30 agosto, 2011

La vita è sacra, un po’ sì, un po’ no, dipende…

L’altro giorno mi sono accorto che una bella pianta di Ficus Benjamina che prosperava in un’aiuola sotto casa è stata tagliata. La pianta non era malata (motivo o pretesto per sbarbare alberi ed arbusti), ma sempre più spesso noto che alberi e cespugli vengono sradicati senza una ragione apparente: non occultano alcun cartello, la resina non cade sulle scocche di auto lussuose, rovinandole irreparabilmente (poveri proprietari), non sono d’ostacolo alla costruzione di un edificio o di una strada. Ho l’impressione che queste azioni siano dovute alla noia o ad un’istintiva malvagità tipicamente umana. Tralasciamo pure il discorso utilitaristico: la vegetazione produce l’ossigeno indispensabile per gli esseri viventi, dona ombra, frescura; assorbe il rumore e molti inquinanti. Tutta un’industria si basa sull’uso delle piante. Tralasciamo pure il discorso estetico: gli alberi ed i fiori sono splendidi “protagonisti” di giardini, parchi, boschi, una delizia per i sensi. Possibile che, svellendo una pianta, non ci si accorga che si uccide un essere vivente, persino senziente?

Che cosa volete che sia? Nel mondo ogni giorno milioni di uomini, donne e bambini muoiono di fame e qualcuno si preoccupa di una pianta strappata! Esistono delle priorità: prima risolviamo i problemi che affliggono l’umanità (creati ad arte dal sistema, ma questo è un altro discorso…) e poi, semmai, ci occuperemo, degli animali e delle piante. Il solito atteggiamento gattopardesco e dilatorio: si rimanda ogni azione al momento in cui sarà costruita la società perfetta. Campa cavallo… Che le cavie siano pure accecate nei laboratori, ma destiniamo l’otto per mille alla Chiesa cattolica che assiste indigenti e derelitti…

Tra l’altro, come ha scritto qualcuno, “Il buon (sic) Steiner aveva detto che il mondo fisico appartiene ai minerali, il fisico e l’eterico ai vegetali, il fisico, l’eterico e l’astrale agli animali, infine il mondo fisico, l’eterico, l’astrale e la consapevolezza di sé (coscienza) all’uomo”. Insomma, poiché l’ha scritto Steiner, è vero. Ipse dixit. Si “ragiona” con il principio di autorità, a botte di citazioni bibliche e no, mai in modo autonomo, critico.

Sarebbe, invece, opportuno chiedersi che cosa sia la coscienza: se non affiori già nelle piante oltre che negli animali. Bisognerebbe interrogarsi su che cosa sia la vita ed in che cosa risieda la sua sacralità. Nessuno ha la risposta, ma le domande vanno poste e le questioni dibattute in termini non convenzionali, da scettici veri. Dove Steiner ha tratto la sua “verità”, la sua classifica? Dall’akasha? [1]

Qui agisce il solito pregiudizio: gli uomini sono tutti uguali. Se esistessero, invece, degli uomini inferiori a certi animali superiori? Se esistessero uomini senza coscienza e demoni in sembianze umane?

Qui occorre una riflessione radicale e domandarsi non solo come migliorare le condizioni dell’umanità, ma anche perché la natura, con tutti i suoi strabilianti frattali, le sezioni auree, le mirabili geometrie, sia un organismo in cui tutti divorano tutti, un corpo che divora sé stesso. Il cosmo è questo: non siamo noi ad averlo concepito in tal modo e, se i bambini periscono di inedia, la colpa non è solo di chi ama gli animali.

Non intendo equiparare la vita della formica a quella di un uomo, ma non sono così sicuro che certi uomini hanno un’anima (gli ilici della Gnosi antica?), mentre alcuni cani ne sono privi. Se potessi decidere dove dirigere un fulmine, che comunque sta per abbattersi, se su un torturatore di bambini e cavie o su un quattro zampe che ha salvato delle persone dall’annegamento, deciderei di indirizzarlo sul primo, anche se un sacerdote afferma che l’uomo, anche maligno, ha un‘anima ed il cane no.

Chi non avverte il mistero della sacralità (una scintilla divina imprigionata nella materia?) con noncuranza brucia una pianta, tortura un gatto, ma non uccide i genitori per ereditarne il patrimonio. Certamente è così, ma, se si cominciasse a rispettare, nei limiti del possibile, la vita in tutte le sue epifanie (o teofanie), senza graduatorie, gerarchie precostituite, distinzioni a priori, forse il mondo sarebbe migliore.

Conosco già le solite obiezioni: “La Bibbia asserisce che l’uomo è stato creato ‘ad immagine e somiglianza di Dio’ (traduzione clamorosamente sbagliata) e non gli animali; Agostino dice che… Tommaso dice che… Cartesio dice che… Kant dice che… Marx dice che… Steiner dice che… il papa, dulcis in fundo, dice che gli embrioni hanno l’anima, gli animali no”. Hitler amava gli animali, ma era un satanasso. Benedette scie chimiche allora. Almeno sono democratiche: sterminano piante, animali ed uomini, indistintamente. Finalmente un olocausto egualitario.

Dov’è poi questo amore per l’umanità anche tra coloro che si dichiarano cristiani? Mi vengono in mente i discorsi di quei (pochi) politici, per lo più della Lega Nord e dell’Italia dei valori, che hanno esortato a limitare l’intervento militare in Libia, ma NON perché la popolazione libica è massacrata e neppure giacché l’uranio impoverito avvelenerà pure gli Italiani, ma in quanto i costi della missione si traducono in un aumento delle tasse (accise sulla benzina)! Che umanità! Che cuore! Eppure molti leghisti si professano cattolici! Una volta i politici, servi delle élites sataniste, fingevano di essere solidali con i popoli trucidati e perseguitati; oggi “non gliene può frega’ de meno.” La base idem.

Vedo l’aridità totale, irredimibile dell’homo oeconomicus: indifferente, cinico, insensibile, per lui la vita in tutte le sue manifestazioni è una merce, monetizzabile. E’ un valore di scambio. Chi oggi sevizia un gatto, domani assassinerà un suo simile per denaro?

Lo “Spirito va dove vuole”: talora può permeare un sasso per rifuggire da certi "uomini".

[1] Steiner è un autore che ebbe delle notevoli intuizioni, ma non intendo trasformarlo in un guru.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

28 agosto, 2011

Tom e Pablo, amici per le palle

Mi chiedo quale sia la relazione tra i disinformatori classici ed i negazionisti mascherati, ossia, per proporre un esempio: P.A. sa che *** lavora per lo stesso padrone? Ritengo di sì. Se il mondo della disinformazione, appendice dei servizi segreti, si fonda sulla segretezza, è anche vero che la complicità e la collusione possono agire da collante efficace.

Così un “contraddittorio” tra P.A. (sempre lui, il tuttologo del nulla) ed il nerovestito T.B., non è un dibattito tra il banditore delle false “verità” di regime e la ricerca indipendente, ma una tragica farsa. Bisogna riconoscerlo: ***, T.B., G.C. etc. sono personaggi di una certa caratura. Accattivanti, dotati di buona dialettica, non sono certo degli sprovveduti come la masnada di geologi “dall’età di tre anni”, ma non sono meno pericolosi e nocivi, anzi.

***, T.B. fingono di essere contro il sistema, ma nei forum dei loro siti pullulano i disinformatori più abietti ed infami. Questi forum sono bolge dantesche. Sembra di internarsi nei gironi più profondi dell’inferno, là dove sono puniti i fraudolenti: seduttori ed adulatori, barattieri, ipocriti, seminatori di discordia, falsari della parola, traditori.

Eppure, di quando in quando, vediamo i sopra non menzionati in televisione o leggiamo le loro interviste: suadenti, accorti, pacati, discettano di 911, di banchieri, di free energy e talvolta accennano pure alle scie chimiche. Che persone amabili e preparate! Che differenza rispetto agli sgherri della Rete, feroci, ignoranti, avventati, mentecatti, volgari sino alla coprofilia!

Rincresce che molti lettori rimangano impigliati nella ragna tesa da codesti scaltri e doppi personaggi, ma anche un ipocrita come Gino Strada cattura la simpatia dei cittadini: l’ipocrisia è la... strada per il successo, oltre che per l’inferno.

Un’altra domanda va posta: gli scherani obbediscono sempre agli ordini degli agenti di controllo o, più realisti del re, a volte, strafanno, aprendo delle brecce nel poderoso muro delle menzogne istituzionali? Talora si ha l’impressione che, simili a cani mordaci ed aggressivi, tendano il guinzaglio del padrone sino a svincolarsene.

La struttura è probabilmente, nel livello inferiore, un compartimento stagno: così, mentre P.A. e ***, nemici in pubblico, sono sodali dietro le quinte, i bravi sono veramente convinti che i due combattono dall’altra parte della barricata. Affinché la sceneggiata regga, viene affidato loro il compito di sbeffeggiare, ma non troppo e non in modo ossessivo, i vari T.B.,***, G.C., di stilare le loro penose classifiche per assegnare riconoscimenti burleschi, mentre i disinformatori di “alto” livello ed i gatekeepers fingono di beccarsi.

In questo losco giro di calunniatori, spioni, doppiogiochisti, delatori a cottimo, occhiuti informatori... tutto si confonde, tutto appare il contrario di tutto: T.B. assurge ad idolo, nonostante la sua rivista d’accatto e specialmente malgrado la sua ridicola controfigura, A.R. *** crea un sito “indipendente” tra i più visitati, ma che è la fossa comune di ogni residua libertà.

Qual è il destino che attende gli scagnozzi? E’ facile immaginarlo: improduttivi, incapaci, grulli, saranno presto esposti al pubblico ludibrio e congedati con disonore. Se saranno fortunati, poiché i sicari rischiano di finire in qualche pilastro di cemento.

La beffa più clamorosa e sconcertante sarà ricevere il benservito da chi credevano di contrastare, non di servire.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

26 agosto, 2011

L'uovo e la gallina

E’ nato prima l’uovo o la gallina? Se rivolgiamo questa domanda, quasi tutti risponderanno con sicumera: “L’uovo!”. E’, infatti, dalla cellula-uovo che si sviluppa l’individuo e non solo nel caso della gallina. Ce lo insegna la biologia.

Eppure, come avviene spesso, il common sense e la “scienza” provinciale, i cui araldi appartengono allo squallido C.I.C.A.P., dimostrano ancora una volta di bandire una visione acritica ed asfittica del mondo. Gli aderenti al gretto comitato osano affermare di non essere gli epigoni del Positivismo ottocentesco! Hanno ragione: sono molto più indietro. Abbarbicati alla logica aristotelica o, peggio, ad una sua parodia, reagiscono piccati, non appena sono capovolti o contestati i loro schemi post-peripatetici. Eppure è probabilmente più vicino ad una possibile verità Platone, rispetto ad Aristotele: il primo, postulando l’esistenza delle idee, si riferisce ad un archetipo di cui le cose “concrete” sono un riflesso.

Certo, è difficile immaginare che ciascun ente empirico trovi la sua ragion d’essere in un modello a priori, come se una Mente elaborasse dei concetti tradotti poi in cose. I problemi sono numerosi e complessi. Nessun rasoio di Ockam può essere utile. Esiste un archetipo di ciascun genere o di ogni cosa o, come ritiene l’ultimo Platone, solo delle “verità” matematiche e dei valori estetici ed etici? Quando un ente singolo o una categoria (ad esempio, la specie del Diplodoco) si estingue, resta il suo stampo, pronto per essere all’occorrenza riusato? Se la risposta fosse affermativa, si potrebbe pensare che la morte del singolo e l’estinzione di una specie non siano definitivi. Essi sopravvivono come forme e pre-esistono come tali, in un archivio in cui sono custoditi innumerevoli prototipi.

Qui il discorso si potrebbe estendere ai simboli, da non considerare solo significati culturalmente determinati, quanto matrici metafisiche. L’uomo penserebbe per simboli, perché da essi pensato. Anche le immagini oniriche, come opina Jung, sarebbero contenuti universali ed a-storici. Ciò potrebbe render conto delle strutture preformanti la lingua che è un sistema simbolico, le cui configurazioni potrebbero essere innate (si pensi al generativismo) e della codificazione che sembra soggiacere al mondo naturale.

Altre questioni si pongono: il numero enorme di specie animali e vegetali implica un altrettanto enorme numero di idee, con l’impressione di ridondanza: il mondo come eccesso di essere e di esseri. Le idee sono collocabili tutte nello stesso dominio o alcune (le idee e le rispettive estrinsecazioni sensibili che paiono aberranti, ad esempio, quella di un parassita micidiale e di abominii, come Paolo Attivissimo) hanno un’altra matrice? Le idee aberranti sono transitorie?

E’ nella biologia, di là dalla stessa querelle tra fissismo ed evoluzionismo, che il tema della specie-archetipo si palesa in tutta la sua enormità: ciascuna specie denota, oltre i tratti dell’individualità, un carattere generale, un disegno intrinseco ed immutabile, che sembra il risultato di un pro-getto.

Il discorso mi induce ad accennare al dominio degli intelligibili che è designato, nella tradizione orientale, akasha. Akasha, la base e l’essenza delle cose nel mondo immanente, è tradotto con “spazio” o con “etere”: in questa sorta di data-base universale, sono contenuti non solo gli esemplari delle cose, ma pure le memorie di azioni, pensieri, emozioni…

Dove si situano poi lo spazio ed il tempo in cui si collocano gli oggetti e gli eventi, sottoinsiemi di un insieme? Anche spazio e tempo potrebbero appartenere all’universo delle categorie o essere percezioni e non costanti universali. Platone definisce il tempo “immagine mobile dell’eternità”, sottolineando il suo valore percettivo ed illusorio (immagine) nonché atemporale (eternità). Nei confronti di tale definizione, appare rozza quella aristotelica: lo Stagirita, infatti, che concepisce il tempo come “il numero del movimento secondo il prima ed il poi”, accozza ad una visione empirica elementare e “soggettiva” (il prima ed il poi), una nozione quantitativa ed “oggettiva” (il numero).

Idee, cose, spazio, tempo: un tutto inesplicabile che è niente.

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24 agosto, 2011

Click

Qualche sera fa, un canale ha mandato in onda un programma sull’eutanasia nella Germania nazionalsocialista. E' stato inevitabile il corollario di immagini con i campi in cui prigionieri languivano per gli stenti: teste inteschiate su corpi scheletriti. Sono le immagini che, con insopportabile retorica, vengono additate alle nuove generazioni affinché inorridiscano di fronti ai crimini del Terzo Reich. Quando si esibiscono tali spettacoli di abbrutimento e di morte, si sottolinea sempre la distanza, una distanza abissale: i binari che muoiono nei luoghi di concentramento, i crematori, il filo spinato, le sevizie... appartengono ad un’epoca sideralmente lontana, irripetibile, congelata in una durata atemporale.

Sappiamo che non è così: non è neppure necessario seguire un dossier sui campi dove sono rinchiusi profughi di questo o quell’altro gruppo etnico, sventurati che fuggono dalle guerre e dalle carestie, poiché è sufficiente entrare in un nosocomio o in un ospizio per assistere a scene di indicibile sofferenza e di umiliazione. Pazienti abbandonati in letti luridi, malati smunti e piagati, corsie tetre e maleodoranti, reparti squallidi dove non entra mai un filo d’aria: sono questi i protagonisti e gli spazi di un mondo che “vive” accanto a noi.

Che pensare poi delle stalle, delle porcilaie, dei macelli, delle carceri, delle caserme, della camere di tortura, degli opifici? L’inferno è (quasi) qui, appena dietro l’angolo, nella sua distante vicinanza, nella sua intangibile contiguità. Nelle residenze principesche dei maggiorenti la morte, quando entra, ha passo felpato ed è paludata in modo solenne. La morte è una livella? In parte.

Paradossalmente l’età che ha collocato l’uomo sul piedistallo, esprimendo un antropocentrismo inflessibile, è la stessa che l’ha reificato, assimilando un quarto di carne ad un arto mozzato: stanno bene insieme sul piano marmoreo di una macelleria, magari con un ciuffo di prezzemolo che esalti il rosso del sangue.

No. I filmati e gli scatti, con cui era immortalata l’agonia di semivivi ad Auschwitz, non sono molto diversi dalle istantanee dei nostri tempi destinati a diventare teatri della crudeltà sempre più truculenti. Oggi quasi tutti hanno una macchina fotografica digitale, spesso incorporata nel telefono cellulare.

Per testimoniare, se ancora qualcuno vuole essere testimone, è sufficiente un click.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

22 agosto, 2011

Perché approdarono?

George Adamski, nel volume “I dischi volanti torneranno”, scrive: “Nell’ottobre 1946 gli Stati Uniti inviarono il loro primo segnale radar in direzione della Luna. Il bersaglio era il centro della faccia visibile della Luna, poiché i nostri scienziati intendevano calcolare accuratamente la distanza tra il nostro pianeta ed il suo satellite per mezzo della misurazione del tempo impiegato dal segnale a percorrerla, attraversando lo spazio esterno ed a ritornare sulla Terra. … Secondo gli extraterrestri con i quali ebbi il piacere di discutere questo argomento, il segnale radar emesso colpi la Luna ai margini della faccia rivolta verso la Terra e fu riecheggiato nello spazio, mettendo in allarme le sentinelle che lo percepirono, attraverso i loro strumenti su Venere e su Marte. Per la sua stranezza esso fu interpretato come una richiesta di soccorso. Immediatamente furono trasmessi segnali in risposta e, quando a questi non seguì alcuna reazione, furono inviate alcune astronavi ad investigare che si diressero verso la parte del nostro pianeta da cui era partito il segnale originario. […]

Poiché gli astronauti non avevano familiarità con la conformazione del terreno e con la nostra atmosfera (i Terrestri avevano compiuto alcuni esperimenti con ordigni nucleari ed alcune bombe atomiche erano state fatte esplodere non molto tempo prima verso la fine della guerra, creando condizioni innaturali) o con l’intensità del campo magnetico terrestre, gli atterraggi conclusisi tragicamente furono più numerosi di quanto si possa immaginare. Frank Scully cita diversi di questi casi nel suo libro ‘Behind flying saucers’. … Nel 1946 i nostri scienziati cominciarono a captare strani segnali in codice che essi non furono in grado di interpretare. Dai calcoli emerse che le trasmissioni provenivano dai pianeti nostri vicini, a dispetto delle teorie scientifiche accettate fino a quel momento e che affermavano con dovizia di motivazioni che la vita vi era impossibile. Altri segnali parevano provenire dallo spazio aperto, uno stato di cose inspiegabile ed incredibile, a meno che non si prendesse in considerazione l’esistenza di veicoli spaziali. Questi segnali sono captati tuttora!”

L’informazione riportata dal controverso Adamski dovrebbe riferirsi alla prima registrazione termica della Luna risalente al 1946 ed eseguita dai radioastronomi Dicke e Beringer, alla frequenza di 24 GHz. Robert Henry Dicke (1916-1997) fu un fisico statunitense noto soprattutto per i suoi studi sulla radiazione cosmica di fondo. Durante la Seconda guerra mondiale lavorò allo sviluppo del radar al Massachusets Institute of Technology (M.I.T.). Quivi progettò uno strumento per misurare la radiazione nelle microonde. Lo strumento, noto come radiometro di Dicke, fu puntato verso il cielo alla ricerca di una radiazione proveniente dalle galassie: l’esito fu negativo e portò alla conclusione, poi rivelatasi corretta, che, se esisteva tale radiazione, essa doveva avere una temperatura inferiore a 20 gradi Kelvin.

Da quanto riferito, si evince che Adamski attribuisce l’ondata di avvistamenti U.F.O., peculiare degli anni ‘40 del XX secolo (specialmente dal 1945 al 1948) non alle esplosioni nucleari, che per le loro sconvolgenti conseguenze sugli equilibri fisici ed eterici del sistema solare, allarmarono, secondo altri contattisti, le civiltà dello spazio, ma al segnale irradiato nel 1946. Forse fu la concomitanza dei due eventi a determinare il fenomeno descritto dal celebre astrofilo, ossia la comparsa nei cieli statunitensi e di altre nazioni di navicelle provenienti da mondi lontani. Ad ogni modo una situazione di armonia era stata infranta; fu l’avvento di una nuova epoca, nel bene e nel male.[1]

L’informazione di Adamski non è da sottovalutare: “I dischi volanti torneranno” è un’opera ricca di notizie interessanti, lontana dal sensazionalismo che connota le frange esaltate del contattismo.[2] Sebbene alcune parti siano infirmate dall’ingenua fede nel progresso e nella scienza, uno studioso paziente potrà a distanza di circa mezzo secolo – il testo apparve nel 1959 – reperirvi anticipazioni, spunti e persino conferme. E’ vero che l’autore offre una visione probabilmente edulcorata ed unilaterale degli incontri con i "Fratelli dello spazio", ma non manca in lui la pur embrionale coscienza delle trame tessute da una struttura di potere segreta che egli chiama il “Gruppo del silenzio”.

Come è risaputo, Adamski, insieme con altri ricercatori e contattati, contribuì a definire, si accetti o si rifiuti la sua visione della questione extraterrestre in tutto o in parte, un’ufologia empirica e con ambizioni umanitarie. Oggi ci sembra che i suoi libri, oltre a rivestire un interesse antropologico, delineino, tra luci ed ombre, i capisaldi di una disciplina che si è poi arenata o ha subìto uno snaturamento. L’approccio strumentale, per quanto limitato, è preferibile alle elucubrazioni fantasiose e totalizzanti.

A tale proposito, osserva Angelo Ciccarella: “Oggi l'ufologo si cimenta in campi sdrucciolevoli, quelli dell'interpretazione del fenomeno, della sua natura e si appiattisce, senza uno straccio di verifica, sui racconti dei presunti rapiti sotto stato alterato di coscienza. Da qui reinventa una nuova cosmovisione dell'uomo e della vita, riempie il pantheon di antichi dèi e prevede disastri immani”.

Di fronte allo scadimento di un’ufologia ibrida con velleità filosofiche (si lasci la Filosofia ai pensatori) e persino onnicomprensive, si è tentati di rivisitare i classici degli anni ’50, ’60 e ‘70, per evitare di accodarsi ad esegesi demoniache o, di converso, salvifiche di sapore New age. Forse si riuscirà ad intravedere un barlume nei tenebrosi meandri di in cui ci aggiriamo.

[1] Carlo Barbera ricorda che le bombe nucleari del 1945 su Hiroshima e Nagasaki e tutti gli esperimenti nucleari successivi causarono uno strappo nell'aura del pianeta donde l'incidente di Roswell, i numerosi avvistamenti di U.F.O., le prime intrusioni aliene. Esistono ponti tra una dimensione ed un'altra, attraverso cui passano esseri, verso cui si accalcano creature imprigionate in un livello basso, anelanti ad entrare in questa realtà? Barbera ci ricorda che Aleister Crowley, con i suoi rituali, evocò inquietanti creature di altri piani dimensionali: tra queste Lam, un essere macrocefalo simile ai Grigi, protagonisti dell’ufologia a partire dagli anni '60 del XX secolo. Lo scienziato Jack Parsons e lo scrittore di fantascienza, Ron Hubbard, seguaci di Crowley, attuarono nel 1946 le Operazioni Babalon. La loro intenzione era quella di usare la magia sessuale per generare un figlio nei reami spirituali. Tali sinistri rituali furono compiuti nello stesso periodo in cui l’aura del pianeta era lacerata dalle esplosioni atomiche. Numerosi contattisti tra gli anni ‘50 e ‘60 del XX secolo, riportando le ammonizioni di presunti extraterrestri, insistettero sui pericoli connessi all’uso dell’energia nucleare non solo per Gaia, ma anche per i fragili equilibri del sistema solare e della nostra galassia.

[2] Tra le varie indicazioni rilevanti, accenno qui solo alla rarefazione delle nuvole cui Adamski attribuisce un accorciamento della vita media.


Fonti:

G. Adamski, I dischi volanti torneranno, Roma, 1978 pp. 21-23 e passim
Enciclopedia dell’Astronomia e della Cosmologia, Milano, 2005, s.v. Dicke


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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

20 agosto, 2011

Anima

“Anima” è un racconto di Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea De Chirico. Savinio, fratello di Giorgio De Chirico, il noto artista, fu anch’egli valente pittore, oltre che drammaturgo e musicista nonché indefesso indagatore della realtà sotto le più disparate epifanie.

In “Anima”, storia apparsa nel 1942 sul quotidiano “La Stampa”, raccolta poi, in versione riveduta ed ampliata, assieme ad altri dodici testi, nel volume “Tutta la vita" del 1946, il protagonista, Nìvulo “è dato alla luce da una madre cinquantenne, trentadue anni dopo che morisse, prima di venire al mondo, un (potenziale) primogenito. Tra colui e Nìvulo qualcosa è accaduto, se una sera il secondo ha udito una voce: 'Nìvulo, io sono tuo fratello'. Smagliante trattamento del tema del doppio – proprio a partire da questo accorato appello – 'Anima' avvince e, se possiamo usare questi verbi, addolora, affascina, prostra.”(G. Davico Bonino)

L’evocativo e leggiadro nome del protagonista, Nìvulo, esprime la sua condizione di essere umbratile, chiuso in una solitudine impermeabile sino all’epilogo dove la tragedia si stempera nell’immagine della città, “deserta come un plastico”, eppure abitata da innumerabili presenze. Persino nell’accento sdrucciolo, che si ritrae all’inizio del suo nome, è l’indole ritrosa del bimbo, poi adolescente ed adulto, nel cui silenzio echeggia la voce dell’altro sé stesso, un doppio incompiuto, prigioniero nel limbo che precede la vita. Il Doppelganger dipinto da Savinio trascende i cliché narrativi per inarcare la narrazione in volute solipsistiche, per comunicare l’incomunicabilità fra il protagonista ed i genitori disperati, persino tra Nìvulo ed il suo alter ego.

Se l’esistenza dell’altro è solo abbozzata, lo è pure la vita di Nìvulo: la somma delle due parti non genera un’unità, forse poiché l’unità è astrazione. L’io è diviso, frammentato e polimorfo: invano un corpo lo cinge e lo situa qui ed ora. La coscienza è esule nel mondo: la sua condizione assomiglia al destino di un fiore reciso che, nel vaso in cui è stato collocato, spande nel crepuscolo la sua fragranza, nostalgia d’infinito.

Nell’età della scienza e del disincanto, il mistero dell’anima è stato dissipato, come esile cirro dissolto dal vento. Savinio lo sa. In un articolo intitolato “La nostra anima”, pubblicato sul “Corriere dell’informazione”, il 13 maggio 1946, l’autore annota con dolente ironia: “Ora anche i fantasmi hanno trovato la loro spiegazione fisica, questi lembi dell’energia che era raccolta a comporre un corpo, ancora non si sono dispersi del tutto… Soltanto ora possiamo parlare di anima, guardandoci negli occhi e senza arrossire.”

Nella mirabile pittura dei personaggi, il logico genitore, e la malinconica madre, impotenti interlocutori dei (quasi) due muti figli, a formare un quadrangolo incompleto, nella delicatezza dello stile, sono i pregi di un racconto lirico, le cui dense ombre sono appena rischiarate dal suono fugace della parola “anima”.

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18 agosto, 2011

La parcellizzazione del potere nella società contemporanea

Nelle sue ultime opere, il filosofo e storico francese Michel Foucault(1926-1984), analizzando la “fisica” dei poteri, ne enuclea una componente fondamentale. Egli non interpreta tanto il potere nella società contemporanea come luogo da cui si dipartono gli ordini e le regole del comportamento, individuale e collettivo, piuttosto è visto come disseminato nel consorzio umano. Esso si alimenta, più che attraverso una repressione diretta, per mezzo dei meccanismi di censura e di autocensura che vengono indotti negli stessi soggetti, garantendo la stabilità dell’ordine.

Così l’establishment si rafforza mediante l’autocontrollo del singolo, ormai ridotto a mero strumento. Secondo Foucault, la sollecitudine antropologica che, a partire dal XVIII secolo e definitivamente con il trascendentalismo kantiano, trasforma l’uomo nel contempo nel soggetto e nell’oggetto del sapere, non celebra l’avvento di un mondo finalmente civile, ma annuncia la prossima morte dell’uomo.

E’ sintomatico che il “cittadino” stia diventando in questi ultimi decenni il censore di sé stesso, oltre che il ferreo vigile degli altri. La pratica della delazione che la propaganda istiga con messaggi in cui si incita a denunciare il nuovo capro espiatorio, l’evasore fiscale, si tradurrà in una spontanea confessione di delitti reali o presunti? Ci pare che questa sia la tendenza: il “cittadino” è schierato in modo del tutto inconsapevole con l’autorità che lo schiaccia, a tal punto che il potere centrale può quasi dissolversi, delegando ai singoli psico-poliziotti l’amministrazione della “giustizia”. Nella Londra sconvolta dai tumulti dell’agosto 2011, sono stati impeccabili sudditi di Sua Maestà, ad affiancare le forze dell'ordine nella caccia ai saccheggiatori. Gli sguardi dei Londinesi si sono così assommati agli obiettivi delle telecamere, formando un gigantesco occhio, simile a quello di un’abnorme mosca bionica. La perfida Albione, ritratta da Orwell, popolata di sicofanti, è il vestibolo del “mondo nuovo”.

Pare che il senso della subordinazione sia stato introiettato, fino a stratificare una “seconda natura”. Nei nuclei familiari, nelle relazioni interpersonali, nelle interazioni educative… si esprimono rapporti di forza e conflitti: agisce in ognuno di noi una forma di sado-masochismo? E’ comunque uno snaturamento antropologico: la celebrazione illuminista dell’uomo si infila in un vicolo cieco ed itera l’impasse in cui era venuto a trovarsi Nietzsche con l’illusorio vagheggiamento dell’Übermensch.

Tramontato Dio, è sorto il nuovo astro, lo stato, uno stato diffuso in modo capillare: non più istituzione verticalizzata, ma trasversale alla società. Intanto, mentre l’amministrazione centrale può eclissarsi, il potere disperso, parcellizzato in una miriade di regioni individuali, si concentra e consolida: la coercizione è ancora necessaria, ma sono alcune minoranze non integrate ad essere sottoposte alla costrizione ed alla punizione; la maggioranza si castra e bandisce (ed impone) il modello della castrazione. Quanto più si è allineati, da un punto di vista sia “culturale” sia comportamentale, con l’ideologia dominante, tanto più ci si sente appagati. L’unica identità possibile è nell’identificazione con il complesso indifferenziato della collettività.

Ciò spiega il successo del “pensiero” unico incarnato dalla “scienza” televisiva: tale “pensiero” elementare, schematico, acritico, soddisfa da un lato il bisogno filisteo della sicurezza conoscitiva (le cose sono razionali, spiegabili e sono come le presenta il divulgatore "scientifico") sia, nell’equazione tra sapere e potere, consente di condividere una frazione del potere, non più appannaggio di gerarchie esterne.

Intanto la rinuncia alla creatività ed all’indagine personale ingrossano le legioni degli schiavi-padroni, degli ignoranti laureati.

Come Luigi XIV, il cittadino benpensante può oggi dichiarare: "L’Etat c’est moi". "Sono io che denuncio l’evasore, sono io che riprendo con la videocamera il bandito, sono io che promuovo iniziative contro i clandestini…". L’azione del singolo precede l’azione del potere primario, la cui apparente latitanza e debolezza spronano l’intraprendenza del “cittadino”.

Vero è che, se il potere è in ogni dove ed abita in ognuno, i centri di resistenza risiedono dappertutto, in quanto l’opposizione coincide con ciò che Foucault denomina l’elemento “plebeo” presente, in linea teorica, in ciascun individuo ed in ciascun gruppo. Tuttavia si ha l’impressione che questo “nocciolo” sia stato ormai, nella stragrande maggioranza dei casi, disintegrato.

L’ultima frontiera rischia di essere l’autodenuncia, neppure per aver trasgredito una delle innumerevoli, assurde, draconiane norme dettate dal sistema, ma semplicemente per il fatto di esistere, delitto di lesa maestà. La vaporizzazione sarà autoinflitta.

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16 agosto, 2011

Paradossi

E’ possibile ricondurre il mondo entro semplici modelli interpretativi? E’ una domanda retorica. Il mondo è come una sfera che avvolgiamo con un foglio: si formano delle grinze.[1] Il senso comune imperniato su concezioni convenzionali e, pur nella loro complessiva comodità, arbitrarie può ambire solo ad una scarsissima validità filosofica.[2]

Il reale è autocontradditorio ed inconoscibile nella sua essenza: per questo motivo alcuni indirizzi logici l’hanno escluso dall’indagine o collocato sullo sfondo, concentrandosi sulla natura del linguaggio e sulla formalizzazione del metodo. E’ quindi un lavoro di chiarificazione concettuale, più che un’elaborazione di visioni della realtà. L’impegno dei neo-empiristi nel tentativo di costruire un sistema “scientifico” ed “esatto”, con l’obiettivo di rifondare la conoscenza su basi puramente empiriche, previa strutturazione di un linguaggio unificato ed univoco della scienza, si scontra con l’impossibilità di razionalizzare del tutto il mondo “là fuori”.

I logici privilegiano giudizi analitici, come “I corpi sono estesi”: sono enunciati che non implicano un accrescimento di conoscenza e contenenti comunque un residuo empirico, nella fattispecie l’esperienza dei corpi e dell’estensione nello spazio. Così il filosofo e logico statunitense W. O. O. Quine nega che si sia riusciti ad indicare criteri capaci di condurre ad una sicura individuazione delle pretese asserzioni analitiche, giungendo a teorizzare un empirismo senza dogmi, secondo il quale non esistono proposizioni prive di contenuto empirico e “vere” unicamente in virtù del significato delle parole che vi compaiono. Sono dunque contestate sia l’esistenza di “verità” analitiche sia la base logica delle “verità” logico-matematiche. Ne consegue un ridimensionamento del carattere “oggettivo” reputato intrinseco alle concezioni scientifiche.

In altre parole: allontanarsi del tutto dall’esperienza è impossibile e, quanto più ce ne discostiamo, tanto più ci si avvicina alla tautologia. Jorge Luis Borges, che non è filosofo né logico, intuisce la natura intransitiva, autoreferenziale del linguaggio, quando scrive: “Parlare significa incorrere in tautologie”.[3]

Uscire dal circolo della tautologia significa affrontare o riaffrontare le grandi questioni su cui cozza il pensiero, con la coscienza che non possono essere esaurite e definite, perché, se si presumesse di poterle circoscrivere e spiegare in toto, si cadrebbe nel dogmatismo che è in antitesi al pensiero.

La riflessione non può atrofizzarsi in schemi, ma neppure adagiarsi sul giudizio verosimile, sul principio consolidato. Così è necessario abituarsi a sovvertire i termini di ciascun problema: l’effetto può precedere la causa, la materia può non essere concreta, il libero arbitrio può essere un’idea fallace, il tempo e lo spazio possono non essere costanti universali, l’idea può essere anteriore all’oggetto, le leggi fisiche possono non essere normative… Mettere in discussione i pre-concetti è il punto di partenza; la meta è solo una tappa. Bisogna ricordare che, se l’universo è di per sé, contro-intuitivo, qualsiasi indagine, anche la più sistematica e formale, è destinata ad imbattersi nella contraddittorietà. Una traccia di incongruenza è ineliminabile: come quando si crea il vuoto in un contenitore, resta sempre un residuo di energia. Molte situazioni, un po’ come le proposizioni di Gödel, sono indecidibili, poiché la realtà è simile ad un ipertesto in continua espansione.

Il filosofo serbo, naturalizzato statunitense, Thomas Nagel, elenca i principali nodi del pensiero contemporaneo: il problema delle altre menti (come sappiamo che esistono altre menti oltre la nostra?), la relazione tra mente e corpo, l’essenza del significato linguistico, la libertà, il tema della giustizia…

E’ arduo fornire delle risoluzioni di tali interrogativi, ma è più importante il fuoco delle domande che l’acqua estinguente delle presunte, ipotetiche risposte.

[1] L’efficace immagine non è mia, ma di un amico. Tempo fa, esaminando un soggetto affine, ricorsi alla metafora delle formelle che, a causa di una loro non perfetta configurazione, non si incastrano negli spazi relativi.

[2] Sarebbe interessante discernere quanto di questo ragionamento comune cui soggiace una logica binaria dipenda da fattori culturali e quanto dalla struttura bipartita del cervello, ma è argomento che esula dai confini del presente articolo. Inoltre tale domanda replica un’articolazione binaria che è proprio quella da cui si dovrebbe tentare di rifuggire.

[3] Giudizi analitici e tautologie tendono ad assomigliarsi: si pensi all’enunciato “Se piove, allora piove” che è un’asserzione analitica, come “E’ vero solo ciò che è vero”, l’originale ed arguto motto dell’eccelso Romeo, il guitto del Colosseo.

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14 agosto, 2011

I due abissi

Due abissi si spalancano attorno a noi: il nulla che precede la vita ed il nulla che la segue. La vita - se è lecito definire in tale guisa quest'isola di dolore attorniata dall'oceano della noia - è simile ad un breve segmento in una pagina bianca o ad un fiume carsico di cui è visibile solo un tratto del corso?

Bisognerebbe tentare di comprendere per quale motivo a sgomentare l'uomo sia l'ignoto che avvolge il destino dopo la morte, invece del nulla antecedente la nascita. Perché l'uomo aspira alla vita eterna e, nel contempo, la teme? Secondo Schopenauer, non paventiamo la morte, a causa della ragione, ma per via della Voluntas che cieca si protende verso la perenne affermazione di sé stessa. Non nutriamo lo stessa sensazione di vuoto e di vacillamento, se pensiamo al non-essere pre-natale che è anzi un paradiso perduto.

Non so quanto sia ragionevole prefigurarsi una continuazione dell'esperienza terrena in un altro piano o un suo revival tramite la resurrezione. Il fiume della vita si perderà nell'oceano dell'indistinzione, quando gli atomi, di cui siamo composti, si disgregheranno per generare nuovi, infiniti corpi oppure la coscienza, mirabile addensamento in un'identità, è una sostanza imperitura? Forse non ricordiamo le esistenze anteriori e non riusciamo a concepire il viaggio futuro qui o altrove. Non è agevole decidere che cosa augurarsi, ammesso che si possa decidere: se sprofondare nel nulla o permanere. Sileno conosceva la risposta.

Perdurare può essere anche desiderabile, come pensava Nietzsche, giacché "ogni piacere vuole eternità, profonda eternità." Così per la speranza (o chimera) di perpetuare quei pochi istanti di gioia che un fato avaro ci ha elargito nel corso di codesta disavventura terrena, indulgiamo nel pregustare un'eterna beatitudine libera dal tedio e dall'uggia. Eterno rima con interno, ma pure, ahinoi, con inferno.

Balena a volte l'idea che la vagheggiata beatitudine sia un inebriante, inconsapevole nulla, simile a quel silente, sereno cielo che un neonato strappa con il suo pianto inconsolabile.

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12 agosto, 2011

Neuropsicofisiologia: dalla coscienza al bit

Michele Trimarchi è il fondatore negli anni ‘70 del XX secolo della Neuropsicofisiologia, (d'ora in poi N.) disciplina che integra Neurologia, Psicologia, Fisiologia. Nata dagli studi sulla Fisica dell’informazione, sulle differenze funzionali tra emisfero destro e sinistro e sulle funzioni superiori del cervello umano, mira ad unire mente ed encefalo. Questa branca si prefigge di scoprire la fisiologia della coscienza, cercando di comprendere come si sviluppa l’Io cosciente dell’essere umano, quell’Io che permette di gestire l’esperienza in modo consapevole e creativo, integrando l’attività della mente con il soma nel suo rapporto con l’ambiente.

Semplificando, individuerei alcuni capisaldi della N., basandomi su un articolo del Dottor Trimarchi.

Nel cervello e nella sua espressione non esiste niente che non sia spiegabile con la Fisica, ovvero che non sia materia/energia/informazione. L’elettromagnetismo è la base della fisiologia cerebrale che si manifesta attraverso la realizzazione di circuiti biologici neurali governati dalle stesse leggi che regolano i circuiti elettrici e magnetici prodotti dalla tecnologia. L’emisfero destro palesa un’intelligenza genetica innata ed un’inclinazione all’autoapprendimento con cui conosce sé stesso ed il mondo che lo circonda. L’emisfero sinistro interiorizza i condizionamenti che provengono dall’esterno, inibendo la capacità creativa ed emotiva dell’emisfero destro. Ciò crea squilibri neuropsichici e, al limite, patologie. Ogni processo naturale è un sistema che, regolato da precisi princìpi fisici (causa ed effetto), scambia energia, materia ed informazione con gli altri complessi circostanti. Le norme che regolano la Fisiologia umana, animale e vegetale non sono codificate dall’uomo: la scienza può solo scoprirle, conoscerle e rispettarle. La fisiologia ontogenetica (dell’individuo) prevede centocinquant’anni di vita, purché la conoscenza non confligga con i bioritmi scanditi dall’ontogenesi stessa.

La N. si propone di indagare il dissidio tra la consapevolezza e la creatività, espresse dall’emisfero destro, e la logica del sinistro, per suggerire strategie risolutive basate su un’integrazione dei due sistemi.

Nonostante gli altisonanti titoli e le numerose ricerche di Trimarchi, mi pare che la N. non sia molto innovativa né apprezzabile. Anzi, se si eccettua la valorizzazione delle potenzialità latenti nella parte destra dell’encefalo e la riscoperta di antichi canoni medici inerenti all’importanza dell’equilibrio tra l’uomo e la natura, alcuni fondamenti suscitano forti perplessità.

Sorprende che Trimarchi, con incredibile nonchalance, stabilisca un’equivalenza tra materia-energia-informazione, quando già la corrispondenza tra le prime due è, talora, controversa. Sorprende che lo scienziato postuli la fisicità dell’informazione: l’informazione, infatti, benché passi attraverso un canale fisico, di per sé trascende la materialità. Sorprende ritrovare sic et simpliciter l’obsoleto dogma parascientifico del nesso tra la causa e l’effetto, come se Hume e Kant non fossero mai nati: tale nesso, che irrigidisce l’analisi dell’universo in strutture rigide, è altresì in contraddizione con l’idea di libertà, sottesa al dinamismo dell’emisfero destro. Pontifica lo scienziato: “Ogni ricercatore e scienziato deve sapere che il fenomeno che sta studiando ubbidisce sempre al principio fisico di causa ed effetto, ovvero è deterministico, anche se spesso la complessità del fenomeno cogli aspetti che sembrano probabilistici (sic)”.

Alla fine, questo pastiche di biologismo deterministico, cibernetica, teoria dell’informazione, medicina olistica è una riproposizione, solo con uno svecchiamento linguistico, del solito materialismo volto ad identificare coscienza e cervello e che distingue in modo ingenuo tra esterno ed interno, tra matrice e conseguenza. Ecco l’obiettivo: vivere sino a centotrent’anni anche in buona salute, in armonia con sé e con gli altri. E prima? E dopo? Certo è già un eccellente risultato, ma si esclude dall’orizzonte conoscitivo ogni riflessione e domanda sull’anima, tradotta (ridotta) in segnali bio-elettrici, laddove anche alcuni scienziati, senza citare vari filosofi, ammettono che la mente e la coscienza paiono situarsi al di fuori del cervello, benché tale organo funga da traduttore.

E’ noto che il discorso sull’anima è considerato una romanticheria. Viviamo in un mondo disanimato in cui uomini, animali, piante sono reificati, misurati in base al loro controvalore in denaro. Il termine “anima” appartiene solo al linguaggio fumoso e forviante di qualche superstite metafisico. Il corpo stesso, da tempio dell’interiorità, è ormai degradato in macchina che, non appena non funziona più, si getta in una discarica. Tutto è numero, bit, informazione. Tutto è materiale, ma la materia, lungi dall’essere un flusso vitale, è uno schedario di dati.

L’ideale di una vita oltre il cerchio biologico è sostituito dal progetto di un’esistenza prolungata in cui la Verità, la Giustizia, l’Amore, la Dignità, citati dal Trimarchi, sono parole che suonano come un omaggio formale ad una specie di orientamento para-scientifico con venature New age.

L’idolatria della scienza che tutto spiega, condendo la Neurologia con un filo d’olio di Psicologia, sancisce il definitivo, irreversibile fallimento di una ricerca che, mentre ardita spiega le vele verso l’oceano del futuro, si incaglia nelle secche del Positivismo ottocentesco.

Vedi M. Trimarchi, Neuropsicofisiologia: dal condizionamento alla consapevolezza, in Puntozero, n. 1, 2011


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10 agosto, 2011

La misteriosa morte di Dante

Dante Alighieri (1265-1321) morì di malaria o fu ucciso? Il sospetto che Dante fu eliminato serpeggia da un po’ di tempo e, per quanto mi consta, è stata la narratrice spagnola Matilde Asensi ad insinuare che la scomparsa del sommo poeta fu la conseguenza di una trama. L’autrice nel romanzo intitolato “L’ultimo Catone”, affida ad un Guardiano della Vera Croce il compito di inoculare il dubbio nella protagonista, Suor Ottavia Salina, convocata dalle alte gerarchie del Vaticano per decifrare un tatuaggio inciso sul cadavere di un Etiope ritrovato in Grecia.

Lo Staurophylakos (Custode della Croce) sottolinea che Dante si era inimicato papa Bonifacio VIII (al secolo Benedetto Caetani), per aver tuonato contro la sua scandalosa condotta simoniaca. Ricorda poi che passò a miglior vita la notte tra il 13 e 14 settembre del 1321. Era stato inviato come messo a Venezia dal mecenate Guido Novello da Polenta: di ritorno dall’ambasceria, attraversando le lagune della costa adriatica, il “Ghibellin fuggiasco” contrasse le febbri malariche e morì. Il 14 settembre è il giorno della Vera Croce.

Addirittura Francesco Fioretti ha costruito un’intera storia, “Il libro segreto di Dante”, 2011, sul presunto assassinio dell’Alighieri. E’ tuttavia un libro ingarbugliato e pretenzioso, scritto in modo incolore (alla Dan Brown): così, invece di gettare un barlume sulla questione, la banalizza per fini di commerciale intrattenimento. Quindi non ci è di nessun aiuto per provare a sciogliere l’enigma, mentre è più utile il cenno nel titolo dell’Asensi, la cui indagine esoterica è imperniata sul significato simbolico della Croce.

La traccia che si può seguire si riferisce al giorno in cui Dante morì, il 14 settembre, dì dell'Esaltazione della Santa Croce, festività della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e di altre confessioni cristiane. In essa si commemora la croce sulla quale fu inchiodato il Messia. La ricorrenza è generalmente collocata il 14 settembre, giorno in cui celebra la consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Come è noto, la Croce è pure simbolo templare: che Dante fosse un cripto-templare è probabile. La Croce è il più universale dei simboli primari: rappresentando il punto di intersezione tra su e giù, destra e sinistra, implica l’unificazione del dualismo nella totalità. Può assumere valenza sia spaziale sia temporale. Si riferisce a situazioni cronologiche nella cultura dei Sumeri.

Dante era un pitagorico, forse un appartenente alla Confraternita dei Fedeli d’Amore: il suo sapere, in cui erano amalgamate la tradizione esoterica cristiana, quella islamica ed ebraica, trasmesse da una catena di precedenti maestri, si coagula nell’insegnamento anagogico ed ermetico della Commedia, capolavoro cifrato che lascia trasparire simboli poi confluiti, tra gli altri, soprattutto nei Rosacroce, esponenti cinquecenteschi di un antichissimo cenacolo di iniziati.

La Rosa è emblema che nella "Commedia" assurge a notevole rilievo, il cui valore, insieme con quello di altre immagini e dei numeri, fu studiato da René Guénon nel saggio “L’esoterismo di Dante”. Di solito la “candida rosa” descritta nel Paradiso è interpretata come emblema dell’Amore celeste. La Rosa simboleggia il Centro, la Verità, il Cuore, l'Eros mistico ("Eros" è anagramma dei termini francesi ed inglesi "rose"). Nel rosone delle chiese romaniche e gotiche si fondono adombramenti cosmico-cronologici e spirituali.

Che il Nostro fu vittima di una congiura, forse nell'ambito della persecuzione contro i Templari, è ipotesi percorribile, benché gli indizi (la morte tra il 13 ed il 14 settembre, il nascondimento degli ultimi tredici canti del “Poema sacro”, l’appartenenza di Dante ad una cerchia di adepti…) siano , ad oggi, molto labili per tentare di stabilire la verità.

Fonti:

M. Asensi, L’ultimo Catone, 2001, p. 447
Enciclopedia dei simboli, a cura di H. Biedermann, Milano, 1991, s.v. croce e rosa.
R. Guénon , L’esoterismo di Dante, passim, 1925
F. Lamendola, L'esoterismo di Dante, 2010

L. Pirrotta, Dante ed i Fedeli d'amore

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08 agosto, 2011

Le sette resine

Nota bene: si precisa che le informazioni di questo articolo non costituiscono in alcun modo e per nessun motivo indicazioni terapeutiche. Si tratta di semplici cenni, desunti principalmente da un recente saggio del Dottor Paolo Lissoni, sulle proprietà di alcune resine.

Secondo il Dottor Paolo Lissoni, l’uso delle resine, uno fra le numerose risorse terapeutiche che il generoso mondo vegetale offre all’uomo, era peculiare degli Esseni (Pii? Guaritori?). La medicina essena, che conosceva le proprietà medicamentose di moltissimi vegetali, assegnava uno specifico valore ai benefici effetti delle resine, riferibili all’archetipo di sette differenti piante: Mirra, Incenso, Pino, Abete, Cipresso, Tuia, Cannabis Indica.

Queste piante, da cui sgorga le “rugiada di Dio”, erano considerate sacre dai popoli antichi, nella tradizione degli Esseni e nella cultura islamica. La medicina arabo-musulmana è quella che ha maggiormente ereditato la sapienza degli Esseni a tal punto da definire la fragranza della Mirra un assaggio del profumo e della vita gioiosa che attende i giusti nel Paradiso.

Vediamo le principali caratteristiche terapeutiche delle sette resine fondamentali.

Mirra. Si estrae la gommoresina dalla corteccia di alcune piante del genere Commiphora (famiglia delle Bursacee) diffuse in Egitto e nella penisola arabica. Era adoperata dagli Egizi nell’imbalsamazione. Possiede proprietà antitumorali, antiaterosclerotiche, antinfiammatorie ed immunomodulanti.

Incenso. La gommoresina si ottiene praticando profonde incisioni nel tronco di varie specie di piante del genere Boswellia. Ha l’aspetto di un latice biancastro che solidifica lentamente a contatto con l’aria. Grani di incenso erano bruciati dagli antichi in onore degli dei e dell’imperatore: l’effluvio, che se ne sprigionava in soavi volute, esprimeva la devozione. Le chiese cristiane inizialmente reputarono un retaggio del paganesimo la suddetta usanza, salvo poi recuperarla sicché l’incenso è impiegato in alcune occasioni liturgiche. E’ antitumorale ed ansiolitico. Il professor Lissoni ricorda la bassa incidenza di neoplasie tra i lavoratori dell’incenso. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che potrebbe sostituire il cortisone per la riduzione degli edemi cerebrali.

Tuia. E’ un bell’albero delle Conifere (famiglia delle Cupressacee) con foglie squamiformi; le pigne sono formate da squame legnose e piatte. La tuia, comune nell’America settentrionale e nell’Asia orientale, è messa a dimora nei parchi con fini ornamentali. Dalle foglie si ricava un olio essenziale che ha attività immunostimolante.

Cipresso. E’ il noto albero delle Conifere (famiglia delle Cupressacee). La resina è efficace contro la tosse; ha azione trofica e stimolante sul sistema venoso.

Pino. Appartiene alle Conifere. La sua resina è adatta nella terapia di affezioni delle vie aeree superiori ed inferiori (rinite, sinusite, faringite, laringite, tracheiti, broncopolmonite). La resina del Pino marittimo ha proprietà antinfiammatorie e contribuisce a sciogliere i calcoli.

Abete. Albero delle Conifere. La resina è efficace nel caso di reumatismi.

Cannabis Indica. Il suo più rilevante principio attivo è il tetraidrocannabinolo che esplica azione analgesica, antiemetica, antispastica, antitumorale, antisclerotica. E’ anche di giovamento nel caso delle patologie neurodegenerative.

Si possono prospettare associazioni fra due o più delle sette resine fondamentali: in special modo, la combinazione di Mirra, Incenso ed Abete potrebbe rivelarsi fruttuosa nel trattamento delle malattie auto-immuni.

Fonti:

Enciclopedia delle scienze, Milano, 2005 s.v. inerenti
P. Lissoni, La medicina essenica, 2011


Ringrazio il gentilissimo G. per la segnalazione.

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07 agosto, 2011

In edicola X Times di agosto

E' in edicola il numero di agosto della rivista "X Times", mensile diretto da Lavinia Pallotta e Pino Morelli. Si tratta di un numero monografico, essendo dedicato al tema degli Angeli e dei Nephilim.



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05 agosto, 2011

Scettici e dogmatici (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

Di fronte a questo spettacolo di una bellezza terribile, Antonio si sente smarrito, teme di precipitare nell’abisso, ma soprattutto è turbato dalle parole dell’interlocutore: “Scopo non c’è! Come potrebbe avere uno scopo Dio? Quale esperienza ha potuto informarlo? Quale riflessione farlo decidere? Prima dell’inizio, non avrebbe agito; agire adesso sarebbe inutile… Come sulla terra, gli esseri che la popolano vi capitano successivamente, così in cielo sorgono astri nuovi – effetti differenti di varie cause. … L’ammettere in Dio parecchi atti di volontà, è come ammettere parecchie cause e distruggere la sua unità. La volontà in Lui non è separabile dall’essenza. Non ha potuto avere un’altra volontà, non potendo avere un’altra essenza e, poiché dall’eternità esiste, eternamente agisce. … Il nulla non esiste! Il vuoto non esiste! … Vi sono ovunque corpi che si muovono sul fondo inalterabile della distesa e se questa fosse in qualche modo limitata, non sarebbe più la distesa, ma un corpo. … La distesa è compresa in Dio il quale non è certo una porzione dello spazio, una tale o talaltra grandezza, ma l’immensità. … Tu gli parli, lo adorni persino di virtù, invece di riconoscere che possiede tutte le perfezioni. Concepire qualcosa al di là sarebbe concepire Dio al di là di Dio, l’essere sopra l’essere. Egli è dunque l’unico Essere, l’unica sostanza. Se la sostanza potesse dividersi, perderebbe la propria natura, non sarebbe più sé stessa, Dio non esisterebbe più. E’ indivisibile, come è infinito; se avesse un corpo, sarebbe composto di parti e non sarebbe più unico né infinito. Dunque non è una persona. … Tu vuoi che Dio non sia Dio: giacché, se provasse amore, collera e compassione, passerebbe dalla perfezione ad una perfezione maggiore o minore. Egli non può abbassarsi ad un sentimento né contenersi in una forma. … Non c’è dubbio che il male lascia indifferente Dio, dato che la terra ne è piena. Pensi che lo tolleri per impotenza o lo conservi per malvagità? … Se fu lui a creare l’universo, superflua è la sua Provvidenza. Se la Provvidenza esiste, la creazione è difettosa…. Non conoscerai mai l’universo nella sua completa estensione, di conseguenza non puoi farti un’idea della sua cagione né avere una giusta nozione di Dio… Tu, però, sei sicuro di vedere? Sei anche sicuro di vivere? Forse nulla esiste”.

Il Diavolo – si sa – è “loico”: la ragione sembra essere dalla sua parte. Ecco perché nessun argomento dialettico potrà mai instillare la fede che è paradosso, contraddizione, “scandalo”. Pascal e Kierkegaard l’avevano inteso. Fedeli, gettate le armi della dimostrazione: esse sono cedevoli, inservibili.

Ci si desta un giorno con il dubbio che tutto sia vano, tutto fortuito. E’ vero che personaggi come Hawking e la Hack riescono a conciliare l’ateismo con il convincimento che il cosmo ha una sua ratio, ma la loro è un’operazione accademica, una visione stiracchiata e piena di falle. Gli atei, persuasi che Dio non è, sono dogmatici: sui dogmi ci si adagia, come fossero soffici cuscini. Beati loro: una certezza, per quanto negativa, è sempre preferibile ad un groviglio di domande. O no? E’ una sfida incessante continuare ad esistere, tentando in ogni modo di arginare le ondate di assurdità che erompono dal caos. Qui l’attimo non è secolo, non è millennio: è eone. “Scopo non c’è”: è l’assenza di un fine che tortura le nostre ore piene-vuote. Se tutto è contingente, siamo in una lotteria cosmica, dove il dolore e la gioia, la morte e la vita sono distribuiti a vanvera. A volte ci pungola il dubbio che il senso che rintracciamo negli eventi sia una costruzione mentale a posteriori, come le figure che vediamo, a causa della pareidolia, nelle forme accidentali delle nuvole. Il significato è un’illusione ottica della coscienza: d’altronde di fronte a pochi densi sincronismi, quanti sono i lanci insensati!

Ci si chiede come sia possibile che ogni speranza, ogni richiesta si infrangano contro un muro di gelido silenzio. Ci si chiede come e perché un Dio degno di questo nome possa ignorare la sofferenza più indicibile. Ci inventiamo mille spiegazioni, elaboriamo mille elucubrazioni: Dio permette il male, ma siamo noi a sceglierlo, Dio non è perfetto, Dio ci vuole mettere alla prova, intende temprarci con i patimenti, Dio siamo noi, Dio è coscienza non del tutto consapevole, per evolvere (?) occorre il male, il male non esiste… Meglio stare zitti che balbettare: restiamocene con i nostri quesiti, taciti, muti, impassibili, come sfingi.

Così assistiamo impotenti e straniti al tramonto di Dio, mentre le tenebre si diffondono sulla Terra, simili a neri, appuntiti artigli.

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03 agosto, 2011

Cuore sacro

“Cuore sacro” è il quinto episodio della saga “The secret”. Adam Mack è preso nel turbine di avventure rocambolesche sino al sacrificio di sé, pure in senso letterale o quasi: l’intreccio, sorretto da una sceneggiatura arguta, ci porta nel mondo dei Maya cosmici con le loro conturbanti tradizioni, gli oscuri oracoli, l’ossessione per il tempo.

Giuseppe Di Bernardo sa armonizzare la cronaca più truculenta con le ombre della storia occulta, in un racconto serrato dove il raffinato umorismo si alterna alla riflessione sull’ultima epoca. Così, da un lato sono sceneggiate le gustose battute tra l’eccentrico Conrad Malcor ed il quadrato Adam Mack (la sinergia tra disegno e testo genera effetti esilaranti) dall’altro sono tratteggiate situazioni labirintiche che ci spingono ad interrogarci sulla natura del reale, sulla continuità-discontinuità tra la nostra dimensione ed altri livelli di esistenza.

Mentre i piani narrativi si inclinano in un paio di analessi, tra understatement e moniti sul “tempo che stringe”, in questo numero diventa cruciale il ruolo di Soul (nomen omen), la fidanzata del protagonista, come il contrappunto ironico del carlino, una sorta di daimon socratico.

“The secret” è un albo colto e non tanto per le citazioni ed i riferimenti filosofici e scientifici che lo punteggiano, quanto per lo spessore dell’ispirazione che lo anima, per l’ampiezza delle vedute e la forza visionaria, quella che i critici sprezzanti ed incauti chiamano “complottismo”.

Questo numero lo conferma. Pur nell’intento di intrattenere, Di Bernardo, con il prezioso ausilio di Fabrizio Galliccia, artista dal tratto preciso e straordinario disegnatore di espressioni, non rinuncia a suggerire scenari ed orizzonti possibili: il ruolo preminente della Chiesa cattolica nelle congiure, l’importanza del passato che si incanala nel presente, l’esacerbazione del conflitto tra la Luce e le Tenebre, la speranza in un’umanità che possa ritrovare finalmente la propria anima.

E’ una speranza che l’autore affida all’aiutante dell’eroe, la giovane ed attraente Mayahuel: “Questi libri contengono molte profezie, ma l’uomo è dotato di libero arbitrio ed è padrone del suo destino. Per questo le profezie non si avverano mai. Sono solo indicazioni, avvertimenti.”

Se, però, non ascolteremo certi avvertimenti, abbiamo l’impressione che il destino, volenti o nolenti, si compirà.

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