29 novembre, 2008

La stella del Lupo

Sirio, oltre ad essere al centro di antiche e venerande tradizioni appartenenti ai Dogon, pare sia conosciuta da tempo anche degli Zulu. L'etnia dell'Africa australe definiva Sirio B, la stella dell'abisso. Credo Mutwa, nel testo Song of the stars scrive: "Non solo tra gli Zulu, ma anche fra i Dogon e molte altre tribù africane circolano storie sui Nommo che ricordano quelle dei Popoli delle acque, protagonisti delle nostre leggende. Costoro vengono descritti come esseri intelligenti che hanno visitato la Terra parecchie volte. Vengono di solito ricordati come simili agli esseri umani, ma con pelle che ricorda quella dei rettili".

Come avviene per le Pleiadi che, ad ogni latitudine, sono denominate Le sette sorelle, così Sirio è abbinata presso diversi popoli al Cane o al Lupo. Credo Mutwa, sciamano e storico ufficiale della sua nazione, sostiene che il suo popolo custodisce lo stesso retaggio dei Dogon, chiamando lo splendente astro "Stella del Lupo". Inoltre le antiche saghe degli Zulu raccontano di un popolo di pesci che abitava in mare. Questa stirpe, proveniente da Sirio, approdò sulla Terra. Gli Zulu riferiscono anche di una guerra dei giganti nel pianeta orbitante attorno alla stella: alla fine del conflitto, il popolo dei pesci espulse gli umani.

Emergono qui due aspetti: l'aspetto celeste ed il riferimento ad un Canide, elementi associati forse in Anubi, il dio egizio effigiato di solito come sciacallo o come uomo con la testa di sciacallo. Nel nome Anubi potrebbe essere contenuta la radice "An" che nel sumero designa il cielo. E' probabile che, se la civiltà egizia non derivò da quella dei Sumeri, risentì l'influsso della prima (?) civiltà mesopotamica e ciò potrebbe spiegare il morfema An nel nome del dio egizio che fu il più antico sovrano dell'Oltretomba.

Il geroglifico che indicava Sirio comprendeva l'obelisco e la stella a cinque punte.

L'épos di Gilgamesh accenna ad una stella, accostata al dio An, il capo degli Anunnaki: è un corpo celeste così pesante da non poter essere sollevato.

La tribù Bozo del Mali definisce Sirio la "stella occhio", forse perché, essendo molto luminosa, pare una pupilla nel firmamento notturno.

Si deve presumere che le conoscenze astronomiche di varie etnie africane furono mutuate dagli Egizi: tali conoscenze quindi, dalla regione solcata dal Nilo si irradiarono verso sud. Stando ad antichi miti, esseri anfibi provenienti dal sistema ternario di Sirio giunsero sulla Terra ed incivilirono gli uomini. Simboli legati a Sirio furono trasmessi alle generazioni che si succedettero nei secoli per mezzo di confraternite esoteriche ed è anche possibile che i primigeni valori furono, con il passare del tempo, fraintesi ed anche volutamente distorti. Così la stella a cinque punte, glifo collegato a Venere che, con la sua orbita, disegna tale figura è simbolo molto diffuso e non è molto chiaro per quale motivo questo emblema sia pure connesso a Sirio.

Sarebbe interessante comprendere per quale ragione Sirio sia la Stella del Cane, giacché, secondo le saghe, dall'astro provenivano creature anfibie o ittiformi, di cui si rintracciano indizi in tradizioni mesopotamiche (si vedano Berosso ed Alexander Polyhistor), nel pantheon dei Filistei etc.

Come abbiamo osservato altrove, Sirio è la patria di presunti extraterrestri di sembianze leonine, secondo certe testimonianze. Il mistero si infittisce: cane, lupo, leone formano una triade stellare e mitologica che, ritroviamo, mutatis mutandis, nel I canto della Commedia dantesca, con valenze astronomiche ed astrologiche, dietro il velo dell'allegoria etica.

Il segreto di Sirio è sigillato nei rituali di scuole misteriche degeneri che hanno ereditato una verità iniziatica? E' possibile che l'umanità conobbe migliaia di anni addietro visitatori delle stelle?


Fonti:

Grande enciclopedia illustrata dell'antico Egitto, a cura di Edda Bresciani, Novara, 1998-2005, s.v. Anubi
C. Mutwa, Song of the stars, New York, 1996, p.130
Zret, Il mistero delle Pleiadi, 2008



Nota: l'immagine abbinata all'articolo è tratta dal blog Synopticon.


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27 novembre, 2008

Crepe

Viviamo tempi molto strani, contraddittori: da un lato forse si nota una presa di coscienza per opera comunque di un gruppo sparuto di persone, una consapevolezza rispetto ai veri obiettivi del sistema; dall'altro la massa, che sfortunatamente tende a determinare i processi complessivi, è sempre più manipolata.

Così, se alcuni comprendono che bisogna orientarsi, per quanto possibile, verso uno stile di vita più naturale e verso una visione del mondo più consapevole e scaltrita, la maggioranza risulta ormai plagiata.

Un po' alla volta, con logorante gradualità, i governi hanno modificato geneticamente la nostra vita. Quando usciamo, ad ogni cantone, ci imbattiamo in una pattuglia (Ray Bradbury l'aveva profetizzato): è una militarizzazione strisciante. Gli occhi indiscreti delle telecamere registrano i nostri movimenti: è un'intrusione che abbiamo accettato in cambio della "sicurezza".

Dalle carte di identità con la fotografia, ai documenti con l'impronta digitale, dalla tessera con il microprocessore al microchip sottocutaneo: questa è la climax. Non si tratta tanto di rinunciare alla libertà, ormai ridotta ad una larva, ma alla dignità: è sottesa, infatti, a questa smania di controllo una concezione aberrante secondo cui l'uomo è una cosa in un mondo di cose. Questa è reificazione, la trasformazione dell'individuo in un oggetto. Di fronte a questa deriva, abbiamo quasi tutti taciuto.

Ci hanno rubato il cielo: l'hanno sventrato ed ora da lassù pendono viscere putrescenti. Abbiamo quasi tutti taciuto.

Se ci rechiamo in montagna, ci perdiamo in una selva non di alberi, ma di antenne.

Ci hanno sottratto l'acqua: non abbiamo neanche protestato.

Le nostre tavole sono imbandite con pietanze chimiche, frutto di biotecnologie (parola ossimorica per eccellenza): pranziamo e ceniamo, mentre sulla lapide televisiva si riflettono immagini di morte.

I media enfatizzano, con compiaciuta e diabolica morbosità, l'orrore oppure la volgarità più fatua, affinché il sangue diventi il condimento di una tragica noncuranza.

La cultura è stata affossata, la scienza snaturata affinché propali le menzogne vomitate dal Leviatano.

E' indiscutibile che i veri responsabili di questo naufragio siamo noi: silenzio ed obbedienza non come virtù, ma come ignavia, inerzia e viltà. Don Abbondio era, a confronto, molto più coraggioso.

Un po' alla volta, con estenuante lentezza (il vero fil rouge della storia non è la violenza, ma il sadismo), si sono formate delle venature nell'edificio: le abbiamo coperte con una mano di intonaco e, quando le crepe si sono allungate ed approfondite, quando abbiamo udito sinistri scricchiolii, abbiamo alzato le spalle... ma le spaccature continuano ad allargarsi ed a fendere il cemento.

Le crepe, come la ruggine, non dormono mai.



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26 novembre, 2008

Aforismi

Non si può affermare che gli aforismi contengano delle verità, semmai delle interpretazioni plausibili.

Spesso queste sentenze sono provocatorie: sono frasi fulminee per incenerire una domanda. La filosofia contemporanea, che ha smarrito un criterio di verità, (se mai è esistito) si è espressa per lo più attraverso forme sgranate, non sistematiche, con aguzzi apoftegmi, simili a spini che lacerano la pelle o a schegge confitte nel silenzio di un'interrogazione muta.

Gli aforismi possono essere bagliori che lumeggiano un tema per qualche istante. Controversi ed affilati, gli aforismi fendono le questioni per esibirne frantumi scintillanti. Di fronte alla nostra ignoranza dei problemi fondamentali che da millenni cercano invano una risposta soddisfacente, le massime ci offrono l'illusione momentanea di aver gettato lo sguardo oltre il sipario dei fenomeni.

Il sipario è strappato, ma di là dai tagli si vede solo il buio.




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24 novembre, 2008

Il marchio dell’Anticristo cristianizzato

L'amico Menphis mi ha segnalato un'agghiacciante risposta del teologo (sic) Privitera ad un lettore di Famiglia "cristiana". Il lettore aveva interpellato sulla possibilità che sia introdotto un microprocessore sottocutaneo per controllare alcuni condannati. Precisato che sarebbe preferibile che un teologo si occupasse di temi quali l'adequatio rei ed intellectus, evitando di pronunciarsi su argomenti di attualità di cui nulla comprende, risultano abominevoli e speciose le argomentazioni di Privitera per giustificare l'introduzione del microchip.

L'editorialista afferma: "Il microprocessore può servire per non limitare del tutto la libertà di un essere umano che per motivi di giustizia (???) è sottoposto ad un controllo particolare oppure di una persona smemorata che con quel chip mantiene la sua libertà di movimento, pur rimanendo rintracciabile in qualsiasi momento."

Gli "argomenti" addotti dall'esimio scrittore sono del seguente tenore: “Dal piano della scoperta di uno strumento qualsiasi a quello della sua applicazione nella vita quotidiana il passaggio non è mai così automatico ed acritico. Del resto oggi siamo già quasi sempre sottoposti al controllo di una telecamera, senza che ciò ci crei particolari problemi... Per non parlare dei telefonini cellulari mediante i quali viene registrato ogni nostro movimento e addirittura si può risalire alle nostre conversazioni."

E' l'atteggiamento tipico di chi tende a ridimensionare, a tranquillizzare e che, volente o nolente, fa il gioco dei globalizzatori, o per collusione o per insipienza e sottovalutazione dei problemi. Il discorso di Privitera è, poi, del tutto inficiato dal suo riferimento alla "giustizia" con cui intende il tribunale umano, che, nel migliore dei casi, è vendetta sublimata, quando non è coercizione e violenza istituzionalizzata.

Aveva ragione Manzoni a reputare la legge degli uomini un coacervo di norme inefficienti contro i prepotenti e draconiane contro gli umili, mentre confidava soltanto nell'unica vera giustizia, quella divina. Purtroppo molti "cristiani" di oggi sono sostenitori del sistema, integrati in esso ed hanno abiurato il messaggio rivoluzionario delle origini. Non si pongono più domande, cercando di cogliere l'intima connessione-divaricazione tra la violenza degli stati e la violenza dei singoli. Per quanto mi riguarda, ritengo che la prevaricazione sia sempre esecrabile nonché inutile. Ciò non significa che il cittadino debba essere acquiescente, tutt'altro.

La denuncia delle storture e delle iniquità è doverosa, ma non serve rivoltarsi contro i burattini, bensì è più giovevole svelare gli inganni globali, affinché le persone ritirino completamente la loro fiducia al potere. Non ha alcun senso aggredire Berlusconi ed elogiare il suo sodale Veltroni o viceversa: entrambi sono semplici esecutori di ordini che vengono dall'alto. Non ha alcun senso manifestare contro la stucchevole Gelmini, se si ignora che i tagli collegati alla legge finanziaria, sono un mezzo per fomentare una protesta spesso confusa e caotica. Che significato ha chiedere che si rinunci alle economie nell'ambito del sistema "formativo", se non si comprende che un governo potrebbe sopperire a tutte le esigenze della collettività, con una drastica decurtazione delle spese militari ed abolendo il signoraggio? Dunque l'affossamento della scuola risponde a due obiettivi: accendere la scintilla della rivolta in vista di auspicati interventi repressivi ed eliminare gli ultimi avamposti di dissenso all'interno di istituti ed università.

Lodevole sarebbe un'azione basata non su un attacco ideologizzato contro questo o contro quello, ma sul rifiuto a riconoscere il sistema in quanto tale ed a valorizzare un nuovo modo di approcciare i problemi, con consapevolezza, solidarietà, equilibrio e senza settarismi.

Ad esempio, potrebbe essere forse proficuo mostrare quanto siano organici alla Matrice certi intellettualoidi, come Privitera che si avvale di sofismi tipici dei sinarchisti. E' noto, ad esempio, che costoro sono fautori della gradualità: sapendo che, in genere, i cittadini rifiuterebbero un'intrusione nella loro libertà e dignità che giungesse ex abrupto, ricorrono a misure progressive. Così, si passa dal documento di identità con fotografia, alla carta con l'impronta digitale, per culminare nella tessera con microchip contenenti tutti i dati del suddito fino al microprocessore sottocutaneo, già introdotto, in qualche caso negli Stati Uniti ed in Messico con la scusa di sorvegliare galeotti o bambini o pazienti affetti da Alzheimer o con altre motivazioni.

Questa introduzione è coonestata dal "teologo" che minimizza i rischi della sorveglianza e si affida alla saggezza delle istituzioni che sapranno limitare l'uso di tali dispositivi ai casi strettamente necessari. Così, mentre un po' alla volta ci si avvia verso il marchio dell'Anticristo obbligatorio per tutti, la città di Sanremo, diventa come Londra, con l'installazione di un numero astronomico di telecamere, ufficialmente con lo scopo di scoraggiare i crimini. L'amministrazione comunale, orgogliosa di questa iniziativa, annuncia che questo sistema, costato ai contribuenti 800.000 euro e fonte di nocive irradiazioni elettromagnetiche, sarà ulteriormente integrato. Non risulta che a Londra i delitti siano diminuiti grazie al Grande Fratello, mentre il controllo dei cittadini onesti diventa sempre più invadente. Inoltre ci chiediamo se la delinquenza si combatta solo con la costrizione: se alla violenza dello stato non è etico rispondere con la violenza, il crimine (ammesso e non concesso che si voglia debellarlo) si argina con sempre più draconiane e soffocanti misure?

Infine il "teologo", con i suoi spericolati equilibrismi, di fatto, legittima il marchio dell'Anticristo. E' ironico ed istruttivo che una così sfacciata e scervellata apologia del potere diabolico provenga ufficialmente da un seguace di Cristo.

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22 novembre, 2008

Train

Osservare le linee del paesaggio di là dal finestrino, dove il moto degli alberi, delle case, delle strade... si congela in forme vuote di senso. La vita è questo viaggio immobile sul treno: si potrebbe pure scendere dal convoglio in corsa, ma chi ne ha il coraggio? Dunque per lo più attendiamo la fermata, credendo sia la destinazione. Infatti, quando il treno si ferma in stazione, restiamo lì nello scompartimento a scrutare gli estranei dirimpetto a noi o gettiamo lo sguardo fuori, alla banchina affollata di viaggiatori, alla fontana dalla cui cannella trema un filo d'acqua, al cuneo di cielo grigio incastrato tra le pensiline.

Ignota è la meta, come la stazione di partenza.

Ad un certo punto, mentre siamo persi in un indolente dolore, in questa illusione tragicamente reale, ci sfiora l'ala del destino.

Così, mentre siamo sul treno ancora fermo, si ha l'impressione che il convoglio dirimpetto si muova, ma è quello su cui siamo noi, ad aver cominciato la marcia.




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20 novembre, 2008

Rose di pietra

Quale segreto nascondono i rosoni? Le finestre circolari che si aprono nelle facciate delle chiese romaniche e soprattutto gotiche, lasciano filtrare all'interno delle costruzioni una luce soffusa, misteriosa, spirituale. Il termine "rosone" deriva da rosa che, in inglese e francese, è l'anagramma di éros, inteso sia come energia sensuale sia come fuoco mistico: il misticismo sa essere erotico e l’éros può spiritualizzarsi nella purezza.

In Dante Alighieri il simbolismo del fiore sacro alla dea Afrodite culmina nella Candida rosa che è una magnifica, radiosa ghirlanda di anime.

Come avviene per tutti i simboli, però, numerosi sono i significati: così questi fiori litici sono pure "ruote" astronomiche. Di solito, infatti, i dodici raggi adombrano i segni dello zodiaco, ma, come è stato dimostrato, alludono anche alle ere astrologiche ed al fenomeno della precessione, riscoperto dallo scienziato ellenistico Ipparco nel II secolo a.C., ma già noto ad antichi popoli.

Il cerchio, emblema di perfezione, e di movimento cosmico, è il centro della facciata: assorbe la luce e la trasmuta, quasi alchemicamente, nel momento in cui i dardi aurei del sole penetrano nell'interno della chiesa, ora per innervarsi sui pilastri polistili ora per sfaldarsi fra le navate e sciogliersi tra le ogive.

Il rosone è pure un vortice, una sorta di chakra, il chakra del cuore in cui convergono e si sublimano le energie sottili.

Ancora, l'apertura circolare, con la sua delicata raggiera e le raffinate decorazioni, ricorda le forme armoniose generate dalle vibrazioni sull'acqua o su sostanze viscose. E' noto che, per mezzo del suono, si possono creare delle figure geometriche che rispecchiano l'intima natura vibratoria della materia. Infatti ogni particella ha la sua peculiare frequenza di risonanza.

I rosoni, con le loro dodici note, sono dunque simili a melodie addormentate nella pietra.


Per approfondire si possono leggere i seguenti testi o voci:

Enciclopedia dei simboli, a cura di H. Biedermann, Milano, 1991, s.v. rosa
J. Volk, Il suono, scultore della vita, 2008
Zret, La cosmica rosa, 2007
Id., 23 gradi e cinque, 2006




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19 novembre, 2008

Shumer

L'origine dei Sumeri è incerta, anche se è assodato, dallo studio della loro lingua, che non erano di stirpe semitica. Se si conoscesse l'esatto significato dell'etnonimo Sumeri potremmo comprendere qualcosa di più circa un popolo che costituisce un enigma della storia e dell'archeologia. Shumer dovrebbe significare "teste nere" e potrebbe alludere ad una popolazione di pelle scura che gli antichi abitanti della Mesopotamia assoggettarono: le genti della cultura di Ubaid? Succede che alcune etnie traggano il nome dal popolo che vinsero e con cui si amalgamarono: è il caso degli Hittiti, noti con il nome degli Hatti, gente autoctona dell'Anatolia cui si sovrapposero i conquistatori indoeuropei.

Alcuni studiosi propongono un'altra interpretazione: Shumer significherebbe "teste aperte alla luce divina". La terra di provenienza dovrebbe essere la regione dei Monti Zagros, a nord della Mesopotamia; certi studiosi, avendo osservato delle analogie tra l'astrologia sumera e quella indiana, suppongono che i Sumeri fossero originari del subcontinente indiano.

Nella loro lingua chiamarono il territorio solcato dal Tigri e dall'Eufrate, Kenger, "luogo della canna palustre" o "luogo dei signori inciviliti"? Ken/Ki vale terra ed è voce che si rintraccia in Anunnaki, termine che si può rendere con una buona approssimazione con "Coloro che dal cielo scesero sulla terra", essendo An equivalente a "cielo". Il cielo, la patria dei Sumeri?

Popolo che costruì le fondamenta della civiltà medio-orientale in svariati campi (dalle tecniche agricole alla ceramica, dall'organizzazione politica alle credenze religiose, dall'astronomia alla scrittura...), i Sumeri si distinsero dalle genti che si insediarono successivamente nella terra tra i fiumi, oltre che per la loro superiorità culturale, per la lingua agglutinante di cui alcuni idiomi caucasici e l'ungherese paiono eredi attuali.

Lo studioso ungherese Zoltàn Ludwig Kruse rintraccia le vestigia dell'antica parlata nel magiaro, anch'esso lingua agglutinante nei cui vocaboli ad una radice invariabile si attaccano affissi che ne modificano valore semantico e funzione. Questi morfemi sono definiti "parole-seme" e nell'ungherese rivelano, nonostante millenni di stratificazioni, adattamenti e cambiamenti, l'eco originaria.

Non è agevole rendere i testi delle tavolette fittili dove sono incisi segni cuneiformi: il sumerologo ungherese avverte che le parole possiedono significati plurimi che si diramano da un primigenio nucleo semantico. E' indispensabile un approccio che tenga conto dell'organizzazione agglutinante del sumero: questa struttura perde nei codici flessivi sia semitici sia indogermanici. Accostarsi dunque alle testimonianze scritte dei Kingir attraverso l'ebraico o l'accadico può generare incomprensioni o decodificazioni parziali.

Così riteniamo che certe traduzioni di Zecharia Sitchin, mutuate poi dal suo principale discepolo, Alan Alford, possano essere se non inesatte, incomplete e riduttive, sebbene sia accertata, nell'ambito della cultura astronomica del popolo mesopotamico, la presenza di Nibiru, il pianeta (?) degli "dei", che Kruse opina fosse concepito come un corpo celeste la cui traiettoria era perpendicolare a quella degli altri pianeti. Il professor J.F. Badinyi associa Nibiru ad una traiettoria di attraversamento tra Giove e Marte. Egli ritiene che il pianeta in congiunzione con Giove e Saturno nel segno dei Pesci fu la "stella" di Betlemme.

Come Nibiru, anche il sistema esagesimale abbinato al ciclo del pianeta, al movimento precessionale e forse all'esadattilia, è il misterioso retaggio di un popolo, la cui piena comprensione forse rivoluzionerebbe la storia ufficiale, ma tale intelligenza sembra esserci preclusa.

Fonti:

O. Carigi, Kingir, l'eredità sumera, 2008
Zret, Nibiru tra verità e disinformazione, 2007



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18 novembre, 2008

Nebbia

Che "intellettuali" del calibro di Umberto Ego si affannino a negare la cospirazione è normale: essi sono organici al sistema diabolico ed il loro compito è quello di negare l'evidenza e di intorbidare le acque, ricorrendo alla loro sterile, polverosa, soporifera erudizione.

Recentemente, però, altri autori che fino a ieri dedicavano studi a temi normalmente occultati, si sono uniti al coro gracchiante dei disinformatori di regime, affermando che l'insieme delle ricerche attinenti alle congiure è solo un'accozzaglia di sciocchezze [1]. Quando si troveranno con il portafoglio vuoto, il computer diventato un soprammobile, una bottiglia d'acqua che costerà più dell'oro, se la potranno prendere con le stelle come don Ferrante, non certo con i sinarchisti che, naturalmente, sono solo il parto di persone deliranti. Non esitano a definire U.F.O., scie chimiche... argomenti salottieri, oppure soggetti utili solo per dividere la popolazione in assertori della loro realtà ed in negatori. Costoro, ammesso che siano in buona fede, sono mossi in primo luogo da un atteggiamento snobistico: si sa, chemtrails e rapimenti "alieni" sono temi obsoleti, ormai sulla bocca di tutti. Disquisirne non è più à la page.

In verità, credo che costoro mirino a ridimensionare i problemi reali, agendo come famigerati scribacchini che si industriano ogni giorno per distogliere l'attenzione della gente dal collasso economico, ambientale e culturale del pianeta. Essi inoltre si adoperano per seminare discordia tra i ricercatori indipendenti e, più in generale, tra i lettori, (se solo conoscessero il contrappasso dantesco dei fomentatori di divisioni, forse non si impegnerebbero con tanto zelo in questa deprecabile attività), con le loro amorevoli minacce, le loro scalmanate riconciliazioni. Dopo aver negato ogni complotto, essi subito incorrono in una palese contraddizione, evocando la presenza di un malefico signore delle mosche, di fantomatiche entità che tutto sanno e controllano. Se non è riferimento alla cospirazione questo!

Sono casi da manuale, più che decisioni scaturite da crisi o, ancor meno, da una valutazione attenta e ponderata degli eventi e dei loro molteplici addentellati. Si tratta di persone che credono di evitare l'ineluttabile, rifugiandosi nel loro buen retiro, ma, a differenza di chi opera una scelta di disimpegno anche criticabile ma coerente, essi non osano recidere definitivamente i fili che li legano al passato. Costoro dunque scivolano nell''ambiguità che diviene presto ignavia: affermano, infatti, di non volersi schierare, come se schierarsi dalla parte della verità, della giustizia e del bello, fosse riprovevole. Nel contempo, però, con livore o con sussiego, continuano a sbeffeggiare i ricercatori, a disprezzare il loro operato, aggregandosi di fatto allla compagnia dei guitti.

E' gente tronfia e vuota, dalla mente annebbiata che, attraversando una nebbia densa, crede di poter guidare gli altri. Certo, questa genia può guidare il prossimo verso il baratro, verso l'inferno donde provengono e in cui ritorneranno.


[1] Senza dubbio, bisogna saper discernere: enorme è la mole di corbellerie che si leggono, ma molti libri ed articoli contengono degli spunti, dei frammenti di verità. Come i cercatori d'oro, gli studiosi usano il setaccio per separare la ghiaia ed i detriti dalle festuche e dalle pepite d'oro.



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16 novembre, 2008

State of the nation

Lo stato della nazione è precario. Essi sono abituati a santificare l'alienazione ed a definire la schiavitù libertà. La tradizione culturale italiana è stata sepolta sotto spessi strati di retorica europeista. Non siamo più Italiani, ma Europei. Europa è la parola ripetuta, ore rotundo, in ogni occasione.

Il vuoto infinito dei discorsi presidenziali allaga un paese prostrato, oppresso, invaso dall'immondizia e dall'ipocrisia, dai rigurgiti di fiele della fielevisione, dove scorrazzano pattuglie in una follia militarista divenuta consuetudine, mentre dal cielo trasudano liquami ammorbanti. Simili a fantasmi, alberi moribondi tendono le braccia scheletrite, distese di cemento fondono sotto il sole cocente.

Lo stato della nazione è precario. Sarà più radiosa l'alba, dopo questa notte di pece.




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15 novembre, 2008

E se gli alieni fossero già qui, in mezzo a noi? (articolo del Professor F. Lamendola)

Pubblico un articolo del Professor Francesco Lamendola, autore che, nei suoi documentati e meditati lavori, altresì sostenuti da uno stile adamantino (qualità oggi veramente rara), tratta con equilibrio, competenza ed acume i temi più diversi. L'articolo che propongo è inerente ad una disciplina, l'Ufologia cui, come i gentili lettori sanno, dedico non di rado qualche breve studio. Ringrazio il Professor Lamendola per avermi onorato di una citazione, in riferimento all'angelo Moroni, circa la vexata quaestio relativa alla possibile natura degli "alieni", extraterrestri o creature interdimensionali?


Secondo la mentalità scientista e materialista oggi dominante, non è possibile che creature aliene giungano sul nostro pianeta, poiché vi si oppongono le incommensurabili distanze fra i diversi sistemi stellari e la barriera insormontabile della velocità della luce.

Il fisico Mario Ageno, già allievo di Enrico Fermi e autore, quasi quarant'anni fa (si era in piena euforia per i successi delle navicelle spaziali americane), così si esprimeva in proposito, a conclusione del suo notissimo manuale «Elementi di Fisica» (Milano, Boringhieri, 1976, pp. 689-90):

"Come abbiamo visto, si ritiene oggi che la vita si sviluppi spontaneamente dalla materia inorganica (ma è compito di un fisico, fare una affermazione del genere?), quando certe condizioni ambientali siano assicurate e sia disponibile una conveniente sorgente esterna di energia libera. D'altra parte gli astronomi ritengono che la formazione di un sistema planetario accompagni abbastanza spesso la formazione di una stella e che sia molto probabile che in un sistema planetario accompagni abbastanza spesso la formazione di una stella e che sia molto probabile che in un sistema planetario del genere vi sia almeno un pianeta le cui condizioni superficiali risultino abbastanza simili a quelle che dovevano aversi sulla superficie della Terra circa tre miliardi e mezzo di anni fa.

Anche se non abbiamo per ora alcuna indicazione positiva in proposito e si tratta quindi esclusivamente di speculazioni, non è quindi assurdo ritenere che possano esistere in quella parte dell'universo che possiamo raggiungere coi nostri mezzi di osservazione, alcuni e forse molti pianeti in cui esistono forme di vita.

Ammesso ciò, si pongono immediatamente alcune questioni: fino a che punto è da attendersi che tali forme di vita siano simili a quelle terrestri? Se alcune di queste forme di vita sono intelligenti e tecnologicamente progredite come noi e più di noi, che possibilità v'è di mettersi in comunicazione con esse?

Per ciò che concerne la prima questione, sembra ragionevole attendersi che qualunque forma di vita debba esser basata su quattro elementi H, O, C, N, come la vita terrestre. Non soltanto, infatti, (a parte i gas nobili che, per non essere chimicamente reattivi in questo caso, non interessano) questi sono gli elementi più abbondanti nel cosmo, ma sono anche tutti e quattro elementi del primo periodo del sistema periodico. Solo gli elementi del primo periodo sono, infatti, capaci di formare solidi legami covalenti, sia semplici sia multipli, e di dar luogo a quella grande varietà di composti che sembra indispensabile per realizzare sistemi molecolari che (come gli acidi nucleari e le proteine) possano esistere in un numero praticamente illimitato di tipi diversi, possano riprodursi e nel riprodursi subire mutazioni e quindi possano evolvere. Tutte cose queste necessarie perché un sistema mostri quel comportamento chimico-fisico, che indichiamo correntemente con la parola vita".

Per ciò che concerne la seconda questione, i telescopi e in genere i sistemi di osservazione di cui disponiamo non sono in grado e, a quanto sembra non lo saranno ancora per molto tempo, di mettere in evidenza l'esistenza di pianeti oscuri, nelle vicinanze di un primario di natura stellare. Non è quindi pensabile che si possa dalla Terra verificare l'esistenza della vita su di un pianeta non appartenente al sistema solare. Per ciò che concerne i pianeti del sistema solare diversi dalla Terra, i pianeti più interni, Mercurio e Venere, sono del tutto inadatti a qualunque forma di vita a causa della temperatura superficiale troppo elevata (la temperatura superficiale di Venere supera i 700°K). Per quanto improbabile, non si può ancora definitivamente escludere l'esistenza di qualche forma di vita estremamente primitiva su Marte e, forse, di forme prebiologiche su Giove (che ha una sorgente interna di calore non trascurabile)). Solo viaggi di esplorazione lo potranno decidere. I pianeti transgioviani sono troppo freddi perché si possa avere su di essi un'attività chimica qual è richiesta da forme di vita.

L'articolo continua qui sul sito Ariannaeditrice.


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13 novembre, 2008

I Popoli del mare: un'origine nordica? (Seconda ed ultima parte)

La domanda che molti archeologi e storici eludono circa queste nazioni è relativa alla loro regioni di provenienza: non credo che ci sbaglieremo nel considerare l'Anatolia, Cipro e Creta, zone in cui questi popoli si installarono temporaneamente per poi dirigersi con le loro veloci imbarcazioni verso sud ed ovest. I dati linguistici ed altri particolari inducono a ritenere che queste genti fossero originarie del Nord Europa. E' noto, ad esempio, che i Peleset, anche se si semitizzarono in tempi piuttosto rapidi, conservarono qualche tratto settentrionale, come l'abitudine a decorare le ceramiche con l'effigie del cigno, animale delle alte latitudini che difficilmente si spinge a sud del Po.

E' evidente che la storiografia ufficiale non vuole rinunciare al dogma orientalista il cui corifeo è Semerano, forse per non ammettere un pur labile nesso tra i popoli nordici e discendenti degli Atlantidei. Tra le brume dei mari settentrionali e le lande gelide della Scandinavia, però, dovettero sorgere delle civiltà di cui qualche indizio è filtrato nei poemi omerici. Addirittura negli anni '50 del XX secolo, il professor Spanuth sostenne che l'isola dei Feaci descritta da Omero è l'isola regale degli Atlantidi. Forse più realisticamente l'ingegner Giovanni Vinci colloca la terra dei Feaci in Norvegia. Il poeta tratteggia, nell'VIII libro dell'Odissea, una costruzione che pare un cromlech, un cerchio di monoliti. "Qui c'è anche la piazza intorno al bel recinto sacro di Poseidone: è fornita di grandi pietre trascinate sul posto e confitte nel suolo". Tali cerchi non sono peculiari del nord, ma, insieme con altri particolari, lo scenario dipinto dal rapsodo evoca sovente montagne, coste, mari e nebbie della Scandinavia.

Questa linea boreale, che risale almeno a Tilak, non esclude che il Medio Oriente fu centro di irradiazione di antiche culture, ma l'ostracismo che colpisce gli studiosi settentrionalisti è comunque sospetto. Alcuni eruditi dubitano che esista un nesso tra Shardana e Sardegna e soprattutto negano che la radice "dan" accomuni Denen, Danai e tribù ebraica di Dan, benché la Bibbia (Cantico di Deborah, Giudici 5) affermi che la tribù di Dan “dimora sulle navi”, consuetudine di un popolo di navigatori e non certo di nomadi e di pastori semiti. Bisognerebbe considerare anche il collegamento tra Danen e Tuatha De Danan, antenati degli antichi irlandesi. Secondo Leonardo Melis, il maggiore studioso degli Shardana, l’etnonimo Shardana che significa "principi di Dan", contiene un morfema che accomuna stirpi insediatesi in vari territori anche distanti tra loro. Garbini, voce piuttosto isolata, sottolinea la natura indogermanica dei Peleset nella cui lingua si rintraccia la tipica desinenza del genitivo –s.

I Popoli del mare furono i lontani eredi degli Atlantidi, trasferitisi in Europa settentrionale e centrale? Qualche testimonianza iconografica ritrae dei guerrieri con elmi ornati piume non molto diverse da quelli che usavano i nativi americani. L’armamento (spada ad elsa lunata, scudo circolare, elmo cornigero con sottogola) descritto nei rilievi egizi ricorda quello delle statuine nuragiche. Da Atlantide, dopo che si inabissò, alcuni superstiti si diressero verso oriente ed altri verso occidente. Questo potrebbe spiegare per quale motivo alcune usanze e tradizioni di popoli stanziati sulle opposte sponde dell'Atlantico siano simili: l'esempio più noto è quello delle piramidi egizie e degli analoghi edifici mesoamericani. Veramente le piramidi erette un po' in ogni dove nel mondo sono un mistero intrigante: recentemente sono state scoperte le monumentali piramidi di Visoko, nell'ex Jugoslavia, che dovrebbero rimontare all'XI millennio a.C. Sono la traccia di una cultura di cui non sappiamo per ora alcunché, mentre poco si sa di chi e per quale motivo edifici simili, anche se di dimensioni più modeste. sorgono altrove in Europa, anche in Italia. L'erosione e la crescita della vegetazione ne hanno smussato gli spigoli e li hanno resi simili a colline, ma non sono formazioni naturali, bensì le mute tracce di un passato remoto che stentiamo a ricostruire.

Fonti:

Enciclopedia dell’Antichità classica, Milano, 2005, s.v. Filistei
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Bologna, 2000, ibidem
G. Garbini, I Filistei, gli antagonisti di Israele, Milano, 1997
P. Kolosimo, Il pianeta sconosciuto, Milano, 1958, 2008
La storia, Dalla preistoria all’antico Egitto, a cura di M. Salvadori, Milano, 2006
L. Melis, Shardana, i popoli del mare, 2002
G. Vinci, Omero nel Baltico, Roma, 2002
Zret, Alla ricerca del sigillo reale, 2006



Leggi qui la prima parte.



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12 novembre, 2008

Storm

Lo spettacolo sublime del mare in tempesta: i marosi ruggiscono, la spuma fremente orla le creste, mentre la pioggia obliqua sferza le palme del litorale. Crepacci cobalto fendono l’aria. Difficile immaginare uno scenario più conturbante dove la furia della natura sembra lo sfogo irruente di un'emozione troppo a lungo frenata. Difficile descrivere la tavolozza dei colori cangianti: il glauco del mare con spruzzi di porpora, il grigio plumbeo del cielo dove si frantumano riverberi d'oro, come briciole d'astri...

La burrasca sul mare è una tempesta interiore, lo sconvolgimento dell'anima che accoglie in sé per un istante il Tutto, nella sua lacerante, simultanea contraddizione di creazione e distruzione. E' un attimo di epifania, lo squarcio sul mondo abissale, dove dal silenzio rampollano le sorgenti dell'oscurità.

Come il viandante si ferma sul bordo del precipizio attratto e spaventato dall'ima voragine innanzi a sé, da cui proviene l'eco del vento, così restiamo sgomenti ma incantati di fronte al Nulla che contiene ogni cosa e ci sentiamo frammenti di un infinito proiettati ai confini del tempo. Siamo schegge dell'esplosione primordiale, conficcate nel cuore del cosmo...

La tempesta si è placata ed ora un'acquerugiola accidiosa sgocciola tra i corimbi delle costellazioni.

Ricordando immemori, si riprende il cammino.



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10 novembre, 2008

Il mondo è una Barack

Su Barack Obama è stato scritto in questi mesi tutto ed il contrario di tutto, sino alla nausea, la stessa nausea che si prova, ogni qualvolta ci si accosta all'attualità, ma tant'è omnia munda mundis. Ho sempre ritenuto che il futuro presidente dell'impero di USAtana sia solo un burattino, un uomo scelto dalle élites per perseguire i loro turpi scopi, usando un Anticristo dal volto umano. Tuttavia è anche possibile che Obama sia stato e sia tuttora animato da qualche ideale genuino: in tal caso, rischia di essere eliminato come accadde a Lincoln, ucciso in seguito ad una congiura ordita dai Gesuiti, o come successe a Kennedy. Dubito, però, che costui sia uomo dotato di caratura etica e lo vedo di più come un utile idiota manovrato da poteri più o meno occulti. In primo luogo tra i suoi consiglieri si annoverano tristissimi figuri come Soros, Brzezinsky e Murdoch. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Oltre a questi spaventosi personaggi, ripugnante incarnazione dell'influente e ricchissima gilda sionista, non dimenticherei il vice da lui scelto, ossia il cattolico Biden, prosseneta della prostituta, Babilonia la Grande. Che bell'entourage!

Insomma Obama è legato per un filo a Sion, per l'altro a Roma, due tra i più sinistri e diabolici centri del governo occulto mondiale. Chi prevalga tra questi due potentati, è questione in fondo oziosa: per ora, almeno, sono alleati per l'attuazione dei disgustosi piani sinarchici. Sono piani di cui Obama sarà presumibilmente un docile esecutore, ma, dietro una facciata di sollecitudine per i ceti più poveri e con un programma all'apparenza condivisibile (promozione delle energie rinnovabili, attenzione per temi quali la pace, intesa in senso orwelliano, quindi come guerra, e la collaborazione tra gli stati... ovviamente neanche un cenno alla lotta contro le scie tossiche), perseguirà la solita agenda tesa alla globalizzazione politica ed economica. L'Amero, la moneta unica per Stati Uniti, Canada e Messico, qualora venisse introdotta, sarebbe la prova provata che Obama è il leone della savana che, dopo essere stato catturato, viene addestrato e portato nel circo, dove obbedisce ai suoi domatori. L'introduzione di questa nuova valuta significherebbe che la crisi è stata creata come pretesto per un'ulteriore semplificazione dello scenario internazionale con l'Oceania (America ed Europa occidentale) contrapposta all'Eurasia (Europa mediterranea e Russia). In questo contesto, la "gaffe" di Berlusconi, vassallo del presidente russo Medvedev, acquisisce un preciso significato. Nulla o quasi avviene a caso nello scacchiere della "politica". La battuta pronunciata dal feudatario dell'umiliata Italia sarebbe un omaggio (in senso feudale) per il presidente russo, poiché l'Italia, in un futuro scenario di contrasti fittizi, ma perniciosi, si potrebbe schierare con l'Orso contro l'Aquila.

Qualcuno potrebbe obiettare, dicendo che queste interpretazioni sono i soliti deliri di chi vede cospirazioni in ogni dove e che, se fosse stato eletto Mc Caino, ora s'inventerebbe qualche altra storiella. Ebbene rispondo, in primo luogo, ricordando che la storia non si fa con i se ed aggiungo che, da quando il mondo è mondo, come affermava Balzac, la storia vera è quella occulta ed è vergognosa.

Tralascio altri aspetti esoterici relativi al kenyota salito sul soglio dell'impero ormai decadente, ometto di ricordare che l'accostamento dei cognomi Obama-Biden evoca fonicamente, in modo più provocatorio che sinistro, il Goldstein della situazione, ossia Osama bin Laden.

Purtroppo ho notato che in tutto il mondo l'elezione del leone addomesticato è stata salutata dalle masse acefale come un evento foriero di "magnifiche sorti e progressive". Temo che molti resteranno scottati, non appena Obama getterà la maschera e, dimostrando di essere un rappresentativo esponente del partito demoncratico, darà avvio ad iniziative degne del Socing.

Che poi Barack Obama decida di rivelare qualcosa sugli U.F.O., come auspicato da qualche ingenuo ricercatore, può suscitare solo un sorriso di compatimento. Altro che oggetti volanti non identificati: qui, se non si inverte la tendenza, si rischia di diventare degli oggetti microchippati.




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Programma dell'U.S.A.C. per il periodo novembre-febbraio

L'U.S.A.C. organizza un ciclo di conferenze per il periodo novembre-febbraio. Leggi qui il programma.

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09 novembre, 2008

Virus et Veritas (prima parte)

Prima che io mi addentri nel tema di questo articolo, è necessario, per evitare confusione, distinguere tra il piano empirico e la sfera ontologica. Infatti la verità al centro di questa riflessione è quella ontologica, di cui la verità empirica è solo un pallido riflesso. E' evidente che in questo testo proporrò solo delle ipotesi, poiché la dimensione essenziale sfugge all'esperienza e può essere solo congetturata qualche sua possibile caratteristica. Comunque la sfera fenomenica non è meno enigmatica del substrato noumenico su cui vorrei arditamente gettare un barlume. Prendiamo l'esempio della gravità. Da questo esempio, si comprenderà, tra l'altro, che i due piani sono inscindibilmente legati, come le due facciate dello stesso foglio, una facciata visibile ed una invisibile.

Come possiamo considerare la gravità, in particolare il fenomeno della caduta di un grave?

A La gravità è una delle quattro interazioni fondamentali, forse mediata da una particella denominata gravitone. E' una forza diretta lungo la linea che congiunge i baricentri di due oggetti, di intensità direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. E' questa la "spiegazione" corrente che in realtà è solo una constatazione, un atto di fede nelle leggi fisiche, in un quid misterioso che è così, senza che possa essere inteso nella sua intima natura. Il grave cade poiché il suo moto obbedisce a tale legge.

B La gravità dipende solo da un'abitudine percettiva: se molliamo la presa di un grave, esso si dirige verso il basso, poiché ci attendiamo tale successione di fenomeni, non esistendo alcuna "causa" da cui deriva un "effetto". E' l'interpretazione di Hume che distrugge la scienza tradizionale, fondata sullo studio delle cause, sul propter hoc, invece che sul post hoc. E' teoricamente possibile che un giorno un oggetto di cui si molla la presa, non cada più. Nel caso in cui la gravità di un pianeta si azzeri, ciò certamente accade.

C La gravità è un fenomeno ripetitivo inserito nel programma-universo da una civiltà aliena che ha generato il cosmo olografico (un oloprogramma, per così dire) per mezzo di un complesso algoritmo. L'eventuale diminuzione, intensificazione o annullamento della gravità è il risultato di una modifica delle istruzioni all'interno dell'algoritmo.

D La gravità è una situazione "occasionata" da Dio che, insieme con tutti gli altri fenomeni fisici regolati ed "eseguiti" dall'Essere, ogni qual volta si manifestano. E' l'interpretazione degli occasionalisti francesi (Malebranche in primis) che così tentarono di spiegare l'azione della res cogitans sulla res extensa, sostanze di differente natura e la cui connessione è mediata da Dio. Resta il problema se le leggi fisiche "occasionate" dal Creatore preesistano a lui o siano state da lui decise, come pensava Ockham, sicché la somma degli angoli di un triangolo potrebbe anche non dare 180 gradi, se così non fosse stato stabilito da Dio.

E' palese che, se un fenomeno tanto "semplice", genera una ridda di supposizioni, la situazione diventerà ancora più complessa nel momento in cui si proverà a sfiorare il tema cosmologico, in relazione all'ontologia.




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08 novembre, 2008

Il microsolco

Your lips move, but I can't hear what you're saying (Pink Floyd)

Ologrammi sanguinanti in un universo tautologico. Siamo diventati numeri su uno schermo: possiamo essere cancellati, semplicemente digitando un tasto. Il labile confine tra l'essere e l'esistenza si allarga a formare una voragine immensa.

Mentre il treno della vita corre sul binario dell'ordinarietà, inestricabile groviglio di aghi, scorre là fuori un paesaggio muto, indecifrabile, specchio dell'inferno ulteriore.

Si è incantato, con arido sfrigolio, il microsolco delle galassie.

Siamo numeri stocastici in un universo illogico.




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06 novembre, 2008

La resurrezione delle lingue "morte"

I recenti decreti collegati alla Legge finanziaria inerenti al sistema scolastico hanno riacceso un dibattito mai del tutto sopito. Non spetta a me censurare le iniziative della Gelmini, la madonnina infilzata cui è stato assegnato il Ministero della pubblica distruzione. Senza dubbio i tagli ai finanziamenti per le scuole dei vari gradi ed università rispondono ad un preciso obiettivo. E' evidente che è pura utopia anche solo proporre delle riforme, poiché la scuola è parte integrante del sistema e, in quanto tale, solo un superamento dell'apparato sinarchico, potrebbe determinare un reale cambiamento della società e quindi della scuola. Pertanto il mio discorso ha un significato puramente accademico, essendo sganciato da qualsiasi risvolto pratico.

In una scuola ideale, in cui tra l'altro, come sostiene James Hillmann, l'unica interazione proficua e pregnante sarebbe quella tra maestro ed allievo (altro che classi di quaranta alunni!), mercé un'osmosi costante e ad un'alchimia di parole e soprattutto di silenzi, dovrebbe essere valorizzato in primo luogo lo studio delle lingue cosiddette morte. L'apprendimento di idiomi come il latino, il greco antico, ma anche l'ebraico antico, l'aramaico antico ed il sumero, come di testimonianze glottologiche ormai prossime all'estinzione, quali, ad esempio, le parlate celtiche, stimolerebbe un approccio fondato sul confronto, sul metodo induttivo, con la formulazione di ipotesi e la loro verifica.

Inoltre l'accostamento a lingue siffatte, dai tratti morfosintattici e semantici particolari, favorirebbe l'abduzione e l'intuizione e non solo il ragionamento logico-deduttivo. Pensiamo all'intelligenza ed alla creatività dimostrata da coloro che decifrarono, avvalendosi del metodo etimologico-genetico e del sistema comparativo, lingue scomparse o a quei glottologi che ancor oggi si cimentano nel tentativo di decifrare scritture, la cui decriptazione porterebbe ad ampliare enormemente gli orizzonti culturali.

Non dimentichiamo la riflessione sul lessico e sull'etimologia, miniera di sensi, di addentellati tra lingue apparentemente distanti tra loro, caleidoscopio in cui si specchiano visioni del mondo e dove balugina ancora il bagliore di civiltà primigenie, quasi obliate.

La dimestichezza con queste lingue "morte", oltre a consentirci di accedere a mondi affascinanti, con il loro immaginario religioso, magico e mitologico, ci condurrebbe sulla sponda del simbolo, dove, come da conchiglie rare e preziose, suoni arcani echeggiano con la voce di una lontananza siderale. Spingendosi oltre, forse si potrebbe anche scoprire un legame con le lingue degli "dei".

Poiché tutto o quasi è linguaggio, un'analisi dei codici si rivela di grandissimo interesse, dacché individua correlazioni con il codice genetico, con l'alfabeto stellare, con l'architettura, con la musica... Innumerevoli sono i fili e le stratificazioni. Concordo quindi con Mike Plato che, nell'articolo intitolato, Cabala e Ghematria, la scienza alfanumerica di Israel, 2008 (all'interno di Fenix, n.1), afferma: "La presenza di più idiomi, percepita dai profani come un ostacolo è, invece, per il Figlio della Luce una grande opportunità, per analizzare connessioni ed addivenire al significato nascosto di molte parole".

Le definiscono lingue "morte" o atrofizzate: a me paiono atrofizzati lo slang dei pennivendoli ed il gergo bufalino di Kattivix. D'altronde da menti atrofizzate e mummificate che cosa ci si può attendere?



04 novembre, 2008

I presunti contatti di Sixto Paz Wells

Sixto Paz Wells è un peruviano in presunta comunicazione con una razza di fattezze orientali e di aspetto umano proveniente dalla costellazione di Orione che ha installato una base, caratterizzata da un idoneo microclima, su Ganimede, uno dei satelliti di Giove. Paz Wells dichiara di aver stabilito dei contatti, dopo aver comunicato telepaticamente, con gli extraterrestri per la prima volta nel 1974. Questi eventi sono stati seguiti da avvistamenti di U.F.O. e da incontri con gli alieni nell'area deserta di Chilca, in Perù. Gli avvistamenti hanno coinvolto parecchie persone che sono state preparate per interazioni più importanti. Il caso di Sixto Wells fu investigato dal giornalista spagnolo Juan José Benitez che rimase impressionato dagli avvistamenti e dagli abboccamenti. Secondo il ricercatore Michael Salla, le esperienze di Sixto sono credibili ed è possibile che l'uomo abbia interagito con una nazione "amichevole".

I visitatori incontrati da Sixto Paz Wells chiamano Morlen la luna di Giove conosciuta come Ganimede. Ganimede è la più grande luna di Giove e del sistema solare, con un diametro di 5.262 km. Ha una densità molto piccola, meno del doppio di quella dell'acqua. E'un corpo molto luminoso, ma è costellato di regioni oscure piene di crateri.[...]

Il peruviano afferma che, salito su un'astronave, è stato condotto in una città di Morlen e di aver notato che è piena di cupole, di costruzioni sferiche. A Sixto è stato riferito che gli spigoli tagliano il flusso di energie e determinano condizioni energetiche insalubri.[...]

Gli alieni, dotati di telepatia e di chiaroveggenza, sono stati poi prodighi di notizie circa la presenza di esseri intraterrestri che rappresentano i superstiti di una civiltà perduta e sono custodi di archivi che contengono la vera storia del pianeta, gli attuali discendenti degli Inca, oggi abitanti nell'Amazzonia, il vero ruolo della missione compiuta da Gesù, la funzione degli angeli, Dio, la vita, la morte, il tempo, il cambiamento planetario etc.

Un aspetto singolare è il seguente: Paz wells e numerosi altri testimoni che si sono recati nel deserto di Chilca avrebbero ricevuto dei cristalli di cesio poi incorporati nel loro organismo, dopo che è stata data la questi oggetti una forma piramidale. [1] E' questo un particolare un po' sinistro, poiché i cristalli ricordano gli impianti dei rapiti, sebbene la forma piramidale induca a pensare a piccoli congegni in grado di sprigionare energie sottili.

Come sempre, il giudizio sull'esperienza del peruviano resta sospeso: le sue avventure ricordano moltissimo quelle dei contattisti della prima ora (Adamski, Angelucci etc.) con tutte le contraddizioni tipiche del contattismo, non scevro, però, di qualche interessante anticipazione e di spunti di riflessione antropologica. Il sospetto che gli alieni di Paz Wells siano il frutto di un'illusione o di un inganno rimane (alcuni studiosi sono convinti che gli extraterrestri benevoli non esistono e scorgono in ogni dove demoni in sembianze di visitatori angelici); inoltre la canalizzazioni (dapprincipio Pax canalizzò gli abitanti di Morlen) sono da prendere con il beneficio del dubbio. E' necessario essere molto guardinghi, senza, però, preclusioni verso una possibile interazione con esseri di altri pianeti.

[1] Il cesio è l'elemento chimico di numero atomico 55. Il suo simbolo è Cs. È un metallo alcalino di colore argenteo-dorato, tenero e duttile, ed è uno dei tre metalli che si possono trovare allo stato liquido a temperatura ambiente. L'uso più importante del cesio è negli orologi atomici.

Fonti:

Enciclopedia di Astronomia e di Cosmologia, Milano, 2005, s.v. Ganimede
Enciclopedia delle Scienze, ibid. 2005, s.v. cesio
Intervista a Sixto Paz Wells, 2004, tradotta da Richard di AG
M. Salla, Sixto Paz Wells, 2005




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03 novembre, 2008

Conferenza sul 2012 ed articoli ufologici

Il 14 novembre prossimo, si terrà il convegno 2012: l'anno del "contatto"?

La conferenza si svolgerà nella Biblioteca Comunale di Fornovo "Foro 2000" (Ex Foro Boario - Zona Fiera) - Via Di Vittorio (prima del ponte a destra, direzione Ramiola)

Relatore sarà il Dottor Giorgio Pattera, biologo, Vice Presidente dell'Associazione culturale "Galileo".

Informiamo anche che sul n.° 162 di U.F.O. Notiziario (novembre 2008, uscito oggi) sono pubblicati due articoli del dottor Giorgio Pattera di argomento ufologico: 2007: devastazione dal cielo: sconvolgenti effetti fisici (inchiesta sul "caso" di Pezzolo/Tavazzano-Lodi), pagg. 48-52; Strane tracce a Scortichino (FE), come in Sicilia, in Francia ed in Florida ?, pagg. 54-58.


Qui si trova la locandina del simposio.


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Un altro giorno in Paradiso

Un altro giorno in Paradiso. Molto bene. Non possiamo lamentarci, per ora. Le ruote dentate si muovono ancora, anche se tra molti sussulti e sinistri cigolii. Il meccanismo non è più ben oliato come un tempo. Stiamo cercando un modus vivendi che non sia solo procedere, ma qualcos'altro. Che cosa, però, è difficile stabilire. Si continua, come se tutto fosse normale: i soliti gesti, i soliti volti, i soliti impegni... Ogni tanto increspa la superficie piatta delle consuetudini, l'onda di un turbamento o di un'assurda, fuggevole gioia.

Il mondo sciorina deliri in diretta, si esibisce in laide scenografie, ma è sempre stato così, non è vero? Poi oggi abbiamo il televisore al plasma, il tutto in quadrifonia e tra colori rutilanti.

Un altro giorno in Paradiso: basta serrare porte e finestre e l'inferno svanisce.


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02 novembre, 2008

I Popoli del mare: un'origine nordica? (prima parte)

"Popoli del mare" è la dicitura con cui i testi egizi definiscono gli Haunebu (letteralmente "dietro le isole"), genti che tentarono di invadere l'Egitto tra il secolo XIII ed il XII a.C. Pare che dall’Illirico, dall'Anatolia, da Cipro e da Creta, essi sciamassero verso le coste africane. Coalizzatisi con i Libici, fecero pressione al confine occidentale dell'Egitto dove furono respinti dal faraone Merneptah (1224-1204), mentre altri gruppi assalirono l'Impero hittita di cui forse provocarono la disgregazione. Una seconda più temibile invasione fu arginata dal faraone Ramesses III nel 1170 circa. Questi invasori, i cui nomi sono menzionati in documenti egizi e hittiti, si stabilirono poi in varie regione del Mediterraneo: gli Shardana (Sardi) in Sardegna, gli Shakalasha (Siculi) in Sicilia, i Lukki (Lici) e gli Akhaluasha (Achei), in Asia minore, i Danuna (Danai) in Grecia ed in Palestina, i Peleset (Filistei) in Palestina, i Tursha (Tirreni) in Italia.

La prima menzione di queste genti compare in un'iscrizione di Merenptah (nel 1225 a.C. o 1208 a.C.) che ricorda la sua vittoria su una prima ondata di invasione, nella quale avrebbe ucciso 6.000 nemici e catturato 9.000 prigionieri. L'attacco venne condotto da un'alleanza composta da tre tribù dei Libi e dai popoli del mare, costituiti da cinque gruppi (Eqweš o Akawaša, Tereš o Turša, Lukka, Šardana o Šerden e Šekleš)

In un'iscrizione del tempio funerario di Ramesses III a Medinet Habu (Tebe) questi racconta di aver dovuto fronteggiare, circa venti anni più tardi, una seconda irruzione degli Haunebu, che sconfisse in una battaglia navale dopo che questi avevano distrutto diverse città degli Ittiti e del Mitanni.

In questa iscrizione i nomi geroglifici dei Peleset e degli Zeker (Teucri?) si accompagnano ad un determinativo che indica una popolazione (un uomo e una donna), piuttosto che ad uno militare e sembrerebbero dunque indicare un esercito accompagnato dalle proprie famiglie e dai propri beni. Sui rilievi del tempio sono rappresentate queste popolazioni: viaggiano su carri a ruote piene trainati da buoi o su battelli decorati da teste di volatili o di altri animali alle estremità, mentre i soldati portano elmi con alte piume o con corna.

Navigatori abili e bellicosi dotati di robuste navi rostrate, i Popoli del mare sono citati nella stele di Medinet Habu dove si leggono in primis i seguenti etnonimi: Pheres, Saksar e Denen. Secondo alcuni studiosi, queste denominazioni potrebbero indicare tre stirpi germaniche, ossia i Frisoni (Pheres), i Sassoni (Sachsen) ed i Danesi (Denen). Altri popoli del mare furono , invece, non indoeuropei, ma si aggregarono agli invasori nordici e, in parte, si mescolarono con loro. Il XIII secolo a.C. fu un'epoca di spaventose catastrofi: cambiamenti climatici e conseguenti carestie spinsero genti del Nord Europa verso le regioni del Mediterraneo alla ricerca di condizioni di vita migliori. Con le loro scorrerie gli invasori causarono o accelerarono il crollo della civiltà micenea, dell'Impero hittita e della città minoiche, mentre l'Egitto resistette, ma affrontando incursioni e devastazioni, fino a quando i Peleset, non del tutto domi, si insediarono in quella striscia costiera di terra appartenente alla terra di Canaan che, da loro, prese il nome di Palestina.



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