31 dicembre, 2005

Lenticchie, cotechino e... terrorismo

Tra poche ore, l’uomo del colle, con i consueti modi paternalistici ed untuosi, da conte zio di manzoniana memoria, ci torturerà con il suo messaggio agli Italiani a reti unificate. Il suo discorso sarà come il pranzo dell’ultimo dell’anno di cui si conosce in anticipo il menu. Già possiamo “pregustare” le solite insipide e vomitevoli pietanze ammannite da questo cuoco senza fantasia: un antipasto a base di logori luoghi comuni; un primo condito con la salsa di valori della nazione o, meglio, della patria; un secondo insaporito con un’esortazione all’ottimismo; un contorno di rievocazioni dei “successi” della politica italiana; un dolce di zuccherosi, falsi auguri per un felice anno nuovo.

Per digerire un amaro e l’amaro - si sa - è il terrorismo: la magistratura e le forze dell’ordine si stanno adoperando per combattere il terrorismo, ma purtroppo le cellule di kamikaze proliferano e questi scellerati islamici, godendo del sostegno di qualche imam, sono difficili da stanare. Non bisogna pertanto abbassare la guardia e lottare contro questa terribile minaccia per le “democrazie” occidentali.

Che bel discorso! Molto originale e profondo! Chi gliel’avrà scritto? Non sarà stato per caso quel “tedesco lurco” che si vede spesso in giro con un mitra, pardon una mitra?

Di fronte a riflessioni così insulse e banali sulla realtà che ci circonda, due sono le conclusioni possibili: o l’uomo del colle è l’incarnazione del vuoto assoluto oppure, ipotesi più probabile, è un altro sepolcro imbiancato, le cui parole non contengono mai neppure una verità, tanto meno quelle sul terrorismo.

Terrorismo? Questa parola non vi evoca una sigla? Per esempio, AL… CIADA…

Buon anno.

30 dicembre, 2005

San Giorgio e i Draghi

Ieri i saggi del governo, nella loro infinita, commovente, disinteressata sollecitudine per il bene pubblico, hanno deciso di designare come nuovo governatore della Banca d’Italia, mario draghi, un uomo probissimo, dal passato cristallino e dall’anima candida, un uomo che ha trascorso tutta la sua vita in attività filantropiche e che, attualmente, si sta impegnando in un progetto teso all’abolizione dell’esecrando signoraggio. Infatti codesto sant’uomo si è chiesto per quale motivo i cittadini italiani debbano essere dissanguati e frodati con questo odioso sistema: ha perciò deciso di far stampare le banconote allo stato di modo che la collettività non debba più restituire il capitale con gli interessi ai briganti delle banche private. La designazione di draghi ha ottenuto il plauso dell’intero (o quasi) mondo politico, a dimostrazione di come la classe dirigente condivida le linee d’intervento del neogovernatore. Soprattutto quell’intelligentissimo, eloquente, onesto professore a capo dell’Unione, è giubilante per la nomina di draghi.

A questo punto mi domando perché alcuni si ostinino ad ammonire l'opinione pubblica, ricordando che draghi è membro del gruppo Bilderberg, che è stato fautore di una politica di privatizzazioni, che è vicepresidente del Goldman Sachs, un istituto di credito la cui sede europea è situata nella City, il cuore finanziario del globo… Costoro credono forse di atteggiarsi a San Giorgio che combatte i draghi?

Chissà che cosa penserà il britannico David di un governatore con cotante eccellenti credenziali e per giunta con questo cognome che…?

Nomina sunt consequentia rerum, dicevano i Latini. Se avessero ragione?

28 dicembre, 2005

La banca degli imputati

In questi giorni, quotidiani e telegiornali si soffermano sullo scandalo finanziario che vede coinvolti Fiorani, Consorte ed altri grassatori. Senza dubbio, all’interno dell’apparato bancario, agiscono persone spregiudicate i cui reati devono essere perseguiti. È questo che i cittadini italiani auspicano.

Tuttavia molti dimenticano che esiste qualcosa di molto più esecrando del ladrocinio perpetrato da qualche disonesto speculatore: è il sistema creditizio stesso, fondato sul furto che è stato denominato interesse. È l’interesse, non tanto il plusvalore, la pietra angolare del capitalismo sin dal tempo in cui i sacerdoti babilonesi, che, non a caso erano anche banchieri, caricavano i prestiti d’interessi.(1) Tale metodo, che conobbe un notevole sviluppo nel Basso medioevo con la gente avida di “subiti guadagni”, destinato a diventare il perno medesimo di un’economia finanziaria incentrata sull’usura, come denunciò Ezra Pound, più che sulla produzione di beni e servizi, costituisce oggi le fondamenta, solidissime e fragili al tempo stesso, sulle quali è eretto il mostruoso edificio del debito. Infatti buoni di stato ed obbligazioni sono titoli del debito pubblico e delle società creati con il turpe scopo di depredare i cittadini per cui è fatto balenare il miraggio di un utile, ad una data scadenza. Sennonché l’utile può essere garantito soltanto emettendo nuovi titoli, che in fin dei conti, sono fogli di carta o cifre digitate sulla tastiera di un elaboratore. In questo modo s’innesca una reazione a catena con debiti che alimentano debiti sempre maggiori. Perciò lo stato aumenta l'imposizione fiscale diretta ed indiretta, spillando altri quattrini ai contribuenti per versare ai risparmiatori qualche baiocco. In pratica lo stato con una mano ti dà uno e con l'altra ti toglie dieci. Bel guadagno!

Le banche, inoltre, nel momento in cui concedono dei prestiti (fidi, mutui) creano denaro dal nulla, denaro che non esiste: gravandolo di onerosi interessi, i banchieri riescono ancora una volta a svenare i consumatori e, non di rado, ad impadronirsi di aziende e di proprietà sottratte ai debitori insolventi.

Insomma, quello dell’interesse è una colossale, spudorata truffa, neppure giustificata dal problema dell’inflazione, causata, in gran parte, proprio dal diabolico meccanismo dell’usura.

Vorrei sapere perché, se chiedo un prestito di mille euro, dovrò l’anno prossimo restituirne millecentocinquanta. In cambio di quale servizio o prodotto? Forse l’istituto di credito ha attinto al suo capitale per concedermi tale somma? Non ha forse semplicemente generato soldi ex nihilo o non li ha prelevati dal conto di qualche inconsapevole piccolo risparmiatore?

Per questi motivi, è giusto che sul banco degli imputati siedano loschi profittatori, ma è necessario, doveroso che, a sedere sul banco, siano le banche stesse, vere società di usurai.

1) Ricorda W. Keller, nel saggio La Bibbia aveva ragione, che, nel VI secolo a.C. a Babilonia, i tassi si aggiravano sul 20 per cento.

27 dicembre, 2005

Radiazione di fondo

Il dolore, la radiazione di fondo dell'universo.

26 dicembre, 2005

Dietro il velame

“Papa Benedetto XVI, nel suo primo messaggio natalizio, ha invitato l'umanità ad unirsi contro il terrore, la povertà e il degrado ambientale, invocando un "nuovo ordine mondiale" per correggere gli squilibri economici. Il Papa ha parlato di fronte a decine di migliaia di pellegrini riuniti sotto gli ombrelli in una piovosa piazza San Pietro per il discorso e per la benedizione Urbi et Orbi.Nel suo messaggio, trasmesso in diretta dal balcone centrale della basilica di San Pietro a decine di milioni di persone in circa quaranta paesi, ha esortato anche a non lasciare che le conquiste della tecnologia offuschino i veri valori umani.”



In questo modo Philip Pullella dell’agenzia di stampa, Reuters, ha condensato il discorso tenuto dal sommo orefice, Benedetto XVI, in occasione del Natale. L’allocuzione del papa, trasudante la solita bolsa e reboante retorica, è per giunta ipocrita, considerando che al vescovo di Roma non cale punto né del terrorismo né dell’indigenza né dei disastri ambientali, poiché il successore di Giovanni Paolo II, è in questi giorni, alacremente impegnato ad arredare la sua sfarzosa, principesca dimora.

La fiacca concione si potrebbe liquidare come ciarpame papesco, se non fosse, insieme con la cornice in cui è stata pronunciata, punteggiata di sinistri simboli che rivelano l’appartenenza di codesto papa alla sinarchia. L’omelia è stata tenuta dalla loggia di San Pietro: per l’occasione, la balaustra è stata coperta con un drappo rosso su cui è effigiato l’emblema della Santa sede, due chiavi incrociate sormontate dalla mitra, a guisa di due tibie con il teschio. Inoltre, il papa, nell’ambito del suo pernicioso ragionamento, ha invocato ledificazione di un nuovo ordine mondiale. Proprio così, Sua santità ha auspicato la creazione di un nuovo ordine mondiale: questa è l’infame, diabolica, spaventevole espressione tanto cara a Bush senior ed alla sua setta di degenerati. Infine il "vicario" di Cristo ha rivolto gli auguri natalizi, trasmessi da centoundici televisioni, in trentatré lingue: trentatré è numero massonico per eccellenza. Trentatré, ad esempio, sono i gradi della Massoneria di antico rito scozzese ed accettato.

Un potente membro del governo occulto ha ieri gettato la maschera.

Per chi non solo non sa interpretare i simboli, ma neppure li nota, la scenografia ed il messaggio sono kitch e banali; coloro i quali, invece, sono in grado di leggere e decodificare immagini ambivalenti e polisemiche, spesso rovesciate nei loro significati, Benedetto XVI è, come è definito nella nota profezia, la “gloria dell’ulivo”, dove il ramoscello d’ulivo, da emblema di pace diventa, a causa dell’inversione semantica e satanica, figura della morte e della distruzione.

Gente che applaudite l’orefice e che, con sguardo rapito e un po’ ebete, lo contemplate, guardatevi dai falsi profeti, dai lupi travestiti da agnelli.

25 dicembre, 2005

Alla ricerca dei libri di Thot

Pubblico una recensione del saggio scritto da Daniela Bortoluzzi, valentissima ricercatrice indipendente nel campo dell’archeologia e delle discipline esoteriche. L’articolo è tratto da http://www.edicolaweb.net/

Un cannocchiale puntato sull'infinito, con il quale l'autrice capta i segnali che l'Universo dei misteri, in ogni momento e in ogni luogo, lancia a chi intende raccoglierli, comprenderli e decodificarli. Un percorso di ricerca, iniziato sulle tracce dei nostri predecessori su questo pianeta, in ogni momento e in ogni luogo, diventa un viaggio insolito e mistico, la cui meta è impossibile raggiungere in una sola vita... Dalla Grande Piramide alla Sfinge, da Atlantide a Nazca, da Osiride a Mosè... Dagli OOParts ai Cerchi nel Grano, dal Graal ai Maestri Ascesi: questi e molti altri imbarazzanti "argomenti proibiti" formano un minimo comune denominatore in questo libro che merita di diventare un punto di riferimento per i lettori intelligenti e inquieti, quelli che si domandano: "chi sono... da dove vengo e verso dove vado?".

Gli antichi Egizi furono indiscutibilmente grandi conoscitori di "ARTI" in senso lato, e nel Pantheon delle loro divinità ognuna presiedeva a una di queste. Ovviamente l'insieme di questa conoscenza era scritta, non sappiamo se su papiro, su carta, su tessuto... o incisa su roccia, su metallo, su dischi di vinile, o registrata su nastro magnetico o su C.D... o resa in forma olografica. Di un fatto dobbiamo avere la massima certezza: da qualche parte esiste un luogo dove presto sapremo di cosa si tratta.

Nelle migliaia di papiri giunti fino a noi, gli scribi hanno meticolosamente riportato un po' di tutto, suddividendoli per argomenti e materie, né più e né meno di come si fa oggi con i libri; così abbiamo appreso quasi tutto su questo popolo e sui suoi costumi, quasi tutto sulla sua religione, quasi tutto sulle sue origini... Ma in quel quasi sta il nocciolo della questione: i "Libri di Thot", come erano chiamati i "libri della conoscenza nascosta" tanto decantati e tanto preziosi, non sono ancora stati trovati. Non si può nemmeno essere certi che siano stati perduti, visto che rivestivano un'importanza tale da essere conservati in un luogo segreto e praticamente inaccessibile.


Dobbiamo ragionevolmente pensare che si trovino ancora là.

Non è vero che nessuno li ha mai trovati; ci sono le prove che almeno due persone abbiano scoperto il loro nascondiglio segreto. Giurarono di tacere, pensando che l'umanità non fosse ancora pronta... e informarono della loro scoperta e della relativa decisione le autorità egiziane. Poiché erano massoni, mantennero il silenzio fino alla morte: si chiamavano William Petrie e Ora Kinnaman.


In questo momento c'è una spasmodica ricerca dell'accesso a questo luogo, specialmente da quando è stato rinvenuto, tra le carte, il foglio dattiloscritto dove Kinnaman, prima di morire, ruppe il patto di silenzio e indicò come raggiungere la "porta segreta".

Il momentum sta per arrivare.

Daniela Bortoluzzi
Eremon Edizioni

pagg. 320 - € 16,50

24 dicembre, 2005

Risurrezione

Il Natale è vicino e milioni di persone si accingono a celebrare una ricorrenza di cui ignorano tutto o quasi e che, col passare del tempo, si è trasformata in un rituale meramente consumistico. Il Natale dovrebbe essere la celebrazione della nascita di Cristo, l’Uomo-Dio che, con il suo sacrificio, redense l’umanità dal peccato. Egli nacque a Betlemme, trascorse l’infanzia in Egitto. Compiuti trent’anni, cominciò a predicare l’amore e la fratellanza tra tutti gli uomini. Inviso alle autorità religiose ebraiche incapaci di comprendere un messaggio dai così sublimi contenuti spirituali, esse complottarono per eliminarlo. Il Sinedrio fece catturare Gesù che fu giudicato colpevole da un tribunale romano, ma su istigazione dei perfidi giudei. Condannato all’infamante pena della crocifissione, Cristo s’immolò per l’umanità intera. Spirato sulla croce, il terzo giorno resuscitò per apparire prima alla peccatrice Maria Maddalena, poi agli apostoli.

Questo è il racconto mitico di Cristo il cui punto focale è la Risurrezione: infatti Shaul-Paolo afferma ”se Cristo non è risorto, la nostra fede è vana”. Che cosa si deve intendere per Risurrezione? Tutti i cristiani, per nulla abituati a recepire un insegnamento esoterico-simbolico e, di converso, attaccati alla misera lettera dei testi, pensano che la risurrezione sia il miracoloso ricostituirsi del corpo e dell’anima dopo la morte. È un’idea infinitamente ingenua e dozzinale, perché la vera risurrezione è una palingenesi, un profondo, radicale rinnovamento interiore. Risorgere significa aprirsi ad una nuova vita, superare i pregiudizi in cui è invischiata l’esistenza, spezzare le catene del tempo e dello spazio, espandere la propria coscienza affinché si identifichi col tutto. È questo il messaggio del Vangelo di Giuda Tommaso, un libro mirabile, le cui parole irradiano una luce intensa e purissima. È questo il messaggio che le chiese hanno sempre censurato, temendo di perdere il loro potere fondato sul controllo, su dogmi menzogneri, sulle gerarchie e su concetti distorti quali il senso del peccato, la necessità della sofferenza, la minaccia dell’eterno castigo.

È ovvio che nessun dio, se non nelle innumerevoli leggende pagane e nel mito paolino, si è mai incarnato per riscattare gli uomini dal male: infatti, nonostante tutto il sangue versato da questi dei, il male continua a godere di ottima salute. È evidente che la quintessenza di ogni fede sincera dovrebbe essere la risurrezione, ossia la speranza, (o l’illusione?) che gli esseri umani un giorno scoprano il vero valore della spiritualità che è, etimologicamente, l’afflato, il respiro (spiritus) dell’anima.

22 dicembre, 2005

Dei delitti e delle penne

Absit iniuria verbis

Sfogliamo un quotidiano o seguiamo un notiziario televisivo: si rimane sconcertati al cospetto di cotanta ignoranza, in primo luogo della lingua italiana. Ormai i giornalisti conoscono un solo verbo, esserci: c’è, c’è stato, ci sono, ci sono stati, ci sarà, ci fu… Il depauperamento dell’idioma di Dante sta raggiungendo, a causa di questi beoti, livelli indescrivibili. Tuttavia la povertà lessicale, gli strafalcioni, l’invasione di forestierismi sono peccati veniali, se confrontati con gli incruenti, ma pur sempre gravissimi misfatti compiuti dagli imbrattacarte.

Occorre distinguere: la maggior parte dei redattori è costituita da una moltitudine di babbei, incapaci di ragionare e di pensare, con appena qualche nozione (sovente errata) di storia, geografia, politica ed economia. Costoro si limitano a riportare le funeste versioni ufficiali, senza neppure sospettare che sono colossali, abnormi, mostruose menzogne. Questi scribacchini, non di meno, sono perdonabili, poiché hanno un limitatissimo intelletto che impedisce loro di comprendere qualsiasi avvenimento e problema. Immaginate se dovessero occuparsi di signoraggio, di scie chimiche, di sinarchia, d’intreccio tra finanza e traffico di stupefacenti: annasperebbero, strabuzzando gli occhi vacui, essendo abituati a scrivere le solite baggianate su calciatori, stilisti e fotomodelle.

Esiste poi il Gotha delle firme “prestigiose”: sono editorialisti che si atteggiano ad intellettuali indipendenti e critici, laddove in realtà sono i camerieri dei direttori che, a loro volta, sono i caudatari degli editori. Gli editori, infine, debbono strisciare al cospetto dei padroni.

Una sparuta minoranza, infine, è formata da giornalisti che, non accontentandosi delle veline del potere, conducono delle inchieste, scoprendo spesso qualche scomoda verità.

Purtroppo l’”informazione” è dominata dalle prime due genie. Cronisti ed editorialisti, vuoi per la loro insipienza vuoi per la loro disonestà intellettuale, avallano l’oscena manipolazione degli eventi decisa dalle élites che mirano ad inebetire e a plagiare l’opinione pubblica.

Ieri è occorso un atroce incidente ferroviario su una linea secondaria tra Roma e Frosinone: è la conseguenza di una dissennata e cinica politica di privatizzazione del settore. Per ora, i giornalisti affermano che le cause della tragedia devono essere stabilite, che le responsabilità devono essere accertate. Stiamo pur certi, però, che, non appena il ministero dei trasporti, la magistratura, una commissione ufficiale d’inchiesta sentenzieranno che si è trattato di un errore umano, i pennivendoli si affretteranno a divulgare e a confermare questa ignobile “verità”.

In questo modo, con le loro penne uccideranno la verità (quella vera) e si renderanno complici, per la loro congenita codardia, di un altro delitto.

21 dicembre, 2005

Doppia visione

La purga dura da sempre, senza un perché (E. Montale, Il sogno del prigioniero)

In questi giorni l’opinione pubblica è indignata di fronte allo scandalo che vede coinvolti banchieri, finanzieri e politici. Gli Italiani sono costretti a constatare, ancora una volta, quanto è corrotto il sistema, con banche che derubano i correntisti, con operazioni spregiudicate compiute da loschi figuri, con cooperative che, con ogni mezzo, mirano ad impadronirsi degli istituti di credito. Molti sanno che a questo mercimonio non sfuggono i partiti, associazioni a delinquere in combutta con le banche e le finanziarie, vere organizzazioni di usurai.


Eppure, se si trattasse “solo” di immoralità diffusa in ambito economico e politico, si potrebbe paradossalmente provare un senso di sollievo. Sì, perché falsi in bilancio, frodi finanziarie, reati di aggiotaggio sono le marachelle di un bimbo un po’ discolo, se si pensa a quello che accade dietro le quinte. Dietro le quinte, in tutto il mondo o quasi, la sinarchia, il governo occulto sta tramando per scatenare un nuovo conflitto su scala planetaria, fomentando l’odio degli Occidentali e degli Ebrei astutamente manipolati contro le nazioni islamiche, altrettanto astutamente manipolate. Il progetto di sistematica distruzione del pianeta è perseguito giorno dopo giorno con scientifica precisione. Non è solo per il denaro, non è solo per il potere… Gli “Illuminati” hanno consacrato le loro nere anime alla morte.

Così gli Italiani si sdegnano e vanno in collera di fronte ai misfatti dei banchieri e dei loro potenti amici, alcuni si illudono che qualche nuova legge, come quelle che il Parlamento si sta accingendo ad approvare, possa essere risolutiva. Intanto, però, gli infernali carnefici, gli ”Iddii pestilenziali”, nelle loro tetre cucine preparano pietanze velenose da ammannire ad un truculento festino che sarà anche l’ultimo.

Senza una doppia percezione si scorgono solamente le sinistre ombre cinesi sulla superficie; con una doppia visione si penetra in una realtà più tenebrosa e terrifica di quanto la più fervida immaginazione potrebbe supporre.

Sui piani della sinarchia, vedi Henry Makow L’ADL ed il B’nai non rappresentano gli Ebrei in http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1665&mode=thread&order=1&thold=0

19 dicembre, 2005

Opus diaboli

La settimana scorsa il programma Voyager di RAI 2 ha dedicato una puntata ad un altro fra i misteri che hanno reso celebre il romanzo di Dan Brown, Il codice da Vinci, vale a dire la possibilità che Cristo sia stato sposato con Maria Maddalena. È stata una puntata discutibile: Giacobbo ha invitato un esponente dell’Opus Dei e uno “storico”. Tra i due, l’unica differenza era nell’abbigliamento, poiché entrambi hanno maldestramente tentato di “dimostrare” che l’idea di un Messia coniugato non è per nulla plausibile. Per quanto mi riguarda, dissento e credo che non sia necessario attingere al Vangelo apocrifo di Filippo per sostenere tale ipotesi: infatti è più che sufficiente leggere con attenzione i Vangeli canonici per intuire che Maria Maddalena probabilmente era la consorte di Gesù e Lazzaro (Eleazar) il cognato. (1)

Tuttavia il tema può apparire erudito, anche se non lo è; certamente, invece, è una questione scottante quella relativa al ruolo della prelatura del Vaticano denominata Opus Dei. Qualcuno può forse credere che l’Opus Dei non saldò i debiti dello IOR? Forse l’inopportuna e precipitosa canonizzazione di Escrivà, il fondatore di questa “loggia”, santificazione decisa e voluta da Giovanni Paolo II non è un atto di riconoscenza?

Abbiamo assistito ad una manipolazione della verità, ad una spaventevole contraffazione dei fatti dal momento che, nel programma, l’Opus Dei è stato dipinto come un coro di Serafini. Qual è il problema? La costante, sistematica, impudente divulgazione di bugie in qualsiasi campo: dalla politica all’economia, dalla scienza alla filosofia, dall’archeologia alla religione… Eppure, se ci convinciamo che quasi tutto quello che ammaniscono gli organi di “informazione” ufficiali è falso, distorto, filtrato, scopriremo una realtà molto diversa, inaspettata.

Scopriremo, ad esempio, che l’Opus Dei è in realtà l’Opus diaboli.

(1) Vedi
http://www.nostraterra.it/

18 dicembre, 2005

Il progresso

Absit iniuria verbis

“Abbiamo smesso di credere nell’idea di progresso e questo è un vero progresso.” È una riflessione dell’egregio ed immaginifico scrittore argentino, Borges.

Purtroppo il suo apoftegma non è del tutto adatto ai nostri tempi, che sono aduggiati da miti illuministi, come quello del progresso. Di questo cascame non avvertiamo certo l’esigenza, eppure qualcuno ancora ottusamente s’incaponisce e sostiene che la linea ferroviaria ad alta velocità nella Val di Susa è necessaria, perché “non si può fermare il progresso”. È una frase rivoltante che, non a caso, spesso esce dalle bocche putride di qualche politico.

La distruzione dell’ambiente, l’inquinamento delle falde freatiche, lo stupro della Terra sono il progresso, secondo certi “esperti”. Codesti prometeici individui, però, credono veramente in questa solenne corbelleria? Ne dubito. In realtà il denaro è l’unico loro interresse. La sacra fames auri li divora. Noi, invece, preferiamo l’unico vero progresso, quello spirituale. Noi preferiamo assaporare il gusto di un’acqua che sia “humile et casta et pura”.

15 dicembre, 2005

Il crollo degli idoli

Nell’infanzia quanti sogni! Si rimane incantati dalle apparenze: il mondo sembra un eden. Con l’adolescenza, nel giardino della vita cominciano a crescere rose dai gambi spinosi. Tuttavia i giorni sono ancora animati da ardori, ci si appassiona a qualsiasi novità, si seguono con entusiasmo idoli e si inseguono generosi ideali. C’immedesimiamo nelle avventure della nostra squadra di calcio, nelle prodezze del pilota di Formula 1, non ci perdiamo un film con la nostra attrice preferita. Crediamo nel mito dell’amore, negli altri, nella vita.

Con il passare del tempo, nel giardino germogliano piante parassite ed erbacce, mentre alcuni alberi si ammalano e i fiori avvizziscono un po’. Si scoprono altri volti della realtà, spesso sgradevoli. Avevamo studiato le imprese di Alessandro Magno: credevamo fosse un eroe, ma scopriamo che era un beone iracondo. Eravamo pieni di reverenziale ammirazione per la figura di Gesù, il profeta dell’amore, salvo poi appurare che era un combattente messianista cui interessava soltanto di espellere i Romani dalla Palestina. Il profondo, sublime Agostino (non Sant’Agostino) si rivela un sessuofobo psicolabile. Avevamo visto in Benjamin Franklin un campione della libertà e dell’eguaglianza, ma veniamo a sapere che era un sostenitore dello schiavismo e per di più un satanista; la medesima considerazione vale per Winston Churchill.

Insomma, uno dopo l’altro, gli idoli crollano: gli stati, lungi dall’essere delle istituzioni create per tutelare i diritti dei cittadini, sono spaventevoli mostri che stritolano tra le loro fauci i sudditi, a somiglianza del Lucifero dantesco. La chiesa cattolica, invece di essere una comunità di credenti, è una diabolica camera di tortura per le anime. Gli ipocriti sono dappertutto e, dietro parvenze attraenti, si nasconde ogni genere di turpitudini.

Resta ancora qualche cespuglio, resta qualche tarassaco: rimane l’illusione che l’esistenza possa avere, nonostante tutto, un senso, sebbene abbiamo compreso che la felicità è una chimera.

Un giorno rovina anche l’ultimo idolo di cartapesta: l’esistenza, nel migliore dei casi, diventa la ripetizione stanca dei soliti gesti, delle solite amare frustrazioni, delle solite noiose incombenze.

Il giardino ora è un deserto, arido e sconfinato, come il Sahara… ma senza oasi.

14 dicembre, 2005

Quetzalcoatl


Sempre più spesso capita di notare in sequenze di telefilms, di pellicole cinematografiche, di pubblicità, come nelle immagini di molti servizi televisivi, il cielo solcato da scie chimiche. Succede che il regista decida di creare un’efficace inquadratura del firmamento, ma, involontariamente, mostra un intreccio di nuvole artificiali. Quante volte, poi, i servizi ”giornalistici” sono impreziositi da campi lunghissimi che consentono di ammirare artistiche trine! È evidente: il fenomeno è sempre più diffuso, a tal punto che i centri meteorologici, prima di trasmettere le immagini satellitari, cancellano accuratamente queste linee sinuose.

Tra l’altro, l’infernale attività continua nell’atmosfera non solo con ritmo serrato, ma anche in modo sempre più subdolo: infatti ora, in alcuni casi, le aviocisterne, con i loro erogatori, rilasciano sostanze chimiche che creano formazioni non persistenti. Le scie, infatti, tendono a dissolversi in un intervallo piuttosto breve. Il risultato è facilmente immaginabile: se prima quasi nessuno notava i ricami, adesso sarà ancora più difficile che qualcuno si accorga delle anomalie sopra le nostre teste. Eppure i nemici peggiori sono quelli invisibili.


Narrano antiche leggende di Toltechi e di Mexica che il dio Quetzalcoatl, il serpente piumato verde, incivilì i popoli mesoamericani. Oggi i cieli sono attraversati da migliaia di serpenti piumati: dubito, però, che rechino conoscenze, anzi penso diffondano veleni mortali.

13 dicembre, 2005

Le galassie

Come le galassie s’allontanano, istante dopo istante, dal centro dove tutto ebbe inizio, dall’ormai remota sorgente del Tempo, così gli uomini, col passare dei secoli, s’allontanano dal divino. I popoli preistorici e quelli antichi vivevano in un cosmo permeato dal sacro; fra l’umanità e la divinità erano frequenti i contatti: gli eroi omerici colloquiavano con gli dei, da loro ricevevano consigli, ammonimenti; da loro erano aiutati od ostacolati. In seguito l’accostamento al divino diventò un fenomeno eccezionale… Oggi, nel vuoto cielo della nostra civiltà, splende il sole gelido della scienza; quel che resta del sacro aleggia, come una larva esangue, nella penombra delle chiese, delle moschee, dei luoghi di culto. Ma il brusio delle devozioni serve solo a coprire l’infinito, abissale silenzio di Dio.

12 dicembre, 2005

Vittime e carnefici

Recentemente ho letto il controverso libro di Dan Brown, Il codice da Vinci. Il mio giudizio su quest’opera è globalmente negativo: mi pare che l’autore abbia dipanato l’intreccio in modo più macchinoso che avvincente. Reputo alquanto fiacchi molti dialoghi, ma soprattutto scadenti le parti descrittive che avrebbero dovuto evocare le atmosfere misteriose dei luoghi ove sono ambientate le vicende. I personaggi, poi, sono piatti, convenzionali, se si esclude il numerario dell’Opus Dei, Silas, che spicca per i suoi connotati sacralmente demoniaci. La regia televisiva del romanzo è solo in parte riscattata da qualche digressione sul Graal e su Maria Maddalena, dalle intriganti riflessioni circa alcuni capolavori leonardeschi.

Quello che mi sorprende non è tanto lo scalpore suscitato dal romanzo, le cui teorie sul Graal sono discutibili ma non del tutto infondate, almeno sul piano simbolico, piuttosto che i più feroci detrattori del Codice siano proprio coloro i quali incorrono negli stessi errori in cui è inciampato talora Dan Brown. Mi spiego: se degli storici avessero criticato l’opera, rilevandone inesattezze ed esagerazioni, sarebbe comprensibile. Non capisco, invece, come possano intellettuali e teologi cristiani scagliare strali velenosi contro lo scrittore statunitense, proprio loro che credono (o fingono di credere) in invenzioni rispetto alle quali la sbrigliata fantasia di Brown sembra rigore storiografico. Molti cattolici hanno affermato, con un misto di sicumera e di acrimonia, che Cristo era considerato Dio, prima che l’imperatore Costantino convocasse lo sciagurato concilio di Nicea nel 325. Si tratta di un’affermazione ridicola: Saul-Paolo ritiene che Cristo sia una figura soprannaturale, ma non eguale a Dio Padre. Infatti l’apostolo dei Gentili si riferisce a Giacomo come al fratello del Signore. Dio avrebbe allora oltre ad una Madre, anche un fratello? Giacomo sarebbe il fratello di Dio, come diceva Diego Abatantuono?

Non mi si porti l’esempio del Quarto vangelo per dimostrare l’identità tra il Figlio e il Padre: il Quarto vangelo è un libello gnostico che, per giunta, i teologi ortodossi non sanno interpretare.

Rincresce che studiosi intelligenti accettino i dogmi-frottole del credo niceno, un’accozzaglia di maldigerite e logore credenze pagane, a tal punto da imprigionare la loro mente, da spegnere la vivida fiamma della conoscenza per alimentare il fuoco fatuo della superstizione.

Inoltre la loro difesa d’ufficio dell’Opus Dei,(1) il cui fondatore dalla condotta per lo meno discutibile, fu canonizzato da Giovanni Paolo II, mi ricorda l’incomprensibile simpatia che, a volte, lega la vittima al carnefice.(2) Questi giornalisti cattolici, schiacciati, indottrinati, annichiliti dalla Chiesa e dalle sue ottuse gerarchie, combattono, lancia in resta, per i loro aguzzini, avallando, ad esempio, le bizzarre decisioni di un concilio voluto da un imperatore assassino, ambizioso e protervo.

Chi sono i peggiori torturatori, se non quelli che, come il Grande Fratello, in 1984 di Orwell, non si accontentano della sottomissione delle loro vittime, ma pretendono pure di essere amati e venerati?

Ora, tali intellettuali cattolici purtroppo amano e venerano il loro carnefice, un uomo nel cui nome Benedetto si nascondono le più maledette intenzioni.


Note

1) Tra l’altro l’Opus Dei, al centro di losche operazioni finanziarie, appartiene alla sinarchia, il governo occulto mondiale.

2) Una teologa seria come Adriana Zarri ha censurato l’avventata canonizzazione di Escrivà, il fondatore dell’Opus Dei.

Della morte e dell’amore (by Straker)

Vi sarà capitato, una volta nella vita, di sentirvi porre la domanda: “Hai paura della morte?”. Se non avete mai avuto occasione di pensarci, è ora di farlo. Senza esitazione, penso che chiunque risponda affermativamente.

Generalmente, si teme ciò che non si conosce e, di certo, la signora con la falce non fa parte delle cose che ci è dato conoscere. Personalmente non ritengo che la morte debba far paura. Perché dovrebbe? Se morire significa dover lasciare le cose e le persone alle quali si è legati, beh… allora posso essere d’accordo con chi non vorrebbe mai lasciare questa valle di lacrime, ma non penso che si tema la morte per questo motivo. In effetti, sembra che, coloro che amano di più la vita, abbiano più occasioni per morire. Fateci caso. Avete mai visto dipartire prima dei suoi giorni qualcuno che, poiché anima malevola e crudele, sia nei confronti degli altri, sia, di conseguenza, nei confronti di se stessa, abbia incontrato prematuramente la signora con la falce? Tali individui vivono a lungo! Non è forse una punizione nei loro confronti? Stessa sorte tocca a coloro che non temono il fatale incontro e che a lungo dovranno attendere. Al contrario, non si contano le innumerevoli "vite spezzate" (dal nostro punto di vista) tra coloro che amavano ciò che facevano, amavano gli altri e, magari, erano ancora nel fiore dei loro anni. Il pensiero va a coloro che, nel dolore impotente e stupìto, rimangono depauperati della vicinanza del caro estinto.

La morte è sempre originale ed imprevedibile. Arriva quando vuole, senza avvertire ed è questo che a tanti fa venire i brividi. Non se ne vuole nemmeno parlare. Se sapessimo quando ci aspetta il momento, forse non vivremmo tranquilli, ma di certo non ne saremmo così terrorizzati.
Personalmente, sono stato sfiorato dalla morte almeno quattro volte, ma la cosa non mi ha mai turbato più di tanto. Ricordo che l’unico pensiero che ogni volta mi è balenato è che non potevo andarmene, perché la mia presenza era ancora necessaria a qualcuno. Vivere o morire, odiare o amare. Se la morte non ci vuole, è forse perché non ci ama? O è l’esatto contrario? Quale logica imperscrutabile è ad essa legata? Non è forse questo il suo fascino?

Da quando esiste l’universo, ogni creatura vivente e non, attraversa un ciclo che si è ripetuto miliardi di volte: nascita, fase di crescita, fase di declino, morte. Come possiamo immaginare di sfuggire a questa ruota della fortuna? E’ il tempo, il nostro nemico... semmai. La morte è solo il punto di arrivo… per poi ricominciare, all’infinito.

In fondo, pensateci, la morte è solo un passaggio in un’altra dimensione e non è poi così drammatico passare a miglior vita. Piuttosto, auguriamoci che il preludio alla fine (?) non sia doloroso e lungo. La morte è la nostra ultima corteggiatrice e… una corte, non va mai rifiutata.

**Straker**

11 dicembre, 2005

Luce e tenebre

Con ogni raggio di luce è pure scoccata una freccia di tenebra.

09 dicembre, 2005

Amore, coraggio e suicidio nell'ultima opera di Mauro Monni (recensione di Andrea Claudio Galluzzo)

L'involucro è scomparso, ma le persone che lo portavano esistono tuttora e certo voi amate esse e non il loro involucro. Prima, però, di poter comprendere la loro condizione dopo la trasformazione nella morte, è necessario conoscere la propria. Si deve cercare di far nostra l'idea che siamo esseri immortali, perché divini in essenza; una scintilla del fuoco di Dio. “Iddio creò l'uomo a sua immagine” (Genesi 1,27). Prima di rivestire l'involucro chiamato 'corpo' abbiamo vissuto lunghe età e ne vivremo ancora a lungo dopo che esso si sarà dissolto in polvere.

Nell'ultima fatica letteraria di Mauro Monni "Visto da qua (il cielo è ancora più blu...)", lo scrittore fiorentino, già autore del romanzo "Se ricominciare è una questione di scelte" pubblicato nel 1994, affronta il tema della scelta e dell'aldilà con una certa ironica sfrontatezza. Subito si ha chiaro che la morte non esiste. Pagina dopo pagina, si entra in un gioco di sogni, realtà trascorse e possibili. Ci si trova come in un torrente di ricordi, ma il ricordo non è il tema centrale. L'opera non è una descrizione delle vite di sette noti suicidi e dell'amabile Rino Gaetano. Nel fluire del testo, si continua a vivere una situazione soltanto all'apparenza rievocativa della vita. Si vive ancora. La scelta del suicidio non è assolutamente importante. Si tratta solo di uno strumento per vivere di più e diversamente la vita. I personaggi raccontati da Monni parlano o rimpiangono il passato, ma il loro fine non è quello di dolersene: la rievocazione è soltanto il mezzo più semplice per interagire con gli altri, per provare emozioni e incontrare nuovi sentimenti. Questi morti sono vivissimi e anche vivaci. E ciò è possibile soltanto perché la morte non esiste.

Cesare Pavese, Ludwig di Baviera, Marina Cvetaeva, Jim Morrison, Vincent Van Gogh, Jan Palach, Jeanne Modigliani ed infine Rino Gaetano, l'unico a non essersi suicidato, sono gli otto personaggi famosi che si siedono intorno al tavolo di un localaccio aperto solo per loro da Mauro 'Lucifero' Monni. Otto spiriti che dialogano e vivono grazie al luogo magico che li sta ospitando. Quel posto è il cuore dell'autore e nella dimensione del suo amore essi vivono davvero.

Solo attraverso l'affetto e sentimenti puri essi riescono ad affrontare e superare, in un collettivo sforzo finale, il martirio del dolore e la solitudine delle loro sofferenze. Come ricorda Monni, il dolore appartiene ai singoli: è unico ed ognuno si porta il proprio fardello, che, comunque sia, è sempre troppo pesante. Il suo peso è sostenibile solo comunicandolo. Gli otto personaggi, infatti, lo esprimono e se ne fanno reciprocamente partecipi. E' l'unica strada che posseggono per liberare finalmente le proprie anime. Anime che non resistono più e che hanno un'estrema necessità di amare e di essere amate. Questo esame ultraterreno dimostra come le modalità della morte siano in effetti secondarie rispetto alla necessità di vivere profondamente, di vivere veramente.

Nell'opera è interessante notare come siano indagati gli argomenti della depressione e dell'autocommiserazione. L'autore compie un tagliente viaggio nelle menti contorte e spinose degli otto commensali. Chi è abituato a leggere le opere di Freud è colpito dal suo singolare metodo di indagine: partendo dallo studio delle reazioni psichiche normali, arriva alla formulazione dei processi patologici; oppure procede in maniera inversa: dallo studio dei fenomeni patologici giunge a spiegare le leggi di funzionamento generale dell'apparato psichico. Mauro Monni sfrutta sempre a doppio senso tutte le strade praticabili, comprese quelle apparentemente a senso unico. Ogni personaggio rivela pertanto una parte di sé stesso inconsueta ed imprevedibile.

Chiaramente il testo di "Visto da qua" non è un percorso per affrontare i problemi delle persone depresse, ma resta il fatto che non indulgendo a semplificazioni, porta comunque aiuto a coloro che non sono stanchi di porsi domande sul significato esistenziale della malinconia e sul processo psichico che la sostiene e la rende possibile. La fragilità individuale originaria, insieme col terrore per la separazione da chi rappresenta letteralmente una fonte di vita, costituisce il modello per ogni esperienza malinconica. Il filo che tiene insieme le tematiche affrontate nell'opera si può rappresentare con le parole che Kierkegaard pone all'inizio della "Malattia Mortale", là dove scrive che l'uomo cristianizzato ha acquistato un coraggio che l'uomo naturale non conosce. Quando si teme infinitamente un pericolo, è come se gli altri non esistessero affatto. Nessuno dei personaggi sarebbe in grado di combattere il proprio inferno al di fuori dei sentimenti di affetto e solidarietà che, pian piano, si sviluppano nel gruppo. Si tratta in sostanza di un'inconsapevole evangelizzazione post mortem.

Monni vuole avvisarci che ciò che si è creduto essere la nostra vita è in realtà quasi solo un giorno della nostra vita reale. I nostri otto protagonisti non sono morti, ma hanno soltanto deposto l'involucro più denso. Malgrado ciò, non dobbiamo pensare a loro come ad un soffio incorporeo, perché essi non sono in alcun modo diminuiti da quanto erano prima. E niente torna più utile al caso delle parole di San Paolo di Tarso: "Se vi è un corpo materiale, vi è pure un corpo spirituale" (Corinti 15,44 45). Spesso tale frase è stata male interpretata: si pensa a questi corpi come se fossero successivi e non si comprende invece che tutti noi li possediamo anche ora, uno visibile e l'altro invisibile. Quando si abbandona il primo, si mantiene ancora quello più sottile, cioè si resta rivestiti del 'corpo spirituale.

«La morte è povera cosa, ma chiude una ferita mortale». Questo famoso verso shakespeariano ben figurerebbe a conclusione della tragedia terrena degli otto 'attori' di Monni. Solo per degli individui che hanno avuto la forza di darsi la morte la vita non è più una lenta agonia. "Sorella morte" è bella. Essa è la porta verso un'altra dimensione, un oltre che dona improvvisamente senso e significato al tutto. La morte ha il merito di concludere e risolvere l'altrimenti irrisolvibile esistenza terrena.

Fonte:
http://www.galluzzo.it/

08 dicembre, 2005

Luogo è in terra detto Malebolge

Absit iniuria verbis

L’altro ieri il ministro dell’Inferno, pisanu, ha mandato le sue feroci legioni ad aggredire gli abitanti della Valsusa che tentano di opporsi ai perversi piani partoriti dalla mente malvagia dell’Anticristo. Il servitore di Lucifero, superando anche le più nefande scelleratezze perpetrate nell’impero di USAtana, ha aizzato le sue coorti luciferine contro le popolazioni inermi. Gli altri satanassi del governo, guidato da belzebusconi, intanto digrignano i denti, vomitando bestemmie contro la democrazia, quella vera, non quella rappresentativa che è una farsa. Anche il presidente della camera, casignazzo, si è unito all’osceno, cacofonico, rintronante coro, come il diavolo del colle e come i sinistri demoni della sinistra. Tutti rabbiosamente inveiscono, con parole turpi ed abominevoli, contro la libertà e istigano gli spiriti del male a far vibrare scudisci, a strappare le carni con gli uncini, ad artigliare le vittime, a scuoiarle e a squartarle.


Dalla loggia di S. Pietro, il mefistofelico pontefice, segretamente compiaciuto dell’inferno sulla terra, rotea gli occhi corruschi d’odio, mentre con voce chioccia, benedice la fiaccola delle Olimpiadi. Sul suo capo inteschiato splende la mitra, simile ad una fiamma biforcuta, di dantesca memoria.

Sulla vergognosa aggressione ai manifestanti, vedi Alta velocità in Val di Susa: un attacco brutale e programmato, articolo di Fausto Carotenuto in http://www.disinformazione.it/

07 dicembre, 2005

Davide contro Golia

È nato il primo sito italiano dedicato esclusivamente alle famigerate scie chimiche. L’indirizzo è il seguente.

http://www.sciechimiche.org/


05 dicembre, 2005

Europa, mon amour

Absit iniuria verbis
Una volta era di moda la retorica meridionalista, oggi è considerato à la page tutto ciò che è europeo. Politici, economisti, giornalisti… amano pronunciare, spiccando bene le sillabe, questo aggettivo vuoto e nauseabondo. Così la patente del computer è europea, ogni progetto deve essere europeo, altrimenti non è all’avanguardia, la scuola è europea, la cittadinanza è europea, le infrastrutture sono europee, la mentalità è europea… Anche l’Europa ha radici in una cultura europea.

Di Europa abbiamo fatto indigestione e, se non fosse che, dietro questa rivoltante, vomitevole parola, si nasconde un superstato totalitario, liberticida, stalinista, si potrebbe reputare tale abuso del termine Europa solo una questione di cattivo gusto.

Purtroppo siamo subissati da slogans, immagini, bandiere, discorsi che inneggiano all’Europa e, contemporaneamente, in modo subdolo ma irreversibile, siamo defraudati delle culture, delle tradizioni, delle lingue, per giunta dei prodotti nazionali per far spazio a questo Leviatano che tutto schiaccia e distrugge.

La classe politica del nostro paese ha svenduto l’Italia per una manciata di privilegi: ora i parlamentari dell’Esperia, divenuti europei, siedono a Strasburgo. Costoro sono blanditi con prebende faraoniche, sono subornati dalle multinazionali e dalle banche che, scaltramente, fanno prevalere i loro loschi interessi sul bene collettivo. Costoro sono parassiti ancora più inutili, fatui ed oziosi dei nobili ospitati da Luigi XIV nella magnifica, sontuosa reggia di Versailles.

Il mito narra di Cadmo, eroe del ciclo tebano che, in seguito al rapimento della sorella Europa, partì alla sua ricerca. Dopo lunghi e vani tentativi, l’uomo interpellò l’oracolo di Delfi, che gli ordinò d’interrompere la ricerca di Europa e di fondare una città.


Auguriamoci che un oracolo, un giorno o l’altro, ci ingiunga di non cercare più l’Europa: è l’unica condizione per riuscire a fondare una… vera civiltà.


01 dicembre, 2005

Rispettiamo la montagna!

Ieri il presidente della repubblica italiana, Carlo Azelio Cianpi, si è espresso sul problema della linea ferroviaria per treni ad alta velocità, linea che dovrebbe essere realizzata nella Val di Susa. È noto che le popolazioni valligiane sono tenacemente contrarie alla costruzione di questa infrastruttura, poiché ne paventano il rovinoso impatto ambientale. Anche il geologo Boschi ha manifestato i suoi dubbi sulla opportunità di realizzare questa grande opera, considerando la presenza di uranio nel sito che dovrebbe essere attraversato da una galleria lunga 54 chilometri. Egli ritiene che, in seguito ai lavori, le falde freatiche, i corsi d’acqua e il suolo potrebbero essere contaminati da elementi radioattivi.

Intendo dissentire sia dagli abitanti della regione sia dagli ambientalisti e pure dall’esimio geologo Boschi. Infatti sottoscrivo l’opinione del presidente Ciampi che ha fatto la seguente dichiarazione: “Bisogna rispettare la montagna, ma l’Italia non deve rimanere esclusa dalle grandi infrastrutture europee”. Giusto! Bravo!! Concordo!!! L’Italia non deve essere esclusa dalle grandi infrastrutture europee e soprattutto bisogna rispettare la montagna. Già… rispettiamo la montagna di euro, l’astronomica montagna di denari erogati dall’unione europea per la costruzione della linea. Vorreste forse defraudare i soliti noti dei copiosi, fluviali finanziamenti europei?

29 novembre, 2005

La scuola, il deserto e gli sciacalli

Paola Mastrocola è autrice di un saggio intitolato La scuola raccontata al mio cane. Il libro ha fatto discutere e causato polemiche, poiché la scrittrice ha messo in luce le molteplici contraddizioni del sistema educativo italiano. In realtà, l’insegnante, vincitrice del Premio Campiello, 2004 con il romanzo Una barca nel bosco, ha aperto il vaso di Pandora.

Come spesso accade, il difetto è (anche) nel manico, ossia nel ministero della pubblica (d)istruzione, che, ad esempio, in occasione delle contestate e non del tutto regolari prove (1) predisposte ed inviate dall’INVALSI, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema scolastico, ha dimostrato, limitatamente agli estensori dei tests, quanto ignorata sia la lingua italiana. Infatti, se si legge la consegna dei compiti, si rimane esterrefatti di fronte ai grossolani errori di punteggiatura, tanto più gravi quando si considera che essi rischiano di minare l’intelligibilità delle istruzioni. Come se non bastasse, per la prova di comprensione del testo, è stato scelto un bolso raccontino irto di strafalcioni. Era così difficile selezionare una storia scritta in un italiano decoroso, con tutti gli autori eccelsi che annovera la nostra letteratura? Infine, poiché in cauda venenum, in calce ai due testi proposti, è stato riportato il nome di ciascun autore nel modo seguente: da: “Da” seguito dai due punti. Codesto è uno sbaglio colossale! Da quando le preposizioni semplici sono seguite dai due punti? Sono basito. Certo, si potrebbe obiettare che questa è solo pedanteria. Sarà… Resta l’ignoranza degli imbrattacarte che hanno predisposto le prove. Né si può affermare che il testo espositivo-argomentativo, incentrato sulla relazione tra vocaboli e oggetti, brillasse per originalità e novità interpretativa: l’autore, infatti, proponeva la solita, vieta tesi secondo cui il rapporto tra suono e referente è arbitrario, frutto di una convenzione. Non lo asseriva già De Saussure al principio del XX secolo?

In questo modo la quotidiana fatica dei docenti per insegnare agli allievi i principali modi di funzionamento della lingua, il loro impegno nel tentativo di far comprendere il nesso profondo, anche se controverso, discontinuo, tra le parole e le cose, risultano vanificati o, per lo meno, messi in discussione da un’accozzaglia di banalità e di solecismi, spacciata per strumento oggettivo di valutazione.

Non è questa la direzione giusta: questa strada è destinata a condurre al baratro dell’insipienza e dell’omologazione, tratti distintivi della società in cui viviamo.

Ha ragione la Mastrocola. Ella sostiene che “la scuola deve puntare sulla differenza, distinguersi dal mondo esterno, non imitare il varietà, la televisione, la pubblicità… La scuola di oggi, invece, è una scuola che si adegua al mondo… Oggi, non si chiede ai ragazzi d’inventare più nulla: devono solo seguire una traccia. Chi esce dai binari lo fa a suo rischio”. (2)

Vox clamantis in deserto: forse la udirà qualche sciacallo.


1) Ad ogni studente corrisponde un codice e ciò viola le norme sulla protezione dei dati personali.

2) E’ uno stralcio di un’intervista rilasciata dalla professoressa Mastrocola e contenuta all’interno della pubblicazione Mediterranea, novembre 2005. L’articolo s’intitola Quale scuola per i nostri ragazzi?

27 novembre, 2005

Una riflessione di Lao Tze

Lao Tze, il filosofo cinese fondatore del Taoismo, ci fa comprendere il principio entropico che governa l'involuzione delle società umane.

Prima si perde la ragione e poi compare la virtù. Quindi si perde la virtù e appare la benevolenza. Si smarrisce la benevolenza e subentra la giustizia; quando si perde la giustizia, compare la convenienza. Le leggi della convenienza fingono fede e lealtà e sono l’inizio del disordine. Il tradizionalismo è il fiore della ragione, ma anche il principio dell’ignoranza.

Lao Tze, Dao de qing, ossia il Libro della via e della virtù.

26 novembre, 2005

Fatti mandare dalla mamma...

Il sequestro di confezioni contenenti latte prodotto dalla Nestlé, latte contaminato da una sostanza chimica usata come fotofissatore sul cartone, ha dimostrato una volta ancora, anche se non era certo necessario, che le multinazionali non sono così diaboliche come spesso sono dipinte, ma molto di più.

Il ruolo giocato nella vicenda dei vari governi, in primis quello italiano, alla luce di quanto successo, è il solito: quello del compagno di merende che, quando è scoperto dalla nonna con le dita nel vasetto della confettura, accusa l’amichetto che con lui ha aperto il barattolo.

Il ministro delle malattie, storace (la minuscola è voluta), ha, infatti, sdegnosamente smentito il rappresentante della Nestlé il quale aveva affermato che la società svizzera produttrice di veleni gabellati per alimenti, concordò con l’esecutivo di vendere lo stock dei prodotti già sul mercato, prima di intervenire in qualche modo. Mi pare che poi l’ineffabile dirigente della Nestlé abbia smentito sé stesso. Insomma, sarebbe una commedia delle parti, se non fosse una tragedia, che vede come vittime i consumatori.

Di fronte a questo scandaloso esempio del turpe intreccio tra “politica” ed economia, di una classe dirigente asservita ai loschi interessi di banchieri, finanzieri, imprenditori, a loro volta controllati dagli esponenti della sinarchia, diventa del tutto anacronistica l’immagine casereccia e naif di quella celebre canzone interpretata da Gianni Morandi, il cui ritornello diceva “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”. Oggi bisognerebbe cantare “Non farti mandare dalla mamma a prendere il latte…” anzi “i latti”, come sagacemente dicono quei bontemponi di “giornalisti”, raramente a loro agio con la lingua italiana.

25 novembre, 2005

Le maglie della giustizia lasciano passare gli scarafaggi e catturano le farfalle

E' di qualche giorno fa la notizia: "Uccisa dall’uomo che la violentò 10 anni fa". Un fatto come tanti altri in questo "bel paese", patria dei reality shows, dei teleromanzi e di delinquenti impuniti ed impunibili. Una delle tante vicende che la cronaca ci presenta quasi tutti i giorni ed alle quali rischiamo di abituarci. Ebbene, io non intendo abituarmici ed il fatto che altri non se ne assumano le responsabilità, mi fa rabbia. Una rabbia purtroppo impotente, perché non ho gli strumenti per intervenire, affinché i prepotenti non continuino indisturbati a distruggere vite e famiglie.

In questi casi, si interrogano gli psicologi (quelli che prendono il gettone da questa o quella TV, per dire castronerie ritrite) e si associa la violenza alle colpe "generiche" della società. Facile! Potrebbero darci un taglio! Le responsabilità sono degli uomini preposti a far rispettare le regole: forze dell'ordine e magistrati in primis. Nulla di più! In questo paese, se non hai già entrambi i piedi nella fossa, nessuno di questi signori fa un bel niente. Le indagini cominciano solo se "ci scappa il morto". Ma allora: QUALE GIUSTIZIA!? Quale prevenzione?!

A questo punto, ben venga Charles Bronson ed il suo "Giustiziere della notte", visto e considerato che da questo stato e da questa legge non possiamo essere in alcun modo tutelati, a meno che non siamo "Commendatori" o malviventi pluripregiudicati.
Come da titolo, il risultato è uno solo:
Le maglie della giustizia lasciano passare gli scarafaggi e catturano le farfalle.
Meglio farsi giustizia da soli.
**Straker**

24 novembre, 2005

Ortodossia ed iconoclastia

Absit iniuria verbis.
“Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia ed inconsapevolezza sono la stessa cosa.” È questa una riflessione tratta dal celebre romanzo di Orwell, 1984. Considero questa massima quanto mai attuale: nel mondo d’oggi più che mai, infatti, solo coloro che non sono allineati, che riescono a ragionare contro le “verità” e i dogmi imposti dalle varie confraternite laiche e religiose sono uomini pensanti e senzienti. D’altronde, tutti i personaggi della storia che hanno dimostrato l’audacia dell’eterodossia, hanno veramente dato impulso alla civiltà ed acceso una fiaccola per illuminare il percorso dell’umanità. Mi vengono in mente Akhenaton, il faraone eretico che osò sfidare lo strapotere del clero di Ammon-Ra; Siddharta Gautama Buddha, il maestro che contestò la legittimità della divisione in caste nell’India del VI secolo a.C.; Yeshua Bar Abba, il Messia sacerdotale che tentò di diffondere nuova linfa nel rinsecchito albero dell’Ebraismo… Come non ricordare poi Apollonio di Tiana, l’imperatore Giuliano, Francesco d’Assisi, Giordano Bruno, Arthur Schopenauer, Friedrich Nietzsche, Emil Cioran, Wilhelm Reich, Paul K. Feyerabend, David Icke… solo per citarne alcuni?

Che cosa distingue il pensiero ortodosso da quello eterodosso? In primo luogo la capacità di rivedere, adattare, adeguare ai differenti contesti i propri paradigmi interpretativi della realtà. Inoltre il pensiero divergente non tollera schemi, costrizioni, limiti, poiché abbatte barriere, travalica confini, guada fiumi rapinosi, salpa verso oceani incogniti, si libra verso spazi mai esplorati, anche con il rischio di compiere un “folle volo”.

Purtroppo tale tipo di pensiero è una qualità ormai rarissima: il conformismo impera e, come se non bastasse, viene gabellato per profondità ed originalità. Eco scrive un “romanzo” e molti critici (non tutti fortunatamente) ne tessono sperticate lodi, credendo di aver letto la summa della narrativa. Messori pubblica un saggio e la maggior parte dei lettori non si accorge della puerilità con cui sono accozzate le “argomentazioni”. Ciampi tiene uno stucchevole discorso, trasudante banalità da ogni sillaba e la massa acefala dei “politici” servili ed adulatori si spella le mani in applausi.

Costoro, sebbene possano apparire, in qualche caso, dei novatori, agiscono e si muovono con le loro miserrime, penose elucubrazioni all’interno del confine tracciato dai potenti, simili a lucciole imprigionate in un bicchiere. Le opere di codesti scribacchini assomigliano a monete false, dalla sottilissima patina d’oro che nasconde del vile metallo. Anche la loro critica dello status quo, quando affiora -assai raramente, a dire il vero- è talmente scialba e convenzionale che non scalfisce neppure il sistema. Con qualche frase anticonformista, credono di aver affermato la loro autonomia d’intellettuali, ignorando che le classi dirigenti auspicano queste posizioni “libere” per ostentare la loro natura “democratica”.

Così, mentre il mondo s’incammina sempre più velocemente verso la tirannide mediatica, verso l’imposizione delle versioni ufficiali, proclamate come "verità" eterne, immutabili, dobbiamo solamente sperare che il numero degli iconoclasti aumenti sempre più. Gli idoli del nostro tempo devono essere spezzati, distrutti, ridotti in frantumi: gli idoli del nostro tempo sono la televisione, la stampa, i governi, le istituzioni internazionali, le chiese… Gli idoli del nostro tempo sono giganti, certamente, ma giganti dai piedi d’argilla.

21 novembre, 2005

Il Silenzio (studio di Mordekhài Mekubal)

Pubblico un illuminante e pregevole testo sul Silenzio: in un’epoca così frastornante e caotica come quella in cui viviamo, sarà utile soffermarsi a riflettere sul significato profondo e -direi- quasi mistico del Silenzio. È vero che il Quarto vangelo comincia nel modo seguente: “In principio era il Lògos"(il vocabolo greco Lògos è reso con Parola, Verbo, Idea…), ma per gli gnostici “In principio era il silenzio”. Riscopriamo allora il vero principio grazie alle meditate, limpide parole di Mordekhài Mekubal.

La conoscenza universale può essere rivelata solo ai nostri fratelli che hanno affrontato le nostre prove. La verità va dosata a misura dell’intelletto, dissimulata ai deboli, che renderebbe pazzi, nascosta ai malvagi, che solo potrebbero afferrarne qualche frammento di cui farebbero arma letale. Racchiudila nel tuo cuore, e che essa parli attraverso le tue opere. La scienza sarà la tua forza, la fede la tua spada ed il silenzio la tua corazza impenetrabile.
Questa frase è di Ermete Trismegisto, che può essere considerato l’Archetipo della dottrina Esoterica.
E’ indubbio che esiste un unico filo conduttore che unisce la tradizione filosofico-spirituale nel corso dei secoli.
E’ stata formulata un’ipotesi etimologica del nome secondo cui Ermete deriverebbe dal Copto “Ermeth” che significa “Essere Vero” da “Er - Essere” e “Meth - Verità”.
Nell’ “Asclepio” Ermete Trismegisto parla di Dio, entità inconoscibile ed invisibile, e dice che: “Egli può, in verità, concedere a qualche eletto la facoltà di innalzarsi al di sopra delle cose naturali, così da percepire un barlume della sua somma perfezione.
Quindi la “Percezione Spirituale” è la base di ogni conoscenza esoterica.
Il Mondo Antico affidava questa esperienza al Rito Iniziatico, a cui erano ammessi solo quelli che se ne mostravano degni, avendo dimostrato di possedere le necessarie attitudini fisiche, morali ed intellettuali.
Conseguenza dell’Iniziazione era la capacità da parte dell’Iniziato di percepire la propria Vera Natura e quindi di riuscire ad interagire con le Forze Occulte dell’Universo.
L’Iniziazione implicava un cambiamento netto nel modo di pensare e, conseguentemente, di agire da parte dell’ Iniziato.
L’Iniziazione ai Misteri, secondo quanto si credeva nell’Antica Grecia, comportava la Metànoia, il Ripensamento, il Pentimento, e come afferma Platone, la Conversione-Rivoluzione.
L’Iniziato iniziava un nuovo stile di vita che non aveva più nulla a che fare con il vecchio Mondo Profano.
Si può dire che l’Iniziato, pur continuando a vivere nel mondo, entrava a far parte di un Mondo Nuovo ed allo stesso tempo Diverso.
La Conoscenza del Profano fa riferimento al Mondo dei Fenomeni quindi deriva dalla Dimensione dell’Opinione ed è propria del Mondo Sensibile Corporeo, e la sua Conoscenza dell’Epistème, del Sapere in senso lato, è praticamente nulla.
Il Profano è un conoscitore della Condizione Materiale e per questo motivo deve essere distolto dal cosiddetto Mondo della Quantità, e deve riuscire a tralasciare il suo bagaglio di Archetipi della Conoscenza-Comportamento propri dell’Inconscio Collettivo.
L’Insegnamento è: ascolta, raccogli, analizza, assimila, diventa e solo allora parla.
L’Insegnamento Profano è nozionistico, infatti all’allievo è richiesta un’intelligenza conforme alla necessità dell’apprendimento ed una buona memoria.
L’Insegnamento Iniziatico è viceversa diretto al cuore e non al cervello, non alla Mente ma alla Nòesis, all’Intelletto, e deve far emergere ciò che è già in noi, deve far risvegliare la Consapevolezza della Coscienza.
Ecco l’importanza di un atteggiamento ricettivo che, oltre a farci comprendere-apprendere, ci permetta di far sì che ciò che apprendiamo diventi parte attiva della nostra Coscienza.
Per l’Iniziato è poi fondamentale saper vivere nel e del Silenzio.
Nell’Antichità il Candidato doveva rimanere in silenzio a volte anche per parecchi anni, e saper vivere nel Silenzio è una cosa molto difficile.
Nella scuola Pitagorica il Neofita osservava l’assoluto silenzio, per sviluppare la capacità di penetrare il Mistero attraverso l’osservazione interiore, che, inizialmente, consentiva di apprendere senza dover impartire alcun insegnamento.
A questo compito erano preposti gli Epopti, coloro i cui occhi sono aperti, che avevano già superato i livelli di Mathematikoi e di Phisokoi.
E’ solo nel Silenzio del cuore che è possibile raggiungere certi obiettivi.
Il Silenzio è il Fondamento di ogni Via Iniziatica.
Per Silenzio, però, non si intende solo il non parlare ma anche il riuscire a far tacere la propria mente, perché chi intraprende una nuova via non ha nulla da dire, ma deve solo ascoltare per imparare, infatti si dice che la Via inizia nel Silenzio.
Una delle fasi più importanti della crescita dell’Iniziato è anche quella dell’apprendimento delle tecniche per imparare a tacitare gli Impulsi della Mente derivanti dagli Istinti legati alla Natura Inferiore.
Spesso il non parlare diventa un privilegio, perché dà la possibilità di entrare più facilmente in simbiosi con l’armonia che regna all’interno di un Eggregoro.
Il Neofita si può infatti concentrare sul tentativo di comprensione dei Simboli, perché solo così gli è possibile arrivare a percepire la perfezione e la regolarità di un Rito.
Il Silenzio può essere inteso come cessazione del rumore, del suono, di ogni attività dispersiva.
La percezione stessa del Silenzio consente il suo avverarsi, inteso tra l’altro come un qualcosa di positivo.
Il Silenzio può essere colto come un momento creativo di trasformazione.
Il dovere di un Iniziato è quello di continuare a trasformarsi, senza interruzione, perché il suo fine ultimo dovrà essere quello dell’Edificazione del Tempio Interiore.
Guarda caso si è portati a dire che la verità è relativa quindi destinata a trasformarsi.
Il Silenzio può anche essere inteso come il luogo, lo spazio in cui si ricevono le percezioni che giungono dall’esterno ed in questo modo può diventare il tramite, il filtro di ogni dialogo.
La Coscienza è già in noi ma solo la Voce del Silenzio ci consente di trovarne la sorgente che portiamo dentro di noi.
Il Silenzio è anche sinonimo di Modestia, dove quest’ultima è una condizione interiore, è l’essere coscienti che non si saprà mai a sufficienza.
Il Silenzio è simbolo di Ignoranza: certe cose sono a conoscenza solo di determinate persone, quindi è a loro che si deve rivolgere l’attenzione, anche se è inutile chiederle perché non saranno mai svelate.
Sta all’Iniziato carpirne il segreto con la sua capacità d’intuizione.
Il Silenzio è simbolo della Proibizione: anche se si sanno certe cose, queste non possono essere dette perché significherebbe svelarne il segreto, quindi esporre la Conoscenza Iniziatica, Esoterica ad un pericolo di contaminazione.
Il Vero Sapere è riservato agli Iniziati, a coloro che sanno farne buon uso, e va quindi tramandato di bocca in bocca, per tempo.
Il Silenzio è, infatti, il Silenzio dell’Ineffabilità: non tutto può essere detto finché manca la capacità di Discernimento.
Se manca la capacità di lettura, di interpretazione tutto rimane oscuro, senza significato, perché dietro al significato “Profano” ne esiste un altro “Esoterico” che solo l’Iniziato può comprendere.
Il Silenzio, però, non deve essere inteso solo come capacità di Apprendimento e di Autocoscienza, ma va inteso anche come Prova, come capacità di conservare la Conoscenza cui il Neofita è sottoposto.
La Conoscenza è potere, quindi deve essere controllata e distinta tra i diversi livelli di Iniziazione che uno ha.
Il Silenzio Iniziatico non crea certezze, anzi, mette in discussione le certezze per sostituire ad una Verità definita una Verità in perenne scoperta.
Il Silenzio genera quesiti.
Il Silenzio può essere inteso anche come Sofferenza, al sofferenza del controllo sulla parola e, visto che la sofferenza può essere vista come il confine tra la realtà vissuta e quella immaginata, si può usare il Silenzio per definire il rapporto con il mondo.
Questo è il percorso dell’apprendistato, che darà la capacità, attraverso il Silenzio Rituale, di arrivare alla Conoscenza Iniziatica.
Altra fase di crescita dell’Iniziato è il Controllo della Parola che serve a tenere a freno ed a dirigere correttamente il pensiero.
Il Profano usa la parola senza badare troppo a ciò che dice, quindi senza preoccuparsi in maniera eccessiva delle conseguenze provocate dal proprio parlare.
Esiste anche un uso Exoterico della parola, enciclopedico, dove viene privilegiato il rumore provocato dalla parola rispetto al significato intrinseco.
L’uso Esoterico della parola comporta invece il trasferimento sia della “Conoscenza” che del vero e proprio “Carisma Iniziatico”, che si trasmette con il “Suono della Parola”, il cosiddetto “Potere della Parola” soprattutto quando questo si verifica in un’Entità Collettiva.
La Parola può essere sacra, quindi in questo caso non è neutra: essa provoca ciò che evoca.
La Parola Sacra trova amplificazione dentro l'ambiente del Silenzio Rituale di un Eggregoro.
E’ la trasmissione controllata della Saggezza che impedisce la deformazione della parola.
Essa deve essere articolata con precisione e correttezza, senza errori, per evitare che si faccia confusione tra significante e significato.
La “Parola” deve essere accompagnata da quelli che nei secoli sono diventati i Segnali Rituali che possono essere solo detti e manifestati in presenza della Fiamma Mistica.
È evidente il Valore Sacrale che può acquisire l’uso della Parola in certe situazioni.
La Parola ha in sé potenza, quindi il suo uso deve tenere conto di ciò, sia da parte di chi parla sia da parte di chi ascolta.
L’attitudine ad imparare ad ascoltare è un’altra arte che bisogna apprendere.
Essere capaci di costruire il proprio Silenzio Interiore significa anche essere in grado di far posto alle altrui parole, per poter condividere la Verità, intesa come capacità di riconoscere come vero ciò che un altro sta dicendo.
Ma questo è possibile solo quando avremo imparato a percepire solo la Parte Luminosa che brilla in ogni Essere Umano, quindi avremo fatto nostra la Temperanza.
La Temperanza, la Tolleranza, la Capacità di Regolare la Parola, la Ricerca della Verità dovranno segnare e guidare sempre e comunque il cammino dell’Iniziato.

P.s. Ringrazio sentitamente l'amico Mordekhài Mekubal per aver dato il suo consenso alla pubblicazione di questo articolo.

18 novembre, 2005

L'indegnità dell'uomo

Absit iniuria verbis

Eraclito distinse l’umanità in due gruppi, quello dei desti e quello dei dormienti. Il problema è il seguente: il 95 per cento dell’umanità appartiene ai dormienti, anzi ai letargici. Costoro sguazzano nel brago dell’ignoranza, convinti non solo di sapere quasi tutto, ma di aver capito tutto. Costoro si fanno inebetire dai media, che non sono manipolati dai potenti, ma appartengono ai potenti. Costoro hanno l’intelletto completamente ottuso, la mente atrofizzata. Costoro non notano le più clamorose contraddizioni, credono alle più spudorate bugie, votano chi li raggira… Con codesti pusilli il potere ha gioco facile, poiché possono essere mandati innanzi allo sbaraglio, spostati come i pedoni su una scacchiera, sacrificati per mangiare qualche pezzo di maggior valore.

L’uomo, questa creatura infima, ma superba, l’uomo, homo, humus, fango o poco più; l’uomo creato ad immagine e somiglianza di dei inferiori, capricciosi. Specie ripugnante quella umana, invidiosa, infida, avida, superba, fatua, stolida, infingarda, ambiziosa … Mi chiedo perché e per chi siano nati e vissuti tanti scrittori e filosofi, se solo una sparuta minoranza è in grado d’intendere il loro messaggio, di apprendere qualcosa del loro insegnamento.

Non è un caso: sugli scaffali delle librerie romanzetti dozzinali, osceni, abominevoli “saggi” di Vespa, Teodori, Magdi Allam, Zucconi, Romano, Brachino, Angela… e di altri ignobili imbrattacarte vanno a ruba, mentre gli eccelsi libri di Cioran restano lì negletti.

Non è un caso: le scandalose notizie dei telegiornali e dei quotidiani di regime hanno il crisma della “verità”, laddove le genuine ricostruzioni degli accadimenti sono bollate come “teorie” della cospirazione.

Non è un caso: eventi e significati potentemente simbolici sono scambiati da “intelletti” infinitamente nulli per mere coincidenze (11 9 9 11).

Non è un caso: si confonde l’esegesi di un testo con la ricostruzione storiografica di un fatto.

Non è un caso: milioni di telespettatori seguono beceri quiz, pensando che il nozionismo sia sinonimo di cultura.

Non è un caso: miliardi di persone si fidano dei loro macellai e si muovono docili verso i mattatoi.

Sono infiniti gli esempi dell’indegnità dell’uomo. Nonostante ciò, se la moltitudine dei sudditi può ancora suscitare compassione, giornalisti, politici, scienziati, economisti, storici, teologi… impostori meritano di essere sbugiardati, smascherati. Forse non è lontano il giorno in cui resteranno come il l'imperatore della celebre fiaba… completamente nudi.

15 novembre, 2005

La vedova nera

Absit iniuria verbis

Bisogna riconoscere che, rispetto ai tradizionali mezzi d’”informazione”, invasi da menzognere ed ignominiose versioni ufficiali, da bazzecole, da logorroiche cronache sportive e da mille altre turpitudini, la Rete, non di rado, consente di reperire delle notizie non censurate, delle informazioni sui vari campi dello scibile, anche su argomenti ingiustamente ignorati o banditi dai maitres à penser dell’establishment “culturale”. Certamente, occorre saper separare il grano dal loglio (le ramificazioni di quotidiani cartacei, i siti ministeriali, istituzionali etc.), ma, nel complesso, Internet offre delle opportunità per tenersi aggiornati su quello che, più o meno, veramente succede, mette a disposizione un’enciclopedia virtuale utile per studiosi, ricercatori e semplici appassionati.

Tuttavia nella ragnatela si può rimanere impigliati: non voglio riferirmi, in tale occasione, al limite connaturato ad un mezzo come questo in cui trovi tutto ed il contrario di tutto, il pericolo che in seguito ad una spaventevole esplosione d’informazioni restino, alla fine, solo brandelli d’ignoranza. Intendo, invece, mettere in guardia dalle insidie di certi siti apparentemente innocui, ma in realtà pericolosissimi, perché volti, dietro pretesti vari, a rafforzare e a legittimare il sistema oppressivo e mendace del mondo contemporaneo.

Porto qualche esempio, sulla base della mia esperienza.
Un attivissimo autore, in un suo patetico sito, riporta ed esamina una serie d’imbrogli, di raggiri per evitare che persone sprovvedute siano truffate: fin qui l’iniziativa è lodevole. Poi, però, si avventura nel tentativo di demolire “ipotesi”, secondo lui, risibili e fantasiose. Ad esempio, si cimenta nel compito non improbo, ma impossibile di dimostrare che i fatti del 9 11 accaddero, grosso modo, come ce li raccontarono Belzebush e i sodali della sua setta, la Skull and bones. Ci vuole una dose infinita d’improntitudine e d’ignoranza per ammannire una siffatta congerie di corbellerie in cui ormai possono credere solo gli ebeti. Ovviamente le balorde argomentazioni di codesto beota non meritano neanche di essere confutate, poiché si confutano da sole.

Ad ogni modo questo sito è da visitare, per sbellicarsi dalle risa.

Pullulano poi i siti cattolici: finché vendono santini, libri d’ore, ammennicoli papisti, passi, ma quando alcuni pseudo-storici e pseudo-teologi si inoltrano nell’esegesi dei vangeli, allora la riprovazione deve essere totale. Qualche giorno fa, visitando uno di questi portali cattolici, mi sono imbattuto in una serie di articoli in cui, facendo riferimento, esclusivamente al Quarto vangelo e ad alcune Lettere paoline, si vorrebbe “dimostrare” che Gesù è Dio, in ossequio ai dogmi niceni e post-niceni, posteriori di almeno tre secoli al periodo in cui vissero i due Messia. A parte che l’interpretazione proposta fa acqua da tutte le parti, gli estensori degli articoli non sono stati sfiorati dal dubbio che il Quarto vangelo originariamente era un testo gnostico, un libello accettato nel canone tardi e soltanto dopo mille controversie e polemiche, spesso veementi, fra i padri della chiesa? È come voler confermare la correttezza del sistema geocentrico tolemaico, basandosi su Copernico.

Insomma, quando ci si muove, sui fili di questa rete invisibile, immensa, è necessario essere circospetti, attenti alla più lieve vibrazione: una vedova nera può stare in agguato.