30 dicembre, 2010

Il male secondo René Guénon

Nel 1909, all'età di ventitrè anni, René Guénon diede alle stampe uno scritto intitolato “Il Demiurgo”. Nel testo l'insigne studioso ed esponente della Philosophia perennis, affronta il plurimillenario quesito "Si Deus, unde malum? Si Deus non est, unde Bonum?", rispondendo con logica adamantina ad una domanda abissale, per mezzo di una disquisizione costellata di nozioni universali, quali l'infinito, l'essere ed il non-essere, il manifesto ed il non-manifesto, l'unità ed il molteplice.

L'autore si chiede: "Come dunque ha potuto Dio, se è perfetto, creare degli esseri imperfetti?", "Come ha potuto l'Unità produrre la Dualità?". Nella visione tradizionale che Guénon propugna, richiamandosi soprattutto al "Trattato della conoscenza dello Spirito", di Shankaracharya, la distinzione tra Bene e Male è prerogativa del manifesto. Il Male, dal punto di vista universale, non esiste. Anche gli errori o, meglio, verità relative, sono schegge della Verità totale. La stessa distinzione tra lo Spirito e la materia, tra valori e disvalori, ha senso solo sotto certi riguardi: lo Spirito, che è Trascendenza assoluta, è l'unica vera realtà.

Resta comunque l'onere di chiarire, pur all'interno di un sistema sostanzialmente monista, l'innegabile, sebbene transeunte, presenza del male: Guénon sostiene che il Demiurgo, concepito come creatore dell'universo materiale, non è una potenza esterna all'uomo: "Nel suo principio esso non è che la volontà dell'uomo, in quanto questa compie la distinzione fra il Bene ed il Male. Ma in seguito l'uomo, limitato come essere individuale da quella volontà che è la sua propria, la considera come qualcosa di esteriore a lui e così essa diviene distinta da lui, poiché essa si oppone agli sforzi che egli compie per uscire dal regno in cui si è rinchiuso da sé stesso, l'uomo la vede come una potenza ostile e la chiama Satan o l'Avversario. Osserviamo peraltro che questo Avversario, che abbiamo creato noi stessi e che creiamo in ogni momento - perché ciò non va considerato come avvenuto in un tempo determinato - questo Avversario, dicevamo, non è malvagio in sé stesso, ma è l'insieme soltanto di ciò che è contrario. Da un punto di vista più generale, il Demiurgo, divenuto una potenza distinta e visto come tale, è il Principe di questo mondo di cui si parla nel Vangelo di Giovanni... Il suo regno è visto come il Mondo inferiore."

Decisivo nello svolgimento delle argomentazioni è il richiamo al passo di "Genesi", inerente alla caduta dell'Adam Kadmon, l'Adamo primordiale la cui scissione fu causata da Nahash, l'egoismo o il desiderio di esistenza individuale, un impulso di separazione che spinge l'uomo ad assaggiare il frutto dell'Albero della Scienza del Bene e del Male.

Questo è il succo di un articolo onesto e limpido i cui cardini sono il male come proiezione umana e dualità. Il concetto di male quale oggettivazione lascia un po' perplessi: si ha l'impressione che tale "oggetto" mentale si sia solidificato. La volontà umana genera questa opposizione per identificarsi, per esistere tramite un principium individuationis.

Va osservato che la dualità è idea cruciale: in effetti la radice di "dualità" (di) si riconosce proprio nel termine “diavolo” (greco diabolon da diaballo, separo, divido): il male è dunque scissione, frattura.

Non mi pare molto persuasiva la resa di Nahash con “egoismo” che, invece, tradurrei con “conoscenza”, valore, però, evidenziato da Guénon con il cenno all’Albero della Scienza. I simboli del testo biblico – manca uno sguardo esegetico all’Albero della Vita - sono forse interpretati in modo un po’ parziale, ma la differenza tra Adam Kadmon e l’Adamo successivo coglie il decadimento da una condizione primigenia in cui l’uomo era in armonia con sé stesso e con il Tutto.

La vera origine della caduta resta un enigma che continua a sfidare anche gli intelletti più eccelsi.



APOCALISSI ALIENE: il libro

29 dicembre, 2010

Ringraziamenti ed auspici

Concludo le pubblicazioni del 2010, ringraziando tutti i lettori sia quelli silenti sia quelli abituati a commentare, per la loro fedeltà, per i suggerimenti bibliografici e sitografici, per i fondamentali contributi nelle ricerche e nelle riflessioni, con l’auspicio che l’anno nuovo, nonostante i prodromi poco favorevoli, porti a ciascuno il Graal.

Ad altiora.



APOCALISSI ALIENE: il libro

24 dicembre, 2010

Salvatori e carnefici

Chi avrebbe mai potuto immaginarlo in passato? L’ufologia ci ha portato sul limitare di una teologia dubitosa, interrogativa. Infatti, se è vero che l’universo è popolato di razze intelligenti, come pensano molti cosmologi ed esobiologi, ci chiediamo quale sia la relazione che intercorre tra le nazioni delle stelle ed il Creatore.

In verità, in questi ultimi anni il quadro delle ipotesi ufologiche si è spaccato: da un lato si disegna uno scenario di esseri benevoli in conflitto con la funesta Cabala del nostro pianeta. La Terra sarebbe uno dei pochi pianeti-prigione in un creato edenico. Altri ricercatori, invece, evocano insidiose interferenze aliene in un cosmo che pare “un accampamento di demoni”. E’ ovvio che questi due scenari sono rispettivamente due concezioni: nel primo caso un Dio amorevole e benigno attende solo che alcuni popoli evolvano per portare l’intera creazione al "punto omega" (Teillhard de Chardin); nel secondo, l’universo è un gigantesco teatro di guerra, dove razze bellicose si contendono l’egemonia di pianeti e sistemi solari. Un demiurgo pazzo gioca ad accendere ed a spegnere stelle, a plasmare ed a disintegrare mondi, mentre meteore ed asteroidi schizzano in uno spazio gelido, proiettati ai confini della notte. Questo universo entropico ed irrazionale, nato dal caso, corre verso la morte ed il silenzio. Civiltà sorgono, crescono, decadono, muoiono, mentre le orbite vuote dei buchi neri fissano il nulla, in una solitudine siderale.

Sebbene sia difficile aderire all’ipotesi monopolare che, tra l’altro, sancisce un antropocentrismo cosmico (terrestri con anima ed alieni brutti e cattivi), non mi sento di accogliere la versione edulcorata ed idealizzata degli extraterrestri angelici, chioma bionda e fluente, occhi cerulei. Sono ufonauti quanto mai pazienti e tolleranti: se avessero voluto, avrebbero potuto rovesciare, in un amen, la dittatura che schiaccia la popolazione di Gaia. Evidentemente sono buddhisti e poi - si sa - vige il principio della non-interferenza.

Probabilmente la verità sta nel mezzo, ma è una verità sfocata ed ammantata di perplessità.

Qual è il ruolo della specie umana in questo giuoco interplanetario? Siamo figli di Dio o schiavi di dei minori? Qualcuno ha agito da intermediario? Se l’interpretazione di Sitchin, Russo e altri ci vede come lavoratori alle dipendenze di signori poco o punto divini, la visione di Nigel Kerner ci trasforma in vittime di razze predatrici intente a cercare qualcosa la cui vera natura sfugge a noi come a loro. I Grigi descritti da Kerner sono androidi impegnati in una missione che non hanno neanche ben compreso e per conto di chi forse oggi è estinto. Questi Grigi sono simili a quei giocattoli meccanici che sbattono contro gli ostacoli, di qua e di là, finché non si esaurisce la carica.

Ha senso introdurre i concetti di caduta e redenzione per altre razze intelligenti? Questa domanda è ineludibile per i Cristiani. Alcuni di loro immaginano un percorso di colpa e salvezza anche su lontani pianeti; altri vedono nella Terra il centro del Tutto, poiché la vicenda dell’Incarnazione è una nostra prerogativa.

Echeggia la domanda iniziale sul rapporto tra queste stirpi e la Trascendenza: esuli che sperano, disperati, di tornare in patria, un po’ come noi… E’ l’universo ad essere stato bandito dal Paradiso e non l’Adam?

Se veramente la Terra è tra il martello di Arconti stranieri e l’incudine di potentati terreni, ci chiediamo quale sia il motivo di questo concorso di circostanze avverse. Fu solo sfortuna? Altrove che succede?

La via d’uscita non è il viaggio verso altri corpi celesti, ma verso altre dimensioni, scisse da questa.




APOCALISSI ALIENE: il libro

22 dicembre, 2010

Profeti del silenzio

Profezia non è predizione, ma eloquio in nome di Dio. Le traduzioni correnti hanno trasferito la pregnanza del momento aoristico nell’avvenire, sebbene l’aramaico e l’ebraico antichi ignorassero il tempo verbale del futuro. Così si è perduto il significato primigenio della profezia, che è monito, persino un relata refero.

I profeti sono interpreti degli indecifrabili arazzi divini: li scrutano con occhi ciechi, chiaroveggenti.

I vaticini sono anatemi terribili e promesse grandiose, fra viluppi di concetti abissali. L’oscurità della profezia è luce che abbacina: la voce del veggente vibra di echi trasumananti. Il profeta è figura glorificata e schernita. Ora è accolto come un ospite di riguardo ora maltrattato, quasi fosse un mendico cencioso e petulante.

I suoi passi, se non calcano la reggia e le sue adiacenze, attraversano il deserto su cui serpeggiano poche, esili nubi e dove, fra gli anfratti rocciosi sibilano i colubri, guizzano gli scorpioni. Giovanni Battista, la labile figura di predicatore ed anacoreta, fu vox clamantis in deserto. La Tebaide è il luogo dell’ascesi e della solitudine: la solitudine è il destino di molti profeti, veri e falsi.

E’ la dimensione dove la parola del profeta forse troverà finalmente chi possa ascoltarla.



APOCALISSI ALIENE: il libro

20 dicembre, 2010

La nona emanazione

“La nona emanazione” è un recente romanzo di Fabio Ghioni. L’autore, noto per aver scritto “Hacker Republic”, un saggio sul tema della sicurezza informatica in un’era purtroppo sempre più digitalizzata, ha preferito affidare alla narrativa un monito sui tempi finali. Va rilevato che in “Hacker Republic”, Ghioni tende a presentare un quadro senza dubbio veridico, ma, forse per non indispettire certi poteri, enfatizza il ruolo di pericolosissime associazioni a delinquere contro cui agiscono integerrimi agenti. Intendiamoci: i pirati informatici esistono e sono pure molto insidiosi, ma è certo che molti agiscono per conto del sistema, sotto mentite spoglie. L’inimicizia tra “guardie e ladri” è un clichè ed i confini tra criminalità e “legge” sono oggi più sfumati che mai.

Grazie alla fiction, lo scrittore può abbandonare la prudenza e lanciare il suo messaggio nella bottiglia. Così Ghioni snocciola il campionario dei “miti” post-moderni: il cataclisma che cancella la storia, il tiranno il cui abnorme potere militare pende a mo’ di spada di Damocle sull’umanità, l’impatto di un asteroide, un’invasione aliena… Questi scenari sono, però, eclissati da una minaccia tanto più sinistra quanto più occulta: non sono i governi terrestri a nascondere inquietanti verità, ma Altri… Una misteriosa organizzazione custodisce reperti extraterrestri su cui indaga il protagonista: le sue peripezie cominciano durante una notte stellata in un base della California. La storia, attraverso avventurosi intrichi, porta l’eroe nel cuore di sé stesso e sull’orlo di scoperte molto rischiose per il genere umano. Coloro che gestiscono i Temporal Archives sono ombre ferali.

“Forse esoterismo, ufologia e fantascienza sono solo etichette di comodo per questo libro dove Fabio Ghioni ha voluto narrare in forma di romanzo ciò che non poteva essere detto altrimenti”.

Certi contenuti dunque non si possono comunicare altrimenti giacché sono talmente estremi che paiono impossibili. Avvalersi della fantasia per veicolare temi spinosi è scelta frequente, ma non sappiamo quanto efficace. D’altronde la saggistica, anche quella più documentata e sostanziosa, è disdegnata o relegata in una nicchia. Quindi tanto vale tentare di aprire una breccia con un’opera letteraria. Purtroppo la fatica di Ghioni rischierà di confondersi nel mare magnum di titoli i cui ingredienti sono il 2012, le dimensioni parallele, gli scarti temporali, le intrusioni esterne, le catastrofi globali… In questo filone, spicca per talento ed ispirazione visionaria, Withley Strieber, con il suo Omega Point, racconto apocalittico e sgomento in bilico su una tragedia cosmica.

Non è sufficiente una buona ed adrenalinica storia per entrare nella buona letteratura, anche se non si può escludere che il futuro ci riservi scariche di adrenalina. Non causate, però, dalla lettura di un romanzo.

Ringrazio l'amico Gianni Ginatta per la segnalazione.



APOCALISSI ALIENE: il libro

17 dicembre, 2010

Grondaie ostruite

Che cosa accomuna credenze tanto diverse tra loro: la fede nella rinascita, nella resurrezione e nella sopravvivenza dopo la morte? La proiezione del presente nel futuro. E’ una forma di alienazione: dacché il bene latita in questo mondo, deve esistere una prospettiva in un altro spazio, in un altro tempo.

La dottrina della metempsicosi o, meglio, della metensomatosi, come di solito è intesa, è verosimilmente un radicale travisamento di un’idea originaria. Le inconseguenze della metempsicosi non hanno impedito che tale opinione si diffondesse in modo straordinario, con tutte le idee inerenti, anch’esse sovente volgarizzate, di karma, samsara, nirvana

Circa la fede nella resurrezione della carne ci erudiscono gli storici delle religioni, ricordandone la probabile scaturigine persiano-mazdea. Si infiltrò poi in alcuni correnti ebraiche, nel Cristianesimo e nell’Islam. Non sarà certo il soma imperfetto a risorgere, bensì il corpo glorioso, incorruttibile animato dal soffio divino.

Promette Paolo: “Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché, se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno, però, nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato ed ogni potestà e potenza. Bisogna, infatti, che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”. (1 Corinzi 15,20-26)

Il concetto di una sopravvivenza dopo il decesso è, pur nelle diverse accezioni, l’idea di un quid che, compiutosi il trapasso individuale, séguita ad esistere in un’altra realtà. Confortata da una tradizione molto antica e lambita da tenaci studi sulle “near death experiences”, la fede nella sopravvivenza dell’anima pare connaturata nell’uomo, in quanto essere senziente e sofferente, malgrado i proclami nichilisti di scienziati atei e di algidi agnostici.

Come fosse un filosofo, anche l’uomo comune è talvolta accecato dall’idea della morte e se, a differenza di Albert Camus non crede sia necessario dedicare ogni riflessione al suicidio, lo sfiora la sensazione che il gioco, sollazzevole o feroce che sia, debba un giorno finire.

Così, svalutato l’adesso, premuto dal macigno di un’esistenza torturante, gli uomini si pascono di queste amare ed avare speranze, consci che escluso il male, va, anzi andrà tutto bene. Come grondaie ostruite, attendono la pioggia celeste. Bisogna solo saper aspettare: intanto, mentre rimaniamo qui, incollati a ricordi dolorosi o crocifissi all’assurdo, alcuni savants non si peritano di spiegare il Male. Costoro, sempre pronti ad illustrare le loro grandiose teodicee, sono gli stessi che dal Male sono stati al massimo fugacemente sfiorati. Si sa: “Siamo tutti capaci a sopportare le sofferenze altrui” (W. Shakespeare)[1]. Molti non solo le sopportano: ne comprendono i più reconditi significati e risalgono alla loro origine.

Le spiegazioni per ogni malattia, guerra, tragedia, incidente, iniquità… sono lì, già belle e confezionate. L’industria delle risoluzioni non ha nulla da invidiare al mercato dei cellulari.

La porta della felicità è innanzi a noi, ma è sprangata. Tuttavia “domani è un altro giorno” e, chissà perché, si pensa che il futuro sarà migliore.

In questo modo la vita si protende, fidente e malcerta, sull’abisso dell’avvenire, del quale non si sa nulla, ma da cui tutto si spera.

[1] Su William Shakespeare, il cui vero nome fu quasi certamente Guglielmo Crollalanza, si legga l’articolo del Professor Francesco Lamendola, Quel grande punto interrogativo di nome William Shakespeare, 2010



APOCALISSI ALIENE: il libro


15 dicembre, 2010

Gog e Magog (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

In questo insieme di leggende si potrebbe enucleare un pur labile legame tra l’ebraismo e progetti egemonici, se si sofferma l’attenzione sul cenno di Giovanni Villani, secondo cui il figlio di Filippo II avrebbe serrato nei monti di Belgen un gruppo di Giudei. Si potrebbe pensare all’embrione da cui si formò l’etnia dei Khazari, creatori di un potente regno medievale, noto come khanato di Khazaria (652 – 1016)

I Khazari, di origine asiatica e di idioma turco, si erano insediati nelle steppe del sud-est russo a partire dal VII secolo. Il Khanato confinava a sud-ovest con l'Impero bizantino, a nord-ovest con il principato slavo normanno di Kiev, a nord con le terre abitate dai Bulgari del Volga.

Posto quindi in un punto strategico (qui passavano le rotte fluviali che dal Mar Nero conducevano sul Mar Baltico, qui arrivavano mercanti norreni, greci, arabi, bulgari, persiani diretti ad Nord e ad Ovest), il Khanato di Khazaria fu un importante centro economico e politico, luogo di incontro e di reciproco influsso tra lingue, culture e religioni diverse (Islam, Cristianesimo, Manicheismo, Animismo, Ebraismo).

Tra l'VIII secolo ed il IX secolo, consistenti nuclei di Ebrei, dopo aver attraversato il Caucaso entrarono in contatto con i Khazari. I sovrani di quest'ultimo popolo imposero, per motivi poco chiari, la conversione del Khanato alla religione ebraica. Questo fatto è stato alla base dell'elaborazione di diverse teorie, la più nota delle quali vuole gli Ebrei Ashkenaziti discendere direttamente dai Khazari (il romanziere ebreo Arthur Koestler sostenne in modo particolare questa tesi). Recenti studi genetici sembrano, però, dimostrare che elementi genetici originari del Medio Oriente dominano la linea maschile degli Ashkenazi (il cosiddetto cromosoma Y Aaron), ma la linea muliebre potrebbe avere una storia diversa. Da ciò alcuni hanno dedotto che uomini del Medio Oriente abbiano sposato donne locali[1]
, il che significa che gli Ashkenazi non sono imparentati con i Khazari o che questi rappresentano solo una parte degli antenati degli attuali Ashkenaziti. Ciò comferma la tesi del professor Gumilev esposta nel libro "From ancient Russia to Imperial Russia”, secondo cui gli attuali ebrei ashkenaziti non sono khazari di stirpe, perché discenderebbero da un gruppo di ebrei armeni (“ashkenaz” sta per “armeno”) mescolati alla nobiltà khazara. In effetti, solo una piccola parte dei Khazari si convertì realmente all'ebraismo, mentre il resto continuò a professare il proprio credo animistico e pagano, con una piccola minoranza di cristiani e musulmani.

Nell'anno 965 il principe di Novgorod e Kiev, il variago (normanno) Svjatoslav, in alleanza con la tribù dei Peceneghi, invase il corso meridionale del Don, provocando il collasso del Khanato e la diaspora dei superstiti Ebrei Khazari nella Russia occidentale ed in Polonia.



APOCALISSI ALIENE: il libro

10 dicembre, 2010

Blank

Il termine italiano “bianco” discende dal germanico "blank", “bianco lucente”, penetrato probabilmente già nel latino volgare. Nel X secolo è attestato il lessema “blancus”. Bianco è il colore del metallo, dell’acciaio scintillante: per questo si usa l’espressione “armi bianche”.

Il vocabolo subito ricorda il latte, ma soprattutto la neve: questo non-colore, che li accoglie tutti, è come un soffice mantello di cotone.

E’ questa l’impressione che suscita un paesaggio innevato, immerso in una quiete inviolabile, solenne, quasi fosse scesa con fragili ali di vento l’ora dell’addio. Il cielo trafitto dai puntali delle torri campanarie, i declivi su cui splendono le picche dei larici, la pianura laggiù incastonata di rogge vetrose… sono un deserto candido acceso di riverberi argentei, cangianti. Domina un senso di misteriosa solitudine, quasi il mondo fosse disabitato e lo stesso fumo che sale, in incerte volute dai comignoli, fosse solo il segno di un focolare che sta per spegnersi in dimore ormai abbandonate, vuote.

Vuoto è il bianco, poiché contiene, semi-cancellati e scialbi, i ricordi di quel che fu. Acceca quel bianco uniforme, acceca ed ammalia, quasi fosse l’ombra luminosa di una notte incantata, sospesa sull’alba di un sole straniero. E’ questo candore, mistico ed irreale - Edgar Allan Poe lo evoca nella parte conclusiva del romanzo “Le avventure di Gordon Pym”- che avvolge gli istanti finali, quando la luce più sfolgorante non abbacina più ed il tepore si stempera nel gelo dell’assenza.

“Blank verse”, in inglese, è il “verso libero dalle rime” forse perché le parole, sciolte dall’abbraccio di suoni innamorati, sprigionano più in fretta i loro echi nel vuoto della pagina e nello spazio sconfinato dell’anima. Il nulla, di cui il bianco è icona, si insinua fra le voci, permeandole goccia dopo goccia.

Alla fine è il silenzio la voce estrema.




APOCALISSI ALIENE: il libro

08 dicembre, 2010

Contro l’ottica newtoniana: la teoria dei colori di Goethe, tra scienza e mistero (articolo del Professor Francesco Lamendola)

Pubblico un pregevole articolo del Professor Francesco Lamendola. Il lavoro, trascelto nell'amplissimo e cospicuo novero dei suoi studi, inerisce alla teoria dei colori elaborata da Johann Wolfgang Goethe. L'autore, nell'illustrare il tema, sottolinea la dicotomia tra la scienza accademica e la conoscenza poetica di cui fu interprete l'inclito intellettuale tedesco. La piega che ha preso la ricerca scientifica è alla radice di molti mali che affliggono l'umanità: vi soggiace una razionalità profondamente irrazionale il cui apogeo è la follia battezzata "operazione scie chimiche". A proposito di colori, non è fortuito se, in questi ultimi lustri, siamo stati privati dell'azzurro, la frequenza (per usare un termine settoriale) che non solo è sintonizzata con il D.N.A., la macromolecola della vita, ma che è pure la tinta spirituale per eccellenza. Sul "colore" e sul "cielo", lessemi che hanno la medesima radice, si potrebbe indugiare a lungo, risaltandone le caratteristiche fisiche, accanto ai significati simbolici ed esoterici. Il discorso a proposito dei valori cromatici ci porta ad interrogarci sull'occhio: davvero questo meraviglioso organo è solo il frutto di un'evoluzione casuale o non è forse la manifestazione di un misterioso disegno? Spesso ci chiediamo perché non avvengano miracoli: eppure spalancare gli occhi ed ammirare la tavolozza dell'arcobaleno è un miracolo. Purtroppo non tutti possono vedersi compiere questo prodigio...

Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) è stato giustamente definito come l’ultimo genio rinascimentale: non solo grande poeta, ma pittore, scienziato, pensatore. Un lato dei suoi interessi culturali e scientifici, che gli illuministi, i positivisti e i loro attuali eredi non gli hanno mai potuto perdonare, è quello rivolto al mistero e al soprannaturale; fra le altre cose, egli si accostò con sincero interesse alle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg, dileggiato – invece - da filosofi come Kant: segno di una indipendenza di giudizio e di una apertura sul reale a trecentosessanta gradi, insofferente di ogni moda e di ogni pregiudizio.

Goethe fu anche autore di opere scientifiche, che già ai suoi tempi incontrarono perplessità e incomprensioni e che, a tutt’oggi, rimangono pressoché ignorate dal grande pubblico, se non come documenti di una personalità indubbiamente ricchissima, ma in certo qual modo anacronistica; solo i suoi biografi si sono presi la briga di studiarle, a parte dagli antroposofi che, sulle orme di Rudolf Steiner, ne hanno fatto una componente essenziale delle loro concezioni cosmologiche, psicologiche e pedagogiche.

Gli interessi scientifici di Goethe andavano dalla botanica, alla mineralogia, alla fisica; ma è nel campo dell’ottica che egli diede il meglio di sé, scrivendo, in polemica contro Newton, quella «Teoria dei colori» («Zur Farbenleher»), che, pubblicata a Tubinga nel 1810, avrebbe dovuto consacrare, nelle sue intenzioni, un nuovo modo di intendere non solo l’ottica e la fisica, ma la scienza in generale; e che, invece, non scosse affatto l’establishment scientifico del tempo, né, tanto meno, come si è detto, quello a noi contemporaneo.

In che cosa consiste la novità della concezione scientifica di Goethe? Nel fatto che, in opposizione al modello dominante della cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo, per essa il compito della conoscenza non è quello di conquistare e soggiogare la natura ai voleri dell’uomo (secondo la famigerata formula baconiana «sapere è potere»), bensì di ascoltarla amorevolmente, di porsi in sintonia con essa e di ritrovare, attraverso la meditazione su di essa, la via perduta dell’unità con tutte le cose (e qui traspare un certo influsso non solo delle teorie di Swedenborg, ma anche del panteismo di Spinoza).

La polemica antinewtoniana sulla natura della luce e dei colori non è che un caso esemplare di questa nuova concezione goethiana delle finalità e della stessa essenza del sapere scientifico: perché, per Goethe, il colore non è semplicemente una manifestazione della luce, che l’osservatore riceva passivamente, ma anche un'elaborazione dell’occhio e, quindi, della mente. Fenomeno attivo e non solo passivo, di cui entrano a far parte la psicologia, la simbologia, la spiritualità; ed è quasi inutile evidenziare come in tale concezione vi sia, «in nuce», anche l’approccio cromoterapico alla malattia, non a caso esso pure bandito dal filone principale della scienza accademica contemporanea.

L'articolo continua qui.



APOCALISSI ALIENE: il libro

07 dicembre, 2010

In edicola il nuovo numero di "X Times"

Presto sarà in edicola il n. 26 numero della rivista "X Times". In questo numero di dicembre, tra i vari articoli, tutti "fuori dal coro", vorrei segnalare il contributo sul digitale terrestre di Roberto Cavallo e Gianpaolo Saccomano e la ricerca di Biagio Russo, dedicata ai lulu amelu.

Qui
si può leggere il bell'editoriale della Direttrice, Lavinia Pallotta.


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06 dicembre, 2010

Lucky

Appesi ad un filo di speranza, mentre le fredde dita della pioggia tremano sui vetri ed una luce ruvida sgocciola sul letto.

Qui il tempo si ghiaccia nell’attesa muta, nell’immoto, inscalfibile silenzio della notte.



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04 dicembre, 2010

Il misterioso boato di Kokomo

Kokomo è una cittadina dell'Indiana (Midwest degli Stati Uniti d'America) dove il 16 aprile 2008 fu udita una fragorosa esplosione che generò una fortissima onda d'urto: i vetri delle finestre e gli infissi degli edifici tremarono nel raggio di 30 kilometri. La stessa notte molti abitanti di Kokomo e delle contee limitrofe videro una sfera arancione (altri testimoni descrissero una fila di luci fluttuanti all'orizzonte). A causa del boato, i centralini della Polizia e dei Vigili del fuoco furono subissati di telefonate per opera di cittadini spaventati. Almeno quaranta unità di soccorso furono allertate ed inviate sul luogo dove qualche testimone, come Mike Blake, aveva scorto precipitare un velivolo, ma le unità non reperirono rottami di nessun tipo né altre tracce di uno schianto.

Poiché presso Kokomo è ubicata la base aerea militare di Grissom, le autorità, pensando ad un bang prodotto da un velivolo in grado di superare la barriera del suono, interpellarono i responsabili della struttura: essi risposero che alle 22 e 15 tutti i jet erano a terra. In seguito, però, i militari e la Guardia nazionale cambiarono versione, chiarendo, con un dispaccio, che il boato era stato prodotto da un F-16. Fu dichiarato che i bagliori erano in realtà dei flares sganciati dall'F-16, flares usati per confondere i missili a ricerca di calore. Nei giorni successivi ai misteriosi eventi, il quotidiano “Indianapolis Star” pubblicò un articolo in cui si prendeva in considerazione l'ipotesi secondo la quale il fragore e le luci erano riconducibili ad una pioggia di meteoriti.

L'inchiesta sul caso, condotta da Glenn Means del M.U.F.O.N., consentì di scartare via via le spiegazioni che erano state fornite per giustificare sia i bagliori sia il formidabile bang. Non furono trovati rottami di aereo; non furono individuati crateri di impatto scavati dagli aeroliti; il rumore assordante non poteva essere stato determinato da un velivolo che aveva infranto il muro del suono, giacché i velivoli che producono bang ultrasonici devono incrociare a non meno di 30.000 piedi: a terra il bang prodotto a quell'altitudine è percepito come uno schiocco.

I ricercatori Acwort, Birnes ed Uskert hanno impiegato un cannone ad hoc per tentare di riprodurre l'intensità della detonazione udita dai cittadini di Kokomo, ma quasi tutti i testimoni hanno affermato che la deflagrazione del 16 aprile 2008 era stata molto più assordante rispetto a quella generata dall’apparecchiatura.

Alcuni investigatori hanno correlato il caso di Kokomo all’avvistamento, avvenuto il 16 gennaio 2008 a Denver (Indiana), a 45 km a nord di Kokomo, di una “torre volante”. L’ordigno, costellato di luci, fu notato dal ventiduenne Robbie Becks. L’oggetto, immortalato dal giovane in un video della durata di quattro minuti e realizzato con un cellulare, era diretto verso Kokomo.

Resta una congettura che non è stata presa in considerazione dai vari ricercatori ed è la seguente: il rimbombo di Kokomo potrebbe essere ascritto ad un esperimento militare in atmosfera, implicante tecnologie segrete e manipolazioni della materia-energia. E’ naturale che si tratta solo di una supposizione, ma il fenomeno dei rumori tonitruanti non attribuibili a cause note è sempre più frequente e le interpretazioni tradizionali (brillamento di mine, bang ultrasonici, collisioni in volo…) si rivelano sempre meno adeguate.

Fonti:

Boati in atmosfera: una nuova ipotesi, 2010
Investigazione condotta da Ted Acworth, Bill Birnes, Pat Uskert


Fonte: www.tankerenemy.com

APOCALISSI ALIENE: il libro

02 dicembre, 2010

Il mantello

"Il mantello" è un celebre racconto di Dino Buzzati. Dopo molto tempo, il figlio, Giovanni, partito per il fronte, torna a casa, accolto dalla gioia incontenibile della madre e dei fratellini. La donna, abbracciato il giovane, lo esorta invano a togliersi il mantello. Poi offertegli una tazza di caffé fumante ed una fetta di torta, invita il soldato ad entrare nella sua camera rimessa a nuovo, ma Giovanni esita, si guarda intorno, risponde a monosillabi alle amorevoli parole della mamma. Infine uno dei fratellini, Pietro, solleva il lembo del tabarro e vede una ferita sanguinante. L'uomo si congeda e si allontana, tra lo strazio dei familiari, con uno sconosciuto che l'ha atteso pazientemente durante l'addio.

Nell'incipit della novella l'autore intreccia la narrazione ("sua mamma stava sparecchiando") alla descrizione emotiva ("la speranza cominciava a morire"), permeata di grigiore. Poi il racconto si dipana per mezzo di dialoghi accorati tra la donna ed il figlio, dialoghi strozzati in monologhi, intessuti di domande angosciose, di slanci disperati per culminare in un cruento Spannung. La morte, che è il centro della storia, è evocata sin dal primo nucleo con l'immagine delle cornacchie, poi nella figura imbacuccata che cammina adagio là fuori, nel cancelletto verde, confine tra due dimensioni.

La bellezza della storia è soprattutto nel commovente ritratto della madre: la sua sofferenza infinita, pari solo al suo infinito amore, è come sacra, scolpita in un'ambascia indicibile, piena di dignità. Buzzati, più che narrare l'incontro con la morte, che resta sullo sfondo, simile ad un'ombra silenziosa, ad un'eco incombente, sceneggia un appuntamento con il destino. L'ultima partenza è già nella partenza di Giovanni per la guerra; l'addio definitivo è già "nella pena misteriosa ed acuta" che nasce nell'animo della donna, "in mezzo ai turbini della grandissima gioia".

Un oscuro presentimento attraversa tutto il racconto e si insinua fra gli incanti di un futuro impossibile ("Ormai era tornato, una vita nuova davanti, un'infinità di giorni disponibili senza pensieri, tante belle serate insieme, una fila inesauribile che si perdeva di là delle montagne, nelle immensità degli anni futuri"), serpeggia fra le primaverili illusioni ("tra poco cominciava la primavera, si sarebbero sposati in chiesa, una domenica mattina, tra suono di campane e fiori"). Il presagio divampa “tra bagliori di fuoco e si poteva pensare che anche lui fosse là in mezzo, disteso immobile a terra, il petto trapassato, tra le sanguinose rovine”. L’ominosa sensazione si materializza nella scena conclusiva, di sapore quasi gotico, “con i due cavalli che partirono al galoppo, sotto il cielo grigio, non già verso il paese, no, ma attraverso le praterie, su verso il nord, in direzione delle montagne. “

Così all’entusiasmo della madre fa da contrappunto la mestizia ed il pallore del figlio, ritrovato per un istante e per sempre perduto. Nei gesti pesanti e rassegnati del giovane, nella sua voce opaca, nella luce spenta che filtra dalle imposte è scritto quel che deve accadere. Se il libero arbitrio è la consolazione che può accompagnarci nel viaggio della vita, pare che il momento finale sia deciso ab aeterno. La fine è incisa sulla porta spalancata verso lo spazio, doloroso e mirabile, dell’esistenza.



APOCALISSI ALIENE: il libro

29 novembre, 2010

Gli emissari di Sirio

Egli è il Signore di Sirio (Corano, sura 53, 49)

Federico Bellini nell’articolo “Alieni dal pianeta blu” ("X Times" n. 25), ritrae la razza aliena degli Umanoidi. L’autore, sulla base del suo vissuto di rapito, delinea un ritratto che, per molti versi, combacia con le descrizioni di contattati e contattisti, altresì non scevre di addentellati con la tradizione su Sirio.

Circa gli alieni provenienti dal sistema ternario di Sirio, l’autore scrive: “Luogo d’origine degli Umanoidi è l’unico pianeta roccioso di questo sistema a poco più di quattro unità astronomiche da Sirio A […] Non molto dissimile dalla Terra, anche se più grande di almeno tre volte, questa somiglianza è durata fino a qualche migliaio di anni fa, quando vi erano ancora terre emerse. Poi, a seguito di cambiamenti climatici e geologici, il pianeta è diventato completamente acquatico e gli Umanoidi sono intervenuti nel ripristinare intere zone asciutte. Data la sua posizione e la particolare luce emessa da Sirio A e da Sirio B, il pianeta è definito blu. Di questo colore intenso sono invasi l’atmosfera ed il mare che ricopre la superficie. […] Tutte le forme di vita del pianeta sono nate e si sono sviluppate all’interno degli oceani: la stessa razza umanoide è acquatica. […] Da quest’unico essere acquatico originario, una volta diventato terrestre, si sono formate ben cinque diverse stirpi. Tutte queste razze si sono poi evolute non solo per un processo naturale, ma anche per forti ingerenze artificiali e modificazioni genetiche”.

I Siriani sono, stando a Federico Bellini, esseri dalle sembianze simili a quelle dei Terrestri: la loro pelle è diafana, delicata, gli occhi chiari, le teste allungate sono incorniciate da capelli biondi, biondo-castani o rossi. All’aspetto efebico si abbina un temperamento equilibrato ai limiti della freddezza, la capacità di coniugare un’inclinazione per le scienze e la tecnologia con uno spirito mistico.

Il quadro delineato dal ricercatore è il frutto di un collage costruito, usando le informazioni degli ufologi e dei clipeologi o una convergenza indipendente, visto che le notizie su Sirio e sui suoi abitanti sovente collimano con quanto ipotizzato da vari studiosi e riferito da diversi testimoni e retaggi?

Da osservare che Bellini, pur all’interno di un orientamento malanghiano e comunque un po’ contraddittorio, se ne discosta per aver rilevato le qualità spirituali della progenie siriana, nonostante essa sia al centro di interferenze anche piuttosto importanti.

Sono notevoli e gravide di conseguenze alcune asserzioni del Nostro che scrive: “Gli Alieni umanoidi sono parenti lontani della razza umana nonché i responsabili della nostra creazione. Possiedono la mappatura genetica dettagliata dell’umanità, tanto che sanno distinguere gli esseri umani da scegliere per i rapimenti da quelli che vanno scartati”.

Queste rivelazioni si collegano, fra gli altri, ad alcuni resoconti dei Pueblo, tribù nativa americana conosciuta anche come Hopi.

“Negli ultimi anni alcuni nativi americani hanno iniziato a diffondere conoscenze ed eventi più recenti che li hanno visti protagonisti e che si collegano alla storia del loro popolo. Robert Morning Sky nel suo libro ‘The Terra Papers. The hidden history of Planet Earth’ ('I documenti della Terra. La storia segreta del pianeta Terra', inedito in Italia), ha suggerito una sua interpretazione della storia dell'uomo. Egli racconta di come sei giovani Hopi il 13 agosto 1947, un mese dopo il presunto crash di Roswell, furono testimoni del ritrovamento di un U.F.O. precipitato e di un alieno superstite. Essi recuperarono l'essere e lo curarono, dandogli il nome di "Stella Maggiore", in onore del suo pianeta d'origine. In cambio di questo, l'alieno raccontò agli Hopi la vera storia del pianeta Terra.

Il nonno di Robert Morning Sky sarebbe stato uno dei sei giovani testimoni dell'evento e riferì di come l'umanità non sarebbe nata in modo naturale, ma che fu creata per servire i Katchinas. L'uomo venne creato come schiavo e lavoratore, milioni di anni fa: era un animale che venne modificato geneticamente. Robert Morning Sky afferma che se oggi abbiamo coscienza ed esperienza lo dobbiamo proprio a questo intervento esterno. I concetti sin qui espressi si legano con quanto affermato da Zecharia Sitchin circa la Genesi sumera e gli Anunnaki. Un'ulteriore affinità tra le conoscenze pellerossa e le tradizioni sumere, studiate da Sitchin, è osservabile quanto gli Hopi asseriscono circa un particolare corpo celeste, Kachina Na-ga-shou. Tale stella dovrebbe apparire alla fine di questo ciclo (i Pueblo, come i Maya, dividono l'età della Terra in cicli: quello in cui viviamo è il quinto); si tratta di un astro molto luminoso dall'aspetto blu e con "una croce sul viso". Nibiru, secondo Zitchin il dodicesimo pianeta del Sistema solare, era rappresentato dai Sumeri con il simbolo della croce.

Secondo Morning Sky, la razza dei Katchinas della stella blu, che milioni di anni fa avrebbero colonizzato l'intero Sistema solare, provenivano dalla Stella del Cane, ovvero Sirio. Prima di abbandonare il pianeta, "i maestri delle stelle" lasciarono tracce impresse nelle rocce del Grand Canyon sotto forma di impronte a sei dita, impronte che gli Hopi hanno sempre associato ai Katchinas della stella blu".

Future ricerche ed esperienze potranno confermare o smentire in tutto o in parte le rivelazioni sulla Stella del Cane e sui suoi presunti emissari.

Fonti:

Autore non indicato, Gli esseri stellari nei miti e nelle leggende, 2010
F. Bellini, Alieni dal pianeta blu, 2010



APOCALISSI ALIENE: il libro

25 novembre, 2010

Appunti sull'Idealismo di ieri e di oggi (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

E’ plausibile che il pensiero influisca sul mondo circostante, ma previo collegamento alla Fonte, non in modo automatico per mezzo di un libro scritto da uno pseudo-guru New age. Ciò significa che sia a livello fisico sia a livello sottile, è possibile plasmare in una certa misura il "reale". Non credo che questo, però, possa significare determinare in toto il corso degli eventi di cui forse resta un nocciolo duro.

Non è per essere à la page che talora occorre riflettere sulle prospettive aperte dagli indirizzi di pensiero, controversi ma stimolanti, tracciati dalla fisica quantistica. Lo studio del microcosmo ci costringe a rivedere consolidati paradigmi. Si pensi, ad esempio, al fotone che si ritiene sia un quantum di energia dalle caratteristiche singolari: dovrebbe essere, infatti, privo di massa oltre a possedere una natura duplice, ondulatoria e corpuscolare. Se veramente è privo di massa, la nota equazione E=MC2, attribuita erroneamente ad Einstein, si incrina: infatti, ci troveremmo in presenza di un’energia che non può essere convertita in massa.

Tralasciamo, però, questo particolare per evidenziare come le teorie elaborate dai fisici quantistici tendano generalmente ad influire sulle concezioni, in vero sovente superficiali, che valorizzano il libero arbitrio. Credo che l’errore sia stato il trasferimento di peso di connotati appartenenti all’universo subatomico al macrocosmo, senza aver riflettuto su questioni filosofiche ed epistemologiche. Tra l’altro, benché il cosmo quantistico paia dominato da una forma di “anarchia”, non tutti gli scienziati ne inferiscono il concetto di libertà. Questo apparente indeterminismo quantico è una proprietà fondamentale della materia o l’esito del carattere incompleto della nostra conoscenza? Il fisico Suarez, richiamandosi al celebre esperimento di Alain Aspect sull’entanglement degli elettroni, da cui si apprende che esiste un’interdipendenza tra due eventi occorrenti in due regioni discoste dello spazio, ma al di fuori di una sequenza temporale e senza un nesso di causa ed effetto, ne deduce due cruciali conseguenze. Egli opina che il libero arbitrio non esista. Inoltre Suarez reputa che fenomeno quantistico implichi il trattamento dell’informazione al di fuori dello spazio-tempo e senza un medium fisico.

Circa la correlazione atemporale tra due condizioni distanti, Suarez potrebbe avere ragione a desumerne il determinismo, poiché è come se gli avvenimenti fossero legati da fili invisibili. In tale contesto, si potrebbe reperire un fondamento per l’Astrologia, individuando in una configurazione celeste uno stato parallelo al destino umano, una specie di diagramma che evidenzia la filigrana della condizione individuale. Affermare che l’azione di un pianeta o di una stella remoti è troppo irrilevante per esercitare un influsso qualsiasi su un essere vivente della Terra, significa ignorare che non si tratta di azione a distanza, ma di sincronismo, di rispecchiamento. Tra l’altro, siamo certi che l’influsso di una costellazione è davvero così inconsistente? Il fotone di un astro, per quanto lontano, reca con sé delle informazioni come le porta un fotone solare, quantunque nel primo caso le informazioni siano ancestrali. Se trascuriamo gli effetti energetici sulla materia, restano i messaggi. E’ anche possibile che esistano solo i messaggi in grado di formare la materia-energia.

In tal caso, se la materia è priva di sostanza (non è un'ipostasi), incidere sulla materia, in realtà è solo dirigere il sogno. La mente individuale crea un mondo virtuale, ma non crea ex nihilo. Solo la Mente cosmica (mi si passi questa dicitura, per quanto grossolana) può creare dal nulla gli enti che sono semplici simulacri. Dio sta sognando? Siamo un sogno di Dio?

Questa interpretazione di idealismo radicale e, per così dire, onirico non è l’unica da prendere in considerazione: è, infatti, plausibile un sistema dualista (non in senso etico) in cui la mente (alias intelligenza formante) ed il corpo coesistono e comunicano attraverso canali che, ad oggi, non sono stati ancora compresi.



APOCALISSI ALIENE: il libro

23 novembre, 2010

Gog e Magog (prima parte)

Gog e Magog sono leggendarie popolazioni dell'Asia centrale, citate nella tradizione biblica e poi in quella coranica, quali genti selvagge e sanguinarie, fonte di incombente e terribile minaccia.

In varie epoche furono identificati con Sciti, Goti, Mongoli, Tartari, Ungari o Khazari.

La tradizione di Gog e Magog (ebraico גוג ומגוג; arabo يأجوج و مأجوج) trova la sua scaturigine nella Bibbia ebraica (Genesi 10: qui Magog è il capostipite di un popolo, ma può anche essere il nome della nazione oppure la terra di Gog) con riferimento a Magog, figlio di Jafet, e prosegue con una serie di oscure profezie nel Libro di Ezechiele, i cui echi si avvertono nell'Apocalisse detta di Giovanni e nel Corano. La tradizione è fumosa e l'identità dei personaggi differisce da una fonte all'altra. Essi vengono descritti ora come uomini, ora come esseri soprannaturali, giganti o demoni, gruppi etnici o abbinati a territori. In modo piuttosto strano, Gog e Magog approdano in Britannia, nella mitologia tardo antica e medievale: in terra d’Albione essi diventano due giganti, unici sopravvissuti di una mostruosa figliolanza nata dalle trentatré figlie dell’imperatore Diocleziano.

Giovanni Pascoli, nei “Poemi conviviali”, rispolvera il mito di Gog e Magog, fondendo diverse leggende. L’antico racconto biblico, per un curioso sincretismo s’intreccia con le saghe fiorite sulle imprese di Alessandro Magno: il particolare della porta di bronzo fatta erigere dal Macedone per sbarrare il passo ai popoli selvaggi del Caucaso deriva dalla “Storia favolosa” dello Pseudo-Callistene, dalle Revelationes dette di Metodio e dal Corano, nel quale si narra che Zul Karmein (ossia il Bicorne, nome con cui il libro sacro dell’Islam designa Alessandro, identificato nel figlio di Olimpia e di Ammone, raffigurato con corna d’ariete) per bloccare la furia belluina degli immondi popoli antropofagi di Gog e Magog, eresse una grande porta. Secondo il Corano, la porta sarà scardinata solo alla fine dei tempi.

Nel Medioevo la leggenda si arricchì grazie a poeti islamici per prendere “nuova vita nel secolo XII, quando la sùbita irruzione dei Mongoli commosse ed atterrì violentemente il mondo. Era facile pensare che si trattasse proprio delle genti di Gog e Magog il cui traboccare sul mondo era tanto temuto. Il nome di Magog suonava abbastanza vicino a quello di Mongoli” (Valli). Giovanni Villani nella sua Cronica (V, 29) accolse una versione secondo cui Alessandro Magno aveva rinchiuso nei monti di Belgen una tribù ebraica dai turpi costumi. Questa tribù, mischiatasi con altre popolazioni, rimase colà confinata perché credeva che l’esercito del Macedone fosse acquartierato lì vicino all’interno di una roccaforte imprendibile. Alessandro, infatti, era ricorso ad un artificio per simulare il suono di trombe, traendolo dalla terra concava. Gog e Magog dilagheranno, una volta in cui si saranno accorti dello stratagemma.

Il Pascoli compone un poemetto di respiro epico, animato da immagini grandiose ed apocalittiche: le steppe imbevute di porpora al tramonto e calcinate dalla luce lunare, sono percorse da echi sinistri: grida di nomadi, scalpitii di branchi, fischi di tormente, soffi di gufi… Ancora più inquietanti sono i nomi dei popoli che impazienti s’ammassano presso la porta bronzea. Metodio ne cita ventidue ed il poeta affastella quei nomi simili a lugubri formule di un grimorio: Alan, Aneg, Ageg, Assur, Thubal, Cephar, Mong, Mosach, Pothim, Thubal.



APOCALISSI ALIENE: il libro

20 novembre, 2010

Hu-man

In tutti questi errori niente di sbagliato.

La parola "uomo" è legata alla famiglia del latino "humus", terra, fango e lo definisce come la creatura terrena, in opposizione alle creature celesti, gli dei(?). E' un'interpretazione delle aree nord-occidentali all'interno del mondo indo-europeo, comprendente l'Italia, le regioni celtiche e germaniche. Una visione parallela o forse l'origine dell'idea è in Shumer dove l'uomo è "adapa", l'essere della terra. Creatura umile l'uomo: vi si enucleano sensi letterali, la sua attitudine a lavorare, ad obbedire chino verso il suolo, ad adorare i creatori genuflesso. I Sumeri chiamavano l'uomo anche “lulu amelu”, ossia “lavoratore primitivo”: narrano i miti che il lulu languisse e morisse nelle miniere, come oggi, anche se ai nostri giorni, sono i cantieri i luoghi dove più spesso la vita precipita nella ripida morte. Già nell'Eden, Adamo era un alacre giardiniere. (Genesi 2,15) Nelle plaghe armene e greche, l'uomo è il mortale, “bròtos”.

"Uomo, ricorda che sei polvere e che polvere ritornerai". Eppure questa polvere, che il vento porta via in mulinelli, si anima e ne nasce un essere pensante (tedesco "Mann", inglese e persiano "man", indiano "manusya" – la radice è la stessa di “mente”): l’intendimento lo eleva. Finalmente lo sguardo da terra è innalzato al cielo sino alle stelle, la patria lontana, perduta. Con l'intelletto egli ora può spaziare, immaginare, ricordare, concepire mondi e destini. Un soffio dà vita alla materia inerte e la linfa scorre nell'organismo della coscienza. L'anima si allarga ad abbracciare l'azzurro e l'infinito.

La domanda sbatte come una mosca sul vetro: esiste per noi un disegno? Cerchiamo la luce là dove è solo un buio deserto. Come Diogene, cerchiamo l'uomo là dove si muovono, più patetiche che buffe, marionette disarticolate. Il brillio che avevamo scorto negli occhi era solo il freddo riflesso di una lampadina. Anche l'universo ha le sue segrete umide e piene di ragnatele. Per una pagliuzza d’oro, quanto cascame e quante carcasse!

L'umanità è ormai prossima alla metamorfosi: l'ultimo barlume si è spento ed il respiro è stato risucchiato.

I figli di Seth saranno gli eredi della nuova terra o le voci cristalline sovrastate dal ruggito del crollo?




APOCALISSI ALIENE: il libro

17 novembre, 2010

Arido vetro

La tela della finestra inquadra un paesaggio di crinali digradanti in trasparenze indefinite. Simili ad onde glauche, i colli si inseguono fino all’orizzonte. Un freddo vetro ci divide dal mondo dove l’ombra ovale dei pini e le linee del silenzio muoiono nell’ombra vasta del crepuscolo. Un arido vetro ci separa dalla vita là dove si favoleggia di oceani avventurosi e di lontanissime, obliose beatitudini.

Sul filo del mare un dardo di fuoco brucia le ultime illusioni.



APOCALISSI ALIENE: il libro

12 novembre, 2010

Scoperta una cultura nel Caucaso

I resti di un insediamento precedentemente sconosciuto, risalente all'età del bronzo, sono stati scoperti nel Caucaso russo nell'ottobre del 2010, con l'aiuto di fotografie aeree, che furono prese quarant’anni fa. I ricercatori hanno già definito il sito la "Stonehenge del Caucaso". Gli archeologi credono che la recente scoperta consentirà agli scienziati di gettare un nuovo sguardo alla storia del popolamento della regione durante il secondo millennio a.C.

Gli archeologi hanno scoperto quasi duecento insediamenti sull'altopiano nel bacino Kislovodsk - dal fiume Kuban al fiume Malka (verso il Monte Elbrus). I dati appena recuperati sono stati esposti in un simposio a Kislovodsk, la scorsa settimana.

I resti di antichi insediamenti si trovano all'altezza di 1400-2400 metri sopra il livello del mare. I villaggi sono formati da costruzioni ad un solo piano. All’interno del sito si slarga una piazza di forma ovale da cui si dipartono delle vie in varie direzioni, come i raggi del sole. La piazza era circondata da un cerchio di costruzioni con due camere che sono state conservate come fondamenta di altri edifici.[…] Gli scienziati possono solo cercare di congetturare perché tali costruzioni vennero erette.

Tale progetto urbanistico ricorda molto il famoso sito di Stonehenge in Inghilterra, il cui mistero non è stato ancora svelato. Un popolo molto antico abitò quelle costruzioni: sono stati trovati, infatti, vicino ai basamenti litici frammenti di vasi in ceramica, decorazioni ed utensili

Nessuna sepoltura è stata scoperta nelle vicinanze degli insediamenti. Ciò ha sorpreso i ricercatori, perché le persone dell'età del bronzo creavano normalmente dei cimiteri vicino ai luoghi di residenza. Gli scienziati ritengono che le strane costruzioni potrebbero essere state usate per scopi rituali.

L'analisi archeologica ha rivelato che tutte le vestigia ritrovate rimontano alla cosiddetta cultura Koban - IX-VI secolo a.c. La cultura, scoperta per la prima volta alla fine del XIX secolo nei pressi del villaggio di Koban in Ossezia, può essere rintracciata in molti siti di inumazione dell'Eneolitico nel Caucaso.

Dmitry Korobov, uno dei ricercatori che hanno preso parte alla missione, ha dichiarato che la scoperta dell'antica civiltà è stata resa possibile a grazie a vecchie foto in bianco e nero scattate durante l'era sovietica. Una delle istantanee, scattata da un aeromobile nel 1970, inquadra una struttura di pietra.

Non è chiaro come la comunità che viveva negli insediamenti antichi giunse nel Caucaso e dove visse prima. Molto probabilmente, la migrazione fu dovuta a gravi cambiamenti climatici. Un improvviso aumento delle temperature potè spingere varie tribù a cercare luoghi di residenza meno repulsivi. Alcune di queste genti decisero di stabilirsi in regioni con un clima più fresco, in montagna.


Fonte: Pravda.ru



APOCALISSI ALIENE: il libro

10 novembre, 2010

Ipocrisia e potere

E’ incredibile come la parvenza e l’ostentazione della libertà coesistano con la più feroce dittatura.

Quando si pensa al potere, lo si associa alla corruzione ed alla coercizione: questo è corretto. Tuttavia, il potere, nella sua ultima metamorfosi, è riuscito ad accreditare di sé un’immagine di sollecitudine e di paternalismo, attraverso alcuni espedienti. Lo stato ha figliato: ha procreato tutte quelle istituzioni, associazioni e movimenti che sembrano i figli che tentano di rimediare agli errori del padre. Lo stato attuale è mille volte più pericoloso di quello di un tempo, perché è subdolo, insinuante, viscido. Il suo linguaggio è cambiato: oggi è intriso di ipocrisia.

Si ricordino i regimi totalitari tra le due guerre: attraverso i loro gerarchi, essi non esitavano ad inneggiare alla guerra, alla conquista, alla creazione dell’Impero (Reich). La guerra, “sola igiene del mondo” era esaltata, le democrazie (additate alla pubblica condanna come plutocrazie) erano disprezzate, idee come l’uguaglianza sbeffeggiate. La propaganda era una grancassa che magnificava la nazione forte, persino aggressiva, muscolosa, in cui con senso di fervido patriottismo, tutti erano indotti ad identificarsi. Era, mutatis mutandis, lo stato etico di hegeliana memoria ingagliardito e gonfiato dalle ideologie scioviniste, revansciste e talora razziali.

Qual è la situazione odierna? Oggi lo stato quasi ama mostrarsi debosciato ed inefficiente. Perciò delega: delega poteri e competenze ad altre compagini, all’l’Unione europea, all’O.N.U., alla N.A.T.O… E’ solo apparenza: le “democrazie” sono tirannidi sub specie rei publicae. Sono altrettanti mostri partoriti dal mostro globale: quello che viene spesso evocato da papi, presidenti, ministri come Nuovo ordine mondiale è la meta di una distruzione programmata.

Qual è la situazione odierna? Oggi la quintessenza dello stato è l’ipocrisia: le carneficine sono definite missioni di pace. Il governo italiano acquista 131 bombardieri per dilaniare e mutilare civili, elargendo a popoli stritolati la “democrazia”. La schiavitù, a base di controlli, leggi, codici e codicilli, è chiamata “libertà”. Sub lege libertas, la loro, la libertà dei libertini. L’ignoranza, la pseudo-scienza e l’indottrinamento sono spacciati per “cultura”. Il C.I.C.A.P. è diventato un’istituzione culturale: la protervia e l’incompetenza ex cathedra. Le tradizioni e le lingue nazionali sono depauperate ed annichilite, ma “protette” da marchi. Persino le centrali nucleari e gli inceneritori sono gabellati, con infinita sfacciataggine, come risoluzioni per difendere l’ambiente e per ridurre il cosiddetto riscaldamento globale.

Ecco un’altra differenza: il vituperato Benito Mussolini promosse ed attuò la campagna per la bonifica delle Paludi Pontine. La civiltà (civis, civitas) era sentita come antitesi della natura che doveva essere in alcuni casi ancora soggiogata. Mussolini, pur con tutte le sue responsabilità, non si sarebbe mai sognato di avvelenare scientemente gli Italiani e di contaminare il paese con un’operazione come quella culminata nelle “scie chimiche”. Gli impulsi al dominio ed alla distruzione erano rivolti all’esterno contro il nemico, non contro i propri concittadini. Oggi lo stato, una specie di malattia autoimmune, che proclama il suo sconfinato amore per la natura, (è stato istituito pure un Ministero dell’ambiente) è lo stesso che la devasta con le irrorazioni clandestine, le discariche, le centrali atomiche, i poligoni militari….

Oggi lo stato, che mostra la sua infinita sollecitudine per i cittadini, è il medesimo che li intossica con i vaccini e con il cibo adulterato e transgenico. Non solo! Le categorie contro cui infierisce sono proprio quelle più deboli che finge di voler in primis tutelare: bambini, malati ed anziani cui sono prioritariamente destinati i “prodotti immunizzanti”. Sentiti come un peso, come “inutili bocche da sfamare” (Henry Kissinger), bimbi, infermi ed anziani sono bersagli privilegiati delle più crudeli azioni. I bambini e gli adolescenti sono nutriti con la tossica televisione. I pazienti sono umiliati negli ospedali dove vegetano, imbottiti di farmaci più nocivi che altro. I pensionati sono espulsi dalla società, vilipesi ed affamati con assegni irrisori. Il tutto, però, avviene all’insegna delle blandizie, dell’adulazione più sdolcinata: i farisei organizzano giornate della memoria, del nonno, dell’ambiente… Apprendiamo la “scienza”! Porteremo le classi al Festival della scemenza. Rispettiamo gli ecosistemi: demonizzeremo il biossido di carbonio; limiteremo la circolazione dei veicoli ed introdurremo nuovi balzelli. Favoriamo la salute: proibiremo il fumo in ogni dove.

Questa è la differenza: una giornata dedicata alla gioventù in un regime totalitario tra i due conflitti, nonostante la retorica, gli scopi ed i metodi discutibili, era veramente dedicata alla gioventù, concepita come il futuro della nazione. Ai giovani era consegnato il futuro, il destino della patria. Oggi ogni iniziativa "a favore di" è nei fatti un’iniziativa "contro", mascherata da discorsi reboanti, quanto insinceri. Lo stato attuale è molto più astuto ed infido. Con una mano ti offre un boccone succulento ma avvelenato, nell’altra, nascosta dietro la schiena, stringe una mazza chiodata, pronto a sferrarla sulla testa dell’ignaro cittadino, non appena ci si distrae per un attimo.

I servizi statali sono disservizi e sono un pretesto, oltre che per drenare risorse verso potentati economici e politici, per inasprire il controllo sul cittadino che, col fine di ottenere qualche scalcinata prestazione, è costretto ad attese estenuanti ed a pesanti esborsi. Si pensi al cosiddetto sistema sanitario nazionale, una gigantesca voragine che risucchia risorse. E’ un sistema egemonizzato dalle industrie farmaceutiche che, dalla diffusione delle malattie, ricavano lauti profitti.

Né a questa immonda impostura si sottraggono le organizzazioni cosiddette non governative, ideate ed istituite per spillare denari a contribuenti già spolpati. Il trucco è semplice: si focalizza l’attenzione su un problema, una malattia rara, un luogo o un’opera d’arte da salvare, un animale in via di estinzione (se il problema non esiste, lo si crea), quindi, con una campagna ad hoc, si convincono le persone a donare soldi con un sms dal cellulare, a destinare il cinque per mille. Ovviamente la questione non sarà mai risolta, poiché la risoluzione del problema è il problema per queste organizzazioni. Che poi esistano volontari in buona fede, non cambia la sostanza delle cose. Si consideri il caso della Chiesa cattolica e delle altre chiese: ti imbatterai forse in qualche fedele sincero ed animato da buoni propositi, ma il vertice dello stato cattolico è l’apoteosi dell’ipocrisia. La difesa (strenua, fanatica) della vita si arresta all’embrione: tutto il resto non vale assolutamente nulla.

Come giudicare poi gli "ecologisti" e molti "animalisti"? Gli ambientalisti sono una genia, una sentina di ogni bruttura, di ogni putredine. Questa stirpe degenere annovera i più bugiardi tra giornalisti, scrittori, politici, attivisti… Gli stessi "pacifisti" favoriscono la pace come l'industria bellica.

Il discorso potrebbe continuare a lungo, ma il rischio è quello di stuccare i lettori. La denuncia dei “sepolcri imbiancati”, però, è doverosamente evangelica, pertanto non ci si può esimere dal pronunciarla, ogni qual volta la verità è tanto oscenamente sfigurata.



APOCALISSI ALIENE: il libro

08 novembre, 2010

Rotaie

E’ come quando gli avventori di un locale tra una chiacchiera e l’altra gettano appena ogni tanto uno sguardo distratto allo schermo che sciorina scene di vita, di morte, di futili gioie e di lancinanti sofferenze. Siamo noi i volti dello schermo e la “realtà” è là dentro. Che importa se il volume è alto e se le immagini grondano sangue e disperazione! All’esterno giunge appena un’eco sbiadita di preghiere e blasfemie. Forse nessuno ascolta. Forse chi ascolta non sa come comunicare, quasi universi equidistanti fossero destinati a muoversi su binari paralleli che non convergeranno mai.

E’ così: almeno due mondi coesistono. Mentre consumiamo la nostra piccola, preziosa esistenza tra il fuoco incrociato degli eventi, mentre dipaniamo il filo che presto o tardi sarà reciso, un altro filo – tagliente – è srotolato. E’ incredibile: mentre in questi luoghi – carceri, ospedali, manicomi, ospizi, mattatoi… – superiamo il grado di dolore che ci sembrava sopportabile, luoghi di patimenti indicibili e di degradazione, altri si adoperano per rendere la già triste condizione umana un inferno. Il potere è un’escrescenza purulenta, una piaga infetta.

Si cammina e si forma un’ombra doppia: una è la nostra, ma l’altra è una gramaglia che soffoca la luce. Si avverte la sensazione che qualcosa non quadri. E’ il lavorio di un tarlo nella mente, silenzioso, instancabile. E’ stato definito “male di vivere”, ma è più male di sopravvivere, giorno dopo giorno, senza conoscere né il fine né la fine. Sarà solo apparenza e gioco, ma siamo certi che qualcuno non si diverte e che l’apparenza non è come appare?

Viviamo in un cosmo alla deriva, relitti sulle sponde di un universo dimenticato.

Asfissiati dal cappio della quotidianità, dilaniati da una ricerca estenuante e vana, colpiti dai fendenti della sorte, mietuti dalla falce del tempo, la nostra vita assomiglia a quella di certi fili d’erba. Spuntano a stento fra le rotaie e le traversine delle ferrovie che corrono tristi verso la ruggine dell’orizzonte. Si protendono per bere una goccia di luce, per afferrare un raggio di pioggia.

Di quando in quando, i manutentori dei binari tagliano quei fili grami, mezzo rinsecchiti. Chi nota la stenta esistenza di quelle insignificanti vite? Chi ne nota la morte?



APOCALISSI ALIENE: il libro

06 novembre, 2010

In edicola i nuovi numeri delle riviste "X Times" e "Fenix"

Presto saranno in edicola i nuovi numeri delle riviste "X Times" e "Fenix". Tra gli altri articoli di "X Times", segnalo l'inchiesta sull'U.F.O. crash a San Antonio (Texas) con immagini e testimonianze in esclusiva.

Diverse le ipotesi (non si escludono a vicenda) sugli schianti di oggetti volanti non identificati: sono abbattuti da sistemi d'arma terrestri? Precipitano in seguito a duelli nei cieli tra squadriglie di civiltà esterne, come sembrano confermare gli antichi testi indiani che descrivono epici scontri fra i vimana, "carri volanti"? Cadono per avarie o a causa di particolari condizioni geo-magnetiche?



Qui le copertine di "X Times" e "Fenix". Qui l'editoriale della direttrice di "X Times", Lavinia Palotta.


APOCALISSI ALIENE: il libro

04 novembre, 2010

Mondi (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte.

Si suppone che alcune antiche civiltà avessero costruito degli astroporti. E’ possibile pensare che Baalbek, il sito nell’odierno Libano dove si ergono ciclopici blocchi di pietra, alcuni dei quali pesanti migliaia di tonnellate, siano opera umana e che quei giganteschi macigni siano la piattaforma di templi? Stando ad alcuni autori, nella regione del Medio Oriente sorgevano degli spazioporti: Gizah, lungo il 30 parallelo, una località nel sud del Sinai, Baalbek ed un centro dell’attuale Armenia furono i vertici di un triangolo ideale, vertici occupati da altrettanti porti spaziali. Gerusalemme, (“il luogo degli oracoli splendent?i”) era ubicata lungo la bisettrice del triangolo e Gerusalemme, fondata dai Gebusei, che diventò poi capitale del regno ebraico, era ed è città-simbolo. Fantasie? Può darsi. Oppure, invece di ospitare astroporti, in quei siti si trovavano aperture verso altri piani? Singolare l’analogia fra il triangolo cui si accennava ed il logo della N.A.S.A. nonché di altre decine di enti spaziali e "scientifici": una sorta di triangolo allungato ed arcuato che, grosso modo, riproduce la forma e l’inclinazione del poligono medio-orientale. Un nesso con lo spazio? Siamo al cospetto di un retaggio trasmesso attraverso i millenni e coagulatosi in simboli che sembrano solo disegni?[1]

In maniera misteriosa lo spazio si svolge nelle anse del tempo. E’ per questo motivo che certi snodi cronologici ci mettono in contatto con universi lontanissimi. Lo scienziato Jack Parsons e lo scrittore di fantascienza, Ron Hubbard, seguaci di Aleister Crowley, attuarono nel 1946 le “Operazioni Babalon”. La loro intenzione era quella di usare la magia erotica per generare un figlio nei reami spirituali. Essi riuscirono ad attirare sulla Terra Lam, un’entità simile ad un Grigio. Babalon ricorda Babel, la porta degli dei. Sono porte i cui cardini stridono in maniera sinistra…

Un altro anno… topico è il 2012. Commenta Whitley Strieber, a proposito di questo possibile timegate: “Credo vi siano schemi nel nostro mondo che riflettono una consapevolezza superiore di qualche tipo ed è per questo che la Bibbia è scritta come di concerto con il grande calendario precessionale che è lo zodiaco e perché il Giudizio finale si è rivelato essere Apocalisse 20:12”. “Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere”.

Sembra che i mondi siano sbocchi (mondi come bocche) all’interno del cosmo, zone di transito verso l’inconcepibile. Il nostro stesso universo potrebbe essere uno iato apertosi nell’immensità, a causa di un errore o di un’anomalia: attraverso questa apertura passano esseri come risucchiati da un gorgo. I buchi neri, enigmatici oggetti cosmici, il cui orizzonte degli eventi disintegra ogni “legge fisica” sono occhi scuri nel buio o polle?

Gli eventi futuri intrecceranno in un unico disegno le solenni traiettorie degli astri ed i piccoli passi degli esseri disseminati sui pianeti.

[1] E' plausibile che il logo della N.A.S.A. sia, invece, una V, un segno cornigero evocante un essere tenebroso. D'altronde la N.A.S.A. è ente dalle origini e dalle connotazioni oscure.

Fonti:

G. Devoto, avviamento all’etimologia italiana, Firenze, 1968, s.v. ponte, porta
Dizionario di archeologia, Milano, 2002, s.v. megaliti
Enciclopedia dell’antichità, Milano, 2005, s.v. Babilonia, Delfi
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Bologna, 2000, s.v. Naram-sin
Z. Sitchin, Quando i Giganti abitavano la Terra, Diegaro di Cesena, 2010
W. Strieber, Omega point, 2010




APOCALISSI ALIENE: il libro