli.

Questo è il racconto mitico di Cristo il cui punto focale è la Risurrezione: infatti Shaul-Paolo afferma ”se Cristo non è risorto, la nostra fede è vana”. Che cosa si deve intendere per Risurrezione? Tutti i cristiani, per nulla abituati a recepire un insegnamento esoterico-simbolico e, di converso, attaccati alla misera lettera dei testi, pensano che la risurrezione sia il miracoloso ricostituirsi del corpo e dell’anima dopo la morte. È un’idea infinitamente ingenua e dozzinale, perché la vera risurrezione è una palingenesi, un profondo, radicale rinnovamento interiore. Risorgere significa aprirsi ad una nuova vita, superare i pregiudizi in cui è invischiata l’esistenza, spezzare le catene del tempo e dello spazio, espandere la propria coscienza affinché si identifichi col tutto. È questo il messaggio del Vangelo di Giuda Tommaso, un libro mirabile, le cui parole irradiano una luce intensa e purissima. È questo il messaggio che le chiese hanno sempre censurato, temendo di perdere il loro potere fondato sul controllo, su dogmi menzogneri, sulle gerarchie e su concetti distorti quali il senso del peccato, la necessità della sofferenza, la minaccia dell’eterno castigo.

È ovvio che nessun dio, se non nelle innumerevoli leggende pagane e nel mito paolino, si è mai incarnato per riscattare gli uomini dal male: infatti, nonostante tutto il sangue versato da questi dei, il male continua a godere di ottima salute. È evidente che la quintessenza di ogni fede sincera dovrebbe essere la risurrezione, ossia la speranza, (o l’illusione?) che gli esseri umani un giorno scoprano il vero valore della spiritualità che è, etimologicamente, l’afflato, il respiro (spiritus) dell’anima.

22 dicembre, 2005

Dei delitti e delle penne

Absit iniuria verbis

Sfogliamo un quotidiano o seguiamo un notiziario televisivo: si rimane sconcertati al cospetto di cotanta ignoranza, in primo luogo della lingua italiana. Ormai i giornalisti conoscono un solo verbo, esserci: c’è, c’è stato, ci sono, ci sono stati, ci sarà, ci fu… Il depauperamento dell’idioma di Dante sta raggiungendo, a causa di questi beoti, livelli indescrivibili. Tuttavia la povertà lessicale, gli strafalcioni, l’invasione di forestierismi sono peccati veniali, se confrontati con gli incruenti, ma pur sempre gravissimi misfatti compiuti dagli imbrattacarte.

Occorre distinguere: la maggior parte dei redattori è costituita da una moltitudine di babbei, incapaci di ragionare e di pensare, con appena qualche nozione (sovente errata) di storia, geografia, politica ed economia. Costoro si limitano a riportare le funeste versioni ufficiali, senza neppure sospettare che sono colossali, abnormi, mostruose menzogne. Questi scribacchini, non di meno, sono perdonabili, poiché hanno un limitatissimo intelletto che impedisce loro di comprendere qualsiasi avvenimento e problema. Immaginate se dovessero occuparsi di signoraggio, di scie chimiche, di sinarchia, d’intreccio tra finanza e traffico di stupefacenti: annasperebbero, strabuzzando gli occhi vacui, essendo abituati a scrivere le solite baggianate su calciatori, stilisti e fotomodelle.

Esiste poi il Gotha delle firme “prestigiose”: sono editorialisti che si atteggiano ad intellettuali indipendenti e critici, laddove in realtà sono i camerieri dei direttori che, a loro volta, sono i caudatari degli editori. Gli editori, infine, debbono strisciare al cospetto dei padroni.

Una sparuta minoranza, infine, è formata da giornalisti che, non accontentandosi delle veline del potere, conducono delle inchieste, scoprendo spesso qualche scomoda verità.

Purtroppo l’”informazione” è dominata dalle prime due genie. Cronisti ed editorialisti, vuoi per la loro insipienza vuoi per la loro disonestà intellettuale, avallano l’oscena manipolazione degli eventi decisa dalle élites che mirano ad inebetire e a plagiare l’opinione pubblica.

Ieri è occorso un atroce incidente ferroviario su una linea secondaria tra Roma e Frosinone: è la conseguenza di una dissennata e cinica politica di privatizzazione del settore. Per ora, i giornalisti affermano che le cause della tragedia devono essere stabilite, che le responsabilità devono essere accertate. Stiamo pur certi, però, che, non appena il ministero dei trasporti, la magistratura, una commissione ufficiale d’inchiesta sentenzieranno che si è trattato di un errore umano, i pennivendoli si affretteranno a divulgare e a confermare questa ignobile “verità”.

In questo modo, con le loro penne uccideranno la verità (quella vera) e si renderanno complici, per la loro congenita codardia, di un altro delitto.

21 dicembre, 2005

Doppia visione

La purga dura da sempre, senza un perché (E. Montale, Il sogno del prigioniero)

In questi giorni l’opinione pubblica è indignata di fronte allo scandalo che vede coinvolti banchieri, finanzieri e politici. Gli Italiani sono costretti a constatare, ancora una volta, quanto è corrotto il sistema, con banche che derubano i correntisti, con operazioni spregiudicate compiute da loschi figuri, con cooperative che, con ogni mezzo, mirano ad impadronirsi degli istituti di credito. Molti sanno che a questo mercimonio non sfuggono i partiti, associazioni a delinquere in combutta con le banche e le finanziarie, vere organizzazioni di usurai.


Eppure, se si trattasse “solo” di immoralità diffusa in ambito economico e politico, si potrebbe paradossalmente provare un senso di sollievo. Sì, perché falsi in bilancio, frodi finanziarie, reati di aggiotaggio sono le marachelle di un bimbo un po’ discolo, se si pensa a quello che accade dietro le quinte. Dietro le quinte, in tutto il mondo o quasi, la sinarchia, il governo occulto sta tramando per scatenare un nuovo conflitto su scala planetaria, fomentando l’odio degli Occidentali e degli Ebrei astutamente manipolati contro le nazioni islamiche, altrettanto astutamente manipolate. Il progetto di sistematica distruzione del pianeta è perseguito giorno dopo giorno con scientifica precisione. Non è solo per il denaro, non è solo per il potere… Gli “Illuminati” hanno consacrato le loro nere anime alla morte.

Così gli Italiani si sdegnano e vanno in collera di fronte ai misfatti dei banchieri e dei loro potenti amici, alcuni si illudono che qualche nuova legge, come quelle che il Parlamento si sta accingendo ad approvare, possa essere risolutiva. Intanto, però, gli infernali carnefici, gli ”Iddii pestilenziali”, nelle loro tetre cucine preparano pietanze velenose da ammannire ad un truculento festino che sarà anche l’ultimo.

Senza una doppia percezione si scorgono solamente le sinistre ombre cinesi sulla superficie; con una doppia visione si penetra in una realtà più tenebrosa e terrifica di quanto la più fervida immaginazione potrebbe supporre.

Sui piani della sinarchia, vedi Henry Makow L’ADL ed il B’nai non rappresentano gli Ebrei in http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1665&mode=thread&order=1&thold=0

19 dicembre, 2005

Opus diaboli

La settimana scorsa il programma Voyager di RAI 2 ha dedicato una puntata ad un altro fra i misteri che hanno reso celebre il romanzo di Dan Brown, Il codice da Vinci, vale a dire la possibilità che Cristo sia stato sposato con Maria Maddalena. È stata una puntata discutibile: Giacobbo ha invitato un esponente dell’Opus Dei e uno “storico”. Tra i due, l’unica differenza era nell’abbigliamento, poiché entrambi hanno maldestramente tentato di “dimostrare” che l’idea di un Messia coniugato non è per nulla plausibile. Per quanto mi riguarda, dissento e credo che non sia necessario attingere al Vangelo apocrifo di Filippo per sostenere tale ipotesi: infatti è più che sufficiente leggere con attenzione i Vangeli canonici per intuire che Maria Maddalena probabilmente era la consorte di Gesù e Lazzaro (Eleazar) il cognato. (1)

Tuttavia il tema può apparire erudito, anche se non lo è; certamente, invece, è una questione scottante quella relativa al ruolo della prelatura del Vaticano denominata Opus Dei. Qualcuno può forse credere che l’Opus Dei non saldò i debiti dello IOR? Forse l’inopportuna e precipitosa canonizzazione di Escrivà, il fondatore di questa “loggia”, santificazione decisa e voluta da Giovanni Paolo II non è un atto di riconoscenza?

Abbiamo assistito ad una manipolazione della verità, ad una spaventevole contraffazione dei fatti dal momento che, nel programma, l’Opus Dei è stato dipinto come un coro di Serafini. Qual è il problema? La costante, sistematica, impudente divulgazione di bugie in qualsiasi campo: dalla politica all’economia, dalla scienza alla filosofia, dall’archeologia alla religione… Eppure, se ci convinciamo che quasi tutto quello che ammaniscono gli organi di “informazione” ufficiali è falso, distorto, filtrato, scopriremo una realtà molto diversa, inaspettata.

Scopriremo, ad esempio, che l’Opus Dei è in realtà l’Opus diaboli.

(1) Vedi
http://www.nostraterra.it/

18 dicembre, 2005

Il progresso

Absit iniuria verbis

“Abbiamo smesso di credere nell’idea di progresso e questo è un vero progresso.” È una riflessione dell’egregio ed immaginifico scrittore argentino, Borges.

Purtroppo il suo apoftegma non è del tutto adatto ai nostri tempi, che sono aduggiati da miti illuministi, come quello del progresso. Di questo cascame non avvertiamo certo l’esigenza, eppure qualcuno ancora ottusamente s’incaponisce e sostiene che la linea ferroviaria ad alta velocità nella Val di Susa è necessaria, perché “non si può fermare il progresso”. È una frase rivoltante che, non a caso, spesso esce dalle bocche putride di qualche politico.

La distruzione dell’ambiente, l’inquinamento delle falde freatiche, lo stupro della Terra sono il progresso, secondo certi “esperti”. Codesti prometeici individui, però, credono veramente in questa solenne corbelleria? Ne dubito. In realtà il denaro è l’unico loro interresse. La sacra fames auri li divora. Noi, invece, preferiamo l’unico vero progresso, quello spirituale. Noi preferiamo assaporare il gusto di un’acqua che sia “humile et casta et pura”.

15 dicembre, 2005

Il crollo degli idoli

Nell’infanzia quanti sogni! Si rimane incantati dalle apparenze: il mondo sembra un eden. Con l’adolescenza, nel giardino della vita cominciano a crescere rose dai gambi spinosi. Tuttavia i giorni sono ancora animati da ardori, ci si appassiona a qualsiasi novità, si seguono con entusiasmo idoli e si inseguono generosi ideali. C’immedesimiamo nelle avventure della nostra squadra di calcio, nelle prodezze del pilota di Formula 1, non ci perdiamo un film con la nostra attrice preferita. Crediamo nel mito dell’amore, negli altri, nella vita.

Con il passare del tempo, nel giardino germogliano piante parassite ed erbacce, mentre alcuni alberi si ammalano e i fiori avvizziscono un po’. Si scoprono altri volti della realtà, spesso sgradevoli. Avevamo studiato le imprese di Alessandro Magno: credevamo fosse un eroe, ma scopriamo che era un beone iracondo. Eravamo pieni di reverenziale ammirazione per la figura di Gesù, il profeta dell’amore, salvo poi appurare che era un combattente messianista cui interessava soltanto di espellere i Romani dalla Palestina. Il profondo, sublime Agostino (non Sant’Agostino) si rivela un sessuofobo psicolabile. Avevamo visto in Benjamin Franklin un campione della libertà e dell’eguaglianza, ma veniamo a sapere che era un sostenitore dello schiavismo e per di più un satanista; la medesima considerazione vale per Winston Churchill.

Insomma, uno dopo l’altro, gli idoli crollano: gli stati, lungi dall’essere delle istituzioni create per tutelare i diritti dei cittadini, sono spaventevoli mostri che stritolano tra le loro fauci i sudditi, a somiglianza del Lucifero dantesco. La chiesa cattolica, invece di essere una comunità di credenti, è una diabolica camera di tortura per le anime. Gli ipocriti sono dappertutto e, dietro parvenze attraenti, si nasconde ogni genere di turpitudini.

Resta ancora qualche cespuglio, resta qualche tarassaco: rimane l’illusione che l’esistenza possa avere, nonostante tutto, un senso, sebbene abbiamo compreso che la felicità è una chimera.

Un giorno rovina anche l’ultimo idolo di cartapesta: l’esistenza, nel migliore dei casi, diventa la ripetizione stanca dei soliti gesti, delle solite amare frustrazioni, delle solite noiose incombenze.

Il giardino ora è un deserto, arido e sconfinato, come il Sahara… ma senza oasi.

14 dicembre, 2005

Quetzalcoatl


Sempre più spesso capita di notare in sequenze di telefilms, di pellicole cinematografiche, di pubblicità, come nelle immagini di molti servizi televisivi, il cielo solcato da scie chimiche. Succede che il regista decida di creare un’efficace inquadratura del firmamento, ma, involontariamente, mostra un intreccio di nuvole artificiali. Quante volte, poi, i servizi ”giornalistici” sono impreziositi da campi lunghissimi che consentono di ammirare artistiche trine! È evidente: il fenomeno è sempre più diffuso, a tal punto che i centri meteorologici, prima di trasmettere le immagini satellitari, cancellano accuratamente queste linee sinuose.

Tra l’altro, l’infernale attività continua nell’atmosfera non solo con ritmo serrato, ma anche in modo sempre più subdolo: infatti ora, in alcuni casi, le aviocisterne, con i loro erogatori, rilasciano sostanze chimiche che creano formazioni non persistenti. Le scie, infatti, tendono a dissolversi in un intervallo piuttosto breve. Il risultato è facilmente immaginabile: se prima quasi nessuno notava i ricami, adesso sarà ancora più difficile che qualcuno si accorga delle anomalie sopra le nostre teste. Eppure i nemici peggiori sono quelli invisibili.


Narrano antiche leggende di Toltechi e di Mexica che il dio Quetzalcoatl, il serpente piumato verde, incivilì i popoli mesoamericani. Oggi i cieli sono attraversati da migliaia di serpenti piumati: dubito, però, che rechino conoscenze, anzi penso diffondano veleni mortali.

13 dicembre, 2005

Le galassie

Come le galassie s’allontanano, istante dopo istante, dal centro dove tutto ebbe inizio, dall’ormai remota sorgente del Tempo, così gli uomini, col passare dei secoli, s’allontanano dal divino. I popoli preistorici e quelli antichi vivevano in un cosmo permeato dal sacro; fra l’umanità e la divinità erano frequenti i contatti: gli eroi omerici colloquiavano con gli dei, da loro ricevevano consigli, ammonimenti; da loro erano aiutati od ostacolati. In seguito l’accostamento al divino diventò un fenomeno eccezionale… Oggi, nel vuoto cielo della nostra civiltà, splende il sole gelido della scienza; quel che resta del sacro aleggia, come una larva esangue, nella penombra delle chiese, delle moschee, dei luoghi di culto. Ma il brusio delle devozioni serve solo a coprire l’infinito, abissale silenzio di Dio.

12 dicembre, 2005

Vittime e carnefici

Recentemente ho letto il controverso libro di Dan Brown, Il codice da Vinci. Il mio giudizio su quest’opera è globalmente negativo: mi pare che l’autore abbia dipanato l’intreccio in modo più macchinoso che avvincente. Reputo alquanto fiacchi molti dialoghi, ma soprattutto scadenti le parti descrittive che avrebbero dovuto evocare le atmosfere misteriose dei luoghi ove sono ambientate le vicende. I personaggi, poi, sono piatti, convenzionali, se si esclude il numerario dell’Opus Dei, Silas, che spicca per i suoi connotati sacralmente demoniaci. La regia televisiva del romanzo è solo in parte riscattata da qualche digressione sul Graal e su Maria Maddalena, dalle intriganti riflessioni circa alcuni capolavori leonardeschi.

Quello che mi sorprende non è tanto lo scalpore suscitato dal romanzo, le cui teorie sul Graal sono discutibili ma non del tutto infondate, almeno sul piano simbolico, piuttosto che i più feroci detrattori del Codice siano proprio coloro i quali incorrono negli stessi errori in cui è inciampato talora Dan Brown. Mi spiego: se degli storici avessero criticato l’opera, rilevandone inesattezze ed esagerazioni, sarebbe comprensibile. Non capisco, invece, come possano intellettuali e teologi cristiani scagliare strali velenosi contro lo scrittore statunitense, proprio loro che credono (o fingono di credere) in invenzioni rispetto alle quali la sbrigliata fantasia di Brown sembra rigore storiografico. Molti cattolici hanno affermato, con un misto di sicumera e di acrimonia, che Cristo era considerato Dio, prima che l’imperatore Costantino convocasse lo sciagurato concilio di Nicea nel 325. Si tratta di un’affermazione ridicola: Saul-Paolo ritiene che Cristo sia una figura soprannaturale, ma non eguale a Dio Padre. Infatti l’apostolo dei Gentili si riferisce a Giacomo come al fratello del Signore. Dio avrebbe allora oltre ad una Madre, anche un fratello? Giacomo sarebbe il fratello di Dio, come diceva Diego Abatantuono?

Non mi si porti l’esempio del Quarto vangelo per dimostrare l’identità tra il Figlio e il Padre: il Quarto vangelo è un libello gnostico che, per giunta, i teologi ortodossi non sanno interpretare.

Rincresce che studiosi intelligenti accettino i dogmi-frottole del credo niceno, un’accozzaglia di maldigerite e logore credenze pagane, a tal punto da imprigionare la loro mente, da spegnere la vivida fiamma della conoscenza per alimentare il fuoco fatuo della superstizione.

Inoltre la loro difesa d’ufficio dell’Opus Dei,(1) il cui fondatore dalla condotta per lo meno discutibile, fu canonizzato da Giovanni Paolo II, mi ricorda l’incomprensibile simpatia che, a volte, lega la vittima al carnefice.(2) Questi giornalisti cattolici, schiacciati, indottrinati, annichiliti dalla Chiesa e dalle sue ottuse gerarchie, combattono, lancia in resta, per i loro aguzzini, avallando, ad esempio, le bizzarre decisioni di un concilio voluto da un imperatore assassino, ambizioso e protervo.

Chi sono i peggiori torturatori, se non quelli che, come il Grande Fratello, in 1984 di Orwell, non si accontentano della sottomissione delle loro vittime, ma pretendono pure di essere amati e venerati?

Ora, tali intellettuali cattolici purtroppo amano e venerano il loro carnefice, un uomo nel cui nome Benedetto si nascondono le più maledette intenzioni.


Note

1) Tra l’altro l’Opus Dei, al centro di losche operazioni finanziarie, appartiene alla sinarchia, il governo occulto mondiale.

2) Una teologa seria come Adriana Zarri ha censurato l’avventata canonizzazione di Escrivà, il fondatore dell’Opus Dei.

Della morte e dell’amore (by Straker)

Vi sarà capitato, una volta nella vita, di sentirvi porre la domanda: “Hai paura della morte?”. Se non avete mai avuto occasione di pensarci, è ora di farlo. Senza esitazione, penso che chiunque risponda affermativamente.

Generalmente, si teme ciò che non si conosce e, di certo, la signora con la falce non fa parte delle cose che ci è dato conoscere. Personalmente non ritengo che la morte debba far paura. Perché dovrebbe? Se morire significa dover lasciare le cose e le persone alle quali si è legati, beh… allora posso essere d’accordo con chi non vorrebbe mai lasciare questa valle di lacrime, ma non penso che si tema la morte per questo motivo. In effetti, sembra che, coloro che amano di più la vita, abbiano più occasioni per morire. Fateci caso. Avete mai visto dipartire prima dei suoi giorni qualcuno che, poiché anima malevola e crudele, sia nei confronti degli altri, sia, di conseguenza, nei confronti di se stessa, abbia incontrato prematuramente la signora con la falce? Tali individui vivono a lungo! Non è forse una punizione nei loro confronti? Stessa sorte tocca a coloro che non temono il fatale incontro e che a lungo dovranno attendere. Al contrario, non si contano le innumerevoli "vite spezzate" (dal nostro punto di vista) tra coloro che amavano ciò che facevano, amavano gli altri e, magari, erano ancora nel fiore dei loro anni. Il pensiero va a coloro che, nel dolore impotente e stupìto, rimangono depauperati della vicinanza del caro estinto.

La morte è sempre originale ed imprevedibile. Arriva quando vuole, senza avvertire ed è questo che a tanti fa venire i brividi. Non se ne vuole nemmeno parlare. Se sapessimo quando ci aspetta il momento, forse non vivremmo tranquilli, ma di certo non ne saremmo così terrorizzati.
Personalmente, sono stato sfiorato dalla morte almeno quattro volte, ma la cosa non mi ha mai turbato più di tanto. Ricordo che l’unico pensiero che ogni volta mi è balenato è che non potevo andarmene, perché la mia presenza era ancora necessaria a qualcuno. Vivere o morire, odiare o amare. Se la morte non ci vuole, è forse perché non ci ama? O è l’esatto contrario? Quale logica imperscrutabile è ad essa legata? Non è forse questo il suo fascino?

Da quando esiste l’universo, ogni creatura vivente e non, attraversa un ciclo che si è ripetuto miliardi di volte: nascita, fase di crescita, fase di declino, morte. Come possiamo immaginare di sfuggire a questa ruota della fortuna? E’ il tempo, il nostro nemico... semmai. La morte è solo il punto di arrivo… per poi ricominciare, all’infinito.

In fondo, pensateci, la morte è solo un passaggio in un’altra dimensione e non è poi così drammatico passare a miglior vita. Piuttosto, auguriamoci che il preludio alla fine (?) non sia doloroso e lungo. La morte è la nostra ultima corteggiatrice e… una corte, non va mai rifiutata.

**Straker**

11 dicembre, 2005

Luce e tenebre

Con ogni raggio di luce è pure scoccata una freccia di tenebra.

09 dicembre, 2005

Amore, coraggio e suicidio nell'ultima opera di Mauro Monni (recensione di Andrea Claudio Galluzzo)

L'involucro è scomparso, ma le persone che lo portavano esistono tuttora e certo voi amate esse e non il loro involucro. Prima, però, di poter comprendere la loro condizione dopo la trasformazione nella morte, è necessario conoscere la propria. Si deve cercare di far nostra l'idea che siamo esseri immortali, perché divini in essenza; una scintilla del fuoco di Dio. “Iddio creò l'uomo a sua immagine” (Genesi 1,27). Prima di rivestire l'involucro chiamato 'corpo' abbiamo vissuto lunghe età e ne vivremo ancora a lungo dopo che esso si sarà dissolto in polvere.

Nell'ultima fatica letteraria di Mauro Monni "Visto da qua (il cielo è ancora più blu...)", lo scrittore fiorentino, già autore del romanzo "Se ricominciare è una questione di scelte" pubblicato nel 1994, affronta il tema della scelta e dell'aldilà con una certa ironica sfrontatezza. Subito si ha chiaro che la morte non esiste. Pagina dopo pagina, si entra in un gioco di sogni, realtà trascorse e possibili. Ci si trova come in un torrente di ricordi, ma il ricordo non è il tema centrale. L'opera non è una descrizione delle vite di sette noti suicidi e dell'amabile Rino Gaetano. Nel fluire del testo, si continua a vivere una situazione soltanto all'apparenza rievocativa della vita. Si vive ancora. La scelta del suicidio non è assolutamente importante. Si tratta solo di uno strumento per vivere di più e diversamente la vita. I personaggi raccontati da Monni parlano o rimpiangono il passato, ma il loro fine non è quello di dolersene: la rievocazione è soltanto il mezzo più semplice per interagire con gli altri, per provare emozioni e incontrare nuovi sentimenti. Questi morti sono vivissimi e anche vivaci. E ciò è possibile soltanto perché la morte non esiste.

Cesare Pavese, Ludwig di Baviera, Marina Cvetaeva, Jim Morrison, Vincent Van Gogh, Jan Palach, Jeanne Modigliani ed infine Rino Gaetano, l'unico a non essersi suicidato, sono gli otto personaggi famosi che si siedono intorno al tavolo di un localaccio aperto solo per loro da Mauro 'Lucifero' Monni. Otto spiriti che dialogano e vivono grazie al luogo magico che li sta ospitando. Quel posto è il cuore dell'autore e nella dimensione del suo amore essi vivono davvero.

Solo attraverso l'affetto e sentimenti puri essi riescono ad affrontare e superare, in un collettivo sforzo finale, il martirio del dolore e la solitudine delle loro sofferenze. Come ricorda Monni, il dolore appartiene ai singoli: è unico ed ognuno si porta il proprio fardello, che, comunque sia, è sempre troppo pesante. Il suo peso è sostenibile solo comunicandolo. Gli otto personaggi, infatti, lo esprimono e se ne fanno reciprocamente partecipi. E' l'unica strada che posseggono per liberare finalmente le proprie anime. Anime che non resistono più e che hanno un'estrema necessità di amare e di essere amate. Questo esame ultraterreno dimostra come le modalità della morte siano in effetti secondarie rispetto alla necessità di vivere profondamente, di vivere veramente.

Nell'opera è interessante notare come siano indagati gli argomenti della depressione e dell'autocommiserazione. L'autore compie un tagliente viaggio nelle menti contorte e spinose degli otto commensali. Chi è abituato a leggere le opere di Freud è colpito dal suo singolare metodo di indagine: partendo dallo studio delle reazioni psichiche normali, arriva alla formulazione dei processi patologici; oppure procede in maniera inversa: dallo studio dei fenomeni patologici giunge a spiegare le leggi di funzionamento generale dell'apparato psichico. Mauro Monni sfrutta sempre a doppio senso tutte le strade praticabili, comprese quelle apparentemente a senso unico. Ogni personaggio rivela pertanto una parte di sé stesso inconsueta ed imprevedibile.

Chiaramente il testo di "Visto da qua" non è un percorso per affrontare i problemi delle persone depresse, ma resta il fatto che non indulgendo a semplificazioni, porta comunque aiuto a coloro che non sono stanchi di porsi domande sul significato esistenziale della malinconia e sul processo psichico che la sostiene e la rende possibile. La fragilità individuale originaria, insieme col terrore per la separazione da chi rappresenta letteralmente una fonte di vita, costituisce il modello per ogni esperienza malinconica. Il filo che tiene insieme le tematiche affrontate nell'opera si può rappresentare con le parole che Kierkegaard pone all'inizio della "Malattia Mortale", là dove scrive che l'uomo cristianizzato ha acquistato un coraggio che l'uomo naturale non conosce. Quando si teme infinitamente un pericolo, è come se gli altri non esistessero affatto. Nessuno dei personaggi sarebbe in grado di combattere il proprio inferno al di fuori dei sentimenti di affetto e solidarietà che, pian piano, si sviluppano nel gruppo. Si tratta in sostanza di un'inconsapevole evangelizzazione post mortem.

Monni vuole avvisarci che ciò che si è creduto essere la nostra vita è in realtà quasi solo un giorno della nostra vita reale. I nostri otto protagonisti non sono morti, ma hanno soltanto deposto l'involucro più denso. Malgrado ciò, non dobbiamo pensare a loro come ad un soffio incorporeo, perché essi non sono in alcun modo diminuiti da quanto erano prima. E niente torna più utile al caso delle parole di San Paolo di Tarso: "Se vi è un corpo materiale, vi è pure un corpo spirituale" (Corinti 15,44 45). Spesso tale frase è stata male interpretata: si pensa a questi corpi come se fossero successivi e non si comprende invece che tutti noi li possediamo anche ora, uno visibile e l'altro invisibile. Quando si abbandona il primo, si mantiene ancora quello più sottile, cioè si resta rivestiti del 'corpo spirituale.

«La morte è povera cosa, ma chiude una ferita mortale». Questo famoso verso shakespeariano ben figurerebbe a conclusione della tragedia terrena degli otto 'attori' di Monni. Solo per degli individui che hanno avuto la forza di darsi la morte la vita non è più una lenta agonia. "Sorella morte" è bella. Essa è la porta verso un'altra dimensione, un oltre che dona improvvisamente senso e significato al tutto. La morte ha il merito di concludere e risolvere l'altrimenti irrisolvibile esistenza terrena.

Fonte:
http://www.galluzzo.it/

08 dicembre, 2005

Luogo è in terra detto Malebolge

Absit iniuria verbis

L’altro ieri il ministro dell’Inferno, pisanu, ha mandato le sue feroci legioni ad aggredire gli abitanti della Valsusa che tentano di opporsi ai perversi piani partoriti dalla mente malvagia dell’Anticristo. Il servitore di Lucifero, superando anche le più nefande scelleratezze perpetrate nell’impero di USAtana, ha aizzato le sue coorti luciferine contro le popolazioni inermi. Gli altri satanassi del governo, guidato da belzebusconi, intanto digrignano i denti, vomitando bestemmie contro la democrazia, quella vera, non quella rappresentativa che è una farsa. Anche il presidente della camera, casignazzo, si è unito all’osceno, cacofonico, rintronante coro, come il diavolo del colle e come i sinistri demoni della sinistra. Tutti rabbiosamente inveiscono, con parole turpi ed abominevoli, contro la libertà e istigano gli spiriti del male a far vibrare scudisci, a strappare le carni con gli uncini, ad artigliare le vittime, a scuoiarle e a squartarle.


Dalla loggia di S. Pietro, il mefistofelico pontefice, segretamente compiaciuto dell’inferno sulla terra, rotea gli occhi corruschi d’odio, mentre con voce chioccia, benedice la fiaccola delle Olimpiadi. Sul suo capo inteschiato splende la mitra, simile ad una fiamma biforcuta, di dantesca memoria.

Sulla vergognosa aggressione ai manifestanti, vedi Alta velocità in Val di Susa: un attacco brutale e programmato, articolo di Fausto Carotenuto in http://www.disinformazione.it/

07 dicembre, 2005

Davide contro Golia

È nato il primo sito italiano dedicato esclusivamente alle famigerate scie chimiche. L’indirizzo è il seguente.

http://www.sciechimiche.org/


05 dicembre, 2005

Europa, mon amour

Absit iniuria verbis
Una volta era di moda la retorica meridionalista, oggi è considerato à la page tutto ciò che è europeo. Politici, economisti, giornalisti… amano pronunciare, spiccando bene le sillabe, questo aggettivo vuoto e nauseabondo. Così la patente del computer è europea, ogni progetto deve essere europeo, altrimenti non è all’avanguardia, la scuola è europea, la cittadinanza è europea, le infrastrutture sono europee, la mentalità è europea… Anche l’Europa ha radici in una cultura europea.

Di Europa abbiamo fatto indigestione e, se non fosse che, dietro questa rivoltante, vomitevole parola, si nasconde un superstato totalitario, liberticida, stalinista, si potrebbe reputare tale abuso del termine Europa solo una questione di cattivo gusto.

Purtroppo siamo subissati da slogans, immagini, bandiere, discorsi che inneggiano all’Europa e, contemporaneamente, in modo subdolo ma irreversibile, siamo defraudati delle culture, delle tradizioni, delle lingue, per giunta dei prodotti nazionali per far spazio a questo Leviatano che tutto schiaccia e distrugge.

La classe politica del nostro paese ha svenduto l’Italia per una manciata di privilegi: ora i parlamentari dell’Esperia, divenuti europei, siedono a Strasburgo. Costoro sono blanditi con prebende faraoniche, sono subornati dalle multinazionali e dalle banche che, scaltramente, fanno prevalere i loro loschi interessi sul bene collettivo. Costoro sono parassiti ancora più inutili, fatui ed oziosi dei nobili ospitati da Luigi XIV nella magnifica, sontuosa reggia di Versailles.

Il mito narra di Cadmo, eroe del ciclo tebano che, in seguito al rapimento della sorella Europa, partì alla sua ricerca. Dopo lunghi e vani tentativi, l’uomo interpellò l’oracolo di Delfi, che gli ordinò d’interrompere la ricerca di Europa e di fondare una città.


Auguriamoci che un oracolo, un giorno o l’altro, ci ingiunga di non cercare più l’Europa: è l’unica condizione per riuscire a fondare una… vera civiltà.


01 dicembre, 2005

Rispettiamo la montagna!

Ieri il presidente della repubblica italiana, Carlo Azelio Cianpi, si è espresso sul problema della linea ferroviaria per treni ad alta velocità, linea che dovrebbe essere realizzata nella Val di Susa. È noto che le popolazioni valligiane sono tenacemente contrarie alla costruzione di questa infrastruttura, poiché ne paventano il rovinoso impatto ambientale. Anche il geologo Boschi ha manifestato i suoi dubbi sulla opportunità di realizzare questa grande opera, considerando la presenza di uranio nel sito che dovrebbe essere attraversato da una galleria lunga 54 chilometri. Egli ritiene che, in seguito ai lavori, le falde freatiche, i corsi d’acqua e il suolo potrebbero essere contaminati da elementi radioattivi.

Intendo dissentire sia dagli abitanti della regione sia dagli ambientalisti e pure dall’esimio geologo Boschi. Infatti sottoscrivo l’opinione del presidente Ciampi che ha fatto la seguente dichiarazione: “Bisogna rispettare la montagna, ma l’Italia non deve rimanere esclusa dalle grandi infrastrutture europee”. Giusto! Bravo!! Concordo!!! L’Italia non deve essere esclusa dalle grandi infrastrutture europee e soprattutto bisogna rispettare la montagna. Già… rispettiamo la montagna di euro, l’astronomica montagna di denari erogati dall’unione europea per la costruzione della linea. Vorreste forse defraudare i soliti noti dei copiosi, fluviali finanziamenti europei?