30 agosto, 2010

Poteva essere evitato

L’ora è un’era ed i pianeti sono piani di realtà.

“Poteva essere evitato”: molte volte abbiamo sentito questa frase, in seguito ad una disgrazia. L’enunciato non è corretto sotto il profilo morfo-sintattico, perché bisognerebbe usare il condizionale. L’impiego dell’indicativo non di meno è sintomatico: la proposizione in questo modo si situa ancora maggiormente nel tranquillo recinto del senso comune, dove gli oggetti possono essere indicati e gli eventi sono oggettivi.

L’unità linguistica in esame pare errata anche sul piano concettuale, in quanto implica l’idea che un evento si possa evitare, se solo si interviene su una o più variabili. E’ un’idea del senso comune, modo di pensare che il filosofo George Edward Moore (1873- 1958) intende difendere contro le astrusità, soprattutto dei pensatori idealisti. Moore, contro chi afferma che il tempo non è reale, obietta che dovremo negare di aver fatto colazione prima di pranzare. Mi chiedo se questa concezione realistica del tempo, potrebbe valere per un batterio: è un batterio in grado di distinguere il prima dal dopo? In generale, gli animali percepiscono il tempo come gli uomini o alcune specie non lo percepiscono affatto?

Ancora Moore provoca gli idealisti: com’è possibile mettere in dubbio che esistano oggetti materiali, dal momento che questa è una mano e questa è un’altra mano? Il senso comune, che è stato definito una “scienza degradata”, si rivela utile, pratico, ma non può ambire alla certezza. Che esistano oggetti fisici è possibile, ma non sicuro. L’ultimo Wittgenstein, pur senza impegnarsi in una vera confutazione dell’ingenua e tautologica filosofia di Moore, collocò le credenze della filosofia popolare sullo sfondo ereditato da una comunità, tenuta insieme dai linguaggi (giochi linguistici) e dall’istruzione. In questo campo, al confine fra trasmissione di esperienze e regole convenzionali di tipo logico-semantico, si pongono i dubbi, poiché “pensare è dubitare”. (L. Wittgenstein, Della certezza)

Che cosa accadrebbe, se si insegnasse ad un bambino che la Terra è piatta e se egli leggesse ciò in tutti i manuali scolastici e testi scientifici? L’istruzione e la percezione (quest’ultima in modo meno costante e persuasivo) non contraddirebbero questo “dato” ed il senso comune includerebbe tra le evidenze che la Terra è piatta.

Dunque, nell’ambito del senso comune, che senso ha la frase “Poteva essere evitato”? Essa esprime la persuasione di un percorso su cui può incidere con il libero arbitrio, con la modifica di qualche fattore. Da un punto di vista sintattico e semantico, questo convincimento si affaccia nel “se”. Se X non fosse accaduto, Y non si sarebbe verificato. Se quel giorno X non fosse uscito, (aveva intenzione di rimanere in casa, ma poi ci ha ripensato), non sarebbe stato derubato. In verità, quel “se” ne presuppone moltissimi altri: infatti la rapina subita si colloca alla fine di una catena di eventi. La concatenazione degli eventi conduce a quel preciso esito e si può sempre trovare una connessione che lega un avvenimento all’altro, se non altro come sequenza. Alla fine, si potrebbe risalire al primo “se”: se X non fosse nato, non sarebbe stato derubato. Se nulla esistesse…

Si sarebbe tentati di dar ragione a Nietzsche che considerava il concetto di libertà “una bugia vitale”. Il discorso si complica se, però, valicando appunto i confini angusti del senso comune, si ipotizza che numerosi eventi si diramano da un nucleo centrale, a somiglianza dei raggi che si dipartono dal mozzo di una ruota o a guisa di quei semi che si disperdono nell’ambiente dopo che è esplosa la capsula in cui erano contenuti. Così, mentre qui un accadimento si struttura in un modo, altrove assume una differente (contraria?) configurazione, spalancando le porte all'inimmaginabile.

La frase “Poteva essere evitato” ci induce a chiederci: se l’avvenimento fosse stato schivato, tutta una serie di circostanze sarebbe cambiata, introducendo un surplus di entropia? Scansare quel fatto vale stravolgere un equilibrio che coincide con un apparente caos? Le domande sono importanti, perché implicano il senso recondito di TUTTI gli accadimenti e quindi della vita di ognuno. Le opzioni precipue sono le seguenti: tutti gli eventi sono non necessari e fortuiti, alcuni lo sono ed altri no, a tutto soggiace una logica, anche se non possiamo né conoscerla né comprenderla del tutto.

Sono quesiti cui è impossibile rispondere in modo esauriente e definitivo: la ricerca è costretta a fermarsi proprio là dove siamo coinvolti. Ciò che ci preme e riguarda il nostro destino, il significato ultimo dell’esistenza e del mondo è inghiottito dal silenzio.



APOCALISSI ALIENE: il libro

28 agosto, 2010

The arrival

"The arrival" è una pellicola statunitense del 1996, per la regia di David Twohy. "Un astronomo, Zane Zaminski, (interpretato da Charlie Sheen) capta messaggi extraterrestri dallo spazio, ma gli alieni cattivi in realtà sono già mimetizzati tra noi e non ci tengono a divulgare la notizia. Il regista, già sceneggiatore del 'Fuggitivo', guarda ad 'X Files' ed all''Invasione degli ultracorpi', con prevedibile corredo di effetti speciali." (P. Mereghetti, Dizionario dei film, Milano, 1999).

La frettolosa e scarna recensione riportata è comunque sufficiente per rendere l'idea di come il cinema di fantascienza lavori in modo sotterraneo: veicola ed intreccia messaggi. Qui il tòpos dell'invasione aliena è declinato nella sua variante più sinistra: un'invisibile colonizzazione per cui gli uomini non sono più uomini. L'archetipo cinematografico di Don Siegel viene fatalmente depauperato in una quasi rivisitazione, aggiornata con il riferimento al S.E.T.I ed alla N.A.S.A., struttura paramilitare nazistoide più che ente scientifico. Tra i personaggi, Filippo Gordian (Ron Silver) è il doppio-giochista, il fidato fedifrago, figura-stereotipo che lascia sdrucciolare la trama nello scontato.

Il motivo dei radio-segnali di natura intelligente (allusione a WOW!) immette nella storia un addentellato esobiologico su cui si staglia il silenzio delle voci "terrestri": captiamo radio-sorgenti distanti anni-luce dalla Terra, ma non percepiamo gli echi mortali che s'irradiano dal nostro mondo.

Nella produzione, non priva di suspense nella prima parte, ma che poi si sfilaccia, è sceneggiato il dramma di un'aggressione esterna pur sempre possibile, anche se in forma realisticamente fittizia (Bluebeam?). Non fummo forse, però, infiltrati millenni or sono? Mentre ci interroghiamo sulle minacce dello spazio e su come schivarle, dimentichiamo di chiederci, ormai sull’orlo dell'abisso, chi potrà salvare l'umanità da sé stessa.



APOCALISSI ALIENE: il libro

26 agosto, 2010

Evoinvoluzione

La visione di un universo che cresce ed evolve come un organismo vivente collide con la concezione di un cosmo che è, invece, di per sé un cedimento rispetto ad una perfezione originaria. Forse evoluzione ed involuzione coesistono, sintropia ed entropia si intersecano: la spinta evolutiva paradossalmente potrebbe essere un processo degenerativo o culminare in una cadaverizzazione della coscienza.

In un pensoso articolo intitolato “Prima dell'abisso”, Whitley Strieber, lungi da approcci ingenui allo spinoso tema, considera le implicazioni di un eventuale contatto dell'umanità con esseri non terrestri. Scrive l'autore di Communion: "Quando domandai ad uno dei visitatori quale fosse la sua concezione dell'universo, rispose con la vivida immagine di una bara!". Strieber vede nella struttura biotecnologica degli Altri la conseguenza di un processo che, se da un lato, ha consentito loro di acquisire una formidabile conoscenza del creato sino al punto di manipolare la materia, dall'altro li ha condannati al tedio di chi ormai non ha più alcuno scopo da perseguire.

I visitatori hanno sovrapposto alla “prima natura” (per usare una distinzione che risale a Leopardi), ossia la condizione primigenia, non solo la “seconda natura” di esseri "sociali", ma un terzo strato di tipo tecnologico che ha per sempre assopito la spontaneità vitale. Cercano ora invano qualcosa di cui non serbano neppure il ricordo? In questo iter verso la nullificazione dell'anima pare adombrato il destino dell'umanità. Esistono probabilmente altri percorsi in cui il progresso spirituale prescinde da deviazioni scientifiche e tecniche. In verità, il vero progresso è la stabilità o, meglio, il ritorno ad una situazione primordiale. Il salto non è verso un traguardo più alto, ma il tentativo di risalire. Ogni processo di miglioramento è rimontare di qualche passo su una china che è comunque discendente, un rinviare il momento in cui si toccherà il fondo.

Il moto è la meta. Così, se si perde lo stimolo per l'innovazione, se non si avverte il pungolo della trasformazione (sia pure una chimera), l'esistenza ristagna ed il tutto si tramuta in un gelido sepolcro. Scrisse Samuel Johnson: "La condizione della vita è tale che si è felici, solo in attesa di un cambiamento". Per un motivo simile Leopardi percepiva in parole come "antico" e "lontano" l'incanto dell'indefinito, il fascino dell'indistinto. Vagheggiare l'antico, luogo di una perduta felicità, o immaginare suggestive lontananze nel tempo e nello spazio, sono le uniche consolazioni per un essere confinato nella monade di un presente inafferrabile ed illusorio.

Di fronte al mito positivista dell'avanzamento conoscitivo, ma anche al cospetto del nuovo credo basato sul pensiero che crea, dell'immaginazione che plasma la realtà (versione aggiornata e semplificata della filosofia idealistica, ignara sia della frattura sia dell'irrazionalità del mondo), resta l’attesa di una palingenesi che riporti al Principio. Tendere l'arco è già scoccare la freccia.



APOCALISSI ALIENE: il libro

24 agosto, 2010

Il rapimento di Myrna Hansen: un’operazione dei militari?

Myrna Hansen, una donna di ventotto anni e suo figlio di sei, videro cinque U.F.O. planare su un pascolo, mentre ella stava guidando verso casa, in una strada rurale di Cimarron, New Mexico, il 5 maggio del 1980. La Hansen ebbe un missing time di quattro ore e confuse memorie di un rapimento. In seguito, mediante una seduta di ipnosi regressiva, la donna ricordò quanto avvenuto. Secondo la sua ricostruzione, due figure in tute bianche erano uscite da una delle astronavi per dirigersi verso una mucca che mutilarono con un coltello da diciotto pollici.

La sventurata rammentò di essere stata catturata, insieme con il figlioletto e che furono condotti su navi separate. Alla malcapitata, che invano tentò di resistere, furono tolti i vestiti. Fu poi sottoposta ad un esame che fu interrotto da un uomo alto: costui si scusò e ordinò che gli alieni fossero puniti per la loro azione.

Poi guidò la Hansen in un giro all’interno dell’aeronave. L’ U.F.O. quindi decollò: ella vide un paesaggio che credette fosse ad occidente di Las Cruces ed un’altra zona nei paraggi di Roswell. Quindi fu portata in una base sotterranea. Qui riuscì fugacemente ad introdursi in un luogo dove l’attendeva un orrido spettacolo. Si trovò, infatti, in una stanza in cui erano allineati dei contenitori pieni di un liquido: nei cilindri galleggiavano parti di corpi umani [ vedi filmato ]. La Hansen fu trascinata fuori da tale area. Fu allora sottoposta, assieme al figlio, ad un doloroso processo di condizionamento che coinvolse rumori assordanti e lampi. Infine i due sequestrati furono riportati a bordo dell'U.F.O. che volò verso il sito in cui era stato perpetrato il rapimento.

Il caso della Hansen fu indagato dal noto psichiatra ed ufologo Leo Sprinkle e dall'ingegnere Paul Bennewitz. Essi furono impressionati dagli agghiaccianti particolari della storia: la visione dei cilindri, la mutilazione ed il dissanguamento di bovini all’interno dell’installazione ipogea, gli impianti che gli extraterrestri(?), prima di rilasciare le vittime, avevano inserito nel loro organismo, con il fine di controllarli a distanza.

Roberto Malini, che, però, non precisa la fonte da cui ricava l’informazione, afferma che il ratto fu compiuto da militari camuffati da Grigi. I militari impiantarono nella Hansen e nel figlio un microprocessore controllato dalla base di Manzano, nel New Mexico.

L’episodio, qui compendiato, sembrerebbe essere la dimostrazione o di una cooperazione tra alieni malevoli e terrestri o che le abductions sono opera dell’esercito, come sostenuto da vari ricercatori, tra cui Helmut Lammer che coniò pure il termine “milabs” (crasi di “military abductions”).

Il caso della Hansen, che annovera gli ingredienti tipici dei rapimenti, è uno dei pochi che si può connettere alle M.A.M., misteriose mutilazioni animali. La vicinanza degli eventi alla struttura militare di Manzano indurrebbe ad ipotizzare il coinvolgimento, in questi misfatti, dei servizi segreti che si prefiggono – secondo certi autori - l’obiettivo di suscitare nell’opinione pubblica odio e sospetto verso i visitatori. Le false abductions rientrano nella attività di guerra psicologica per condizionare cittadini usati come cavie, attraverso la somministrazione di psico-farmaci, l’uso della realtà virtuale, le sevizie, l’ipnosi e l’impianto di microsensori. I suoni rintronanti e le luci corrusche con cui culminò l’esperienza della Hansen e del figlio paiono indicare un’operazione di plagio percettivo e psichico affinché la vittima si convinca che il rapimento è legato ai soliti Grigi.

E’ arduo fornire una risposta definitiva in merito. Certo è che l’”Intelligence” ha molte scelleratezze da nascondere e non solo nel campo ufologico-xenologico. Il “rilascio” di informazioni in materia di avvistamenti U.F.O., per opera di governi ed autorità, è solo e sempre depistaggio o una forma raffinata di censura.

Fonti:

Autore non indicato, Abduction of Myrna Hansen, 2009
G. Casale, La saga delle E.B.E., 2005
R. Malini, U.F.O. il dizionario enciclopedico, Firenze, Milano, 2003, s.v. abduction


Articolo correlato: F. Lamendola, Due casi ufologici brasiliani di terrestri uccisi dal “raggio della morte” di creature aliene, 2010



APOCALISSI ALIENE: il libro

22 agosto, 2010

Il passato che non passa

Le seguenti sono note senza alcuna pretesa di stabilire una verità.

Occorre un impegno immane per conferire un senso al passato e riscattarlo dalla sua irrazionalità, si tratti del passato individuale o di quello che appartiene al genere umano. Vero è che, a distanza di tempo, eventi trascorsi rivelano la loro logica all'interno di un disegno che era apparso casuale. Tuttavia non solo non sappiamo se questa logica sia in parte un significato dato a posteriori e per di più soggettivo, ma anche restano scorie emotive, errori, iniquità che non si incastrano nella strettissima feritoia del senso.

Il passato continua a pesare sulla vita, il cui valore è quello di non acquisire valore nei confronti del tutto, poiché il suo valore è confinato nella contingenza che lo riduce ad un’incognita. Bene scrive l'ottimo Horkheimer nel saggio “Eclissi della ragione” (1947): "La coscienza che il mondo è fenomeno, che non è la verità assoluta, la quale è la sola realtà ultima. La teologia è - devo esprimermi con molta cautela - la speranza che, nonostante questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l'ingiustizia possa essere l'ultima parola." Il filosofo tedesco è conscio che la giustizia non potrà essere mai essere realizzata nella storia, poiché "quando anche la migliore società avesse a sostituire l'attuale ordine sociale, non verrà riparata l'ingiustizia passata e non verrà tolta la miseria della natura circostante".

Con intelligenza, Horkheimer vede sia nella natura, sulla scorta di altri pensatori, sia nella storia i chiodi che non si possono sradicare dal muro. Egli poi concepisce la fede come un'apertura di credito a favore di Dio, l'espressione di "una nostalgia, secondo la quale l'assassino non possa trionfare sulla vittima innocente". Così fa tabula rasa del giustificazionismo teologico e filosofico, per cui ogni avvenimento (dallo sbocciare di un fiore ad una strage di stato) assurge a punto significativo, eppure insignificante nella sua perfetta intercambiabilità con gli altri punti. Nell'economia del tutto, ciascun punto, insieme con infiniti altri, concorre a formare la perfetta, razionale linea del progresso storico e dell’evoluzione cosmica. Da qui il laissez faire per cui qualsiasi cosa accada, comunque sarà il migliore degli avvenimenti possibili, poiché incapace anche solo di sfiorare la perfezione dell'essere e perché inquadrato in un piano imperscrutabile, ma - si afferma – coerente ed armonico.

Se il male, nelle sue numerose incarnazioni (ed alcune sono imprescindibili e persino utili), si dispone ad essere oggetto di un'appropriazione e significazione postuma, il compito dell'uomo è appunto in questa "sfida al labirinto", come di chi continui imperterrito a gettar via l'acqua con un secchiello da un'imbarcazione che sta affondando, pur consapevole che la barca s’inabisserà.

Il dilemma decisivo inerisce alla questione circa la razionalità del reale. Il reale lo è o non lo è: una risposta intermedia non pare probabile.[1] Se, come credo, il mondo non è Ragione, il passato può essere redento solo con la dimenticanza. Il passato va perdonato, ma il perdono non è riconciliazione. Giacché non è possibile (ri)conciliare l'inconciliabile, il perdono è dono di oblio. L'essere stesso è forse proteso verso un oblio che cancelli, mercé un colpo di spugna, non solo il passato con il suo strascico di innumerevoli falle, ma anche la sua memoria.

Questa cancellazione, affinché sia una vera catarsi, per giunta non deve riguardare solo le creature, ma anche l'essere.

[1] Quando mi riferisco ad irrazionalità del mondo, escludo qualsiasi valutazione emotiva e psicologica, come pure il riferimento al male. L’universo è irrazionale poiché viola il principio di non contraddizione. Scrivevo nel testo Il mondo, la coscienza ed il nulla: “Perché il reale è autocontradditorio? Perché, assimilato il reale a 1, esso è diverso da 0, ossia il nulla, ma non si spiega come dal nulla assoluto possa scaturire il reale. Bisogna quindi accettare che 1 è uguale a 0 e viceversa. Il paradosso è il seguente: lo 0 è più denso di 1, il nulla più creativo del tutto. Il cosmo è simile ad un enorme macigno in bilico su un abisso infinito. La sostanza del reale è il nulla.” D’altronde, pure la fisica quantistica, di fronte ai paradossi del microcosmo, ha dovuto postulare un nulla da cui tutto affiora, un nulla instabile.



APOCALISSI ALIENE: il libro

20 agosto, 2010

Mystic

Le pagine dei libri sono brandelli inceneriti che si perdono nel vento. La brace, ormai appena tiepida, palpita di un'ultima favilla.

Solo gli alberi custodiscono il segreto, con i rami confitti nella terra e le radici abbarbicate nel firmamento. Egli adesso conosce la verità che aleggia nel respiro delle fronde. La verità brilla tra le vene della luce che cola tra le foglie.

Che importa? La caducità si tinge di eterno ed il dolore è la fiamma che incendia l'orizzonte delle illusioni. Che importa? La saggezza è quieta ignoranza. Al cospetto del cielo, egli avverte la piccolezza dell'infinito e comprende che l'unica risposta è il silenzio.

Ora, senza più inquietudine, attende solo che l'universo tramonti in un'alba di seta. Il sole sta per sorgere sul deserto del tempo. Per l’ultima volta.



APOCALISSI ALIENE: il libro

18 agosto, 2010

La pupa ed il sermone: anatomia dell'”uomo politico"

Absit iniuria verbis

Benché non siano variate le funzioni dell'”uomo politico” in questi ultimi decenni, è cambiata la sua immagine. Il politico è usato dai potentati affinché, fingendo di operare per la nazione, si impegni per i vergognosi obiettivi degli Oscurati. A sua volta, egli sfrutta il popolo per mantenersi al potere. La forza della classe politica è nella sua inefficienza: più è inefficiente, più i "cittadini" invocheranno prima misure per ovviare ai problemi, poi, accortisi che il governo in sella è del tutto incapace di intervenire in modo risolutivo o che agisce contro il buon senso, si adopereranno per un ricambio della classe politica, un avvicendamento che dovrebbe avvenire attraverso la buffonata delle elezioni, anticipate o no. In realtà, subentrano poi omuncoli asserviti alle élites come i precedenti: in un farsesco gioco delle parti, la maggioranza diventa “opposizione” e l'”opposizione” maggioranza. E' tutto gattopardesco.

In verità, tutti i politici che “contano” sono uguali, a qualsiasi partito appartengano (non è qualunquismo, ma un dato incontrovertibile): che siano a capo di una nazione o di un comune cambia pochissimo o punto. Allevati sin da piccoli in modo da blandire la loro ambizione e tenendoli nell'ignoranza più crassa, costoro crescono avidi di denaro e di fama. Tutti i loro difetti vengono accentuati: la lussuria, la vanità, la smania di apparire, la cupidigia, la prodigalità, l'invidia... In questo modo, quando saranno collocati nei centri di "comando" potranno essere allettati, solleticando la loro libidine di dominio, o saranno controllati con i ricatti. Questo spiega per quale motivo i “politici” oggi giorno siano spesso coinvolti in scandali a base di sesso, droga e rock'n'roll.

E' quindi inutile ed ingenuo ritenere che gli amministratori della cosa pubblica attuino delle iniziative a favore della collettività: il loro compito è quello diametralmente opposto. Essi, che sono corrotti, corrompono: la loro azione è una mortale infezione. Per gettare fumo negli occhi, promettono mirabolanti riforme fiscali oppure organizzano qualche "notte bianca", mentre, obbedendo ai loro capi, devastano le città, stravolgendo i piani regolatori. Sono sempre alacri ogni volta in cui si devono costruire ponti faraonici, inceneritori e centrali inquinanti, aprire discariche, ogni volta in cui si tratta di cementificare e di deturpare l'ambiente. In cambio, ottengono dai loro burattinai privilegi e prebende di ogni tipo. Essi, fingendo di voler contrastare la criminalità, una criminalità che trova terreno di coltura nelle condizioni create dal sistema stesso, quando non è deliberatamente organizzata e fomentata dai reggitori, sanno solo ordinare l'installazione di telecamere o inasprire norme già draconiane.

Se un “politico” non corrisponde a questo identikit, o è isolato o è eliminato. Accadde, ad esempio, ad Aldo Moro.

Ripensando ai decenni scorsi, si nota che il numero dei politici sottomessi al vero potere era leggermente inferiore e che la loro fisionomia era diversa. Il politico paradigmatico era il democristiano: il suo cinismo era paludato di una condotta impeccabile, di un periodare elegante, anche se vuoto. Colui si esprimeva in un discreto italiano, di taglio cancelleresco e formale. Oggi il presidente Giorgio Napolitano, una specie di fossile vivente, incarna ancora, se non quel modello gesuitico, quel linguaggio ore rotundo, infiorato di espressioni ampollose, ma insulse. Sono enunciati paternalistici che sembrano voler dire tutto, mentre non dicono nulla. “Le istituzioni lavorino per il progresso morale, civile e culturale del paese”; “I valori della Carta costituzionale sono intangibili”; “E’ necessaria la concordia, pur nella dialettica tra le forze politiche; “Bisogna tendere verso i fini superiori della nazione”…: questo è il frasario di un Brontosauro scaraventato nell’era dell’elettronica. Si avvertono l’indifferenza, il gelo, l’aridità di un professionista del nulla, di un sofista di lungo corso. In maniera non molto diversa, si poneva molti lustri fa, Giorgio Almirante, segretario di partito austero e solenne, abituato a tenere discorsi con un registro linguistico medio-alto, sebbene del tutto inconsistenti. Almirante era nell’intimo un “democristiano” e lo erano molti della cosiddetta sinistra. “Democristiano“ è una categoria ed indica il “politico” scaltro, spregiudicato, machiavellico; designa un calcolatore sopraffino all’apparenza corretto. Il linguaggio connotava questa categoria in modo inconfondibile. Rispetto ai politici attuali erano più signorili ed usavano il congiuntivo.

Il lessema che meglio li identifica è “sermone”: erano, infatti, oratori, verbosi e vacui, ma carezzevoli. Con le loro allocuzioni tenevano a bada la massa, stregata dalle parole come un serpente segue i movimenti sinuosi dell’incantatore. “Come parla bene!”, esclamava sovente il cittadino medio-basso, dopo aver ascoltato un comizio o un intervento radio-televisivo di quei parolai. “Non condivido le sue idee, ma parla bene”.

Oggi i politici sono non di rado di una sconvolgente rozzezza: ostentano i vizi (vizi privati e pubblici vizi), la loro spregiudicatezza, spacciandola per dinamismo imprenditoriale. Beoti, si beano di non sapere l’italiano: massacrano il congiuntivo (si pensi a D’Alema) e lordano la lingua di Dante con termini gergali. Talora non disdegnano il turpiloquio. Con la loro zotichezza, cercano di accattivarsi (e ci riescono!) il consenso dell’elettore, abituato a berciare in uno stadio o a bestemmiare al bar. Orgogliosi di ”fare i fatti” (“il governo del fare”), disprezzano tutto ciò che è etico e decoroso. Si compiacciono di abbassarsi al livello del popolino. Assomigliano a villici di successo che, per sfoggiare la loro ricchezza, elargiscono laute mance ai camerieri, assicurandosi, con volgare boria, che tutti gli astanti li vedano. Lo stesso Fini, tutto impettito e compassato, in verità è ridicolo, poiché ai modi contegnosi si abbinano un lessico improbabile ed atteggiamenti dozzinali. E’ portentoso quando, voce impostata ed espressione ieratica, rumina la gomma.

Il vocabolo che marchia questi maneggioni è “pupa”: il loro mondo è confinato nel più becero edonismo di cui la donna-oggetto è simbolo e perno. Gaudenti, sguaiati, infoiati ed infingardi, più che formare una casta, sono un branco rissoso di bulli di periferia.

La fatale degenerazione della classe “politica” comporta che in futuro saremo governati da Trota. Speriamo si apra presto la stagione della pesca.


APOCALISSI ALIENE: il libro

16 agosto, 2010

Joseph

Il caso di Alan Godfrey, risalente al 28 novembre 1980, è uno dei più noti esempi britannici di presunto rapimento alieno. In qualità di ufficiale di polizia nel West Yorkshire, in una fredda ed umida mattina, alle 5.15, l'uomo era impegnato nella ricerca di alcuni capi di bestiame, di cui era stata denunciata la scomparsa, quando ebbe la ventura di imbattersi in un grande oggetto posto di traverso sulla strada di Todmorden. L'oggetto assomigliava ad una trottola: la sua veloce rotazione scuoteva le fronde degli alberi ed i cespugli. La superficie bagnata della strada risultava asciugata laddove si librava l’U.F.O. Secondo la descrizione dell'agente, nella parte centrale dell'aeromobile si apriva una fila di finestre, mentre la parte inferiore ruotava. Godfrey ebbe la presenza di spirito di disegnare l'oggetto su un taccuino per i rapporti.

Una volta sparito l'ordigno, l'agente scoprì di trovarsi più in basso lungo la carrozzabile, senza, però, ricordarsi di essersi ivi recato. Interrogato sotto ipnosi, egli rammentò di essere stato sequestrato e portato a bordo dell'U.F.O. e di essere stato esaminato su un tavolo. A bordo del disco, l'uomo aveva incontrato un essere barbuto dalle sembianze umane. Costui, solennemente avviluppato in un tabarro bianco, gli rivelò di chiamarsi Joseph. Nell'astronave, si trovavano anche altre creature alte un metro e dieci circa, dalle teste a forma di lampada. Gli alieni comunicarono telepaticamente, affermando che sarebbero tornati. Godfrey, attraverso sedute di regressione, tenute da uno psichiatra di Manchester, aggiunse altri particolari: ricordò che il motore dell'auto si era spento all'improvviso e delle interferenze sul telefono della vettura. Dopo che l'abitacolo fu inondato da una luce abbacinante, egli perse coscienza. Godfrey ritrasse gli ufonauti di bassa statura come simili ad androidi: la descrizione del rapito evoca i classici Grigi, anche se con qualche differenza.

Godfrey venne licenziato in seguito al clamore suscitato dalla divulgazione della sua esperienza.

Un aspetto inquietante della vicenda – non mi consta sia stato approfondito dai ricercatori - è la sparizione del bestiame, evento da cui principiò l'avventura di Godfrey. E’ noto che, in alcuni casi, si rileva la scomparsa di animali da allevamento (per lo più mucche, cavalli e pecore) in concomitanza con l’avvistamento di strane luci nella notte. Questi animali sono spesso poi ritrovati, ma morti e con alcuni organi asportati.

La circostanza più singolare coincide con la figura di Joseph che, nella sua ieraticità e nel nome, contiene un quid di “biblico”, come osservò lo stesso Godfrey. Quest’aura sacrale di Joseph (un mascheramento? Una mistificazione?) ricorda il vissuto dell’ingegnere statunitense Brian Scott che riferì di essersi imbattuto a Garden Grove, in California il 22 dicembre del 1975, in un essere semitrasparente che si presentò come The Host (L’Ospite). Così si espresse il testimone: “Host parlava con una voce il cui suono richiamava un qualche tipo di linguaggio computerizzato. La voce sembrava uscire da me: era una voce interiore che, però, non era mia. L’entità affermò che io ero tutt’uno con lui. Ripeté: ‘Io sono, io sono’. Steiger nota una reminiscenza con intento blasfemo del nome con cui Dio si palesò a Mosé sul Monte Sinai: infatti YHWH dovrebbe significare “Io sono colui che sono” o “Io sono colui che è” o meglio “Io sono colui che sarà”.


Fonti:

J. Randles, Le regole dell’Ufologia, 1998
Id.,
Police constable Alan Godfrey's abduction in West Yorkshire, England
Z. A. , Abduction nel mondo, 2007


VIDEO CORRELATO



APOCALISSI ALIENE: il libro

14 agosto, 2010

Night knight

Il mattino cavalco nel cielo
La sera vedo i gelsi trasformarsi in mare
La speranza abita fra le nubi
Lassù troverai palazzo d’oro e d’argento

(Lao T’sai Ho, poeta taoista)

Il cavaliere sa che la solitudine è il suo orizzonte. In lontananza, gli abeti tendono le picche nell’aria di ghiaccio. In alto gli astri bruciano il velluto del buio. La nebbia, fra il colonnato della foresta, è il respiro di dei ignoti. Il destriero, le froge umide, annusa il sentore delle foglie marcescenti. Il sentiero tra gli olmi porta al confine della notte dove i contrari si congiungono nell’abbraccio del silenzio.

Adesso che la luce dell’aurora, falce d’acciaio, sta per dissipare il sogno, il cavaliere s’interna nel bosco più fitto, ma il raggio del sole, lancia del destino, traversa la distesa ed incenerisce l’ultima ora. Il tempo, grigia ombra sulla vita, si sfila in fragili volute di fumo.



APOCALISSI ALIENE: il libro

12 agosto, 2010

Lo specchio del destino

"Scheggia nella carne" (o "spina" o "pungolo") è l'icastica espressione paolina con cui il filosofo Soren Kierkegaard alluse ad un male oscuro che lo torturò. Come spesso avviene, molti studiosi si sono accaniti per individuare il preciso motivo esistenziale di questa lacerazione, di solito riferendosi alla rottura del fidanzamento con Regine Olsen. E' il consueto appiattimento della filosofia in biografismo. Eppure è l'esistenza in sé (ex-sistenza, ossia apertura verso l'angoscia delle possibilità, la disperazione di fronte all'incognito nonché estromissione dall'essere) a costituire questa scheggia conficcata nel corpo e nell'anima. E' l'esperienza interiore del singolo che, se uomo, beve il calice dell'incomprensibile (benché relativo) sino all'ultima goccia. [1]

Avviene talora che un'improvvisa caduta in un baratro lasci intravedere, dal fondo cupo dell'abisso, il fulgore accecante di una stella: è quanto accadde a Nietzsche, quando introiettò la coscienza della morte di Dio. La morte di Dio non è solo la consapevolezza che le credenze ed i valori tradizionali si sono per sempre eclissati, poiché è la desolante visione del deserto, una volta che si è schiacciati dal peso insostenibile dell'irrazionalità. [2]

E' quanto accadde a Kierkegaard. Con conseguenze simili, anche se sotto un altro cielo, egli dovette soffrire della straziante ferita che non si rimargina. L'aver abbandonato l’astratto e falsamente luminoso Empireo hegeliano per tornare, esule tra la moltitudine, fra gli antri scuri dell'esistere è testimonianza di fedeltà al proprio cuore. L'esistenza è il cuore dell'universo e non la rassicurante dialettica degli opposti che non si oppongono. La vita e la fede sono paradosso: è impossibile aderire a qualsiasi religione positiva, a qualsiasi chiesa-istituzione che pretendono di conciliare l'inconciliabile, di ridurre l'irriducibile in formule "chiare e distinte".

L'alterità ontologica, la distanza incommensurabile tra l'uomo e l'Assoluto implicano un salto disperante, come quello di colui al quale, inseguito da una belva e, senza più vie di fuga, restasse una sola speranza di salvezza: lanciarsi nel vuoto del dirupo innanzi a sé. [3] L'innumerabilità delle scelte fa franare il terreno sotto i piedi. L'incessante movimento delle possibilità genera la paralisi e la stessa libertà umana pare affissarsi nel freddo specchio del destino.

[1] Per Pietro Prini l'acribia dei biografi nel tentativo di individuare la natura di questo dolore kierkegaardiano, nell'ambito di una patologia fisiologica o psichica, non tiene conto del punto più importante della questione. Non era, infatti, la natura del male che poteva costituire una chiave interpretativa del "segreto" di Kierkegaard, ma piuttosto il suo comportamento religioso di fronte ad esso, la sua interpretazione teologico-esistenziale del proprio destino stigmatizzato da quella dolorosa eccezione. Questa "palla di piombo sulle ali" era segnata per lui da un carattere religioso, il senso le derivava dall'essere una realtà cristiana.

[2] Sebbene alcuni interpreti abbiano tentato di dimostrare che la nietzchiana "morte di Dio" non implica la negazione del Creatore, mi pare che non si possa disconoscere che il pensatore tedesco fu ateo.

[3] Si pensi a come è oggi decaduta la riflessione teologica, dimentica della differenza ontologica e della scissione creaturale, là dove Dio è ricondotto ad energia elettromagnetica et similia. Dio è stato trasformato in un cellulare: ironico e conforme approdo per un'umanità che vede nel cellulare un dio.



APOCALISSI ALIENE: il libro

10 agosto, 2010

Ladri di anime

La "Prima apocalisse di Giacomo" è un apocrifo del Nuovo Testamento di stampo gnostico, attribuito a Giacomo il Giusto. Il libretto fu composto probabilmente in greco, ma è conservato in lingua copta tra i Codici di Nag Hammâdi (V. 3) e nel Codex Tchacos (2). Il titolo dell'opera è Apocalisse di Giacomo, ma è detta "Prima" per distinguerla dall'omonima apocalisse presente subito dopo nel V codice, detta Seconda apocalisse di Giacomo. Il testo risale ad un periodo compreso tra l'ultimo ventennio del II e la prima metà del III secolo.

Si tratta di un dialogo concernente una rivelazione ("apocalisse") tra Gesù e Giacomo il Giusto, suo fratello, circa la salvezza, intesa in senso gnostico come la liberazione dell'anima dal carcere terreno ed il suo ritorno allo stato primigenio.

La prima parte dell'opera (20,10-30,11) riporta il dialogo tra Giacomo e Gesù. Giacomo è timoroso per la sofferenza che lo attende, assieme a Gesù; questi, lo consola, impartendogli degli insegnamenti sul ruolo dell'uomo nell'universo. Un riferimento indiretto e molto breve alla crocifissione (30,12-13) crea una cesura nell'interlocuzione.

Al principio della seconda parte, il Messia comunica a Giacomo una serie di formule che gli serviranno, dopo il martirio, durante la sua ascesa verso "Colui che è preesistente", per annullare i poteri ostili che tenteranno di ostacolarlo (32,23-36,1). Successivamente Giacomo riceve disposizioni sulla trasmissione segreta degli insegnamenti (36,13-38,11). L'epilogo dell'opuscolo, seriamente compromesso dalle lacune, riporta una lunga narrazione del martirio di Giacomo.

Il testo in discorso manifesta il convincimento gnostico relativo ad un'immonda dominazione arcontica. Vi si legge infatti: "Maestro, ci sono quindi dodici ebdomadi e non sette come è detto nelle Scritture?" Il Signore disse: 'Giacomo, colui che ha parlato per quanto riguarda questa scrittura aveva una comprensione limitata. Io, tuttavia, ti rivelerò ciò che viene da colui che non ha numero. Darò un segno concernente il loro numero. Come per quello che è, viene da colui che non ha alcuna misura, darò un segno sulla loro misura'. Giacomo disse: 'Maestro, ecco quindi, ho ricevuto il loro numero. Ci sono settantadue misure!' Il Signore disse: 'Sono i cieli di settantadue che sono loro subordinati. Questi sono i poteri di tutte le loro forze; e sono state istituite da loro; e questi sono coloro che sono stati distribuiti in tutto il mondo, esistenti sotto l'autorità dei dodici arconti."

Ora, quando Giacomo udì queste cose, si asciugò le lacrime dagli occhi e molto amaro [...] che è [...]. Il Signore disse a lui: 'Giacomo, ecco, ti rivelerò la redenzione. Quando sei afferrato e subisci queste sofferenze, una moltitudine si armerà contro di te per afferrarti. E in particolare tre di loro ti ghermiranno - coloro che siedono come esattori di pedaggio. Non solo chiedono il pedaggio, ma portano via le anime con un furto. Quando si cade in loro potere, uno di loro che è a guardia ti dirà: 'Chi sei tu e da dove vieni?' Gli risponderai: 'Io sono un figlio e sono dal Padre'. Egli ti chiederà: 'Che tipo di figlio sei ed a quale Padre appartieni?' Dirai: 'Vengo dal Padre pre-esistente e sono un figlio pre-esistente."

Interessante la menzione di certi numeri abbinati agli Arconti, il dodici ed il settantadue: sono cifre dal significato astrologico-zodiacale ed inerenti ad entità astrali. L'enfasi sul settantadue, che è soprattutto numero precessionale, parrebbe indicare gli Arconti come "Signori del Tempo" e tiranni del mondo visibile.

Pur nella sua oscurità, dovuta anche allo stato frammentario in cui ci è pervenuta questa Apocalisse, il legato gnostico ci incita a postulare l’esistenza di una congrega invisibile che, rosa dall’invidia, soggioga e vampirizza l’umanità. Le cosmogonie gnostiche svelano, secondo molti studiosi, che gli Arconti sono aborti generati dall’impatto della Sophia (l’emanazione divina) sulla materia.

Non manca chi, forse a ragione, ha riconosciuto negli infami Arconti, specie “aliene” di tipo interdimensionale che sono parassiti e predatori di “anime”. Curioso ed inquietante che il testo in esame descriva la possessione degli uomini per opera di creature inique e che addirittura accenni al “furto” dell’anima, nel passo che ho riportato in grassetto.

La situazione ricorda un po’ il cosiddetto "Libro dei morti", in cui sono indicate le formule e le vie con cui l’anima può accedere al Duat. Da rilevare che la morte è considerata un evento da affrontare con consapevolezza: la condizione dell’anima post-mortem dipende da conoscenze iniziatiche. Colui che non conosce le risposte da dare ai Guardiani della soglia, rischia di essere ghermito e di rinascere in un altro corpo.

08 agosto, 2010

Discorso del metodo

Il matematico

E finalmente, ansimante,
si rende conto della dannata sorte:
la vita è riempirsi di domande
nella speranza di scordar la morte.

E, liberato, sorride
e scopre l'amara burla.
"So tutto", si dice,
"Ma, in fondo, nulla".

(T.M.)

La scienza è un'ostrica.


Vladimiro Arangio-Ruiz (Napoli 1887 - Firenze, 1952) è un filosofo che fu docente alla Normale di Pisa ed alla facoltà di Magistero di Firenze. Determinante nella sua formazione fu in gioventù l'incontro nel capoluogo toscano con il giovane poeta e pensatore, Carlo Michelstaedter, di cui pubblicò gli scritti. Dal suo interesse per il pensiero di Giovanni Gentile, trasse ispirazione per sviluppare il suo "moralismo assoluto". Aduggiate, per lo più, da una pur parziale adesione all'attualismo, in due saggi, "Discorso del metodo", e "Che cos'è filosofia", Arangio-Ruiz riesce a declinare alcune interpretazioni che preludono a Kuhn ed a Feyerabend.

L'amico fraterno del grande Michaelstaedter controbatte a chi, come lo stesso Gentile, esige sistematicità nel pensiero: contro l'alterigia degli eruditi e la presunta oggettività della scienza, l'autore partenopeo rivaluta l'arte maieutica di Socrate, ossia un approccio esplorativo ai temi fondamentali. In "Che cos'è filosofia", Arangio-Ruiz scrive con una prosa un po' involuta, ma denotando un'attitudine dialettica e critica: "Filosofia non è sapere, non possesso ma ricerca; ché, quando filosofia si atteggia a scienza, quando trova una dolcezza nel sapere e, invece di sapere per vivere, vuol vivere per sapere, si fa del sapere una diversa, una fittizia vita; invece di essere sofferenza vissuta e speranza, vuol essere sapere di codesta sofferenza e di codesta speranza - non è più filosofia."

Infatti quella del pensiero è una via negationis ed a chi la percorre non è offerto il sedativo del possesso, l’alloro della supposta verità scientifica. L'indagine è sempre in fieri e, una volta raggiunta la meta (provvisoria), l'itinerario continua. Spesso la via si biforca e procedere può significare retrocedere. Qui si situa l'inconciliabile diversità rispetto alla scienza, almeno quella dogmatica, che è l'indirizzo egemone. Scienziato si può non essere, ma filosofo non si può non essere, poiché la filosofia è consustanziale alla vita, alla sua apertura interrogativa sul mondo, laddove la scienza è paga dei suoi risultati teorici e delle sue anestetiche conferme sperimentali. Essa, attaccata come un'ostrica allo scoglio, non rinunzia ai suoi paradigmi (meglio paradogmi), se non quando costretta da rivoluzioni epocali. Inoltre la scienza si arroga il diritto di tutto spiegare e, nonostante l''estrema contraddittorietà dei modelli, pretende di imporre un'interpretazione esaustiva ed univoca.

Alle ubbie religiose sono sottentrate le superstizioni scientifiche: l'ortodossia scientifica si impianta nel centro del reale, a somiglianza di un microprocessore nel cervello. Questa struttura rigida consuona con le esigenze dei cittadini medio-bassi, avidi di rassicuranti certezze (siano pure confortevoli bugie). Mettere in discussione il dato, la dimostrazione, la stessa verifica implica il rischio del vuoto ad ogni passo e la vertigine dell'ignoto. E' troppo per chi è uso a costruire la sua casa di paglia sul soffice, ma cedevole terreno di "Focus" o di "Superquark". Inetti e pusillanimi, gli uomini preferiscono una menzogna accademica, magari referata, ad una tragica rivelazione. Bene annota C. Pellizzi: "I comuni mortali, colti o incolti, temono le voci forti, le verità laceranti, gli errori decisivi. Il mondo 'intellettuale' è sibaritico."



APOCALISSI ALIENE: il libro

05 agosto, 2010

Segni non decifrati

Riporto due episodi ufologici estrapolati dal novero di una casistica non molto nutrita e poco studiata. L’interessante casistica riguarda U.F.O. o loro rottami su cui furono scorti misteriosi segni che, ad oggi, restano indecifrati. Il primo evento si riferisce ad uno schianto accaduto nel 1954 in Messico ed è ricostruito da Peter Kolosimo; il secondo caso è correlato al noto incidente di Kecksburg.

"Nel 1954 l'attenzione di molti quotidiani fu polarizzata da una curiosa targa metallica rinvenuta nel Messico settentrionale, a poche decine di chilometri dal confine statunitense. La targa recava incisi segni che nessuno riuscì a decifrare. A quanto si disse, l'oggetto era precipitato al passaggio di un apparecchio fusiforme transitato nel cielo ad altissima velocità in direzione sud est. Il comando, che aveva preso in consegna la targa, si dichiarò dispostissimo a farla esaminare, ma, quando alcuni giornalisti si presentarono per scattare fotografie, l'oggetto non c'era più. Qualche giorno dopo, qualcuno affermò trattarsi d'un semplice contrassegno staccatosi da un missile spaziale americano, ma la prova di ciò non venne mai fornita: le autorità competenti 'dimenticarono' d'aver visto la lamina in questione".

Il 9 dicembre 1965, a Kecksburg (Pennsylvania), un ordigno infuocato fu visto cadere. I frammenti furono prelevati da personale militare e trasportati in una zona segreta. Verso le 16:30, molte centinaia di testimoni, ripartiti nei tre stati di Michigan, Ohio e Pennsylvania, oltre all'Ontario, in Canada, videro una palla di fuoco attraversare il cielo su un asse nord ovest/sud est. Anche molti piloti in volo al momento dei fatti notarono il fenomeno e riferirono di un'onda d'urto percepita in prossimità dell'oggetto. Alle 16:45, due bambini che giocavano in un bosco nei pressi della piccola cittadina di Kecksburg, avvistarono un oggetto luminoso, mentre precipitava nel bel mezzo della foresta. Si sviluppò un incendio che arse gli alberi circostanti. I bambini entrarono immediatamente in casa e raccontarono l'accaduto alla madre che avvisò i vigili del fuoco e la polizia.

La spiegazione ufficiale, all'epoca dei fatti, menzionò la caduta di un meteorite. La N.A.S.A. in seguito cambiò versione (di copertura), chiarendo che si era schiantato al suolo un satellite russo.

Ivan Sanderson calcolò la traiettoria della sfera infuocata, basandosi sulle testimonianze e stabilì che l'oggetto si era spostato ad una velocità di appena 1.600 chilometri all'ora. Ciò smentirebbe la tesi di un meteorite che sfreccia a velocità più elevate. Alcuni rapporti della N.A.S.A. indicarono che il satellite sovietico Cosmos 96 aveva effettivamente abbandonato la sua orbita il 9 dicembre 1965, ma alle 3.15 di notte (ossia circa tredici ore prima dei fatti occorsi in Pennsylvania): una simile sfasatura cronologica è del tutto incompatibile con l'orario dell'impatto sulla regione di Kecksburg, orario indicato dai testimoni oculari.

E’ chiaro che l'U.F.O. di Kecksburg, nonostante (o mercè) le "delucidazioni" fornite dall'ente spaziale statunitense, non fu un satellite: tra l'altro, alcuni osservatori, avvicinatisi al luogo dell'impatto, poterono osservare dei glifi su un oggetto che raffigurarono come una gigantesca campana di bronzo con striature dorate sulla superficie. Si tratta di grafemi formati per lo più da archi, asole e segmenti spezzati, talora uniti tra loro. Alcune fonti ufficiali provarono a liquidare le descrizioni dei testimoni, dichiarando che i simboli erano quelli dell’alfabeto cirillico. Anche senza essere esperti di scritture, si nota subito che i segni non sono caratteri del sistema ideato da Cirillo e Metodio.

Si può rilevare una vaga somiglianza formale tra i glifi di Kecksburg e l’antica scrittura semitica di Biblo, risalente all’inizio del II millennio a.C. E’ un sistema di tipo sillabico che il Dhorme ritiene di aver decriptato. Reputo, però, che l'analogia in parola sia il risultato di una coincidenza.

Fonti:

Cortex, Il controverso crash di Kecksburg, 2008
J. Friedrich, Le antiche scritture scomparse, Firenze, 1973, p. 155-161
P. Kolosimo, Ombre sulle stelle, Milano, 1966
R. Malini, Enciclopedia degli U.F.O., Firenze, Milano, 2003, s.v. Kecksburg



APOCALISSI ALIENE: il libro

04 agosto, 2010

In edicola i nuovi numeri di X Times e Fenix

Saranno nei prossimi giorni in edicola i nuovi numeri di "X Times" e di "Fenix". Segnalo, tra gli altri articoli di "X Times", la ricerca di Andrea Della Ventura sulle eruzioni vulcaniche. "Fenix" di agosto è un numero monografico dedicato ai simboli perduti della Bibbia: una tavola del polittico inquadra i Nazirei (o Ebioniti).

Leggi qui il sommario degli articoli.




APOCALISSI ALIENE: il libro

03 agosto, 2010

Esprit de finesse

Absit iniuria verbis

Da Fini alla fine...

Com'era prevedibile, sta per sorgere il fulgido astro di Fini, l'incorruttibile, il Robespierre dell'Italia post-industriale. E' facile preconizzare una grande ammucchiata con immondi connubi tra l'integerrimo Fini, i tromboni del Partito "democratico", gli ondivaghi dell'U.D.C. e spezzatini vari. L'agonizzante Belzebusconi non si rassegnerà tanto facilmente a rinunciare al suo lurido dominio. Il potere non corrompe: il potere è corruzione.

Alle prossime elezioni, saranno presentate le liste del "Movimento cinque stalle", la formazione "politica" fondata dal Grillo che abbindola i grulli. Nel simbolo del partito campeggia una V rossa e diabolica: che singolare coincidenza! E' uno scenario davvero esaltante, in virtù anche di Di Pietro, un altro tribuno della plebaglia, pronto a raccattare una manciata di voti tra i delusi e gli sprovveduti.

Fini ha, nel suo cognome, la sopraffina scaltrezza di un demonio e l'evocazione della fine. Non occorrono analisi: è tutto mortalmente disgustoso. Gli sviluppi della situazione economica, sociale ed istituzionale sono stati programmati con trascurata precisione, con meticolosa negligenza.

Quando uno solo di questi tagliagole si adopererà davvero per por fine immediatamente alle missioni "umanitarie", alle operazioni illegali volte alla contaminazione della biosfera, alla costruzione di centrali nucleari e di inceneritori, all'introduzione di organismi geneticamente modificati, all'euro, ai plutocrati internazionali, alla corruzione endemica in tutte le istituzioni..., allora si potrà prendere in esame l'idea non certo di votarlo, ma di non espellerlo su Plutone.

Intanto gli Italiani sono pronti per essere ancora una volta cucinati da questi raffinati cuochi: è fatale che Fini, dopo aver intortato gli elettori, li trasformi in altrettanti tortellini.

Dall'ammucchiata all'abbuffata... per loro.



APOCALISSI ALIENE: il libro

01 agosto, 2010

Gli Ebioniti: eretici o cristiani delle origini? (seconda ed ultima parte)

Leggi qui la prima parte.

Gli Ebioniti, al pari degli altri giudeo-cristiani, non credevano nella nascita verginale di Gesù e lo consideravano un profeta e taumaturgo, ma non di natura divina. Per questo motivo il Vangelo degli Ebioniti non conteneva il racconto della nascita verginale di Gesù.

Vegetariani (il termine "locuste" invero deriva da un errore di traduzione e dovrebbe essere reso con un più logico "focacce", “schiacciate”) ed apocalittici, questi giudeo-cristiani erano anche usi a condividere i beni, come - sembra - i Qumraniti di cui furono forse una delle filiazioni.

E' plausibile che il loro Vangelo coincida con quello degli Ebrei e dei Nazirei. Alcuni storici reputano che i Nazirei fossero una confraternita identificabile con gli Ebioniti; altri una loro controparte - più che ramificazione - esoterica. Qui si potrebbe enucleare un contatto con l'ambiente in cui fu elaborato il Vangelo detto di Giuda Tommaso, i cui loghia lasciano trasparire un Cristianesimo arcaico e dalle sfumature gnostiche, senza l’influsso di costruzioni ellenistiche.

In questo opuscolo si legge: "Gesù disse loro: ‘Dovunque siate dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale nacquero cielo e terra."(12). Giacomo il Giusto quindi come trait d'union tra gli Ebioniti e la cerchia iniziatica?

Il giorno 11 dicembre del 321, Costantino, figlio di un'ostessa nonché tenutaria di un postribolo, promulgò il Codex de Iudaeis. In esso il principe contrappone la Venerabilis religio, il “Cristianesimo”, alla Superstitio hebraica, formalizzando l’accusa di deicidio contro gli Ebrei. Questa legge è uno spartiacque: segnò non solo il principio di un'antitesi, ma sancì pure l'elaborazione di una dottrina (Cristo, Uomo e Dio) che trovò di lì a qualche anno la consacrazione nel clamoroso e rissoso Concilio di Nicea. Ormai il "Cristianesimo" che si avviava ad assurgere a religione ufficiale, istituzionalizzata, recideva i legami con le sue radici palestinesi. Alla nascita del nuovo credo, ormai urbano, metamorfosi dell'antica fede sbocciata in deserti accecanti e sotto cieli deserti in cui la Legione degli Angeli non si era materializzata, nonostante lo spasmo dell'attesa, contribuì l’abbondante trasfusione di platonismo e di filosofie greche ed ellenistiche, operata dai teologi, fra cui in primis il profondo ma pragmatico Agostino.

Il Giudeo-Cristianesimo si espresse in diverse comunità che assumono il nome di Nazareni (o Nazirei o Nazorei) ed Ebioniti e che si distinsero dalla chiesa nicena maggioritaria. E’ forse più credibile che queste congregazioni furono le correnti di un unico movimento.

Secondo Édouard-Marie Gallez e Luigi Cirillo, numerose sure del Corano mostrano i nessi fra tali correnti orientali e l'Islam predicato da Maometto nel VII secolo. Si ritiene che gli ultimi gruppuscoli di Giudeo-cristiani, relegati ai margini dell’Impero ormai cristiano, confluirono nella religione fondata dal Profeta.

Ogni creazione è anche distruzione: così zelanti e devoti vescovi incendiarono Vangeli (Un "Fahreneit 451" ante litteram), snidarono "eretici", cancellarono testimonianze e, quel che è peggio, loro, fedifraghi, tacciarono i cristiani primitivi di apostasia.

Oggi, a distanza di circa due millenni, qualche lacerto di papiro ed un manipolo di ricercatori indefessi, tracciano il profilo di possibili verità e, forse la più rilevante fra tutte, attraverso studi convergenti, comincia a delinearsi la dottrina dei due Messia. Soprattutto da quei secoli di speranze messianiche, di riottose contrapposizioni cui seguirono sanguinarie repressioni echeggia il grido di un'età (non l'unica) passata sotto una schiacciasassi. E' stata un'impresa improba (i percorsi storiografici non sono meno impervi degli itinerari simbolici), poiché si suole ripetere che la storia è scritta dai vincitori, ma in questo caso la storia è stata soprattutto cancellata dai vincitori… quelli che sovente chiamiamo santi.

Articolo correlato in cui si ipotizza che il Matteo ebraico sia Q: S. Scala, Il primo capitolo del Vangelo perduto: Matteo ebraico, 2010

Fonti:

M. Cogliandro, Ebioniti ed Esseni, 2000
F. Barbiero, Har Karkom, il monte di Dio, in Fenix n. 21, luglio 2010. L'autore, nell'identificare correttamente il Sinai biblico con il Monte Har Karkom nel Negev meridionale, ricorda che in tale luogo dimoravano dei monaci ebioniti.
www.eresie.it



APOCALISSI ALIENE: il libro

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