29 agosto, 2014

Preannuncio riguardante la spaccatura della litosfera in alcuni “messaggi alieni”


E’ noto che contattisti, contattati e rapiti sono spesso latori di “profezie aliene”. Le loro predizioni, concernenti il futuro della Terra e dell’umanità, sono quasi sempre infauste. Tali presagi talvolta scaturiscono da persone che vivono situazioni non nell’ambito dell’ufologia “viti e bulloni”, poiché sconfinano in sfere ulteriori.

In tempi non sospetti tale Robert Harland - il suo caso fu esaminato dalla ricercatrice Jenny Randles - raccontò che nel 1964 si era recato dal dentista per sottoporsi ad un serio intervento chirurgico. Quando gli fu somministrato l’anestetico, Harland ebbe un’esperienza extra-corporea. Da una prospettiva esterna al soma, vide l’odontoiatra sbattere il ginocchio contro uno spigolo, circostanza che più tardi il medico confermò.

Fin qui si tratta di una tipica O.O.B.E. associata ad un trauma fisico, ma poi Harland vide un essere alto con lunghi capelli bianchi passare attraverso il soffitto e comunicargli telepaticamente che doveva andare con lui. Fluttuarono insieme attraverso il soffitto ed entrarono in un disco volante; l’uomo fu condotto a visitare l’interno dell’astronave e gliene fu spiegato il funzionamento. Ricevette un messaggio da trasmettere al genere umano. La comunicazione si riferiva ad una terribile calamità: la crosta terrestre si sarebbe spaccata. Infine gli fu detto che avrebbe dovuto lottare per tornare nel suo corpo. In effetti alcune creature piccole e sgraziate cercarono di impedirglielo, ma Harland riuscì nel suo intento. Si svegliò mentre il medico, visibilmente preoccupato, lo scuoteva: era quasi morto sulla poltrona del suo studio.

Ancora negli anni ‘60 del XX secolo: per la precisione è il luglio del 1968. Un giovane di venticinque anni stava compiendo un’escursione al passo Grodner, sulle Dolomiti italiane, quando scorse tre creature alte e magre, con teste a cupola (?) e bellissimi occhi orientali. I visitatori, che erano accompagnati da un piccolo robot, gli rivelarono attraverso il pensiero che provenivano da una galassia lontana. I cosmonauti gli preannunciarono un futuro spostamento dei poli, la fratturazione della litosfera ed il fatto che la vita sulla Terra avrebbe corso gravi pericoli.

Agosto 2014: in Messico, presso la città di Hermosillo, si apre una fenditura lunga circa due chilometri e profonda 25 metri. L’evento si aggiunge alle enormi voragini che, da qualche anno, si formano in numerose regioni del globo, anche in assenza di cause precise idonee a spiegarle. Sono non di rado sinkholes dalla circonferenza liscia, netta, come se non fossero formazioni naturali.

Viviamo tempi strani ed inquietanti...

Fonti:

J. Randles, Alien abductions: the mystery solved, New Jersey, 1988
R. L. Thompson, Le civiltà degli alieni, 1995, pp. 383-384, 412


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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

26 agosto, 2014

Obsolescenza ed oblio

Molti si domandano per quali motivi l’opinione pubblica non reagisca, quando viene al corrente di qualche fatto scabroso in grado di dimostrare la disonestà delle istituzioni, proprio quelle che dovrebbero tutelare i cittadini. Si scopre, ad esempio, che un sanguinoso attentato è stato ideato e compiuto dai servizi segreti o da una loro frangia “deviata”. Qual è la reazione? Encefalogramma piatto. Agiscono diversi meccanismi: in primo luogo tutto ciò che scardina o solo scalfisce la fiducia nel sistema è elaborato, metabolizzato in modo che non mini l’equilibrio psicologico. Si nega l’evidenza contro ogni logica e contro ogni dimostrazione. Si vive in uno stato di costante dissonanza cognitiva sicché un cigno può essere nel contempo bianco e nero.

Inoltre il pubblico è talmente subissato di notizie, informazioni, messaggi ora veri (pochissimi), ora parzialmente veri, ora falsi, che resta disorientato, come ebbro, incapace di discernere e di giudicare. Soprattutto il bombardamento dell’”informazione” porta al suo contrario, ad una caotica disinformazione: le notizie si avvicendano con rapidità prodigiosa, si accavallano, si intrecciano, si confondono. Alla fine tutto si mischia in una congerie indecifrabile. Le immagini per la specie homo televisivus sono un caleidoscopio allucinante.

Non solo: nella società attuale le news sono merci. Esse perdono presto la loro aura, la loro attrattiva, scivolano nell’obsolescenza come fossero prodotti industriali. In parte lo sono. Affinché i fruitori siano convinti a consumare l’”informazione”, occorre generare sempre nuovi stimoli, intensificare le scosse emotive. In questo mercato le notizie veridiche e significative sono offuscate o cancellate dalla propaganda spacciata per giornalismo.

La gente non desidera sapere, ma provare un brivido. Non desidera agire, ma assistere ad uno spettacolo. La realtà è uno schermo cinematografico.

In tale ridda “informativa”, un evento presto è dimenticato, incalzato da un fatto (o presunto tale) più incisivo, più spaventoso. La climax emotiva deve crescere indefinitamente, quasi fosse il prodotto interno lordo di un paese. Le emozioni fuggevoli ed insulse hanno soppiantato sia i sentimenti (l’empatia in primis) sia lo spirito critico. Si vive come sonnambuli. Regna l’amnesia. I pesci continuano ad abboccare all'amo, nonostante la pesca risalga alla preistoria.


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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

22 agosto, 2014

Dietro i veli


N.B. Le traduzioni dei testi sacri all’interno del presente articolo sono state eseguite da studiosi autorevoli. Si declina ogni responsabilità in caso di versione inesatta da un punto di vista filologico e linguistico.

E' più facile nei tempi dilaniati da forti contrapposizioni che i pregiudizi si radichino in modo assai tenace. Bene o male, assistiamo almeno dall'inside job del giorno 11 settembre 2001, ad una demonizzazione indiscriminata dell'Islam. Ora, premesso che tutte le fedi si possono ritenere dei soffi spirituali cristallizzati, se non, in talune circostanze, delle costruzioni ideologiche più dannose che ininfluenti, è disdicevole criminalizzare in toto espressioni culturali in cui si trova pure qualche gemma, per di più per ragioni di Realpolitik. Guido Gozzano osserva che un credo nasce puro, ma presto esso degenera in idolatria. Come dargli torto?

Si ripete che le donne, all'interno del mondo musulmano, sono succube degli uomini, essendo costrette tra l’altro a portare il velo. Consideriamo solo la questione del velo. Scrive Francesca Zamboni: "In origine il chādor indicava lo status sociale di una donna, poiché il suo impiego serviva loro per distinguersi da quelle che non lo adoperavano, ovvero le cortigiane e le ancelle. I sovrani persiani si servivano di questo mezzo di identificazione così come era abituale tra i Greci ed i Bizantini, le cui mogli non potevano mostrarsi in pubblico con il viso completamente scoperto. Una pratica pre-islamica, questa, che ha trovato il suo seguito sia nel chādor sia nell’hijāb (drappo di seta sul viso). [...] Il niqāb, altro tipo di velo appartenente alla tradizione islamica ed indossato in Arabia Saudita, Iran e Marocco, copre, a differenza dello chādor, tutto il corpo della donna, lasciando scoperti solo gli occhi.

L'apice della segregazione e sottomissione femminile è, però, rappresentato da due tipi di burqa: il primo, di colore blu, copre completamente il corpo ed il volto della donna e qualche volta è provvisto di una piccola rete per favorire la visibilità; il secondo è un velo che copre interamente la testa, lasciando liberi gli occhi. [...] Si tratta di un'estremizzazione dei precetti coranici classici, poiché il Libro sacro considera il velo lo strumento tramite cui le donne possono distinguersi dalle concubine. Quindi l’uso del velo presuppone la possibilità, per il Corano, di essere riconosciute
”.

Mentre nel mondo maomettano si è assistito ad un progressivo inasprimento di molti precetti, nel Cristianesimo, in particolare nel Cattolicesimo ed in molte chiese cosiddette evangeliche, pristine norme sono state addolcite o rimosse. Paolo (o chi per lui) ordina: "Perché se una donna non si mette il velo, si tagli anche i capelli. Ora, se è cosa vergognosa per una donna avere i capelli tagliati o essere rasata, allora si copra il capo con un velo. L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna, invece, è gloria dell'uomo. E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a causa degli angeli”. (Corinzi, I, 11: 6)

Due passaggi del Corano ampliano quest’obbligo, tipico di molti popoli medio-orientali sin dall'antichità. “E di’ alle credenti (...) di lasciar scendere i loro veli fin sul petto.” (Corano, 24: 31) “O Profeta, di’ alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli: è per loro il miglior modo per farsi conoscere e per non essere offese. Dio è veramente Giusto e Misericordioso.” (Corano, 33: 59).

Perché l'obbligo del velo durante le assemblee (attualmente messe) è oggi eluso nel Cristianesimo, se si esclude il caso di qualche devota anziana, specialmente nell'Italia meridionale ed insulare? La misoginia paolina, sulle cui motivazioni si potrebbe disquisire a lungo, fu recepita nei primi secoli dell'era volgare da Tertulliano. Nel De virginibus velandis l’apologeta considera la donna un essere inferiore che deve indossare sempre il velo.

Allargando il discorso, ci si chiede per quale ragione le norme della Torah non siano rispettate all'interno delle chiese cristiane, quando il Messia ammonisce: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Torah o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno yod o un segno dalla Torah, senza che tutto sia compiuto".

Per fortuna certe regole del Pentateuco non sono osservate, soprattutto mercé l'Apostolo dei gentili [1]. Egli si adoperò per una spericolata quadratura del cerchio, ossia conciliare Antico e Nuovo Testamento, erigendo un nuovo edificio su fondamenta che mal si adattavano al suo manufatto architettonico. Tuttavia le fondamenta non si vedono ed andò bene così.

[1] Ad esempio, in Deuteronomio 22:22,23 (vedi in calce), è stabilita la pena per gli adulteri, ossia la lapidazione, ma non mi risulta che i Cristiani applichino tale regola. Nel Corano, invece, non si reperisce neanche un cenno alla lapidazione.

22 "Quando si troverà un uomo a giacere con una donna maritata, ambedue morranno: l’uomo che s’è giaciuto con la donna e la donna. Così toglierai via il male di mezzo ad Israele. 23 Quando una fanciulla vergine è fidanzata ed un uomo, trovandola in città, si giace con lei, 24 condurrete ambedue alla porta di quella città e li lapiderete sì che muoiano: la fanciulla, perché essendo in città, non ha gridato; e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così toglierai via il male di mezzo a te".

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

20 agosto, 2014

L’uomo è un essere razionale?


L’uomo è un essere razionale? Per rispondere bisognerebbe prima comprendere che cos’è la “ragione”. E’ impresa ardua, se non impossibile. Considerata la “facoltà di pensare stabilendo rapporti e legami fra i concetti di giudicare bene, distinguendo il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto” (Zingarelli), da questa definizione corrente si arguisce che essa abbraccia sia gli intangibili orizzonti logico-conoscitivi sia gli impervi territori dell’etica.

Se risaliamo all’etimologia di “ragione” (dal latino ratio, misura, calcolo, nome collegato al verbo reor, calcolare), vi possiamo scorgere una capacità di computare il rapporto costi-benefici, ogniqualvolta si decide o si deve decidere qualcosa. Ergo il raziocinio, lungi dal possedere tratti nobili, diverrebbe uno strumento volto a favorire il maggior successo possibile nelle proprie azioni. Non sarebbe più dunque prerogativa umana, poiché anche gli animali (almeno quelli definiti "superiori") sono capaci di valutare i pro ed i contro di un comportamento. Si pensi ad un ghepardo che, allorché è in procinto di cacciare una gazzella, deve soppesare una serie di fattori: la preda è troppo veloce? E’ difesa in qualche modo dalle altre gazzelle? Qual è la distanza che separa il predatore dal potenziale pasto?

La tanto celebrata intelligenza, spartiacque tra gli uomini ed i bruti, tra gli uomini e le bestie, potrebbe essere, invece, una giustificazione a posteriori di scelte dettate da desideri e da motivazioni inconsce. La ragione dunque come coonestamento di circostanze irragionevoli? Il filosofo scozzese Hume scrive: “La ragione è schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa di quella di obbedire e servire ad esse”. (D. Hume, Trattato sulla natura umana)

Se diamo... ragione a Hume, siamo inclini a concludere che l’intelletto è solo un inganno volto a sublimare le inclinazioni più basse ed egoistiche. Nietzsche ed altri sarebbero d’accordo. Se osserviamo il genere umano e ciò che esso ha prodotto sino ad oggi, si dubita che vi alberghi alcunché di razionale. Quale potrebbe essere la causa? In fondo il Sapiens, in quanto essere naturale è, per molti rispetti, un prolungamento del mondo in cui vive e il mondo è di per sé contraddittorio. Chi potrebbe negarlo? E’ così spiegata l’irragionevolezza umana, rispecchiamento della non logicità del tutto?

La morale e la giustizia, che è un’etica istituzionale, nonché le religioni vorrebbero sancire dei princìpi universali secondo ragione e secondo l’accordo con le leggi divine. Inutile rammentare che, essendo la morale priva di un fondamento certo ed univoco, causa sovente più danni di quelli che mira ad evitare. Questo vale soprattutto per l’etica imposta (ebraica, cristiana, musulmana etc.) che, tentando di disciplinare una casistica quasi infinita sulla base, per di più, di dogmi, scivola non solo nella coercizione, ma anche nella costante necessità di ridefinire circostanze, limiti, deroghe e punizioni. Alla fine la morale assoluta diventa il relativismo assoluto sottoposto all’arbitrio di chi ha i titoli per interpretare i testi sacri.

Dunque l’uomo è un essere razionale? Lo sono tutti? Si sarebbe tentati di rispondere che è più sensato un sano istinto di una paludata, artefatta ragione.

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17 agosto, 2014

L'armata delle tenebre


Lo scenario internazionale si sta incendiando. Si accendono sempre nuovi focolai. Non appena le fiamme di un conflitto cominciano a languire, ecco che divampano in un’altra regione. Il governo occulto fomenta odi e divisioni, con la solita strategia del divide et impera. Si pensi soprattutto alla temibile avanzata dell’I.S.I.S. in Medio Oriente, lo strano califfato, miscuglio di mercenari, di Sunniti wahabiti, di provocatori occidentali. Chi ha armato e finanziato l’I.S.I.S.? Soprattutto l’Arabia saudita (i Sauditi aderiscono al credo dei wahabiti) e l’Impero di U.S.A.tana che ora sembra li voglia combattere.

Molti si chiedono se la situazione sia sfuggita al controllo degli Stati Uniti e dei loro alleati o se il caos, le innominabili violenze e le immani distruzioni non siano comunque il presupposto di una guerra su scala globale che veda, come auspicavano i mefistofelici Pike e Mazzini, un aspro scontro tra mondo musulmano (o sedicente tale) e sionismo.

Propendiamo per la seconda interpretazione. Il pianeta non è multipolare, se non all’apparenza ma monopolare: il regista è unico, anche se il film si gira in differenti set. D’altronde come si potrebbero considerare gli Stati Uniti la nazione che vuole dominare il globo, mentre qualcuno infierisce contro la sua economia e la sua stessa popolazione? Si ricordi, a titolo di esempio, che la California è destinata nell’arco di un paio d’anni a restare senz’acqua, a causa della geoingegneria clandestina ed intestina. E’ un po’ come quando il sistema immunitario aggredisce sé stesso.

Quello che interessa alla feccia mondialista è promuovere disordine e sovvertimento. Che momentaneamente sia una fazione o l’altra (Wahabiti o Israele) a prevalere poco importa.

In questo quadro si comprende pure che i governi nazionali diretti da poteri nascosti presumibilmente agiscono ed agiranno affinché il contagio dell’Ebola si propaghi sempre più, nonostante le dichiarazioni in senso contrario. L’immigrazione selvaggia di questi anni è lo stratagemma per diffondere epidemie e pericolosi vaccini, per innestare criminalità e tensioni sociali. E’ l’escamotage per disintegrare dall’esterno le società occidentali, mentre dall’interno i consorzi umani sono disgregati, favorendo un inesorabile declino produttivo e la degenerazione etica. Di conserva l’ambiente è depauperato e distrutto in ogni dove.

Sbaglia chi vede nei “politici” solo degli incompetenti: essi sono dei diligentissimi esecutori, degli abili prestigiatori. Mentre, infatti, i ciarlatani fingono di adoperarsi per la risoluzione dei problemi, li creano e li inaspriscono, attuando un progetto, architettato da pazzi, di cui non comprendono quasi nulla. Fondamentali sono i privilegi e la notorietà che sono garantiti alle classi “dirigenti” da chi li manovra. Per svolgere il loro compito di sicari, i “politici” sono perfetti. Purtroppo quasi tutti scambiano i sicari per i mandanti, con il risultato di accanirsi contro gli sgherri, come un gatto che rincorre e tenta di acciuffare un topolino finto.

Pare che nessuno sia in grado di ostacolare o di sventare i mortali piani della cricca, mentre si profilano all’orizzonte i cavalieri dell’Apocalisse.

Si salvi chi può.

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13 agosto, 2014

The objective

The objective” è una produzione cinematografica statunitense-marocchina del 2008.

Siamo in Afghanistan, qualche anno dopo l’invasione statunitense seguita all’auto-attentato alle Torri gemelle di New York il giorno 11 settembre 2001.

Un agente della C.I.A. viene mandato sul posto per portare a termine una misteriosa missione. Gli viene affidato un plotone della Delta Force: sono veterani addestrati per combattere tra le impervie montagne afghane.

Poche ore dopo la partenza alla ricerca di un enigmatico imam, che in realtà funge da contatto con i servizi segreti di Washington, l’operazione s’infila in un cul de sac. Il reparto si ritrova nel bel mezzo del nulla, minacciato da presenze intangibili di gran lunga più pericolose degli studenti islamici.

Il regista del film “The objective” è Daniel Myrick, uno dei due producers di “The blair witch project”, la celebre pellicola realizzata ad imitare una documentazione video di tipo amatoriale. L’interesse precipuo della pellicola risiede per lo più negli indizi che dissemina circa l’esistenza di un’antichissima civiltà abituata a muoversi nello spazio con i prodigiosi vimana. Nell’epilogo aperto i soldati comprendono che su di loro incombono entità ancestrali e dalla natura ambigua: il fine vero della missione non è neutralizzare i taliban, ma ripristinare i legami con alieni demoniaci.

Bellissima la fotografia che valorizza il paesaggio scabro e maestoso dell’Atlante marocchino e non privo di una certa efficacia il montaggio, decorosa la recitazione degli attori, ma il prodotto soffre per una regia televisiva oggi molto in voga.

Alcuni ricercatori sostengono che i marines realmente scopersero un vimana all’interno di una caverna dell'Afghanistan. Il ritrovamento coinciderebbe con l’improvvisa visita in loco per opera di autorità al massimo livello. Qual è la partita che si gioca davvero dietro i conflitti che sembrano dovuti a ragioni prosaiche, quali il controllo delle risorse?

L’allusione ad un gioco occulto, che supera i meri fini economici e strategici, è la chiave di volta di “The objective”. D’altronde, quando l’esercito a stelle e strisce aggredì l’Iraq, fu depredato il museo archeologico di Baghdad: molte testimonianze appartenenti ai Sumeri e ad altri popoli mesopotamici furono volutamente distrutte o portate via. Chissà perché...

Fonte: silverland

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10 agosto, 2014

1+1=4


Aveva ragione il narratore e poeta tedesco, Hermann Hesse, a scrivere che “la psicologia serve a scrivere libri, non a risolvere i problemi delle persone”. Nonostante ciò, a volte qualche psicologo ha delle intuizioni.

Verbigrazia, la psicologia transazionale ritiene che all’interno dei rapporti interpersonali si creino circostanze per cui a ciascun attore si sovrappone il ruolo che egli/ella riveste.

Così, quando il genitore dialoga con il figlio piccolo, in primo luogo esprime sé stesso, ma in maniera inconsapevole esterna le caratteristiche del genitore, in quanto figura con un preciso ruolo sociale. Il dialogo tra genitore e figlio non è un dialogo, ma una conversazione a tre, addirittura a quattro, qualora il genitore, ad esempio, in qualità di generale dell’aeronautica, manifesti qualche lineamento della sua maschera, tipica di militare d’alto grado.

Si comprende che nelle dinamiche umane si generano interferenze, come se uno o più intrusi intervenissero nell'interazione. Il problema si pone ogni volta in cui è un adulto (l’età adulta è in parte adulterata) ad intervenire: l’adulto non sa del tutto emanciparsi del suo ruolo. In taluni casi ci imbatteremo in personae (letteralmente maschere) che hanno annullato la loro natura primaria per identificarsi in toto in uno stato gerarchico. L’abito non fa il monaco ma il vescovo, vale a dire che, quanto più un individuo è in alto nella scala del consorzio umano, tanto più l’indole si assottiglia, nascosta sotto strati e strati di finzioni. Sono finzioni di cui certi soggetti non sono neppure più consci. L’annichilimento della coscienza passa attraverso la costruzione di un ego falso.

A ben vedere, questo intreccio relazionale era stato già compreso da Pirandello che scopre all’interno della “comunicazione” inganni, travisamenti, moltiplicazione e disgregazione dell’identità, la iattura dell’incomunicabilità.

Uno più uno dà due, solo quando sono due bambini ad interagire: il bambino non conosce riserve mentali, secondi fini, infingimenti, sottotesti… Sono la scuola, la società e l’”educazione” a rovinarlo… [1]

E’ necessario il più possibile scrollarsi di dosso tutte le mistificazioni che si stratificano sul temperamento per recuperare la sincerità, anche con tutti i suoi spigoli, e la trasparenza. La diversità tra schiettezza ed ipocrisia, sia pure involontaria, è spartiacque tra essere ed esistere (ex-sistere), cioè essere fuori di sé, alienati.

“In verità vi dico: se non vi convertite e non diventate come fanciulli, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli”. (Matteo, 18,5)

[1] Anche nei bambini qualcosa non quadra: non si può idealizzare l’infanzia. L’analisi di questo problema, però, esula dalla breve riflessione svolta.

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08 agosto, 2014

Il podere


“I temi essenziali di Federigo Tozzi si ritrovano tutti nel romanzo Il podere, apparso nel 1920: quel senso desolato della vita, soprattutto quella fatalità del male e della morte che lo avvicinano a Verga. E’ la storia della decadenza rapida ed inarrestabile di una proprietà contesa fra gli eredi presunti di un fattore, Giacomo: il figlio Remigio, la seconda moglie, la serva. In questa atmosfera d’odio, Remigio si logora in una sorda e sordida lotta con l’ambiente contadino”.(Anonimo)

Con il suo stile aspro e nervoso, lo scrittore toscano intaglia personaggi brutali ed abbrutiti, mossi quasi sempre da biechi interessi economici che li spingono a mentire e ad ingannare. Il rancore, l’invidia, la cupidigia rodono sia la piccola borghesia senese, composta da volgari notai e fatui causidici, sia la plebaglia dei salariati. In questa umanità degradata non alberga più umanità. Tozzi, però, non indulge ad alcun giudizio: egli lascia che siano gli attori del dramma, con la loro fisionomia fisica e morale deturpata dalla grettezza più che dalla fatica, a dichiarare il loro squallore.

“Il podere” è un capolavoro, non soltanto per l’asciutto racconto degli eventi che si affrettano nel tragico epilogo, ma soprattutto per lo straniamento che fissa vicende e luoghi in una dimensione sospesa, allucinata, quasi l’esistenza fosse un funesto incantesimo che non si riesce a spezzare. La natura stessa non è contemplata, non è rifugio idillico al male di vivere, ma presenza estranea, anzi ostile.

E’ proprio nella riproduzione di una natura viscerale che Tozzi dà il meglio di sé: avverti l’odore del fieno e del letame, il brulichio degli insetti, la solenne solitudine del Monte Amiata, le punture della pioggia, l’umidore delle stalle… E’ un romanzo che penetra i sensi, più che l’anima, li inebria, li confonde, li stordisce.

Quasi ebbro di dolore, incapace di comprendere ciò che lo circonda, Remigio si lascia circuire da avvocati senza scrupoli, da donne arcigne, da subalterni loschi: il suo destino è scritto nel sangue e nella terra.

Tozzi è reputato il maggiore erede di Verga. Lo è, ma pure trascende il narratore siciliano, in quanto l’inetto è figura squisitamente novecentesca e perché, dietro l’ingiustizia che lacera i rapporti umani, si allunga l’ombra di un’ingiustizia ulteriore, metafisica, un po’ come in Kafka.

Non esistono risposte: di fronte al male assoluto, inesplicabile, si può soltanto restare muti e “con gli occhi chiusi”, come il protagonista di un altro celebre libro di Tozzi.

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05 agosto, 2014

L'oppressione dell'opinione


Il filosofo Parmenide distinse tra verità (alétheia) ed opinione (dòxa). Non ci occuperemo qui della prima, perché è tema abissale e bisognerebbe, in primo luogo, discernere fra verità empirica ed ontologica, per dedicarci, invece ad una riabilitazione della dòxa che è, letteralmente, ciò che appare. Anche l’apparenza, però, ha la sua sostanza.

Nella nostra società omologata del non pensiero unico, chi manifesta un’idea è subito stigmatizzato: si ripete che ogni interpretazione deve essere ancorata ai fatti, inclusa in una teoria “scientifica”, altrimenti non vale alcunché. E’ un modo, uno dei tanti, per reprimere la libertà di pensare.

Gli aggettivi – non per le ragioni addotte da Filippo Tommaso Marinetti – sono vietati: qualsiasi aggettivo si trasforma ipso facto in diffamazione.

Non è un caso se oggigiorno i “delitti” che i giudici perseguono con maggiore solerzia sono i “reati” d’opinione: con il pretesto della calunnia e dell’ingiuria, ci si accanisce contro chi dimostra di possedere uno spirito critico. I tribunali sono ingolfati da cause inerenti a presunte diffamazioni, mentre i veri misfatti restano impuniti. Lo “psicoreato” è l’incubo che aleggia nelle tetre aule di una “giustizia” iniqua e nella necropoli dell’establishment. In maniera moralistica oltre che oppressiva, certe toghe si impancano a divinità che credono di poter giudicare il bene ed il male, di dover assegnare premi agli eletti e punizioni ai reprobi.

Sono poi meri pareri quelli palesati dai pochi intellettuali e ricercatori ancora degni di questi nomi o qualcosa di differente, di più sostanzioso? Non saranno valutazioni argomentate, analisi, persino moniti e denunce? Li si liquida come esternazioni prive di oggettività: si invocano i fatti (sull’idolatria dei fatti ha scritto pagine memorabili Nietzsche, ma i censori sono per natura ignoranti e confondono Nietzsche con un famigerato marchio di calzature); si pretende un’assoluta aderenza alle cose, mentre si elargisce un imbarazzante pressappochismo.

E’ bene ripeterlo: nell’ipocrita società odierna non è ammessa alcuna libertà. Quanto più i diritti del cittadino sono celebrati, tanto più essi sono distrutti. Così si culmina con il paradosso per cui è soprattutto la scuola, che dovrebbe essere palestra di idee, luogo di elaborazione culturale attraverso la dialettica, ad essere l’istituzione in cui, malgrado tante belle parole, la possibilità di esprimere la propria Weltanschauung è ferocemente negata. La scuola non è la tomba della cultura, poiché un sepolcro è comunque un monumento a ciò che fu. Il sistema “educativo” è televisione senza schermo: come la televisione intrattiene, indottrina e plagia in maniera irreparabile.

Attualmente l’unico pensiero consentito è quello dell’opinione pubblica ed è indubbio che essa si caratterizza per il fatto di non avere alcuna opinione.

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02 agosto, 2014

La disfatta dei fatti

Molti si chiedono e ci chiedono per quali motivi gli ideatori delle varie operazioni false flag siano così sciatti e superficiali: qui un errore, là un buco nella sceneggiatura, qui un’incongruenza, là un’esagerazione... Sono tutti svarioni che rendono inverosimili gli eventi, improbabili certi particolari.



Si considerino, a guisa di esempio, i “fatti” inerenti all’aereo della Malaysia airlines precipitato, ma che non è precipitato, in Ucraina. Gli artefici del misfatto hanno commesso tanti e tali sbagli nella costruzione dell’accadimento che, a volte, anche un fruitore sprovveduto ha l'impressione che qualcosa non quadri. Il particolare che non dovrebbe sfuggire neppure ad una persona animata da cieca fiducia negli organi di regime è quello dei passaporti: sono documenti intatti, senza una sola traccia di bruciatura, persino con la fodera di plastica integra. Tralasciati altri aspetti che solo osservatori attenti e smaliziati notano, perché tanto pressappochismo?

Le risposte possono essere le seguenti. In primis, i registi di queste pellicole ai “confini della realtà” sanno che il cittadino medio, ridotto a suddito votante, è di una stupidità assoluta. Crede in tutto quello che propina la televisione. Di fronte a qualche incoerenza, la sua mente piccola piccola all’inizio ha uno sbandamento, ma poi riorganizza il quadro generale del mondo affinché coincida con quello disegnato dal piccolo schermo. Costui è simile al bigotto che, non essendo in grado di rilevare alcune gigantesche illogicità dei Vangeli, basa la sua fede sulla catechesi per cui il Messia può essere nato contemporaneamente in due anni differenti, senza che ciò scalfisca i suo convincimenti.

Mai sopravvalutare l’opinione pubblica il cui tratto saliente è il non avere alcuna opinione. La gente non si pone domande e, anche se è sfiorata da un dubbio, la perplessità è subito eliminata in una concezione normalizzante che garantisca il quieto vivere a base di partita, birra e rutto libero.

Vedrei anche nelle sviste che punteggiano gli avvenimenti orchestrati dalla feccia mondialista delle provocazioni, quasi si volesse sfidare il manipolo di investigatori veri a scovare gli indizi di una macchinazione. Tanto sono i farabutti ad avere il coltello dalla parte del manico. Non è vero ciò che è vero, ma quanto essi affermano essere tale, contro ogni evidenza. Vedi alla voce geoingegneria clandestina e bis-pensiero orwelliano.

Qualcuno ritiene che, essendo la storia umana un gioco, ancorché crudele e con regole truccate, la disseminazione di tracce sia uno sprone affinché una minoranza dell’umanità possa evolvere attraverso una sempre maggiore presa di coscienza. E’ necessario lacerare i veli degli inganni e delle illusioni per acquisire una Weltanschauung più scaltrita e persino disincantata. E’ una spiegazione che ci pare plausibile, anche se abbisognerebbe di qualche rettifica su cui in questa sede non indugiamo.

Ciò esposto, crediamo che per comprendere le cause dell’incuria che dimostrano i registi degli eventi globali si debba focalizzare l’attenzione sulla natura assunta dal mondo attuale. La realtà di oggi è mediatica non solo perché è trasmessa dai media, ma soprattutto in quanto è mediata, filtrata, costruita dai media. Essi creano delle narrazioni, delle storie in cui sono più importanti la suspense e l’intreccio accattivante della verosimiglianza. Così i passeggeri degli aerei che si schiantano o spariscono sono morti, ma sono vivi. Il velivolo è un Boeing, ma ha i motori di un Piper. E’ caduto in due luoghi diversi. Ha seguito più corridoi. E’ stato abbattuto dai Russi, dagli Ucraini, dalle tartarughe Ninja, dai frombolieri di Corinto, da uno sciame di calabroni... Le liste dei viaggiatori cambiano di continuo, come il numero dei deceduti (possibilmente è un numero simbolico). I defunti resuscitano; i sopravvissuti non si riescono a rintracciare. Oggi su quel volo viaggiava uno scienziato nucleare, ieri si era imbarcato un gigolò di Tortona, domani salirà a bordo un ragioniere di Caniccattì. La madre di un ebreo ortodosso non conosce una parola di ebraico, ma parla con accento californiano ed è talmente disperata per il rapimento del figlio che se la ride. Che importa? Lo scopo di questi romanzi d’appendicite è scatenare un conflitto planetario. Molti giurano e spergiurano che ci riusciranno. Non importa come! Tanto il pubblico-spugna assorbe tutto, come fosse (e, in parte, lo è) un teleromanzo in cui la trama tanto più è avvincente, quanto più è imbrogliata e surreale. Le differenze tra realtà e finzione sono sempre più labili: la finzione spesso è più realistica ed esercita maggiore attrattiva su una massa anestetizzata e stupida. Si prova dolore non per gli innocenti che muoiono, ma per un contrattempo che ci impedisce di vedere una puntata di “Cento vetrine”.

Per parafrasare Walter Benjamin, ormai l’opera d’arte vive nell’epoca della sua falsificabilità tecnica. La televisione e la Rete permettono di falsificare, ritoccare i dettagli, cambiare il plot (ed il complotto) a posteriori, correggere gli errori di sceneggiatura, montare nuove sequenze, il tutto ad uso e consumo di spettatori scemi ma avidi di effimere emozioni: il 9 11 fu una tragedia... televisiva.

Invano oltre e dietro molte sequenze narrative cercheremo i fatti ed i nessi logici. I fatti, se mai sono esistiti, oggi non esistono più. Non esistono i fatti, ma solo le televisioni.

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