31 dicembre, 2009

Ipotesi su Mosè

Secondo la Bibbia, Mosè (XIII sec. a.C.?) è il profeta e legislatore che sfuggì alla morte decretata dal faraone per tutti i neonati ebrei. Abbandonato dalla madre in un cesto nelle acque del Nilo, fu salvato dalla figlia del re per essere allevato a corte. Per ordine di YHWH, liberò gli Ebrei dalla schiavitù egizia e li condusse nella Terra Promessa, la Terra di Canaan. Sul Monte Sinai ricevette le Tavole della Legge, segno del patto di alleanza tra Dio ed il popolo di Israele. A Mosè la tradizione ascrive la stesura della Torah. Massimo Salvadori osserva che è difficile stabilire la verità storica circa la vita e l'operato di Mosè. Alcuni storici hanno negato la storicità del personaggio biblico; altri studiosi, sulla base del nome indubbiamente egizio (Moses significa "figlio" nell'antica lingua egiziana), hanno congetturato che il nomoteta fosse un sacerdote del dio Aton, un seguace del culto monoteista promosso dal faraone Amenofis IV-Akhenaton.

E' veramente arduo addivenire a conclusioni plausibili, in assenza di fonti archeologiche e di documenti univoci, riferibili alla biografia di Mosè. Non pare inverosimile che il profeta sia stato un iniziato che tentò di convertire alcuni gruppi di nomadi residenti nella regione del delta ad una religione monoteista. E' prevalente la convinzione che i faraoni descritti nella Bibbia furono sovrani Hyksos, ossia di un popolo composto da un crogiolo di etnie indoeuropee e semitiche che invasero il Basso Egitto nel XVIII sec. a. C. Quindi la presenza di tribù semitiche, il cui carattere etnico e culturale era, però, pressoché inesistente, pare attestata nel secondo periodo intermedio. [1]

Su Mosè un'altra interpretazione è stata avanzata da Leonardo Melis, il noto autore che ha dedicato molti anni di intense ricerche ai Popoli del mare e, in particolare, agli Shardana. Melis reputa che il profeta coincida con Neb.Ka.Set.Nebet. "Citato nei testi egizi come un principe ereditario, figlio di Seti I e nipote di Ramses I, fu il fondatore della XIX dinastia che da lui prese il nome. Nel nome di Nebkhaset è contenuto quello del dio degli Hyksos, che erano Popoli del mare". Lo storico sardo è convinto che Mosè non fu ebreo. Egli, preceduto da vari antropologi, mostra il parallelismo con saghe simili: di Sargon il Grande, Perseo, Ificle, Romolo si racconta che furono abbandonati in cesti o arche. L'autore crede che la strana caratteristica iconografica delle corna, caratteristica che connota Mosè in molte opere pittoriche e scultoree, sia un tratto collegabile agli Shardana: i generali ed i guerrieri Shardana portavano un elmetto cornigero.

Melis si spinge oltre, poiché considera le misteriose genti menzionate nella stele di Medineth, discendenti di una stirpe giapetica dai capelli rossi e di provenienza medio-orientale. Qui la tesi di Melis si aggancia alle acquisizioni degli archeologi che hanno isolato in alcune tribù ebree (Dan, Issacar, Beniamino) una matrice indogermanica. Asserisce il ricercatore: "Gli Shardana si insediarono nella città di Dan, dove sorse il primo tempio di Israele. I Daniti conservarono l'Arca dell'alleanza insieme con il Nehustan, il serpente di bronzo."

Ho compendiato l'esegesi di Leonardo Melis che mi sembra sia significativa almeno per due motivi: se sarà confermata da ulteriori scoperte archeologiche potrà determinare una revisione di giudizi consolidati (Mosè era ebreo, gli Ebrei erano schiavi nella terra dei faraoni...) con le conseguenze che si possono immaginare. Un altro motivo per cui le tesi di Melis meritano di essere esaminate e discusse, risiede nell'attenzione che egli riserva ad una primigenia razza rossa, cui si riferiscono vari autori, e nel tentativo di inglobare in una ricostruzione a volte opinabile, ma suggestiva, l'ipotesi settentrionalista di cui il principale propugnatore è Felice Vinci.

[1] Habiru, da cui il termine Ebrei significa "stranieri", "briganti": gli Habiru erano un coacervo di tribù nomadi che vivevano ai margini del regno egizio, ora accolti come lavoratori saltuari ora respinti nelle zone desertiche dove si davano al brigantaggio.

Fonti:

M. Bontempelli, L. Bruni, Civiltà storiche e loro documenti, Milano, 1993
A. Forgione, I custodi del tempo, 2009
S. Freud, Mosè ed il monoteismo, Milano, 1952
L. Melis, Shardana I custodi del tempo, 2009
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Bologna, 2000, s.v. Hyksos, Mosè



APOCALISSI ALIENE: il libro

29 dicembre, 2009

Due

Il mondo materiale pare scisso da una dualità: in esso coesistono armonia e crudeltà, magnificenza e lordume. Giacomo Leopardi, nel celebre passo dello Zibaldone in cui descrive il "giardino delle sofferenze", osserva, con sguardo che potremmo definire gnostico, la natura in cui, di là dalle parvenze amene, si consuma una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi.

La riflessione sull'intima natura della natura ha impegnato profeti, filosofi, scienziati, artisti: alcuni vedono nel creato il sigillo divino, altri ritengono che in un mondo voluto da Dio si sia poi infiltrato un sabotatore per deturparlo [1], altri concepiscono la materia come antitesi pura dello Spirito, una "morta gora".

Nel Leopardi maturo l'immagine della natura si sdoppia: da un lato essa ostenta un'immagine gradevole, dall'altro affiora la sua essenza di forza cieca, di volontà tesa solo a perpetuare sé stessa, senza curarsi del destino delle creature, dei loro inani patimenti. Ecco allora la potente e solenne immagine della Natura: nella sua glaciale imperturbabilità, risponde alle domande sgomente dell'Islandese sul non-senso dell'esistenza.

E' quella del poeta recanatese una concezione anti-cosmica non molto distante dalle dottrine dualiste (dagli gnostici ai Catari) che vedono nella creazione ilica una caduta, benché Leopardi non creda in un principio spirituale contrapposto all'universo mosso da forze meramente meccanicistiche.

Il dualismo, con le sue forme più o meno radicali (dal dualismo platonico e neoplatonico con cui il cosmo che è letteralmente "ordine"è salvato, benché sia considerato inferiore all'Idea del Bene o all'Uno, al dualismo temperato del Cristianesimo paolino etc.) ha conosciuto un'inaspettata reviviscenza per mezzo di alcuni orientamenti all'interno dell'Ufologia, anche in forme estreme. Mi riferisco qui, in particolar modo, a Corrado Malanga che si è convinto che esistono due generi di uomini: gli uomini con anima e quelli, invece, che ne sono privi, i cosiddetti umani. Tale dicotomia ontologica ricorda la
distinzione gnostica tra uomini pneumatici (spirituali) ed ilici (materiali). Bisogna ammettere che questa visione è impopolare, ma, a mio parere, potrebbe non essere del tutto infondata. Infatti, prescindendo dal significato che intendiamo attribuire alla parola "anima", sembra che un divario incolmabile separi le persone: da un lato uomini con coscienza, dall'altro esseri simili a vuoti involucri, ad automi. Nel celebre film Matrix tale dialettica è riproposta, quantunque in modo ambiguo, nell'antitesi tra gli uomini e le macchine. Tale contrapposizione è evocata da quei ricercatori che individuano negli extraterrestri conosciuti come Grigi delle unità bioniche.

Il discorso è complesso e costellato di aporie, poiché è pressoché impossibile accordarsi sul valore del termine "anima" e sulle sue caratteristiche. Resta l'impressione che non tutti gli uomini siano uguali sicché talora si è tentati di ventilare ipotesi audaci ed eretiche, ad esempio, ammettendo che le piante possiedano una forma di coscienza e, nel contempo, negando che talune persone siano dotate di interiorità, simili a burattini eterodiretti, a robot menomati. Ancora più ardua è la riflessione sulla possibilità che una macchina possa acquisire, insieme con un'autonomia di pensiero e di azione, un'ombra di io. Il paradosso sarebbe se, in futuro, come in alcuni racconti e romanzi di fantascienza, cominciasse a nascere una progenie di automi senzienti in grado di soppiantare un'umanità meccanizzata e "dis-animata".

Già oggi la differenza tra uomini massificati e computers "intelligenti" è minima.


[1] Gli storici delle religioni e gli antropologi lo denominano demiurgo-trickster.



APOCALISSI ALIENE: il libro

27 dicembre, 2009

Pulsar: messaggi da civiltà dello spazio?

Il pulsar è una stella di neutroni in rapida rotazione e che emette fasci di onde radio simili a quelle di un radiofaro veloce. I radiotelescopi sulla Terra captano tali onde nella forma di impulsi radio periodici di notevole regolarità. Il nome pulsar è una contrazione di pulsation radio source (radio sorgente pulsante) ed è stato scelto in analogia al termine quasar. La prima pulsar fu scoperta nel 1967 da Jocelyn Bell Burnell, una giovane radioastronoma che lavorava a Cambridge, sotto la supervisione di Anthony Hewish. L'équipe di Cambridge rilevò che l'oggetto scoperto era molto più piccolo delle stelle appartenenti alla sequenza principale, non maggiore di un pianeta come la Terra. Insieme con l'estrema precisione dell'intervallo tra i due impulsi successivi, questa conclusione indusse i radioastronomi a considerare la possibilità che i segnali captati potessero provenire da una civiltà extraterrestre, ma la scoperta di altre pulsar mostrò che non poteva essere così e che doveva trattarsi di un fenomeno naturale.

Nel 2006 lo scienziato statunitense Paul A. La Violette, in un saggio intitolato Decoding the message of the pulsars, Intelligent communication from the galaxy, ha riproposto la teoria secondo la quale le onde radio delle pulsar sarebbero comunicazioni di popoli delle stelle. Andrew Collins in Segnali dallo spazio profondo, 2009, ipotizza che questi astri di neutroni siano delle creature senzienti in grado di alterare frequenza, forza e natura delle loro emissioni elettromagnetiche: infatti, secondo Collins, la vita nel cosmo potrebbe non essere basata solo sul carbonio (e sul silicio, aggiungo), ma pure sul plasma.

Come si accennava, La Violette opina che la vera natura di questi oggetti celesti sia stata grossolanamente fraintesa. Egli avrebbe scoperto, con uno studio durato ventisette anni, che un numero di singolari pulsar è distribuito in modo non casuale: si tratterebbe di una dislocazione significativa secondo il punto di vista di una civiltà aliena. Nel suo libro, il ricercatore "illustra l'evidenza di inusuali allineamenti tra le pulsar ed interessanti correlazioni tra i periodi degli impulsi. Importante è il messaggio che gli extraterrestri stanno inviando, un avvertimento su un cataclisma dovuto ad un'esplosione del nucleo della Galassia. Questa ammonizione potrebbe aiutare l'umanità ad evitare una futura tragedia di proporzioni globali. Il titolo di La Violette contiene analisi approfondite delle pulsar, con nuove idee sulla loro genesi e sulle loro funzioni, fornisce prove di una rete extraterrestre di comunicazione, include informazioni sui crop circles e sulla tecnologia con cui vengono disegnati."

L'autore ritiene che le pulsar siano nane bianche dotate di generatori di sincrotroni creati da una società galattica intenta a trasmettere messaggi a noi terrestri.

Come valutare l'ipotesi sopra riassunta? Appare bizzarra, benché La Violette sia studioso di valore, abituato a condurre indagini rigorose con l'ausilio di dati e di fonti che spaziano dall'Archeoastronomia alla Fisica, dalla Storia alla Cosmologia... Più che altro il presunto proposito di inviare una comunicazione alla Terra per opera di una star nation, sembra il canovaccio di un romanzo fantascientifico: sappiamo quanto sovente la fantascienza sia illuminata da folgoranti intuizioni sul destino e la storia segreta dell'umanità. Tuttavia credo che l'origine artificiale delle pulsar non sia stata ancora dimostrata in modo incontrovertibile, anche se forse in futuro ciò avverrà. L’universo è più misterioso di quanto immagini la più fervida fantasia.

La congettura di La Violette non è comunque priva di un suo fascino abissale, apocalittico: civiltà sideree inviano messaggi attraverso gli spazi gelidi del cosmo per avvisare dei rischi che incombono su un'umanità distratta ed incamminata fatalmente verso l'autodistruzione.

Su un pianeta defunto e freddo, fra cumuli di macerie fumanti e foschi bagliori di incendi, echeggia un segnale che nessuno ormai può più udire.

Fonti:

A. Collins, Segnali dallo spazio profondo, in X Times n. 14, dicembre 2009
Enciclopedia dell’Astronomia e della Cosmologia, a cura di John Gribbin, Milano, 2006, s.v. pulsar
P. A. La Violette, Decoding the message of the pulsars, Intelligent communication from the galaxy, 2006




APOCALISSI ALIENE: il libro

25 dicembre, 2009

War flames

In Afghanistan abbiamo compiuto dei sacrifici umani.(?) (S. Berlusconi)

Gli analisti oggi discutono di guerra "asimmetrica", un conflitto contro un nemico inafferrabile, subdolo: ma la definizione di "guerra asimmetrica" è solo un'altra ipocrita menzogna dei burattini che hanno appreso perfettamente la retorica orwelliana della "guerra è pace" giù giù fino alla "guerra giusta" propugnata dal lussurioso ladro di pere.

Com' è possibile confidare anche solo per un istante in queste classi dirigenti composte, nel migliore dei casi da ignavi e, quasi sempre, da satrapi sanguinari? In verità, i mercanti di morte, tutti uniti ed affiatati, hanno inventato i nemici per trascinare il pianeta nell'abisso della distruzione. Nessuno studente islamico in Afghanistan combatte le forze della coalizione: sterminata da tempo la resistenza ora, soldati innocentemente feroci, massacrano i loro commilitoni, senza saperlo. Oggi non si combattono guerre civili, ma guerre contro i civili: i loro corpi dilaniati da bombe "intelligenti", da ordigni di candidati manciuriani, giacciono nelle strade tra nugoli di mosche, in stagni di putridume. Il grido muto delle madri si schianta contro un cielo di piombo.

Chi arma i belligeranti? Banchieri in doppio petto, pingui porporati, presidenti "patrioti"... Nel mondo si dilapida un milione di dollari al minuto in spese militari: ecco perché tutti quelli che (politici, economisti, papi...) ciarlano di pace non sono credibili e suscitano solo infinito disgusto per la loro zuccherosa affettazione.

Guerra elettronica, guerra codarda combattuta da vigliacchi con i loro aerei radar e strumentazioni sofisticate per trucidare bambini inermi.

Ogni conflitto ne genera altri in una sequela infinita. Le superpotenze non mirano a vincere le guerre (come si potrebbe poi vincere, se l'avversario non esiste?), ma a straziare intere nazioni, a distruggere, ad atterrire le popolazioni. "Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace".

La retorica bellicista esercita sempre il suo fascino sinistro sul filisteo geloso del suo unto benessere. Questa retorica martellante, ammantata di orpelli, ritmata da marce marziali, è il basso fondamentale del nostro mondo, l'unica tragica certezza in una selva di dubbi.

Alessandro Magno mise a repentaglio la sua stessa vita, pugnando in prima fila, con eroismo ed intrepidezza. Oggi i guerrafondai mandano al fronte giovani disoccupati: tornano storpi e pazzi, se tornano...

Quando l'ultimo taliban sarà snidato dalla sua grotta tra gli aridi monti afghani, allora i missili saranno puntati contro le stelle.

Fino a quando non sarà annientata questa genia di guerrafondai, avidi e crudeli, sulla Terra non si potrà costruire una società fondata sulla libertà e sulla rettitudine.

Intanto, si insegni a scuola, la fucina dei valori, il patriottismo: "Il libro in una mano, la bomba nell'altra".



APOCALISSI ALIENE: il libro

23 dicembre, 2009

Rieder e l'antigravitazione (prima parte)

Nel suo acuto saggio “Gli Alieni”, Johannes Fiebag riporta una testimonianza da lui raccolta riferita a Jurgen Rieder, un uomo che, nel febbraio del 1975, visse un incontro ravvicinato del terzo tipo nei pressi del Lago di Costanza. Rieder fu protagonista, insieme con un suo coetaneo, Heiner di un incontro notturno. Verso la mezzanotte trillò il telefono a casa di Jurgen: era il suo amico Heiner che, avendo cacciato di frodo una lepre, era stato rincorso da una guardia forestale. Temendo guai con la legge, Heiner aveva chiesto aiuto a Jurgen nel cuore della notte. Il giovane si precipitò nel bosco ed esortò l'amico a costituirsi, ma senza convincerlo.

Erano ormai le tre, quando all'improvviso, il cielo ottenebrato da scure nubi, si tinse di un colore lattiginoso, come se stesse albeggiando. I due giovani scorsero poi delle luci danzanti tra gli alberi: Jurgen, incuriosito e mesmerizzato, nonostante l'amico tentasse di trattenerlo, afferrando il lembo della giacca, si avvicinò ai bagliori che apparvero come tre grandi figure, alte circa tre metri. Questi umanoidi sembravano assisi su sedili volanti di cui manovravano delle leve ai lati. In testa indossavano dei caschi che coprivano interamente i volti. I giganti avevano sul dorso una sorta di grosso zaino che arrivava all'altezza della testa e si libravano a bordo dei loro sedili volanti a circa due metri dal suolo da cui schizzava il pietrisco.

Racconta il testimone, accostatosi ad uno delle strane creature : "Questo coso mi venne così vicino che potei specchiarmi nel suo elmo lucente e rendermi conto di come stavo lì impalato. Ora scorgevo anche, a sinistra ed a destra del casco, sullo zaino che portava dietro quattro occhi prismatici ed avevo la sensazione di essere trapassato da un raggio laser... Mi formicolava tutto il corpo, anzi provavo un vero e proprio dolore. Poi mi sentii risucchiare la pelle, come se dal corpo venissero risucchiati tutti i liquidi e di colpo mi prosciugassi e mi rinsecchissi. La testa mi rintronava come se fossi assordato da un forte scampanio e le ossa mi scricchiolavano."

Dopo un po' di tempo, le tre gigantesche figure svanirono e tutto tornò alla normalità. Alla disavventura di Jurgen assisté un incredulo ed atterrito Heiner che restò stranito dall'accaduto per alcuni giorni, mentre Jurgen cominciò da allora ad arrovellarsi su quale fantastico meccanismo azionasse i sedili volanti.

La singolare avventura di Rieder è esaminata con sagacia da Fiebag che ne estrapola gli aspetti peculiari riconducibili alla casistica ufologica (le luci rutilanti, la paralisi, l'incontro con umanoidi, la componente tecnologica dell'esperienza...) ed altri, invece, alquanto eccentrici (i sedili volanti, la sensazione di essere prosciugati). Sebbene questo caso sia in sé già molto stupefacente, le conseguenze del contatto sono ancora più sbalorditive, soprattutto se correlate ad altri episodi e situazioni. Infatti. da quella notte fatale, Rieder cominciò ad essere ossessionato da un unico scopo: costruire una macchina antigravitazionale le cui caratteristiche gli balenavano nella mente in visioni via via sempre più realistiche e nette. All'inizio gli apparve un triangolo con tre turbine rotanti; in seguito il triangolo si trasformò in una doppia piramide al cui interno vide incorporato un triangolo di silicio. In successive immagini mentali riconobbe che tali cristalli o elementi artificiali equivalenti - stratificati in un parallelepipedo simile ad un accumulatore - in determinate condizioni di oscillazioni esercitavano una forza antigravitazionale.

Rieder ebbe l’intuizione relativa al silicio negli anni in cui cominciarono ad essere ingegnerizzati i microprocessori costruiti con questo elemento. Piccoli cristalli di silicio, in virtù delle oscillazioni a frequenza costante, della conducibilità elettrica e della capacità di emettere impulsi, sono alla base della nostra tecnologia: sono, infatti, integrati nella memoria degli elaboratori.

Altri sono, invece, gli elementi che hanno la proprietà di ridurre l’interazione gravitazionale. Nel campo delle tecnologie antigravitazionali, spicca lo scienziato statunitense Thomas Townsend Brown. Townsend Brown è un ingegnere nato in Ohio nel 1905 e morto nel 1985, in una località denominata Avalon, nell’isola di Catalina, nello stato della California.

Dopo aver frequentato l’università, Townsend Brown lavorò all’interno di vari istituti di ricerca, tra cui il prestigioso Smithsonian Institute. Nel 1933 si arruolò nella marina statunitense, dove rimase fino al 1943, ottenendo il grado di capitano di corvetta. In questo decennio, usò le sue conoscenze per studiare e realizzare un metodo di rilevazione magnetica ed acustica delle mine di profondità. Sino alla fine del 1945 operò come esperto di sistemi radar alla Lockheed corporation. Nel 1951 pubblicò sul Physics observer una ricerca su un'apparecchiatura elettrocinetica che sembra fosse in grado di vincere la forza di gravità. Il congegno aveva l’aspetto di un ombrello con un reticolato metallico cui veniva applicata un’alta carica elettrica (tensione di circa 125.000 volts). Forse grazie a questa sua invenzione, percorse una folgorante (in tutti i sensi) carriera che lo portò al vertice della RAND Corporation, dal 1958 al 1974. In quegli anni questa società costruiva basi sotterranee segrete e sembra fosse coinvolta anche in progetti dell’esercito per il controllo mentale.

Sebbene in una totale e sinistra segretezza, le ricerche avviate da Townsend e da altri sono continuate e continuano in laboratori militari dove si sperimentano velivoli antigravitazionali, forse avvalendosi anche di conoscenze frutto di retroingegneria. Alcuni elementi chimici, fra cui il berillio, l’alluminio, il vanadio, il rame ed il bismuto, possono schermare la gravità, se associati ad un forte campo elettromagnetico. In special modo, il bismuto sembra acquisire un‘importanza di primo piano in collegamento con la superconduzione.


Nota: le fonti del presente articolo saranno indicate in calce all'ultima parte.



APOCALISSI ALIENE: il libro

21 dicembre, 2009

Intelligence

Alcuni ufologi sostengono che i rapimenti alieni, gli impianti, i Grigi, le misteriose mutilazioni animali... sono invenzioni dei servizi atte ad instillare la paura e la repulsione nei confronti degli extraterrestri. E' un ambito in cui è difficile districarsi, ma è certo che in moltissime operazioni losche sono implicati i militari. Questo è dimostrato anche da documenti ufficiali in cui l'Intelligence definisce una precisa strategia per demonizzare gli extraterrestri: i sostenitori dell'ipotesi monopolare, in buona o in mala fede, appoggiano tale diabolico piano a suo tempo denunciato dalla Rosin, ex collaboratrice di Werner Von Braun. Non si può certo escludere che esistano delle razze malvagie provenienti da lontanissimi pianeti: queste genie potrebbero aver stipulato patti scellerati con il governo ombra mondiale, cedendo tecnologia, in cambio di una "mercanzia", l'umanità, venduta dagli infami collaborazionisti terrestri.

Secondo alcuni ricercatori, gli alieni non c'entrano, perché la Terra è, in realtà, da tempo immemorabile, dominata da esseri interdimensionali, da demoni: i carcerieri sono dunque extraterrestri o entità astrali? E' forse una questione di lana caprina. Tuttavia appurare che esistono civiltà stellari benevole o per lo meno innocue non è tema di poco momento: potrebbe significare non tanto che non siamo soli nell'universo, come si suole ripetere, ma che non siamo soli in un agone titanico contro i militari.

Alcuni studiosi, di fronte alle abductions, ai microprocessori sottocutanei contenenti leghe ignote, a strumenti ed oggetti volanti avveniristici, arguiscono ipso facto che siamo di fronte a malefici interventi alieni, poiché i terrestri non possiedono le conoscenze scientifiche e tecnologiche per mirabolanti e criminali operazioni. Si deve dissentire: la tecnologia terrestre in ambito strategico è talmente sofisticata da distanziare di decenni la tecnologia civile. Ci si deve chiedere che cosa o chi abbia propiziato questo balzo ed allora tornano in mente ipotetici accordi, sebbene sia possibile che certi ritrovati siano stati carpiti dai sistemi di Intelligence, attraverso lo spionaggio e la retroingegneria.

In fondo, non si tratta di illudersi né di favorire ingenui culti di presunti esseri superiori, ma di ampliare le nostre concezioni della vita nel cosmo, abbandonando un superbo ed arido antropocentrismo che vede nell'uomo l'unica creatura intelligente ed in grado di scegliere tra il bene ed il male, giacché gli alieni sarebbero TUTTI perfidi in modo irredimibile, essendo senz'anima. Che universo sarebbe quello in cui solo gli abitanti del pianeta Terra sono, pur tra mille difetti, gli unici degni di salvezza? Un cosmo siffatto, dominato da popoli crudeli, con l'unica eccezione dei terrestri, è ahrimanico.

Ammesse pure queste congetture, non sono un buon motivo per dimenticare le immense responsabilità delle élites che soggiogano e stritolano l'umanità: se ciascuno di noi rifiutasse in toto di legittimare questi manigoldi, se ci si adoperasse (o ci si fosse adoperati, perché ora pare sia tardi) per esautorarle, per privarle di credibilità e potere, potrebbero i loro burattinai (demoni o alieni che siano) controllare il pianeta? Si può schiacciare l'umanità senza intermediari? Ogni mandante ha bisogno di uno o più esecutori: i mandanti sono dei vigliacchi. Lo stesso Satana senza adoratori potrebbe esercitare il suo funesto influsso nel nostro mondo straziato?

Senza cortigiani sempre pronti all'adulazione ed alla più servile obbedienza, l'imperatore è nudo.



APOCALISSI ALIENE: il libro

19 dicembre, 2009

Attraversare le tenebre

Solo un Dio ci potrà salvare.(M. Heidegger)

Una mattina come tante... all'apparenza. Mentre, in auto, percorriamo il tragitto per raggiungere il posto di lavoro, si susseguono i fotogrammi dell'inferno, un inferno tenuto a forza fuori dalla nostra monade di illusoria normalità.

Cieli spaccati in cui naufragano stormi ebbri di follia, larve giallognole di lampioni nella nebbia, brandelli di voci, morsi di silenzio...

Un giorno come tanti... ma l'orrore è tutto intorno a noi. L'orrore è nella ragnatela invisibile che invischia le menti, nel delirio digitale, nel guazzabuglio di inutili, agonizzanti canali con i televisori presto trasformati in loculi.

Una sera come tante, con il crepuscolo invaso da meduse sanguinolente e trafitto da artigli di oscurità.

Abbiamo attraversato le tenebre, alla luce tremolante della fiaccola, ma il combustibile sta per finire ed i prossimi passi saranno nel buio più duro.

Domani come allora, quando le mani si aggrappavano a tralicci di rovi.




APOCALISSI ALIENE: il libro

17 dicembre, 2009

Guerra tra i pianeti

"Guerra tra i pianeti" (titolo originale "Killers from space") è una pellicola di genere fantascientifico per la regia di William Lee Wilder, fratello di Billy Wilder. Il film, risalente al 1954 e con interpreti Peter Graves, James Seay, Barbara Bestar, Steve Pendleton, Frank Gerstle, John Merrick, pur essendo un prodotto un po' dozzinale e, a tratti, involontariamente ridicolo per i costumi e certi aspetti della sceneggiatura, introduce alcuni motivi divenuti salienti nell'Ufologia.

Il critico Fabio De Angelis ricostruisce l'intreccio nel modo seguente: "Lo scienziato atomico Douglas Martin, dato per disperso dopo un incidente aereo, torna alla propria base dove si stanno svolgendo test nucleari. Il suo comportamento (è, tra l'altro, ossessionato dalla visione di occhi che lo fissano) ed una strana cicatrice impressa sul petto impensieriscono i suoi colleghi. Sottoposto ad una serie di esami medici ed al siero della verità, l'uomo rivela di essere stato catturato da una razza aliena che ha costruito un avamposto proprio nel sottosuolo della base militare e che intende usarlo come inconsapevole "talpa" per trasmettere loro informazioni scientifiche segretissime. Scopo degli extraterrestri è allestire un apparato bellico di potenza inaudita ed impiegare un esercito di insetti giganti per conquistare il pianeta. Dallo spazio alla Terra e dalla terra al sottosuolo per ritornare in superficie e spandersi a macchia d'olio: questa è la strategia degli insoliti invasori del pianeta Astron Delta che, per quanto (presumibilmente) potenti ed evoluti, hanno bisogno di un uomo e delle sue scoperte per cominciare l'invasione [...]

Da sottolineare, in primo luogo, il nesso tra alieni ed energia nucleare: è questa una correlazione che è stata spesso notata. Nel film gli invasori impiegano l'energia atomica per nutrire gli enormi insetti, mentre di solito alcuni resoconti si riferiscono ad U.F.O. che sono intervenuti per sabotare esperimenti che prevedevano l'uso di ordigni atomici. In altre occasioni sono stati scorti oggetti volanti non identificati nei pressi di centrali in cui erano occorsi gravi incidenti con l'evidente riduzione degli effetti distruttivi causati dai malfunzionamenti degli impianti.

Il 26 aprile del 1986 accadde il disastro di Chernobyl, a 130 chilometri da Kiev. Mikhail Varitsky, specialista in tecnologie nucleari e che apparteneva alla squadra impegnata nelle operazioni di soccorso dichiarò al quotidiano Pravda: “Io ed altre persone andammo sul luogo dell’incidente di notte. Vedemmo una sfera di fuoco che si librava nel cielo con un lento movimento. Ritengo che avesse un diametro di sei-otto metri. La osservammo, mentre emetteva due raggi di luce cremisi in direzione della famigerata Quarta Unità. L’oggetto si trovava a circa 300 metri di distanza dal reattore L’evento durò circa tre minuti.” Poco prima che apparisse l’oggetto sconosciuto, i tecnici avevano rilevato un livello di radiazioni sul posto pari a 3000 milliroentgens/h; dopo l’emissione dei fasci cremisi, gli specialisti constatarono con stupore che il livello era sceso ad 800 milliroentgens/h.

Altri temi della pellicola meritano attenzione: “l’abduction con finalità belliche” (P. Morelli), il missing time di cui è vittima il protagonista, un tempo mancante recuperato in analessi attraverso il siero della verità; la cicatrice sul petto come traccia del rapimento; l’installazione extraterrestre scavata nel sottosuolo. Si ricordi che la produzione è del 1954: sono elementi solo occasionalmente accennati nella ricerca ufologica dell’epoca, ma destinati a diventare isotopie negli studi posteriori.

Singolare, infine, l’evocazione di abnormi e sinistri insetti, creature aliene che fanno capolino in alcune opere letterarie e cinematografiche per culminare nelle descrizioni di Mantidi aliene per opera di presunti rapiti, con il diapason degli Aracnidi all’interno del raggelante film "The mist".

Fonti:

R. Malini, U.F.O. dizionario enciclopedico, Firenze, Milano, 2003, s.v. Chernobyl
P. Morelli, Guerra tra i pianeti, 2009, in X times, n. 12, ottobre 2009
Zret, Gli Insettoidi e gli Aracnoidi nell’Ufologia, 2009



APOCALISSI ALIENE: il libro

15 dicembre, 2009

Alle sorgenti del tempo

"Alle sorgenti del tempo" è la nuova fatica di Maurizio Cavallo, ideale seguito, eppure preludio di "Oltre il cielo". L'avventura abissale, di cui l'autore ci rende partecipi con questo suo diario di viaggio ai confini dell'indicibile, deluderà chi si attende curiosità sugli extraterrestri, ma emozionerà i cercatori del silenzio. Le sbalorditive esperienze narrate nel libro si animano in un caleidoscopio cosmico, tra "paesaggi di immane e maestosa grandezza": proprio nella magistrale descrizione di luoghi arcani ed arcaici è la maggiore qualità dell'opera. Tuttavia, questo itinerario fantastico alle fonti dell'universo non coincide con una fuga dalla realtà: infatti, quanto più Cavallo si allontana, in compagnia dei visitatori, dal nostro piccolo geoide, tanto più egli penetra negli abissi dell'interiorità, scavando nelle contraddizioni della storia e degli uomini, verso i quali nutre quell'ambivalenza che ci induce a sentirci esuli nella folla.

Il vissuto dello scrittore, radicato in un'infanzia magica ma tormentosa, si trasfigura nelle magnifiche pagine in cui si slargano scenari la cui terribile, sublime bellezza è resa da una prosa raffinata e vibrante. Così, passi evocativi di ere remote, di pianeti ed astri partoriti da primigenie catastrofi, sono intarsiati con intuizioni sul senso della creazione. Un unico brivido emotivo percorre la contemplazione di spazi incommensurabili e la pittura di intimi quadri della campagna piemontese. Animo abituato ad auscultare le voci quasi impercettibili della natura e gli echi delle emozioni più fuggevoli, Cavallo mostra un innato talento letterario che culmina nei capitoli intitolati Il canto di Venere e La locanda tra i due mondi. Qui la capacità di fondere il mistero delle cose più semplici con gli interrogativi radicali sull'origine del male tocca il diapason. Qui la riflessione si apre a dolenti conclusioni sul destino della Terra e sulle responsabilità di ciascuno di noi.

Provocatorie ed amare, sebbene resti una speranza, simile ad un esile filo di luce che penetra in una stanza attraverso una fessura dell'avvolgibile, sono molte parole su un'umanità invischiata nella ragnatela delle illusioni spazio-temporali e dell'egocentrismo.

Suggello del libro sono dunque gli "incandescenti lemmi di arcaica saggezza" affidati alla voce suadente di Suell: "Quando il tempo scorrerà più rapido ed i segni ovunque indicheranno l'inizio della dolorosa metamorfosi planetaria, gli uomini non capiranno ancora che nessun maestro potrà portarli in alto, se prima non troveranno le proprie ali; nessun demone potrà scaraventarli in basso, senza le tenebre dei propri errori".



APOCALISSI ALIENE: il libro

14 dicembre, 2009

Miseria dello scientismo

Suscitano compatimento quegli "scienziati" che sono convinti di aver strappato alla natura il cuore. Orgogliosi delle loro credenziali, dei loro titoli, sono simili a quei gatti che, gongolando, portano ai loro padroni, stretto tra le fauci un insetto semivivo. In verità, si moltiplicano le teorie, ma, mentre una tecnologia sempre più feroce lacera con affilati artigli il mondo, l'essenza continua ad essere ignorata. Il pensiero raziocinante, con i suoi ingranaggi dentati, sminuzza i fenomeni, senza poterli comprendere.

Si elaborano leggi, si tracciano formule e matrici incomprensibili ai più, credendo di aver carpito al reale i suoi segreti. I numeri si affollano in un brulichio fibrillante, ma gli stessi numeri sono semi sterili. Si classifica, si schematizza: quanto più si categorizza tanto più ci si allontana dalla verità. Una teoria che spiega una serie di manifestazioni sulla Terra non è necessariamente valida per illustrare tutte le misteriose dinamiche del cosmo. Gli "scienziati" sono come idoli muti che con ciechi occhi di onice, incastonati nel granito, fissano le meravigliose coreografie delle galassie.

L'elan vitale è bloccato in un fotogramma di non-senso. L'armonia è violata da una "scienza profana" e profanatrice, spesso anche bugiarda. La vita è esclusa dalla visione: uomini, animali e piante sono oggetti. La natura è un cadavere per dissezioni. La "scienza" fonda il suo imperio, piantando un vessillo tetro che sibila al gemito di un vento mortale. La più saccente ignoranza esercita il controllo sulla massa. Una "scienza"-zombie per morti viventi.

Eppure, nonostante l'infinita miseria di una "scienza" arida e sacrilega, quanti sono incantati dal suo sguardo di Medusa! Oltre ai pastori della morte che sognano un pianeta trasformato in un carcere elettromagnetico, sterminati greggi di dilettanti, pseudo-esperti, universitari freschi di laurea si baloccano con la rassicurante e falsa vulgata "scientifica", magari rimirando il proprio diploma incorniciato sulla parete. Qualche specializzazione poi non guasta: sono così tristi le pareti vuote.



APOCALISSI ALIENE: il libro

12 dicembre, 2009

"Mistero" - Puntata 5 su H.A.A.R.P. e scie chimiche: il video

Il giorno 11 dicembre 2009 il canale Italia Uno ha mandato in onda la quinta puntata di "Mistero", il programma condotto da Enrico Ruggeri. Nel corso della trasmissione, è stato proposto un servizio che ha tratteggiato il controverso e spinoso tema di H.A.A.R.P. in correlazione alle scie chimiche. Sebbene non siano stati considerati i vari addentellati della questione, sono stati evidenziati gli aspetti salienti in modo chiaro e corretto, intervistando scienziati e ricercatori come Jerry Smith. E' stato privilegiato l'argomento delle manipolazioni climatiche, accennando, però, anche alle implicazioni strategiche, economiche ed al controllo mentale.


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Range finder: come si sono svolti i fatti

Botticelli: lo Scorpione ed il Sagittario

"Giovane introdotto alle sette arti liberali" è il titolo attribuito ad un affresco dipinto da Sandro Filipepi, detto Botticelli (1445-1510). L'opera, il cui soggetto è leggibile, nonostante le ampie lacune in basso, è al Louvre, insieme con un altro affresco. Entrambi furono staccati da Villa Lemmi, in Firenze, di cui adornavano la loggia. Pare che la dimora fosse di proprietà dei Tornabuoni e che fosse poi passata ai Lemmi: le opere furono rinvenute nel 1873 sotto lo scialbo. Dapprima furono connesse alle nozze di Lorenzo Tornabuoni con Giovanna degli Albizi (1486); però già il Thiemme [1897] poneva in dubbio l'identificazione della sposa. Presto si riscontrò che il ciclo precedeva la data della cerimonia. Il Gombrich [1945] contestò anche l'appartenenza di Villa Lemmi ai Tornabuoni, identificandola con una magione acquistata da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, quando sposò Semiramide di Giacomo Appiani. Gli affreschi dovrebbero risalire al 1483.

L'affresco in oggetto raffigura sette figure femminili (quattro effigiate di fronte e tre di spalle) che accolgono un giovane accompagnato da una giovane donna, forse Minerva. Sulla sinistra, nella parte inferiore dell'affresco, parte per lo più scrostata, un piccolo angelo con la testa reclinata e circonfusa dall'aureola, guarda verso l'esterno della composizione.

Il Botticelli, artista coltissimo e raffinato e che risentì del milieu neoplatonico fiorentino, introduce nell'opera alcuni simboli che potrebbero assumere un significato astronomico ed astrologico. Infatti la figura collocata quasi al centro tiene in mano un grosso e nero scorpione, alla sua destra la donna (la Retorica?) assisa su un soglio a dominare le altre, stringe nella sinistra un arco. Forse il Botticelli volle adombrare i segni zodiacali dello Scorpione e del Sagittario, secondo un disegno iconografico e simbolico, il cui significato potrebbe alludere al centro della galassia come nel cosiddetto Libro perduto di Nostradamus. Secondo lo studioso Jay Weidner, il codificatore del "Libro perduto" usò lo zodiaco a tredici segni, introducendo anche l'Ofiuco, inteso come riferimento al centro della Via Lattea. Nel solstizio d'inverno del 2012, a compimento del grande anno zodiacale, lo Scorpione e l'Arciere saranno allineati in corrispondenza della fessura oscura nel cuore della Galassia.

Pare che l'artista rinascimentale abbia voluto rappresentare una sorta di iniziazione, mediata da un interceditrice che introduce lil neofita al consesso delle arti del Trivio e del Quadrivio. La mimica dei personaggi è sottolineata: in particolare la donna con l'arco, apre il palmo della mano destra in un gesto solenne. Il colore rosso delle vesti indossate dalla Retorica, dall'anziana donna dipinta nella loggia di Villa Lemmi e da Venere (?) che offre doni ad una giovane accompagnata dalle Grazie (sempre al Louvre), secondo alcuni critici, sarebbe un'allusione a Maria Maddalena, apostola del Messia.

Ho solo fornito degli spunti: altri approfondirà l'esegesi di opere tanto complesse sotto il profilo semantico. Si pensi alla "Primavera", sulla cui sinopia esoterica innumerevoli critici si sono pronunciati per proporre letture e rimandi, senza che si sia addivenuti ad un'interpretazione definitiva ed esauriente. E' evidente che il Botticelli appartiene ad una confraternita di artisti i cui capolavori, talvolta densi di valori criptici, saranno un giorno forse compresi appieno, superando visioni accademiche.

Fonti:

O. Gisler, Il libro perduto di Nostradamus, 2009, in Fenix n.14
G. Mandel, L’opera completa del Botticelli, Milano, 1978




APOCALISSI ALIENE: il libro

11 dicembre, 2009

L'ambiguità di "Matrix" (un controdiscorso)

Il film "Matrix", per la regia dei fratelli Wachowski, (1999), è stato oggetto di numerose interpretazioni confluite anche in una raccolta di saggi Pillole rosse. Matrix e la filosofia, 2006. Sorprende che tra i vari esegeti, alcuni dei quali si sono persi nelle elucubrazioni più cervellotiche, nessuno abbia interpretato la nota pellicola in modo letterale. Questa lettura è peregrina, benché contenga, a mio parere, dei frammenti di verità. (Vedi Il dominio delle macchine da Atlantide a Zeitgeist).

Bisogna ricordare che "Matrix" è un'opera cinematografica che esprime, pur con qualche deviazione dall'ideologia dominante, la Weltanschauung e gli obiettivi del sistema. Pertanto trasformarla nella Bibbia dell'uomo che si ribella al potere è, per lo meno, un'ingenuità. Purtroppo è quello che è accaduto: la pillola rossa, (il) Neo-Messia che redime la popolazione asservita... sono divenuti altrettanti topoi di una rivoluzione velleitaria, surrogati della speranza in un futuro migliore. In ogni caso "Matrix", oltre a fornire interessanti spunti di riflessione su temi ontologici (che cos'è la realtà?), lascia filtrare qualche rivelazione affidata a particolari all'apparenza insignificanti e ad alcune battute dei personaggi, più che all'intreccio nel suo complesso, soprattutto se si leggono al contrario certi aspetti.

Proviamo ad invertire la dialettica uomini-macchine e scopriremo inquietanti risvolti. Si pensi alla frase pronunciata da Morpheus che è un'allusione alle scie chimiche: "Non so quando avvenne, ma ricordo che fummo noi ad oscurare il cielo". Il mentore di Neo intende qui riferirsi alla decisione che presero gli uomini di filtrare la luce del sole per tentare di sottrarre alle macchine l'energia che, alimentandole, le stava rendendo in grado di sopraffare le persone. E' questo forse uno stratagemma narrativo per deresponsabilizzare le élites che perseguono il folle disegno di trasformare l’umanità in un computer bionico. L'oscuramento è anzi volto alla distruzione della biosfera, mentre le microstrutture (M.E.M.S.) sono alimentate dalle onde elettromagnetiche e dai raggi ultravioletti.



L'antitesi tra artifciale e naturale enfatizzata nel film confligge con l'integrazione tra organismi viventi e programmi informatici senzienti vagheggiata dal sistema. D'altronde l'algida matrice che genera una realtà intesa come neuro-simulazione, è combattuta da rivoltosi la cui visione della vita, meramente biologista (gli uomini sono batterie, la mente identificata con l’encefalo, le esperienze come neuro-stimolazioni...), non si discosta molto dalla ferrea ed impersonale gestione energetica attuata dalle macchine.

Benché, per l'enucleazione dei motivi che costellano la pellicola dei fratelli Wachowski si siano scomodati Platone, la Gnosi, Kant etc., siamo al cospetto di una concezione tecno-esoterica in cui i nomi dei personaggi sono sovente più significativi della trama: così Neo è, nella sua vita irreale, Anderson, ossia in una contaminatio tra greco ed inglese, il Figlio dell'Uomo (adombramento del falso Messia, già evocato da Steiner); Morpheus è il nome del dio del Sonno, dunque è colui che, lungi dal risvegliare il protagonista in un mondo atroce ma vero, lo immerge nell'ipnosi dell'inganno che si perpetua, anche se in un differente stato percettivo.

Emblematico è anche il nome della città di Zion. Sion, la città di Dio, è l’unico centro di "Matrix "in cui gli uomini sono liberi, ma è ubicato (non è poi così strano) nelle profondità della terra. Simboleggia la Terra Promessa per l'equipaggio della nave, ma adombra anche uno fra i vertici dell'esecrando potere mondiale.

Un simbolismo biblico ed onirico è collegato anche al nome della nave, Nebuchadnezzar (Nabucodonosor). Nebuchadnezzar, re di Babilonia, fu istruito in sogno da Dio per distruggere gli abitanti di Gerusalemme che adoravano falsi profeti.

Pare dunque di poter intravedere, nel discorso digitale-cibernetico, una filigrana luciferino-transumanista: Neo, il Messia del futuro, è l'Uomo-macchina che, battendosi (fingendo di battersi) per liberare l'umanità dalla schiavitù all'Intelligenza artificiale, alla fine ne riafferma il predominio, mancandogli del tutto una dimensione spirituale, surrogata dalla padronanza delle arti marziali.

L'epigrafe del film è nell'obliqua battuta di Morpheus: "Il corpo non sopravvive senza mente". Il generico e rigido dualismo corpo-mente si rattrappisce nell'unità del cervello, sia esso biologico o elettronico.

Nonostante questi limiti ed ambiguità della produzione cinematografica, resta indelebile la sequenza in cui, azzerata la simulazione elettronica, Morpheus mostra a Neo la Terra così com'è realmente: un immenso cumulo di rovine sovrastato da un cielo grigio e metallico, una landa in cui gli edifici semidistrutti da una guerra planetaria paiono statue di divinità pagane spezzate dalla furia di un cataclisma. E' immagine potente, simbolo della desertificazione del mondo che ci circonda e dell'aridità interiore.

Non occorre, però, che alcun programma informatico crei uno scenario di vita fittizia, visto che il pianeta è già un cadavere.

Non occorre che le macchine prendano il sopravvento su uomini che sono già automi.



APOCALISSI ALIENE: il libro

09 dicembre, 2009

"Il Maestro e Margherita": una questione di prospettiva

"Il maestro e Margherita" è il celebre romanzo di Mikhail Bulgakov (Kiev, 1891 - Mosca, 1940) cui l'autore dedicò gli anni dal 1929 alla morte. Pubblicata postuma nel 1966, l'opera si presta a numerose chiavi di lettura su cui i critici hanno a lungo disquisito, ma l'aspetto che mi pare più significativo è l'inusuale angolazione da cui sono osservate le vicende ed il mondo. Veramente, cambiando la prospettiva, muta anche la percezione del reale. La protagonista del romanzo è l'avvenente Margherita che, dopo essersi spalmata con un unguento portentoso, diventa una strega: la sua dimensione è il cielo notturno, allagato dal chiarore del plenilunio, screziata con il fogliame lacrimoso dei tigli. Anche le macrosequenze dedicate a Pilato ed alla sua tormentata esistenza si qualificano nella vertiginosa verticalità del firmamento in cui il sole cocente dardeggia schegge accecanti e dove rotola cupo il tuono tra drappi di nere nubi. In una faticosa anabasi sembrano dipanarsi le peripezie del Maestro, lo scrittore, il cui talento è misconosciuto dai critici ottusi e conformisti dell'establishment.

La risoluzione dei suoi problemi si trova nella morte: la morte come vittoria ed ancora prospettiva distanziante rispetto all'ima terra. Ascesa ed ascesi. "Oh numi, numi! Com'è triste la terra di sera! Come sono misteriose le nebbie sopra le paludi! Chi ha vagato in queste nebbie, chi ha molto sofferto prima di morire, chi ha volato sopra la terra, portando su di sé un impari peso, lo sa. Lo sa chi è stanco e senza rimpianto abbandona le nebbie della terra, le sue piccole paludi, i fiumi e si consegna con cuore leggero nelle mani della morte, sapendo che solo lei può dargli pace." Qui le brume e le paludi evocano le stagnanti convenzioni della società profana.

Le pagine più dense sono le descrizioni dei voli (reali e fantastici), intesi come trasgressione, fuga e tragitto finale verso la pace e la luce. Le parti più emozionanti sono percorse dal brivido dell'altezza: si pensi all'inquadratura di Pilato che, nella sua grandiosa solitudine, sogna il colloquio con il Nazareno. Si instaura una dialettica tra l'alto, la sfera della trascendenza tramata di selenici arabeschi, ed il basso, il luogo dove prevalgono le bassezze umane. Non è tanto, però, antitesi tra Bene e male, poiché è in un'umida cantina che vivono la loro dolente e romantica storia d'amore il maestro e Margherita, quanto la consapevolezza che la vita umana è insufficiente se priva di tensioni ideali, di slanci.

D'altronde anche i personaggi malefici (in verità "gastaldi di Dio"), ossia Woland ed i suoi stralunati accoliti, non sono estranei all'altezza, benché il loro carattere negativo (ma di una negatività non assoluta, più picaresca che miltoniana) si coaguli nelle tenebre morse da fulmini serpentiformi.

Sono così queste sequenze turbinose e, per così dire, "a piombo" che riscattano i capitoli corali e caotici, affollati di macchiette e di aneddoti, ambientati nella grigia Mosca sotto Stalin. Sono unità che stridono un po' con la tragedia di Pilato e l'elegia del Maestro, veri attori di un dramma che si consuma nell'attesa della fine.

'Ascolta il silenzio - diceva Margherita al maestro e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi - ascolta ed inebriati di ciò che in vita non ti è mai stato concesso, la quiete. Guarda là, davanti a te, l'eterna dimora che ti è stata concessa in premio. Io già scorgo una finestra a trifora e la vite che s'involge e sale fino al tetto. Ecco la tua casa, per l'eternità...'

"Così diceva Margherita, camminando con il maestro verso il loro rifugio eterno ed al maestro sembrava che le parole scorressero come scorreva e mormorava il ruscello che si erano lasciati alle spalle e la memoria del maestro, la inquieta, martoriata memoria cominciò a spegnersi."

Nella conclusione si spegne anche lo spirito di rivalsa. L'epilogo può essere finalmente l'inizio... della vita.



APOCALISSI ALIENE: il libro

07 dicembre, 2009

La sfera di Lepenski Vir (seconda ed ultima parte)

Il termine rune deriva dal norreno rùnar, scrittura segreta, ed è un sistema alfabetico germanico composto in origine da 24 segni poi ridotti a 16 nel sec. VIII d.C. Questo alfabeto è di solito denominato Futhark, nome corrispondente ai primi sei segni della serie. Si ignorano le origini di questo alfabeto e si suppone che esso risalga al II sec.d.C. Si nota qualche analogia con l’alfabeto greco (anch’esso ha 24 grafemi) ed etrusco, ma la nascita delle rune non è tanto legata ad un’esigenza di traslitterazione quanto al simbolismo magico di ogni runa, il cui valore era occulto. Infatti le saghe nordiche rappresentano la runa come incisione magica, come segreto carpito da Wotan attraverso l’impiccagione iniziatica. Le rune venivano incise su legno (corteccia, tronchi), su pietra, su metalli (armi, sigilli, monili). I caratteri trovarono impiego pressoché esclusivo nell’area scandinava, inglese e frisona. Gli ultimi testi runici risalgono al XII sec. d. C.

Come si accennava, se confrontiamo i pittogrammi di Sumer con alcune “lettere” dell’ovoide si notano delle affinità: in particolar modo la spiga mesopotamica ricorda la spiga dell’uovo di pietra.

Si può rilevare anche qualche addentellato tra lo stile filiforme del Danube script con le esili ed angolose rune nordiche. Non si può certo affermare che la presunta scrittura danubiana sia all’origine dell’alfabeto germanico, anche perché un lunghissimo periodo di tempo le separa e tuttavia, ricordando che l’area danubiana fu terra di insediamento di genti indoeuropee sin dall’epoca protostorica, si potrebbe pensare ad un originario milieu centro-europeo da cui affiorò qualche ricordo segnico poi confluito in grafie successive.

Il discorso si collega all’individuazione delle terre in cui fiorirono le prime culture, almeno quelle post-diluviane, eredi di civiltà precedenti e che la storiografia ufficiale confina nel mondo ovattato e “fittizio” del mito. Forse la vexata quaestio della matrice orientale o iperborea della civiltà diventa oziosa, se pensiamo a Sumer come plaga dove i superstiti di un continente meridionale (Mu?) fondarono dei nuclei urbani, ed all’Europa come terra in cui sciamarono, almeno in parte, i sopravvissuti di Atlantide.

Scrivevo, a proposito di tale soggetto, in Ex Oriente lux?

“Bisognerebbe stabilire se la cultura occidentale e quella orientale abbiano la stessa origine, come è probabile, o se siano indipendenti l'una dall'altra. Non escluderei che esse abbiano subito un intervento esterno amalgamato a culture terrestri forse piuttosto primitive per le quali costituì un impulso determinante. Indicare un'esatta cronologia delle varie civiltà è impresa assai ardua, specialmente se si considerano le sincronie, le sovrapposizioni, gli intrecci spesso inestricabili che rivelano talora una compresenza di tracce storiche e preistoriche negli stessi periodi, con strani salti tecnologici e discontinuità.

Tuttavia disconoscere tutto il contributo mitopoietico e linguistico delle culture nordiche ed occidentali, di cui fu espressione anche quella megalitica, mi pare azzardato. Ricondurre ogni manifestazione alla Mesopotamia è riduttivo, ma forse si comprende, se si ricorda che alcuni retaggi sono esclusi dalla paleontologia, dall'archeologia e dalla storia ufficiali forse perché custodiscono segreti scomodi. E' un caso se le persone dai capelli rossi sono oggi vittime di una strisciante persecuzione? Certo, la luce polare è fredda, ma è pur sempre luce e potrebbe rischiarare molti misteri”.

Se i glifi danubiani sono una scrittura, resta da stabilire se è ideografica, sillabica o alfabetica. Questi esili disegni sulla pietra sono davvero la testimonianza che uno dei principali centri di irradiazione culturali è situato nel mondo occidentale? Ex Occidente lux?

Leggi qui la prima parte.



APOCALISSI ALIENE: il libro

06 dicembre, 2009

Bibliografia

Spesso si chiedono consigli bibliografici per approfondire un tema che ci incuriosisce o ci appassiona. E' lodevole, poiché ampliare le proprie conoscenze, documentarsi sulle fonti e sugli studi critici può solo giovare. Tuttavia mi pare che si corra il rischio di perdersi in un labirinto e di smarrire l'obiettivo della lettura. Potranno essere pure utili dei saggi sulle pietre miliari del pensiero e della letteratura, ma la fruizione diretta dei classici è insostituibile: poco importa se non conosciamo le interpretazioni critiche di passi controversi, purché non rinunciamo alla bellezza di poemi e romanzi né ai profondi ammaestramenti delle opere filosofiche.

Alla fine la pletora degli studi rischia di intrappolare i testi, simile ad un groviglio di rovi che soffocano i fiori di campo. Questo è tanto più vero per i critici d'arte che, con le loro sovente sciocche e paludate elucubrazioni, incrostano i capolavori della pittura e della scultura.

Alcune persone mi chiedono suggerimenti su quali libri consultare prima di leggere i Vangeli: è assurdo. Se si è interessati ai Vangeli, li si affronti senza tante ambagi. Se useremo un po' di discernimento, ne scopriremo l'articolazione narrativa, la complessità semantica, la stratificazione storica. A che serve impelagarsi in ardue e talora cerebrali ricerche, per di più su una materia tanto ostica? Ognuno, senza preconcetti, si accosti ai Vangeli: ne trarrà dubbi o insegnamenti. Il dubbio alimenta domande che sono altrettante tappe sulla via della Queste. E' sicuro: l'optimum sarebbe leggere i testi in lingua originale ed avvicinarsi il più possibile all'archetipo, benché l'archetipo, in molti casi, sia un concetto-limite. Quindi, nel caso dei Vangeli, confrontarsi almeno con la Vetus Latina o con la Vulgata, per poi attingere i codici più antichi. Se ciò non è possibile, una buona traduzione, fa comunque alla bisogna. Con le traduzioni si perdono molti valori e molte sfumature, ma evitare di leggere un classico russo, perché non se ne conosce la lingua, è insensato.

Spesso è bene scavalcare tanti saggi che, lungi dal chiarire i testi, sono stati scritti per sviare e per fornire "interpretazioni" addomesticate in linea con la propaganda. Che cosa scopriremo, se risaliremo direttamente alle fonti, pur consci che anche le fonti talora sono inquinate! Occorre poi sempre mantenere uno spirito critico e rifiutare la dicotomia "credere", "non credere". Anche la vera fede non è cieca credulità, ma ascolto, apertura ed introspezione. E' incompatibile con l'indagine ogni atteggiamento fideistico.

Sono principi metodologici e pedagogici ormai dimenticati: gli storici antichi più avveduti erano abituati a documentarsi, a consultare gli archivi, a confrontare le fonti, a vagliarle, ad interpellare i testimoni degli eventi. Incorrevano in errori ed in distorsioni dovute a pregiudizi, ma uno scrittore come Giuseppe Flavio ci ha restituito uno spaccato della storia e della cultura ebraica di notevole caratura. Invano oggi cercheremmo una summa equivalente. Oggi gli "storici", quando non riportano le veline del sistema, si basano sui programmi condotti da Alberto Angela per le loro sapienti ricostruzioni. Gli studenti consultano la pessima enciclopedia della Rete.

Alcune situazioni sono paradossali: accademici ed eruditi discettano sui Catari, senza essersi mai recati in Linguadoca e senza per giunta ritenerlo necessario. La conoscenza che costoro ostentano del Catarismo è realistica quanto un fumetto ed altrettanto risibile. Gli scienziati sentenziano e pontificano, sciorinando formule e matrici. Si atteggiano ad orefici che esibiscono con compiacimento diamanti incastonati in anelli d'oro scintillante; in realtà mostrano della pacchiana bigiotteria acquistata in un mercatino dell'usato. Scommetto che moltissimi biologi non hanno mai osservato una foglia, pur sapendo tutto del Darwinismo... Peccato che il Darwinismo sia una sesquipedale idiozia. Poche nozioni e sbagliate.

A ben riflettere, le opere, pur capitali, sono ancora dei filtri: a volte è necessario andare oltre. E' esperienza istruttiva contemplare il paesaggio che ha ispirato un artista, rivivere un’esperienza che ha suscitato le riflessioni, cercare di immedesimarsi nella sua visione, sintonizzarsi sulle "frequenze" del luogo e del tempo, assorbire le energie...

Il libro per eccellenza non è formato da pagine né esibisce una copertina.

Occorre aprire l'occhio interiore per leggerlo: questo sì che è arduo!



APOCALISSI ALIENE: il libro

05 dicembre, 2009

X Times n.14 in edicola

Sarà in edicola dal 9 dicembre il numero 14 della rivista "X Times". Leggi qui il sommario degli articoli e l'editoriale della Direttrice, Lavinia Pallotta.

04 dicembre, 2009

Miracoli

Fendi il legno e io sono là; solleva la pietra e là mi troverai. (Vangelo detto di Giuda Tommaso)

Il miracolo è la meraviglia, lo stupore di fronte al mistero dell'essere. Così ci sorprendiamo ad osservare la formica che si arrampica su un filo d'erba, come un pensiero si svolge in volute di galassie. Nelle cose più semplici il miracolo, che non è la violazione di una presunta "legge" di natura, manifesta orizzonti spirituali: nella melopea che si inarca nel silenzio, nel colore che liquefa il buio, nel fragile profumo che risveglia un ricordo.

L'infinito contiene altri infiniti, ineffabili, dimenticati.

Ci passano accanto i miracoli senza che ce ne accorgiamo: il mondo è cieco. Il firmamento spruzza gocce di stelle sulla superficie della notte, ma l'arida indifferenza le prosciuga.

I miracoli non avvengono più, perché non sappiamo meravigliarci.



APOCALISSI ALIENE: il libro

02 dicembre, 2009

Peter Pasini: il marchio di un rapito

Peter Pasini è un tenore australiano abitante nei pressi di Melbourne. Pasini, nel luglio del 1988, (altre fonti indicano il mese di giugno) – secondo il suo racconto – fu rapito da un equipaggio di un U.F.O. Da quella volta i rapimenti si succedettero più volte: in Ufologia i soggetti che vengono sequestrati in più occasioni sono definiti repeaters. Il giovane tenore dichiarò: “Da allora la mia famiglia ed io non abbiamo più avuto pace. Abbiamo traslocato tre volte, ma gli alieni ci seguono.”

Johannes Fiebag ricostruisce le vicissitudini di Pasini nel modo seguente: “Il primo rapimento ebbe luogo a Rosenwood, una piccola località vicina ad Ipwich, nell’Australia meridionale. 'Erano circa le 21 ed io mi trovavo in casa. All’improvviso, sentii un impulso irrefrenabile di uscire all’aperto. Quando guardai giù in strada, vidi un pallone dorato che volava seguendo i binari della ferrovia. Sulle prime pensai si trattasse di un nuovo modello di aereo, ma non faceva alcun rumore. M’incamminai verso di esso. Quello che mi sorprese di più era il senso di pace e di distensione che la luce dell’oggetto mi infondeva. Pur essendo di un chiarore abbagliante, non mi feriva minimamente gli occhi. Mentre me ne stavo lì affascinato da quella luce, apparve una figura umana tutta bianca e lucente come seta, con un’enorme testa, grandi occhi spioventi e bocca sottile come un taglio. Mi guardò, poi tutto sparì intorno a me. La prima cosa di cui mi ricordo ancora dopo questo fatto è che mi trovavo nel giardino di casa'. Ma non è tutto: qualcuno gli versò sulla testa uno strano liquido freddo, una sostanza trasparente e gelatinosa che gli cola giù per le guance. 'In quel momento mi accorsi che, accanto a me, stava inginocchiato mio fratello Gary: anch’egli aveva visto la luce'. Barcollando i due fratelli rientrano in casa e constatano con sorpresa che la loro madre sta dormendo profondamente, visto che dal momento in cui sono usciti di casa, sono trascorse sei ore. 'Quando mi guardai allo specchio del bagno – continua Pasini – scorsi sulla fronte un marchio rosso e circolare che mi faceva un male d’inferno. Avevo anche piccole bolle dietro le orecchie'. Per oltre un anno l’allora sedicenne Peter Pasini trascina la vita tormentata dal ricordo degli inspiegabili casi di quella notte”.

In seguito il giovane decise di consultare un ipnotizzatore: gli tornò alla mente un letto di metallo sul quale era stato adagiato, una fortissima luce bianca ed un umanoide che, preso un cilindro scuro, glielo aveva puntato contro. L’ufonauta inserì il cilindro nell’orecchio sinistro dell’adolescente che perse i sensi. Quando si destò, Peter era seduto davanti ad una finestra circolare da cui potè ammirare un cielo punteggiato di stelle.

Il caso di Peter Pasini snocciola il repertorio classico delle abductions: bagliori corruschi, esami medici a bordo di un’astronave, cicatrici e soprattutto la raggelante paura. Un aspetto concernente l’esperienza di Pasini merita di essere approfondito: il marchio sulla fronte che, insieme con l’innesto probabilmente introdotto nel malcapitato (si ricordi lo strumento a forma di tubo diretto nell’orecchio sinistro), testimonia che il vissuto ha un fondamento nella “realtà” fisica. In altri casi, infatti, si può ritenere che le esperienze dei rapiti si situino in una dimensione mentale, benché sia arduo indicare il confine (se tale confine veramente esiste) tra piano concreto e sfera psichica. Non si può neppure essere sicuri che Pasini incontrò degli extraterrestri, giacché, come è stato ipotizzato dai ricercatori Lammer e Boylan, falsi scenari di abduction possono essere creati dai militari, somministrando droghe e per mezzo di sofisticate tecnologie.

Pasini si convinse che gli era stato impiantato un microprocessore cerebrale: in effetti, pur avendo cambiato casa più volte, i suoi persecutori riuscirono a rintracciarlo anche nelle nuove abitazioni, forse grazie all’innesto miniaturizzato che consentiva loro di localizzare la vittima. Se gli impianti hanno solo questa funzione… [1]

[1] Nel 1990 Pasini fu protagonista di un avvistamento: mentre stava osservando il pianeta Venere che sorgeva ad oriente, vide un oggetto sigariforme e con una luce rossa pulsante. Il velivolo si librò per scomparire nel cielo notturno. Cinque minuti dopo, l’uomo scorse una nube scura nella direzione in cui l'ordigno era apparso.


Fonti:

J. Fiebag, Gli Alieni, Roma, 1994
R. Malini, U.F.O., il dizionario enciclopedico, Firenze-Milano, 2003, s.v. Pasini Peter
Research digest dell'UFORA, a cura di Keith Basterfileld, 1990


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APOCALISSI ALIENE: il libro

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