22 dicembre, 2012

Arte e potere: è auspicabile che l’analisi di un’opera di soggetto “cristiano” evidenzi lo sfondo ideologico?

Giorgio Manganelli scrisse che “la letteratura è menzogna”. Il provocatorio asserto ci mette in guardia dall’ingenua immedesimazione nelle storie, nelle descrizioni, negli immaginari, ricordandoci che l’universo letterario si sottrae al rispecchiamento, poiché vive di una vita propria, la cui verità è finzione e fictio.

Se la bellezza, valore per eccellenza dell’arte, trova in sé la sua verità, l’ideologia è l’ipoteca che grava su certe opere. Vediamo una situazione emblematica. Il genio rinascimentale esprime la sua poetica irripetibile, ma si richiama pure alla committenza, ai maestri che l’hanno preceduto ed a lui coevi, ai codici linguistici e via discorrendo. Le sue creazioni sono avulse del tutto da condizionamenti esterni?

Ci troviamo al cospetto di una delle più imbarazzanti contraddizioni della storia: in che misura un’arte di soggetto “cristiano” è genuina, sincera, dal momento che l’iconografia è falsa?

Pensiamo poi alle “Confessioni” di Agostino dove alcune pagine sublimi convivono con l’equivoco teologico e filosofico. La “Commedia”, le cattedrali gotiche, i dipinti di Leonardo da Vinci non incorrono in tale antinomia, poiché l’ortodossia “cristiana” è solo un simulacro dietro cui sono codificati valori esoterici di sapore “eretico”. [1]

Incaricato da papa Giulio II, Raffaello nel 1511 affrescò sulle pareti della seconda Stanza vaticana (detta di Eliodoro), quattro “istorie” derivate dalla Bibbia o ispirate ad eventi della vite dei papi e della Chiesa, ma simbolicamente in stretta relazione con i programmi politici del pontefice regnante e con i drammatici avvenimenti contemporanei. Di fronte al mutare delle funzioni e del significato delle immagini, Raffaello abbandonò la classica misura degli affreschi della prima Stanza, elaborando un linguaggio di notevole energia, ora negli effetti scenografici ora nei contrasti luministici ora nella veemenza dell’azione ora nella ricchezza delle soluzioni cromatiche.

Un capolavoro è “La liberazione di san Pietro dal carcere” per la sapiente composizione drammatico-narrativa, per i contrasti chiaroscurali, il magnifico notturno con la luna su cui scorre un velo di nubi, i riflessi sulle armature dei soldati… La luce calda che circonfonde l’angelo crea un armonico contrasto con i freddi scintillii selenici.

Un’opera così pregevole inscena un episodio del tutto fantasioso: nessun angelo liberò dalla prigione l’apostolo che, probabilmente, morì in Palestina, come testimoniato da Giuseppe Flavio che annota: “Sotto l’amministrazione del procuratore Tiberio Alessandro (46-48 d.C.) si verificarono disordini che portarono alla cattura di due figli di Giuda il Galileo. Si chiamavano Giacomo e Simone e furono entrambi crocifissi; colui era il Giuda che aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirino eseguiva il censimento in Giudea”. (Antichità giudaiche, XX)

Ora, i figli di Giuda il Galileo corrispondono a Giacomo e Simon Pietro dei Vangeli canonici. Ciò è difficilmente oppugnabile. Quando il Maestro illustrò lo pseudo-accadimento finì con l’avallare un’interpretazione spuria della storia appartenente al Cristianesimo primitivo, in linea con la tradizione anch’essa spuria che vede in Pietro il primo papa (sic) con annessi e connessi. L’arte non è certo risolta nell’ideologia, a differenza di quanto avviene, ad esempio nel caso di correnti quali il “realismo socialista”.

Tuttavia un’analisi spassionata ed esaustiva dell’opera, a parere di chi scrive, dovrebbe evidenziare tale sfondo ideologico, ossia lo storico dell’arte andrebbe affiancato dallo storico affinché questi, di volta in volta, discerna i contenuti veridici o plausibili da quelli fittizi e leggendari. Altrimenti si resta confinati in un’interpretazione edificante, catechistica, quantunque la riflessione sugli aspetti formali ed iconografici sia apprezzabile. Un critico come Antonio Paolucci, verbigrazia, incarna un orientamento ermeneutico del genere. L’amore per la verità rivendica un’esegesi compiuta ed eterodossa: lo splendore dell’arte non ne è offuscato, mentre le contraffazioni ecclesiastiche, volte all’instaurazione di un potere eretto su un basamento di falsi storici, sono mostrate in tutta la loro spudoratezza.

[1] Tale lacerante domanda si può ampliare a tutta la cultura “cristiana” in cui sovente lo stile coesiste con l’infondatezza. Dovremo pure interrogarci sul ruolo di Chiese come l’ortodossa, la copta e la cattolica, in parte depositarie (di più le prime due) di una Tradizione veneranda, eppure collocata fuori contesto e, in tal modo, snaturata e sovvertita nei fini e nei valori.

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2 commenti:

  1. La prima spudoratezza è quella di Saulo di Tarso e il suo seguace Marcione che ne ha consolidato la chiesa ma, vessato con preoccupazione dagli ecclesiastici Romani, la seconda è quella di Costantino e sua sorella, infine il concilio di Nicea, un coacervo, di religioni pagane e pseudo filosofie distorte di un passato remoto.

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  2. Saulo non fu particolarmente apprezzato dai Nazirei raccolti attorno al fratello del Signore, Giacomo il Giusto.

    Fu poi una sequela di "pie frodi" fino alla Chiesa attuale, fautrice del Nuovo ordine mondiale. Sorvolo su tutti i massacri dal martirio di Ipazia fino alla carneficina di Sabra e Shatila, stragi in cui i Cattolici furono e sono implicati.

    Ciao

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