31 gennaio, 2009

In edicola il numero 4 di "X times"

Nel prossimo numero di X times, in edicola nel mese di febbraio, si potranno leggere, tra gli altri, alcuni articoli concernenti temi su cui ci siamo soffermati, quali le sfere di luce avvistate sovente nei cieli a formare delle flottilas o fotografate e riprese nelle adiacenze di centrali atomiche (si vedano Misteri di luce di Nicola Testoni e Le sfere di luce di Borgo Sabotino di Angelo d’Errico) nonché la congiura ordita da bieche confraternite, cui si correla pure la strana morte dello studioso rumeno Culianu.

Pare, a volte, che alcuni redattori di riviste e programmi, come si evince dalle statistiche delle visite, prendano spunto da certi articoli pubblicati su questo blog e su Tanker enemy: è il caso, ad esempio, di Voyager, la trasmissione condotta da Roberto Giacobbo, nella quale sono stati affrontati argomenti, come l'Uomo-falena, cui avevamo dedicato spazio.

Ben venga comunque la divulgazione di soggetti ignorati o trattati con tragico pressappochismo dai media mainstream. Moltiplicare le ricerche ed i punti di vista, purché si sia mossi da un disinteressato desiderio di conoscenza, può soltanto essere di giovamento.



APOCALISSI ALIENE: il libro
TANKER ENEMY TV: i filmati del Comitato Nazionale

Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

30 gennaio, 2009

L'età dell'oro

Bruno Schulz (Drohobycz, Galizia, 1892-1942) è scrittore polacco. Insegnante di disegno al ginnasio di Drohobycz, essendo di famiglia ebraica, fu confinato nel ghetto nel 1941 e qui ucciso da un soldato. E' autore di due brevi raccolte di racconti, Le botteghe color cannella (1934) ed Il sanatorio all'insegna della clessidra (1937).

"I racconti di Schulz hanno l'andamento di un'autobiografia fantastica e mitica, incentrata intorno alla gigantesca ed allucinata immagine del padre, sognatore eccentrico e, a tratti, demoniaco, impegnato in una lotta grottesca e patetica contro la piattezza della vita. In questo ciclo di ricordi d'infanzia dove gli avvenimenti si dispongono rimescolati come nei sogni, tutto è pretesto per funambolismi metafisici, apparizioni e tutto è volto al grottesco, anche le reminiscenze bibliche. Non lontano da Kafka per le metamorfosi di cui pullulano i suoi racconti per la centralità del tema del padre, S. se ne differenzia per il linguaggio ricco di metafore, per l'acceso lirismo". (Enciclopedia Garzanti della Letteratura)

Rispetto alla prosa gelida e disadorna di Kafka, lo stile di Schulz è avvivato non solo dai bagliori della Secessione, ma da un talento nella descrizione della natura trasfigurata in quadri di immortale bellezza. Si avverte la sua formazione di disegnatore capace di riempire il foglio di immagini colte dal vero e subito rivissute con la sensibilità del vero osservatore. Più dei canovacci stralunati delle sue novelle e delle atmosfere oniriche, incantano le sequenze in cui l'autore dipinge il cielo, gli alberi, le colline, i campi coltivati.

Se solo per un istante confrontiamo la misera letteratura attuale, tutta cliché, sterili provocazioni, reboanti banalità, con le pagine palpitanti di Schulz, ci accorgiamo del vuoto spirituale che fagocita la narrativa contemporanea, dal paludato e fallace Eco, all'artificioso, mentale Baricco, passando per i truci intrecci di Ammanniti e per gli stanchi stereotipi giallo paglierino di Lucarelli. Il problema: manca loro lo stile, ergo manca tutto. Tutto si risolve, anzi si dissolve nella trama, lenocinio per lettori ingenui.

Splendidi gli affreschi di Schulz di cui è veramente doveroso riportare qualche frammento.

Mosaici raffiguranti la volta celeste:

"Se ci distendeva sull'erba, si era ricoperti da un'intera azzurra geografia di nubi e continenti naviganti, si respirava l'intera mappa dei cieli".

"La mappa colorata dei cieli si allargava in una cupola smisurata, sulla quale si sovrapponevano continenti, oceani e mari fantastici, disegnati dalle linee dei vortici e delle correnti stellari..."

"Sotto la neve lanosa come bianchi caracul, spuntavano anemoni tremolanti, con una scintilla di luce nel delicato calice lunare. Le linee delle alture, irte dei rami nudi degli alberi, si levavano verso il cielo, come sospiri di beatitudine. Vidi su quei felici pendii gruppi di girovaghi raccogliere fra il muschio ed i cespugli le stelle cadute, bagnate di neve".

"Il cielo argenteo e vastissimo era tutto intagliato di linee di forza, tese fino al limite di rottura, di solchi crudeli, simili a vene irrigidite di stagno e piombo. Suddiviso in campi magnetici e fremente per le varie tensioni, era pieno di dinamica nascosta. Vi erano disegnati i diagrammi della bufera che, invisibile ed inafferrabile, caricava il paesaggio con la sua potenza".

Il caleidoscopio delle emozioni:

"Le visioni affluivano. Attraverso la finestra giungevano effluvii soavi che riempivano la stanza con il riflesso di paesaggi lontani. Per un attimo si fermavano nell'aria quei colori di chiare lontananze soffiati dal vento e subito si fondevano, si disperdevano in un'ombra azzurrina, in tenerezza e commozione".

Il fluido di un oscuro turbamento mi raggiunse e mi percorse con un fremito di inquietudine, un'ondata di subitanea consapevolezza"
.

Un'estate gloriosa e rutilante:

"A quell'ora, non riuscendo a contenere l'incendio, il giorno si sfaldava in fogli di lamiera argentata, scricchiolanti come stagnola e, strato dopo strato, svelava il nucleo del suo compatto splendore".

Si noti la magia di questi quadri creati con pennellate liquide ed intrise di luce: dinnanzi agli occhi del lettore si squadernano spettacoli grandiosi come quando nell'infanzia ci perdevamo ad ammirare, con sgomento stupore, la profondità del cielo dove galleggiavano nuvole simili a barche di carta. Era un mondo puro, una scoperta nuova ad ogni istante, un paradiso appena velato da una fuggevole ombra di malinconia.

Grazie alla capacità icastiche di Schulz, possiamo rivivere quei prodigiosi istanti, faville luminose dell'età dell'oro.



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Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

28 gennaio, 2009

Brain

Anni fa ero ingenuo. Una persona mi riferì che alcuni scienziati avevano creato un microprocessore utile per ridare la vista ai ciechi: in realtà, il dispositivo avrebbe consentito ai non vedenti di percepire nere sagome degli oggetti o poco più. Mi parve un'invenzione prodigiosa, lo strumento per permettere a persone avvolte in un'ombra perenne di acquisire un abbozzo di visione. Forse un giorno questi sventurati avrebbero anche potuto contemplare le meraviglie della natura, il diamante della luce, la girandola dei colori. Ricordo tuttavia di un signore francese che, dopo aver recuperato la vista, persa nella prima infanzia, si tolse la vita, non potendo tollerare l'orrore della realtà che egli aveva sempre immaginata differente. Borges sprofondò lentamente nelle tenebre, con rassegnato stupore, inoltrandosi in un territorio dove, giorno dopo giorno, i contorni delle cose e le tinte sfumavano nel silenzio, pieno di echi, ricordi e storie, della notte.

Oggi non passa giorno in cui non sia annunciato che sono stati creati microchips per gli scopi più diversi: un dispositivo aumenta la libido, un altro ridà l'udito, un altro stimola i processi cognitivi, rendendo più "intelligenti" e via discorrendo. Naturalmente sappiamo che il sistema è una costruzione diabolica il cui fine principale è il controllo dei cittadini e la creazione di una sorta di cervello unico i cui pensieri siano eterodiretti. Con infinita, dolciastra ipocrisia, le maleficentissime istituzioni presentano ogni innovazione come un progresso che ci renderà tutti più sani, più belli, più felici. E' vero il contrario: i governi mirano a trasformare la popolazione mondiale in una massa omogenea, simile ad una gelatina che può essere spanta su una pietanza. Per conseguire questo fine tutto è lecito: il corpo è indebolito, la mente ottenebrata, la coscienza assopita. A tale ignobile strategia, su cui ci siamo spesso soffermati, soggiace una visione che definirei cerebrocentrica: il cervello è tutto e non esiste nient'altro. Per i sinarchisti controllare i processi cerebrali significa dominare l'individuo. Veramente l'io si riduce all'encefalo? Ne dubito. Mi pare, però, sintomatica questa materialistica insistenza sul cervello, con cui si prescinde dalle dimensioni non biologiche, dall'essenza della vita e dell''universo che Bohm denominò "ordine implicito".

Non si può escludere che i Guardiani mirino anche a qualcos'altro, ma sempre in un'ottica ilica: essi non riescono a concepire alcunché di spirituale, vagheggiando una specie di immortalità simile ad un coma semicosciente.

Urge superare una Weltanschauung imperniata sul cervello che forse è l'hardware per la percezione e l'elaborazione del "reale" e non il software. Occorre trascendere una visione biologista in cui la mente è solo sinonimo di segnali cerebrali di tipo bio-elettrico, anche perché "mente" e "menzogna" hanno la stessa radice.

Per quanto ne sappiamo, il cervello potrebbe essere il mezzo per generare una gigantesca illusione. I fenomeni potrebbero essere immagini di un programma costruito per nascondere un quid di cui ignoriamo tutto o quasi. La diffusione di nanostrutture in grado di interfacciarsi con il D.N.A e, ancora una volta, miranti a condizionare gli schemi cerebrali, induce a supporre che essi vogliano occultare il vero dietro le apparenze.

Di fronte al vero, chi può affermare di avere gli occhi e la vista?





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27 gennaio, 2009

I misteri di Taennchel

Michel Padrines è autore di testi come L'insolito ed Il fenomeno U.F.O. Nel mese di ottobre 2008, è stato pubblicato il suo ultimo saggio, O.V.N.I. Investigation.

L’opera è un raro esempio di ricerca clipeologica: la clipeologia, la disciplina che investiga le possibili testimonianze di U.F.O. e di extraterrestri nel passato, dalla preistoria all’età moderna, conobbe negli anni ’70 del XX secolo la sua stagione d’oro con i libri di Robert Charroux, Erich Von Daniken, Peter Kolosimo, Raymond Drake ed altri. La paleoastronautica è poi declinata, eclissata dalla ripresa di altri filoni ufologici o dalla nascita di nuove branche, come l’esopolitica.

Eppure non di rado, lo studio di tracce lontane del tempo, ha fornito interessanti indizi per una possibile interpretazione di fenomeni attuali.

Padrines, nel suo libro che non trascura avvistamenti recenti, esamina alcune scoperte compiute nel sito archeologico di Taennchel in Alsazia. Il Taennchel è una cima dei Vosgi, nel Dipartimento dell’Alto Reno, a metà strada tra Strasburgo a nord e Mulhouse a sud.

L’area attorno al crinale che si allunga per circa 6 kilometri è enigmatica. La zona è disseminata di megaliti, di rocce con coppelle, di iscrizioni, molte delle quali tuttora indecifrate e misteriose. Un’altra curiosità è il “muro pagano” innalzato lungo un declivio della montagna. La sua origine e funzione sono ignote. La costruzione a secco darebbe il nome al sito, giacché Taennchel dovrebbe derivare da un termine celtico con il significato di “muro”.

Taennchel è una massiccio fantastico popolato di fate, di leggende e di misteri.

Sulla copertina di O.V.N.I. investigation campeggia una fotografia che ritrae un manufatto reperito in loco e raffigurante una stele su cui è scolpito un volto barbuto. Al di sotto del viso è effigiato un disco: secondo Padrines è possibile che sia stato rappresentato un oggetto volante con appendici inferiori che potrebbero essere i sostegni della navicella o raggi. Poiché sulla stele è riprodotto anche il sole circondato da una corona di fasci luminosi, si potrebbe pensare che la calotta sia un’immagine della luna, ma i tre cerchi interni (oblò?) inducono a scartare questa ipotesi, anche considerando che, come effigie del satellite, è piuttosto incongrua.

Non si conosce neppure il periodo cui risale questa scultura: il viso corrucciato pare, per il trattamento delle fattezze, più antico che preistorico. Potrebbe, però, la parte superiore della stele essere stata scolpita in un periodo successivo, mentre il sole ed il disco sembrano presentare tratti più arcaici: ricordano, infatti, analoghe incisioni rupestri della Valtellina e della Valle delle Meraviglie.

Fonte: Centro ricerche U.F.O. Liguria



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25 gennaio, 2009

I due fiumi

E' possibile che l'universo sia un'immagine illusoria? Il filosofo che ribaltò consolidate prospettive fu George Berkeley. Il pensatore irlandese concepì la realtà come mera percezione: per Berkeley il mondo materiale è un velo steso dalla mente. Tuttavia la percezione di Dio garantisce al mondo coesione ed un substrato. Attraverso Dio, il cosmo si condensa; l’Essere è mallevadore di una concretezza, per quanto astratta. E' una concezione contraria al senso comune e suscettibile di rivoluzionare l'approccio al "reale".

Lo storico delle religioni, il rumeno Joan Petru Culianu (1950-1991), discepolo di Mircea Eliade, uomo di abissale erudizione, adottò la visione di Berkeley. Culianu, autore, tra l'altro, di Eros e magia nel Rinascimento e di capitali studi sulla Gnosi, fu ucciso il 21 maggio del 1991, nei bagni dell'Università di Chicago, dove insegnava, con un colpo di revolver alla testa. L'omicidio è tuttora impunito: si sospettò del delitto la Securitate, il servizio segreto rumeno, poiché Culianu aveva pronunciato parole di fuoco sia contro il regime di Ceacescu sia contro il governo "democratico" insediatosi dopo la rivoluzione contro il dittatore. L'F.B.I. compì indagini frettolose ed ambigue per archiviare rapidamente il caso: forse Culianu, con le sue ricerche, in particolare sullo Gnosticismo, aveva toccato dei nervi scoperti, sfiorato verità scottanti...

Lo studioso rumeno, come accennavo, mutuò la filosofia di Berkeley, ma considerò la percezione una componente della materia: ciò mi sembra un limite, dovuto ad un influsso di indirizzi della fisica contemporanea. Nondimeno è interessante questo orientamento che, contraddicendo certezze radicate ed il mito scientifico dell'oggettività, ci dispiega nuovi orizzonti.

Dunque il firmamento che contempliamo è una proiezione come è scritto nel Vangelo di Filippo e come opina la scienziata Giuliana Conforto? Le conseguenze di una tale Weltanschauung sono enormi: la materia sarebbe una creazione mentale, modificabile a piacimento attraverso l'immaginazione. A questo punto l'universo narrativo, l'universo mitologico, la dimensione abitata dai numeri, le visioni della fantasia non sarebbero meno "reali" della "realtà". Da dove proviene non solo questa fittizia solidità del mondo, ma soprattutto la sua apparente capacità di agire sull'Io? La "causa esterna" è forse il movimento all'indietro di un boomerang.

Si ha talora la sensazione di vivere in un sogno (o incubo) fisico, oltre il quale si squaderna la vera essenza.

Veleni, virus, batteri, radiazioni nucleari... sono costruzioni di una mente perversa che un io consapevole può annichilire? Forse il fuoco brucia solo nella nostra mente? Sono interrogativi che ho esposto in altri testi (vedi, ad esempio, Dualismo) ed ho anche considerato l'eventualità che un'interferenza o una discrasia abbia incrinato ed incrini il kòsmos. (Si veda Virus et veritas). Le conseguenze di un rovesciamento di prospettiva sarebbero decisive e dirompenti anche nella vita di tutti i giorni, ma non escluderei che sia preferibile, invece, continuare a seguire, nella maggior parte dei casi, il common sense, pur senza aderire a questo ingenuo orientamento.

Alla convergenza tra spirito e materia, le loro misteriose nature si mischiano e si confondono, come quelle di due fiumi che confluiscono, mescendo le loro acque.



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23 gennaio, 2009

Il nuovo "Ultimatum alla Terra" tra ambiguità ed allusioni

Il nuovo Ultimatum alla Terra, rielaborazione della pellicola The day the Earth stood still per la regia di Robert Wise (1953), offre uno spaccato delle contraddizioni che segnano questi tempi di ferro. Il film si definisce nel suo rapporto di continuità-discontinuità con il capolavoro di Wise: la continuità è in primis nei personaggi principali. Nel nome del protagonista, l'extraterrestre Klaatu, avvertiamo una pur vaga eco sumerica ed è una singolare coincidenza che questi fonemi esotici e cupi risuonino anche nel nome dell'attore, l'algido e diafano Keanu Reeves. Il nome Klaatu ricorda poi Kla-la, l'alieno da cui il medium Richard Miller ricevette un'informazione telepatica che dichiarò di aver captato. Era il 1958 e la comunicazione verteva sulle piramidi egizie costruite da visitatori dello spazio.

La produzione cinematografica diretta da Scott Derrickson riprende inoltre il messaggio dell'originale con il monito ad un'umanità dalla cervice dura e soprattutto la condanna dei governi pregiudizialmente ostili e bellicosi. Doverosa e lodevole l'esecrazione degli esecutivi, ma, per il resto, si rischia di scivolare nel solito schema per cui gli uomini sono responsabili in toto del loro destino e delle sorti di un pianeta ormai agonizzante. Non che questo non sia vero, almeno in parte e sarà difficile trovare un avvocato d'ufficio per uomini incoscienti e vuoti. Tuttavia questo j'accuse rischia di eclissare il ruolo ambiguo dei Guardiani che non sembrano animati solo da intenti nobili. Un po' angeli, un po' demoni, le loro vere motivazioni, in fondo, non ci sono note. E' in tali squarci all'apparenza metafisici che il nuovo Ultimatum alla Terra, in modo paradossale, svela una natura sfuggente e sinistra. Klaatu, infatti, viene rappresentato come un'entità composta di luce: è in questa forma radiosa che egli si manifesta per la prima volta alla dottoressa Hellen Benson ed alla delegazione di scienziati e militari che lo accolgono al suo arrivo a Central Park. Quando appare, tra lo sgomento e la confusione causati dallo sbarco, il suo fulgore via via si affievolisce e Klaatu assume le sembianze di un essere dalla pelle grigia.

La luce - si sa - può essere anche quella accecante ed arida di Lucifero. Il pensiero corre anche ad entità luminose, ma non propriamente benevole, sempre che certe testimonianze siano affidabili.

Ancora più ambigua la presenza delle cavallette bioniche aliene che uccidono piante ed animali e polverizzano il cemento. "Punizione celeste", come la definisce Maurizio Baiata, o aggressione, spacciata per castigo, un assalto per opera di esseri superiori solo sotto il piano tecnologico?

Il rischio, come sempre di queste pellicole ora atrofizzate in un bieco manicheismo (terrestri buoni contro extraterrestri cattivi o viceversa), è quello di annacquare tutte le riflessioni in un ecologismo di maniera, dimenticando di porre quesiti cruciali: chi sono e chi siamo veramente? Sono i nostri creatori o distruttori? Così, si comprende perché, nonostante tante aperture al senso, tanti orizzonti intravisti, l'esegesi di questo film congestionato e clamoroso, possa essere affidata ai luoghi comuni di Kathy Bates, tra le interpreti: "Finora non siamo stati degli assistenti premurosi della Terra. Quindi, sotto questo aspetto, dobbiamo migliorare. Spero che il film faccia capire che questo non è il nostro pianeta."

Già, forse perché è degli Arconti, anche se ancora per poco tempo.



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21 gennaio, 2009

Horror pleni

"La legge dell’identità è un monarca assoluto, ma i suoi sudditi non protestano contro la sua autocrazia solo perché sono spettri senza sangue, privi di esistenza reale, non sono persone, ma solo ombre razionalistiche di persone. Questo è lo sheol, il regno della morte". (Florenskij)

Se si persegue il Risveglio, significa che siamo addormentati; se si aspira all'Illuminazione, significa che siamo avvolti nelle ombre. E’ un percorso a ritroso verso il Vuoto che meglio sarebbe definire Nirvana, visto che il Vuoto presuppone un recipiente che è ancora qualcosa, laddove il fine è il ritorno all'attimo-atomo, quindi indivisibile, prima dello scartamento nello spazio-tempo, del deragliamento nei pensieri associativi.

L'evocazione di questa sfera atemporale è affidata alla migliore pittura di paesaggio cinese in cui nebbie leggere aleggiano tra vette dai profili sfumati. La caligine, simile ad una seta frusciante, liscia le valli e le sponde indistinte dei fiumi. Le ombreggiature sono tenui e delicate, il nero dell'inchiostro si diluisce nel grigio ed un mistico, quieto silenzio scivola sui crinali.

E' una ricerca incessante, non agevole: numerose tecniche orientali insegnano a creare il "vuoto", sebbene la stessa parola "tecnica" contenga alcunché di meccanico. Allora è meglio concepirle come un cammino il cui ultimo passo sarà un salto improvviso ed audace: potrà essere un fulmineo, bruciante koan a propiziare il satori o il tuffo nel gelo della solitudine più abissale, nella rescissione dei legami, dove tutte le separazioni, manifestatesi come costruzioni mentali, si appianano come la superficie del lago, dopo che è passato molto tempo dal lancio del sasso.

E' quindi la mente che deve essere trasmutata o depurata o spenta: oltre non sappiamo che cosa si squaderni, ma sentiamo incoercibile l'esigenza di un'identità vera. Se avvertiamo, anche per un solo istante nella vita, l'anelito verso l'essere senza più determinazioni, vuol dire che qualcosa si è incrinato, ma anche che la via è stata intrapresa.

E' una ricerca non agevole, ma dev'essere percorsa senza sforzo, con naturalezza, noncuranza ed umorismo: si è che è all'uomo, in particolare all'uomo occidentale, pare preclusa la meta suprema, risultato pressoché inattingibile di un'attenzione smemorata, di una meditazione senza contenuti. Ecco allora le scorciatoie chimiche (ahuayasca, melatonina, psilocibina...): il misticismo decade nella farmacologia, la visione diviene allucinazione.

Distacco dal corpo, perdita della personalità, estasi: Plotino affidò all'attimo ineffabile il sublime disvelamento dell'Uno.

La persona è letteralmente "maschera", quindi finzione: non è sufficiente toglierla. Non basta recidere i fili della mente. Sempre riaffiora, come un cadavere nell'acqua che l'omicida ha tentato di zavorrare sul fondo, l'io, qualsiasi cosa esso sia.

L'horror pleni non estingue l'horror vacui: occorre coraggio per inoltrarsi ai margini della morte, forse passando attraverso i sogni o le immagini ipnagogiche, scivolando nella trance, nella catalessi.

Per questo motivo il Risvegliato appare, in modo apparentemente paradossale, immerso in un sonno stranito. Talora si è sfiorati da un'impressione di aridità.

Jiun Onko (1718-1804), studioso di sanscrito, cultore di discipline storico religiose e letterarie, pittore Zen, è autore di un'opera straordinaria intitolata "Uomo", "ancor oggi sintesi di valori pittorici e calligrafici, saldati in un'unità armonica d'intensa forza espressiva. Essa consiste in null'altro che due potenti pennellate d'inchiostro nero cupo che formano l'ideogramma cinese di "uomo" (jen, in giapponese hito), suggestivamente rappresentato dall'immagine di un tronco umano con le gambe divaricate. Nel suo vivo dinamismo, l'uomo di Jiun raffigura l'umanità intera in marcia verso il suo destino, attraverso il tempo fuggevole della sua esistenza terrena”. (G. Bigliani, Pittura Zen, Viterbo, 1982)"

I vigorosi ed irriflessi tocchi di Jiun tracciano questo tronco-uomo da cui gocciolano stille di sudore e di sangue: nella contemplativa, serena, distaccata arte Zen si insinua la dolorosa coscienza del tempo, come spina che lacera un prezioso tessuto.

L'Oriente Zen, nel suo calmo, silente, tiepido seno accoglie il grido dell'uomo esule.



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19 gennaio, 2009

Sardegna, la nuova Atlantide

Vorrei dedicare qualche riga al saggio, di prossima pubblicazione, scritto da Pier Paolo Saba, coordinatore dell'U.S.A.C. per la Sardegna. Il testo si intitola "Sardegna, la nuova Atlantide" ed argomenta l'ipotesi secondo la quale, a causa di uno spaventevole cataclisma, gli Atlantidei, sciamarono in diverse ondate, verso occidente e verso oriente. Alcuni superstiti si insediarono in Sardegna, l'isola dei maestosi nuraghi, simili a giganti nei cui occhi pare essersi pietrificato l'istante di una catastrofe improvvisa, millenni or sono. La Sardegna, per morfologia e caratteristiche, è la terra che più rammentò ai popoli venuti dall'oceano la loro patria perduta.

Non entro nel merito di un dibattito ormai plurimillenario sull'ubicazione dell'Atlantide, ma mi piace qui ricordare che Pier Paolo Saba non è un erudito che, dimentico dei problemi della sua terra e non solo, si è chiuso sdegnosamente in una torre eburnea. Impegnato da anni nella denuncia dei rischi connessi ai poligoni militari ed alle scie chimiche che hanno snaturato ed avvelenato la Sardegna, Saba riesce a coniugare la divulgazione su temi spinosi con lo studio della storia e della preistoria locale. In questo modo dimostra che un intellettuale è e può essere un uomo che, pur coltivando discipline specialistiche, continua ad agire nel mondo. In fondo poi l'indagine sui continenti scomparsi è quanto mai attuale, poiché avvertiamo più o meno distintamente che siamo vicini ad una tragedia epocale [un disastro (in)naturale?, un conflitto mondiale? una crisi destabilizzante?]. Colpirà fulminea ed implacabile come la lama di una ghigliottina.

Riporto una parte del prologo.


E' successo allora, quando l'immane catastrofe che aveva inghiottito Atlantide, che i superstiti che si trovavano disseminati per le terre da loro colonizzate, non avendo più una patria, una terra verso la quale far rientro, se pur a malincuore, dovettero adattarsi alla convivenza con i popoli con i quali erano in contatto, per continuare ad imporre, con il loro fiero aspetto, la loro presenza ed egemonia. E' successo a loro, detentori di una civiltà millenaria che vantava una cultura talmente avanzata da poter sostenere di aver permesso la nascita di altrettante civiltà, che ancor oggi sbalordiscono per i reperti archeologici che si rinvengono disseminati in tutta l' Europa, in Africa, in Medio Oriente e nelle Americhe.

La scomparsa della terra natia, un dramma così inusitato tuttavia, non aveva scalfito troppo la dura scorza che ammantava queste Genti, anzi rafforzò ed indurì il loro stato trasformandoli in invincibili guerrieri e la prova del loro valore in battaglia era decantato nel mondo di allora. Sono trascorsi circa 12.000 anni dalla catastrofe che aveva investito Atlantide e, seguendo le rotte commerciali e migratorie di questo popolo, li vediamo passare attraverso lo Stretto di Gibilterra ed entrare nel Mediterraneo dove nel bel mezzo, una terra, un isola immensa completamente ricoperta di verde, che mai avrebbero creduto di dovere ribattezzare col nome della loro terra natia - ATLANTIDE - la stessa di cui parla Platone nel "Crizia" e nel "Timeo” dove racconta della grave sciagura che aveva investito questa terra 9.500 anni prima di lui.

Questo è quanto ci ha tramandato: infatti, sommando gli anni trascorsi da quel tragico evento fino ad oggi, notiamo che, complessivamente sono trascorsi 12.000 anni.

Gli Atlantidi scampati alla catastrofe, già ebbero a conoscere la Sardegna, l'immensa "Terra verde"dove erano approdati per i loro commerci secoli addietro, ignari che un giorno l'avrebbero ribattezzata col nome della loro patria, questa grandissima Isola che, secondo Platone, si trovava al di là delle Colonne d'Ercole, non era altro che la Sardegna. Infatti i Greci che, muovendo con le loro navi alla ricerca dei metalli oltre il Mar Egeo, si trovarono di fronte a quelle che loro chiamarono le “Colonne d'Ercole” poste tra la Sicilia Nord Occidentale e l'odierna Tunisi, scoprirono, oltre l'ignoto, nel bel mezzo dell’ "oceano" la Sardegna – ATLANTIDE.



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18 gennaio, 2009

Gli Insettoidi e gli Aracnoidi nell'Ufologia (seconda parte)

Recentemente sono state compiute delle scoperte archeologiche a Rennes Le Chateau. Il ricercatore britannico Ben Hammot, nella località pirenaica legata agli intrighi dell’abate Berenger Saunier ed ai suoi presunti segreti sulla discendenza del Messia, in una grotta presso la Torre Magdala ha reperito un bauletto contenente vari manufatti databili al I secolo d.C. e riferibili alla Giudea. Lo scrigno, databile al XIII secolo, mostra sulla superficie un motivo simile ad un ragno, simbolo della famiglia Hautpoul, i signori di Rennes le Chateau, discendenti dai Templari.

E’ noto che gli epigoni degeneri dei Templari, interpreti non fedeli dell’insegnamento originario, sono considerati gli adepti di confraternite che perseguono piani occulti di dominio globale. E’ solo un indizio il ragno araldico, anche se induce a pensare che il numero tredici, legato all’Ordine dei cavalieri di Cristo, poiché il 13 ottobre del 1307 cominciò la persecuzione dei monaci soldati per opera di Filippo IV il Bello, re di Francia, è anche il numero dei puntini sul dorso della malmignatta.

E’ comunque nell’Ufologia più sinistra che si rinvengono cenni ad una dominazione insettoide. Philip Imbrogno, intervistato da Lavinia Pallotta, così si esprime a proposito dell’inquietante Progetto Philadelphia: “Hynek venne contattato da una persona che affermò di aver partecipato al progetto. Hynek si recò in Messico per incontrare il testimone Carlos (nome in codice) perché questi sentiva che la sua vita era in pericolo. Sembra che fosse il terzo Carlos e la storia era stata tramandata ai successori. In questa versione del famigerato Project invisibilità, la nave scomparve per andare in un’altra dimensione dove l’equipaggio incontrò esseri intelligenti simili ad insetti che condussero esperimenti su di loro. Quando la nave fece ritorno, metà dell’equipaggio era scomparso. Secondo questa versione, si era aperta una finestra dimensionale: gli esseri dell’altra parte la stanno tenendo aperta per venire nel nostro mondo e noi non siamo in grado di chiudere il portale”.

Lo scienziato statunitense, Terence McKenna, autore di True hallucinations e di The invisibile landscape, descrive “un incontro con intelligenze insettoidi che avevano cose curiose da dire sulla natura del tempo”.

Nel mito e nelle leggende il ragno è talora associato alla creazione: nella mitologia egizia, questo aracnide è un attributo della dea Neith, come tessitrice del mondo. Secondo i nativi delle isole Nauru, nel Pacifico meridionale, il mondo fu creato da Areop-Enap, Ragno antico.

L’ape, simbolo tra i più ricchi, è nell’arma dei Barberini e dei Bonaparte: sebbene Frozar e Bludorf associno la raffigurazione di questo imenottero nel blasone della famiglia Barberini all’ipercomunicazione, vi si può leggere anche un rigido ordine gerarchico ed una mentalità da alveare dove le operaie sono semplici esecutrici di una volontà a loro superiore.

Chiudendo il cerchio, non può mancare un cenno alla “mitologia” contemporanea, il cinema: nel cinema l’evocazione di insetti “alieni” risale già a George Melies: nel film intitolato "Viaggio sulla luna" (Le voyage dans la lune), cortometraggio di quindici minuti del 1902, ispirato ad opere di Verne e Wells, il pubblico pagante incontra i Seleniti, corpi da insetto e teste da uccello, la cui interpretazione viene affidata agli acrobati delle Folies Bergère.

Nota: le fonti del presente articolo saranno indicate in calce all'ultima parte.

Leggi qui la prima parte.


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Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

16 gennaio, 2009

Nightmare

Nel pubblicare questa riflessione, raccomando la lettura dell'articolo correlato Desperation, un testo tagliente ed accorato che ben si incastra a questo Nightmare.

"Il mattino ha l'oro in bocca", si soleva ripetere un tempo. Oggi ci si sveglia e lo scenario più che aureo è ferrigno: già all'alba il cielo appare in tutto il suo livido orrore con nebbie simili a sudari, arcobaleni improbabili, tentacoli chimici. Le nuvole naturali sono scomparse e non solo le nuvole. Non è un bell'inizio di giornata che si concluderà, dopo ore snervanti e sterili, davanti ad uno schermo tombale che esibisce l'infinita stupidità del volgo.

Schegge di voci e di suoni: radio e televisori lasciano echeggiare grida lancinanti dai teatri di guerra, proclami politici, inni alla "sicurezza". In questo mondo, divenuto un po' alla volta, un incubo, il silenzio dell'indifferenza ci assorda ed il clamore delle menzogne ripetute dai media ci spinge ad un'indignazione forse impotente, ma salutare.

Sommersi da una marea di volgarità, annaspando tra crisi, conflitti, stragi, malattie vecchie e nuove, disastri innaturali, vessazioni, storture e brutture, come credere ancora in una svolta? Come credere? Siamo abituati a vedere oltre il visibile ed ancora speriamo, ma a volte siamo presi dallo scoramento: quali mostri dovremo ancora affrontare, prima di vedere il Leviatano caracollare e schiantarsi al suolo, prima di vedere i suoi fautori mostrare il loro volto inteschiato, cadute le maschere?

Viviamo in un guazzabuglio infernale, in una società in cui anche un semplice respiro alimenta il sistema, invece di contribuire ad indebolirlo. Questo ci rende ancora più insofferenti, prigionieri di una lacerante contraddizione. Ancora più della sanguinaria violenza delle istituzioni, detestiamo la loro intollerabile ipocrisia. Non sono solo offese la dignità e la libertà, ma soprattutto è il buon gusto ad essere oltraggiato dai laidi spettacoli cui siamo costretti ad assistere.

Viviamo un incubo e non sappiamo quando ci sveglieremo. Meglio sprofondare nel nulla di un sonno senza sogni, piuttosto che pensare anche solo per un istante che l’intero futuro sia simile al presente o addirittura peggiore.

Articolo correlato: Godelpas, Desperation, 2008




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15 gennaio, 2009

Eye in the sky

Eye in the sky è il titolo di una celebre canzone di Alan Parson's project, tratta dall'omonimo album pubblicato nel 1982. Considerato uno dei dischi più importanti della musica contemporanea, la traccia Eye in the sky, esaminata col senno di poi, lascia trasparire inquietanti anticipazioni, sinistri bagliori tra passato e futuro. Gli autori furono folgorati da una premonizione o, come spesso avviene, la musica rock lancia obliqui messaggi? Poco importa stabilirlo.

Se, però, leggiamo il testo della canzone, in particolar modo il ritornello, avvertiremo sentore di strani significati che si muovono tra le onde della melodia, come indistinte, minacciose presenze nella nebbia.

Probabile il richiamo ad un romanzo del visionario e profetico Philip K. Dick, The eye in the sky, i cui personaggi sono proiettati in mondi che rispecchiano le loro opinioni, i loro convincimenti.

Balena nella mente l'immagine di un gigantesco satellite che spia gli uomini e ne fruga persino i pensieri. La tecnologia esiste già: basta pigiare un pulsante. Tra breve comincerà lo spettacolo. Viene anche da pensare all'onnipresente sorveglianza, al controllo.

L'orrore tecnologico è nella sua gelida razionalità. La pazzia conosce la logica quadrata ed indefettibile della scienza, del codice binario. Ecco perché la macchina tratta con i folli, come in Matrix.

"Posso ingannarti": sì, l'inganno è reale ed il "reale" è inganno. Qual è, in fondo, la differenza? In questo universo schizofrenico, tra essere e non essere, in questa vita spezzata tra assurda speranza e trionfale disperazione, possiamo solo fissare l'occhio di Horus (campeggiava nella copertina), infinitamente lontano nella sua bruciante vicinanza, del tutto cieco nella sua vista perfetta.


I am the eye in the sky
looking at you
I can read your mind

I am the maker of rules
dealing with fools
I can cheat you blind

Sono l'occhio nel cielo
guardandoti
posso leggere nella tua mente

Sono colui che detta legge
Tratto con i folli
Posso ingannarti senza che tu te ne accorga




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13 gennaio, 2009

236 e 2012

Nel 1534 lo spagnolo Ignazio de Loyola riunì i suoi primi discepoli a Parigi. L'ordine noto come Compagnia di Gesù fu riconosciuto da papa Paolo III nel 1540. Il pontefice nel 1541 creò Ignazio suo primo generale. I Gesuiti cercarono di diffondere all'interno degli stati la dottrina cattolica tramite l'insegnamento e l'attività missionaria. La Compagnia fu avversata dagli illuministi e da molti sovrani cattolici nel XVIII secolo a tal punto che papa Clemente XIV ne decretò la soppressione, ma, nel 1814 nel clima di rinnovato accordo tra trono ed altare, Pio VII lo restaurò.

E' noto che i Gesuiti sono ritenuti da alcuni ricercatori ai vertici della sinarchia: il cosiddetto papa nero, ossia il generale superiore, controllerebbe lo stesso "successore" di Pietro. E' stato osservato che tra il riconoscimento dell'ordine e la creazione della setta degli Illuminati di Baviera nel 1776, per opera dell'ex gesuita Adam Weishaupt intercorrono 236 anni. Altrettanti ne passano tra il 1776 ed il 2012, il fatidico anno su cui tanto si specula. Naturalmente la somma di 23611, numero sinarchico par excellence. (Ha anche valenze positive, ma non è questo il caso). Sono questi indizi di un sottile linea nera che congiunge i tre snodi temporali ed i principali eventi orchestrati da un collegio invisibile che, per attuare i suoi sinistri piani, si avvale di Sion e di altri centri di potere? E' ovvio che si può liquidare il tutto, invocando le solite coincidenze.

E' indubbio, però, che al 2012 guardano non solo la frangia della Nuova era, ma anche studiosi del calendario Maya ed astronomi: infatti, come anticipammo tempo fa (Vedi Il 2012 secondo i Maya e secondo gli astronomi, 2008), gli scienziati paventano per il 2012 tempeste solari tali da provocare enormi danni alle telecomunicazioni. "La colpa è della cosiddetta 'fase attiva', che il Sole attraversa ogni 11 anni: durante questo particolare periodo, la nostra stella può generare tempeste magnetiche più o meno potenti, capaci, a seconda della minore o maggior intensità, di mettere fuori uso i satelliti, di minacciare la sicurezza degli astronauti o addirittura, in casi eccezionali come quello previsto per il 2012, di distruggere i sistemi di telecomunicazione e quelli di distribuzione dell’energia. Quando uno di questi sistemi salta, le conseguenze a cascata sono rapide e gravi: “L’impatto della tempesta potrebbe ricadere su strutture interconnesse, con effetti devastanti: la distribuzione dell’acqua potabile in tilt in poche ore, cibi e medicine deperibili persi nel giro di 12-24 ore, interruzione immediata o potenziale del riscaldamento o del condizionamento dell’aria, dello smaltimento delle acque nere, dei servizi telefonici, dei trasporti, dei rifornimenti di carburante e così via”, prevede la N.A.S.A." (Autore non indicato, Una tempesta solare ci spegnerà, 2009).

Non sappiamo se si tratti di un'esagerazione o di uno spauracchio: è anche possibile che un disastro artificiale sarà spacciato per naturale. E' evidente che la costruzione di basi sotterranee autosufficienti assume un suo preciso significato in tale scenario: in superficie quasi tutte le infrastrutture sarebbero fuori servizio, mentre nelle viscere della terra pochi privilegiati potrebbero continuare ad usufruire di energia, acqua e rifornimenti alimentari. E' anche palese che qualcosa non quadra: infatti, se davvero gli scienziati ed i governi fossero preoccupati di quanto potrebbe accadere al pianeta, cercherebbero di prendere opportune misure, mentre quasi tutti gli sforzi sono concentrati nelle guerre, nella distruzione della magnetosfera e dei biomi, nella creazione di una perniciosa sinergia tra fenomeni naturali catastrofici ed artificiali azioni distruttive. Pare che la Cabal intenda cogliere la palla al balzo ed approfittare di calamità per catalizzare la fase finale del progetto, in un orgasmo distruttivo o per altri fini.

Il 2012 potrebbe essere l'anno di una simulata invasione aliena o di una falsa Parousia? In questi intrighi che ruolo giocano il pianeta X, il Sole, lo scudo stellare, i telescopi, i Gesuiti ricordando che tra le file dell'ordine militarono e si annoverano astronomi?



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11 gennaio, 2009

Il ricordo del futuro

Il déjà vu è la sensazione di aver vissuto precedentemente un avvenimento o una situazione che si sta verificando.

Il termine fu creato dallo psicologo francese Émile Boirac (1851–1917), nel suo libro L'Avenir des sciences psychiques, revisione di un saggio che scrisse quando ancora era studente all'Università di Chicago. L'esperienza del déjà vu è accompagnata da un forte senso di familiarità, ma di solito anche dalla consapevolezza che non corrisponde realmente ad un'esperienza vissuta (e quindi si avverte un senso di stranezza): l'esperienza "precedente" è per lo più attribuita ad un sogno. In alcuni casi, invece, si prova la netta sensazione che l'esperienza sia "genuinamente accaduta" nel passato.

Il déjà-vu, insieme con altri fenomeni sincronici, ci pone di fronte all'enigma della reversibilità temporale. Siamo abituati a considerare il tempo come una freccia, una volta scoccata dall'arco, che percorre una distanza o come una linea unidirezionale, da A a B. Il senso comune, la ripetizione delle esperienze, l'abitudine stessa paiono confermare tale concezione-percezione: sebbene il nesso causa-effetto sia di per sé una semplice successione, siamo inclini a considerarla una legge di natura, un dato oggettivo ed ineludibile.


Il déjà-vu, però, dimostra che talvolta nel muro delle manifestazioni causali si può aprire una breccia da cui si intravede una dimensione in cui lo spazio-tempo assume inattese configurazioni. Di solito neurologi e psicologi hanno tentato di spiegare il "già visto" richiamandosi a funzioni cognitive, percettive e cerebrali. Queste interpretazioni di per sé possono essere soddisfacenti, ma mi pare che prescindano da una ridefinizione del tempo assimilato in genere ad una retta segmentabile e, come si diceva, unidirezionale.

Se, invece, paragoniamo il tempo ad un disco i cui solchi rappresentano gli e-venti cronologici e la coscienza alla puntina che, passando sui solchi, dipana il flusso degli avvenimenti, è anche possibile pensare che la mente, a guisa di una puntina che avanza o arretra a causa di un graffio o di un granello di polvere sul vinile, sia in grado di procedere in avanti nel tempo come di ritornare indietro. La coscienza quindi può eseguire una lettura del microsolco, in avanti o a ritroso, a causa di salti improvvisi, inopinati.

In tale ambito, si pongono alcuni problemi: in primo luogo, occorre postulare che esista una sfera di realtà, un campo non-locale dove gli avvenimenti sono compresenti, mentre la mente li dispone lungo una direttrice dal passato al futuro e con in mezzo il presente.

Qui ci soccorrono le osservazioni del Professor Francesco Lamendola, poliedrico e profondo studioso che, nell'articolo intitolato Alcune ipotesi sull'altro mondo e sulla mente non localizzata, scrive: "Se ammettiamo esista una Mente non localizzata che conosce ogni cosa; che esistano delle singole menti non localizzate, che abitualmente sono legate alle funzioni corporee, ma che, in condizioni particolari, possono riscoprire la loro vera natura, fondendosi con l'unica Mente, la possibilità delle menti non localizzate di muoversi liberamente oltre le barriere dello spazio e del tempo attesta l'esistenza di un "altro mondo", contiguo al nostro, ma giacente su un diverso livello di realtà, allora possiamo interrogarci sulla natura di quest'altro mondo e formulare qualche congettura in merito, non di carattere gratuito, ma in base a criteri di coerenza e di verosimiglianza. [...]

Bisogna dunque porre la domanda: se la "realtà" non è un dato esterno oggettivo ed immodificabile, che le singole menti possono solo subire, ma - al contrario - l'opera creativa ed incessante delle nostre aspettative, delle nostre paure e dei nostri desideri, allora il mondo della mente, il mondo dell'anima è estremamente reale, sia per chi ci crede, sia per chi lo nega o lo ammette solo come funzione neuronale del cervello".

La conclusione, per quanto dubitativa, del Professor Lamendola, pare essere plausibile, non appena si evidenzia il carattere generatore e primario della coscienza rispetto all'obiectum (il "reale"), secondo diffusi e, in buona misura persuasivi, orientamenti filosofici e scientifici.

Ammessa come ipotesi tale genesi mentale, resta almeno un'altra questione cui vorrei accennare: se la coscienza può leggere accadimenti futuri e passati, significa che può pure determinarli o in qualche modo influire su di essi? Il senso di fatalità associato spesso ai déjà-vu onirici, ossia le esperienze che all'improvviso ricordiamo di aver vissuto in sogni premonitori e che vediamo svolgersi sotto i nostri sensi come fotogrammi di una pellicola, suggeriscono l'eventualità della predestinazione. Si può dunque prevedere il futuro ed addirittura ricordarlo, essendo l'avvenire già codificato nell'akasha? Il concetto di destino che mina l'etica fondata sulla responsabilità delle scelte, in contrasto con indirizzi della scienza di frontiera, invece sembra corroborare le visioni profetiche ed apocalittiche, per cui gli avvenimenti si succedono secondo un piano superiore, non umano.

Nella sempre attuale controversia tra Suae quisque fortunae faber est, Ognuno è artefice della propria sorte (Appio Claudio Cieco) e Fata volentes ducunt, nolentes trahunt, Il destino guida coloro che non si oppongono, trascina i recalcitranti (Seneca), nessuno può avere la presunzione di poter pronunciare l'ultima parola.



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09 gennaio, 2009

Bandire le bandiere

Michel Pastoreau, studioso di Simbologia, considera un enigma del Levitico (19, 19): "Non indosserai veste tessuta di due". E' un precetto molto oscuro che Pastoreau collega al modo antico e poi medievale di concepire le immagini, a partire dallo sfondo per affiorare alla superficie: la rigatura renderebbe, infatti, impossibile riconoscere il colore di fondo. Aggiunge Elemire Zolla nel saggio "Filosofia perenne": "Quando Luigi IX il Santo si portò dalla Terrasanta nel 1254 dei monaci del Carmelo devoti alla Vergine e seguaci dei primi padri del deserto, avvolti in mantelli bianconeri o biancobruni, la gente si infuriò. Furono chiamati sbarrati che equivaleva a bastardi. Le righe nel Medioevo sono costantemente proscritte o attribuite a classi infami. Sono vestiti a righe buffoni, boia, zingari, lebbrosi, felloni... Le bestie tigrate sono le più pericolose, la zebra parve satanica. Nel secolo XII s'avvia l'uso dei blasoni dove la rigatura non è evitata, ma la sua segnatura maledetta è assunta dalle sbarre oblique declinanti da destra a sinistra. In quell'epoca comincia a diffondersi l'uso di vestiti a righe per i domestici. Il secolo XVIII vide il capovolgimento dell'antica avversione: la zebra apparve armoniosa a Buffon; lo stato rivoluzionario adotta una bandiera a strisce in America, un tricolore a striscioni in Francia. Eppure rigo e punizione sono equivalenti: lo dimostrano la rigatura del costume carcerario e della maglia marinara. Le canaglie fra le due guerre vollero segnalarsi col gessato."

Non mi convince molto la spiegazione di Pastoreau circa il motivo della valenza negativa attribuita alle righe: è molto difficile stabilire come gli antichi Ebrei considerassero e percepissero le immagini, vigendo presso di loro il divieto di rappresentare la natura: pochissime e connotate da influssi esterne sono le testimonianze iconografiche dei Giudei.

A proposito del Medioevo, sappiamo o possiamo intuire qualcosa di più, se non altro per il vasto repertorio di opere figurative che ci è pervenuto di quell'età. Circoscrivendo dunque qualche riflessione all'età medievale, si potrebbe arguire che il bando delle strisce fosse dovuto alla ripugnanza per la simmetria e per l'algida, spigolosa logica ad essa sottesa, reputata, come è noto, un attributo del demonio. "Tu non credevi ch'io loico fossi", esclama un sardonico diavolo all'angelo cui strappa per sempre l'anima di Guido da Montefeltro, per trascinarlo con sé nelle Malebolge.

Scrivevo in Simmetria: "Le immagini simmetriche sono perfette ed è proprio tale perfezione che le traspone nel mondo delle forme fredde, inespressive. I volti sono tutti, anche se spesso in modo lieve e quasi impercettibile, asimmetrici. La bellezza si manifesta attraverso piccole imperfezioni, in deviazioni dal canone, in equilibri infranti, da cui originano sfumature ed estro. Pensiamo alle forme naturali, alle magnifiche chiome degli alberi, simili a nubi smeraldine o ai cumuli del cielo, riccioli di burro, ai fiumi dal corso sinuoso, alle costellazioni che trapuntano la notte... nulla è simmetrico, quantunque frattali e volute conferiscano ai fenomeni un disegno armonioso, una segreta e discreta geometria. Lo stesso discorso vale per le opere d'arte".

Non sorprende dunque che le bandiere di moltissimi stati, vessilli che hanno via via sostituito le creazioni araldiche, in cui le figure si stagliavano con piglio visivo e con significato simbolico, ostentino bande verticali o orizzontali, di raggelante bruttezza. Si pensi alla bandiera degli Stati Uniti, con le tredici strisce rosse e bianche: una sorta di casacca da galeotto che garrisce al vento. Quanto mai adatta ad una nazione-prigione! Non si può sottacere del labaro italiano, mutuato da quello francese rivoluzionario: uno straccio tripartito con un accostamento di colori ormai entrato nell'immaginario collettivo degli Italiani, ma che ricorda tanto una macelleria con le fette e gli arrosti di carne il cui rosso è esaltato da verdi ciuffi di prezzemolo. [1]

Bandiere in ogni dove, oggi: sui feretri dei soldati morti in missioni di "pace", drappi funerei nelle parate militari, avviluppati attorno agli atleti olimpici, sudari di un malinteso patriottismo.


Tanto è nobile l'araldica, quanto sono banditesche quasi tutte le bandiere.

Veramente questi stendardi contemporanei, con le loro liste spesso di eguali dimensioni, esprimono la natura recondita degli stati, il satanismo. Non è un caso se il Leviathan fonda il suo potere sull'ordine, sul rigore, su un'efficienza geometrica. Naturalmente l'ordine è il Novus ordo seclorum, quindi una coercizione sadica, così come il rigore, lungi dall'essere un criterio etico o giuridico, è il freddo, rigido dominio del Male.

Dante immaginò che Lucifero fosse confitto nel ghiaccio: mai immagine fu più idonea per evocare l'affilato, agghiacciante volto delle Tenebre.

[1] E' evidente in ogni caso che, da un punto di vista estetico e percettivo, le righe, rare in natura, disturbano, a prescindere da quale sia la vera causa di tale molesta sensazione.




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07 gennaio, 2009

Nessuna apertura

Nel fondo intitolato E.T. e dignitari terrestri, Maurizio Baiata, Direttore editoriale della rivista X times, riflette sul disclosure, il processo di divulgazione delle informazioni concernenti U.F.O. ed alieni. Nell'apertura dell'articolo l'autore afferma: "Chi ci governa mente spudoratamente su tutto". Irrefutabile verità! Rebus sic stantibus, mi pare ingenuo l'atteggiamento di tutti quei ricercatori che incalzano i governi onde rilascino notizie e documenti circa l'annosa questione. Gli esecutivi continueranno nella loro politica di censura e segretezza e semmai pubblicheranno (già hanno agito in questo modo) qualche rapporto su lucine avvistate da intrepidi piloti durante le loro eroiche missioni.

Se davvero si vuole sfiorare qualche verità in ambito di Ufologia e di Esopoltica, bisognerà armarsi di santa pazienza: con investigazioni sul campo, impegno ermeneutico e consultazione di fonti, qualcosa si potrà intuire. Visto che i vari ministri interpellati sulle scie chimiche, hanno finora sempre nicchiato, bofonchiato menzogne, negato l'evidenza, su un tema che non è meno delicato degli O.V.N.I, è ragionevole pensare che vuotino il sacco su un soggetto che è inerente a cruciali interessi strategico-militari?

Ammettiamolo: nessun uomo delle istituzioni rivelerà mai alcunché di veridico a proposito di extraterrestri, tecnologie frutto di retroingegneria, relazioni esopolitiche. Potranno essere forniti dati genuini, ma poco significativi; saranno ammannite menzogne verosimili e molte bugie, ma nessuna prova di un contatto (o scontro?) con civiltà esterne.

I motivi di questa impenetrabile omertà si spiegano, considerando i seguenti possibili scenari.

1) Gli extraterrestri esistono e sono contrari ai diabolici disegni della sinarchia mirante ad instaurare il Nuovo ordine mondiale, il cui corollario è la dominazione dell'intera umanità ridotta a gregge eterodiretto con dispositivi elettronici. Le civiltà stellari sono viste come fumo negli occhi dalle élites che, attraverso armi al plasma (si consideri il nesso con le scie chimiche), satelliti, potentissimi radar, caccia... controllano e contrastano i visitatori di cui attaccano e sovente distruggono le navicelle nello spazio esterno e nell'atmosfera. Forse questi alieni in passato si insediarono sulla Terra ed influirono, con le loro conoscenze, sulla genesi e lo sviluppo di alcune culture dell'antichità. Per loro il pianeta è un avamposto temporaneamente abbandonato e non si può escludere che questi ufonauti abbiano a cuore per lo meno il destino degli ecosistemi. Tuttavia, avendo sottovalutato il pericolo costituito dalle tecnologie belliche terrestri e la loro rapida evoluzione, ora si ritrovano a mal partito, confinati nello spazio attorno alla Terra e forse sulla Luna contesa loro dai guerrafondai terrestri. Sono questi i visitatori che, in passato, stando ad alcune fonti, neutralizzarono armi nucleari ed intervennero per evitare o ridurre gli effetti di disastri come quello di Chernobyl?

2) E' in atto un confronto armato che vede contrapposti due schieramenti: alieni malvagi alleati del governo terrestre occulto, la Cabal, da un lato; intrusi extraterrestri altrettanto violenti ed ostili. Insomma, un conflitto tra banditi. Questo scenario descrive una lotta senza quartiere per il predominio sulla terra e l'asservimento del genero umano, del tutto inconsapevole di quanto sta accadendo sopra la sua testa dove incrociano aerei della morte, si impiegano armi al plasma, elettromagnetiche e scalari utili sia per combattere la guerra sia per istupidire e soggiogare le popolazioni.

3) I terrestri, alleati un tempo di alieni spregiudicati, ora stanno cercando di sbarazzarsi dei loro ex fornitori di tecnologie: i militari si sono accorti che gli alieni hanno intenzione di impadronirsi del pianeta e di liquidare in primo luogo i collaborazionisti. Così le forze armate hanno studiato un piano per eliminare gli avversari e per prendersi tutta per loro la torta. "Il piano prevede la creazione di una razza umana completamente lobotomizzata, ma in grado di ospitare quell'energia che gli uomini hanno, ma gli umani no. Questa energia sarebbe tolta all'uomo con alcuni macchinari e trasferita a questi umani geneticamente modificati che, per loro natura, sarebbero facilmente pilotabili come marionette dai nostri governanti". (C. Malanga).

Quale governo mai sarà disposto a dichiarare, in modo più o meno aperto, che non solo esistono civiltà extraterrestri, ma anche svelare il ruolo degli esecutivi del nostro pianeta, un ruolo sempre negativo ed inconfessabile, qualunque degli scenari succintamente prospettati si consideri?

Dissento del tutto da Pinotti che attribuisce la prudenza e la riservatezza degli esecutivi all'anomia che si diffonderebbe nella società umana, qualora venisse comunicato che "non siamo soli". La sinarchia, infatti, è fautrice dell'ex chaos ordo: non è dunque tanto la confusione ad essere temuta, ma la verità, una verità in grado di dimostrare, ipso facto, insieme con altri inoppugnabili dati, che i governanti non sono persone di specchiata moralità.

Articolo correlato: C. Penna, U.F.O.: il segreto più nascosto, 2009




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06 gennaio, 2009

Eclissi

A Gaza si è festeggiato l'avvento dell'anno nuovo con fragorosi razzi che hanno sventrato edifici ed abitanti. Altrove si è celebrato con mortaretti, bengala e fuochi artificiali. Un capodanno pirotecnico, preludio di un 2009 che non pare promettere nulla di buono. Oltre alla violenza che dilania il pianeta, colpisce, ma neppure più di tanto, la debolissima reazione delle persone di fronte alle laceranti grida delle vittime.

Il cielo chimico da cui il sole stilla appena una goccia di pallido sudore è lo sfondo più adatto per la noncuranza, l'abulia dell'umanità, per questa eclissi della coscienza. L'astro si è spento dietro una coltre fuligginosa. La dignità, la bellezza e la verità sono defunte. L'indifferenza della gente, l'ignoranza degli "intellettuali" sono tutt'uno con l'immonda, vergognosa ipocrisia delle classi dirigenti. E' utopico pensare che qualcosa possa cambiare confidando nell'umanità: appellarsi alla giustizia, alla rettitudine, alla verità pare sforzo inane.

Il ciclo deve compiersi: i segni di un’infernale degradazione si vedono tutti. Quanto più le persone si perdono dietro il fascino rutilante di cellulari e televisori al plasma, tanto più la putrefazione della società diventa manifesta, con la zaffata ammorbante che invade anche gli angoli più sperduti del pianeta.

Ormai viviamo in un mondo di esseri dall'encefalogramma piatto: l'obiettivo di ridurre i cittadini in zombies è stato conseguito con successo. Si può passare alla fase successiva. Il ciclo è quasi compiuto: era forse tutto scritto.

Esistono le eccezioni, ma restano tali: rimangono uomini che saranno i muti testimoni della catabasi.

Negli ultimi giorni sarà più facile resuscitare i morti che trasmettere un palpito di vita alle larve "umane".

La salvezza è possibile, ma bisognerà pagarne il prezzo.


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04 gennaio, 2009

La dimensione astrale nella novella di Luigi Pirandello, intitolata "Di sera un geranio"

In un celebre racconto, Luigi Pirandello ripercorre le ultime ore di un moribondo e, con magistrale capacità evocativa, descrive le sensazioni che provano coloro che compiono i cosiddetti viaggi astrali e le esperienze di pre-morte. Arduo stabilire se l'autore siciliano avesse conosciuto esperienze di sdoppiamento che ha poi trasfigurato nella sua narrazione o se l'itinerario delineato del doppio che sguscia via dal corpo per perdersi nel respiro della vita universa sia un'intuizione dell'artista. Comunque sia, lo scrittore palesa una particolare sensibilità nell'approccio ad una dimensione liminale. Leggiamo alcuni passaggi del testo che evidenziano la somiglianza con le out of body experiences (O.O.B.E.)

"S'è liberato nel sonno, non sa come: forse come quando s'affonda nell'acqua, che si ha la sensazione che poi il corpo riverrà su da sé, e su invece riviene solamente la sensazione, ombra galleggiante del corpo rimasto giú. Dormiva e non è piú nel suo corpo; non può dire che si sia svegliato; e in che cosa ora sia veramente, non sa; è come sospeso a galla nell'aria della sua camera chiusa.

Alienato dai sensi, ne serba piú che gli avvertimenti il ricordo, com'erano; non ancora lontani ma già staccati: là l'udito, dov'è un rumore anche minimo nella notte; qua la vista, dov'è appena un barlume; e le pareti, il soffitto (come di qua pare polveroso) e giú il pavimento col tappeto e quell'uscio e lo smemorato spavento di quel letto col piumino verde e le coperte giallognole, sotto le quali s'indovina un corpo che giace inerte [...]


Ma dopo tutto, ora s'è liberato e prova per quel suo corpo là, più che antipatia, rancore. Veramente non vide mai la ragione che gli altri dovessero riconoscere quell'immagine come la cosa più sua. Non era vero. Non è vero. Lui non era quel suo corpo; c'era anzi così poco; era nella vita lui, nelle cose che pensava, che gli s'agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza più vedere sé stesso. Case strade cielo. Tutto il mondo.

Già, ma ora, senza più il corpo, è questa pena ora, è questo sgomento del suo disgregarsi e diffondersi in ogni cosa, a cui, per tenersi, torna a aderire ma, aderendovi, la paura di nuovo, non d'addormentarsi, ma del suo svanire nella cosa che resta là per sé, senza più lui: oggetto: orologio sul comodino, quadretto alla parete, lampada rosea sospesa in mezzo alla camera.Lui è ora quelle cose; non più com'erano, quando avevano ancora un senso per lui; quelle cose che per sé stesse non hanno alcun senso e che ora dunque non sono più niente per lui. E questo è morire.[...]


Sparire.


Sorpresa che si fa, di mano in mano, più grande, infinita: l'illusione dei sensi, già sparsi che, a poco a poco, si svuota di cose che pareva ci fossero e che invece non c'erano; suoni, colori, non c'erano; tutto freddo, tutto muto; era niente; e la morte, questo niente della vita com'era. Quel verde... Ah come, all'alba, lungo una proda, volle esser erba lui, una volta, guardando i cespugli e respirando la fragranza di tutto quel verde così fresco e nuovo! Groviglio di bianche radici vive abbarbicate a succhiar l'umore della terra nera. Ah come la vita è di terra e non vuol cielo, se non per dare respiro alla terra! Ma ora lui è come la fragranza di un'erba che si va sciogliendo in questo respiro, vapore ancora sensibile che si dirada e vanisce, ma senza finire, senz'aver più nulla vicino; sì, forse un dolore; ma se può far tanto ancora di pensarlo, è già lontano, senza più tempo, nella tristezza infinita d'una così vana eternità".

La sensazione di staccarsi dal proprio involucro fisico, mentre il ka galleggia, fluttua nell'aria; il cambio di prospettiva per cui il morente osserva il corpo che giace sul letto; l'alterazione delle percezioni; il senso di estraneità rispetto alle proprie spoglie sono altrettanti aspetti rintracciabili, con sfumature ed interpretazioni differenti secondo la persona, sia nelle O.O.B.E. sia nelle Near death experiences.

Pirandello, fedele alla sua poetica disincantata, non ode nel viaggio oltre la soglia della realtà fisica, alcuna eco spirituale, non è scosso da un brivido metafisico, ma ripiega, insieme con il protagonista con cui si immedesima tramite l'ottica interna, in nuclei riflessivi di dolente bellezza, sulle cose, attratto dai loro colori profumati (l'erba, il geranio che s'accende di luce nella sera), dalla linfa della vita che scorre nelle vene dei suoni. La morte, raffigurata come un lento, oblioso sprofondare nel nulla, mentre pallide dita scivolano disperate sull'ultimo simulacro del reale, è svuotamento di identità, lontananza dal tempo, "nella tristezza infinita d'una così vana eternità."

Tra cose insensate ed inutile eternità sembra consumarsi il percorso degli uomini; resta il fuoco del geranio che divampa nel golfo ombroso del crepuscolo.



APOCALISSI ALIENE: il libro

Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

02 gennaio, 2009

Qualche cenno sul problema delle fonti

E' veramente arduo anche solo sfiorare un tema tanto complesso ed articolato come quello delle fonti. Non di meno, visto che in non poche occasioni, ho notato che tale soggetto suscita l'interesse dei lettori, ho deciso di dedicarvi qualche cenno.

Il costante riferimento alle fonti è, in una certa misura, un'aberrazione peculiare dei nostri tempi: gli antichi Greci, quando scrivevano, fossero logografi, storici, geografi non consideravano prioritario riportare un repertorio di fonti. Testimoni di eventi, visitatori di terre incognite ai loro concittadini, era considerata sufficiente la loro testimonianza. Il termine greco "historìa" deriva, infatti, da “hìstor” che significa "testimone oculare": senza dubbio i loro resoconti potevano essere viziati da imprecisioni, da distorsioni più o meno volontarie, da pregiudizi culturali, ma il pubblico accettava come globalmente veridiche e plausibili le descrizioni e le narrazioni degli autori, senza pretendere riferimenti ad altri testi.

Anche gli scrittori che erano organici al sistema o le cui idee erano fortemente connotate si prefiggevano l'obiettività e, in parte, riuscivano a rendere lo sviluppo degli avvenimenti ed a ricostruire le cosiddette cause. Certo, l'indagine era orientata, aduggiata qua è là ora da preconcetti ora da fini propagandistici, ma è temerario affermare che quanto vergarono i migliori scriptores rerum greci e romani è del tutto falso. Anzi, la loro mentalità, non ancora del tutto dominata dal razionalismo, li induceva ad ampliare l'orizzonte della ricerca, accogliendo fenomeni prodigiosi o indagando i moventi psicologici delle azioni.

Prescindendo comunque dai criteri storiografici, è evidente che oggi la fonte è diventata il pilastro degli studi umanistici e scientifici, a causa dell'erroneo convincimento che essa stabilisca la plausibilità di una tesi, se non addirittura un criterio di verità. Purtroppo si dimentica che molte fonti sono fittizie: i media di regime e la scienza accademica attingono a piene mani a fonti spurie. Giornalisti, storici contemporanei, scienziati... consapevoli o no, costruiscono una pseudo-cronaca, una pseudo-storia o una pseudo-scienza, usando veline, ricerche falsificate commissionate da multinazionali, dati manipolati ad arte. Certo il nostro valoroso Santacroce pare scrivere articoli scientifici: peccato che tutte le sue conclusioni siano errate poiché le informazioni ed i riferimenti cui si richiama sono tutti non autentici. Allora è preferibile un articolo non referato, ma imperniato su osservazioni genuine a certe ricerche svolte sulla base di elementi contraffatti.

Si è arrivati al non-senso di articoli invasi da note, addenda, sterminate bibliografie, apparati, tabelle, statistiche... in cui il contenuto originale dell'autore è ridotto ai minimi termini o annacquato tra i mille rivoli dei richiami. Citare Fichipedia è garanzia forse di attendibilità?

Non appena si pubblica un testo con informazioni non allineate o all'apparenza inverosimili, alcuni lettori chiedono quali siano le fonti. Non sarà il caso di sostituire, almeno in qualche caso, a tutte quelle glosse, l'osservazione, l'intuizione, l'analisi sul campo? La citazione di studi precedenti è importante, purché sia uno studio fededegno, ma non può eclissare altre tipologie di argomentazioni, empiriche, pragmatiche e via discorrendo.

In fondo, chi si appella alle fonti, si appella all'ipse dixit, al principio di autorità, eppure una sciocchezza resta tale, anche se l'ha scritta Santacroce. Sarebbe questo dunque il metodo scientifico? E' questo il progresso compiuto e tanto decantato rispetto all'ottusa ostinazione dei peripatetici?

La preponderanza dell'autorità e del dogma sulla disamina, sull'investigazione, sulla riflessione, sul senso critico regna oggi incontrastata in ogni ambito "culturale". La scienza attuale è molto più dogmatica delle religioni, infinitamente più pretenziosa e nociva, in quanto strumento di controllo ed arma del sistema.

Con quale autorità alcuni interpretano il "reale"? Con l'autorità che viene loro dall'amore per la verità. Non troveremo cercatori della verità tra i banditori delle versioni ufficiali; non troveremo neppure un pallido riflesso della verità, quand'anche inserissero in un articolo di dieci righe una monumentale bibliografia.

E' preferibile infine affidarsi al proprio sesto senso, a testimonianze sincere, a dati incontrovertibili che attingere alle fonti... avvelenate.



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