29 gennaio, 2012

Fiori notturni

Sbocciano strani fiori nella notte: sono memorie in cui scorre una linfa scura, silenzi aspersi di rugiade velenose, sogni sgualciti.

Tendono i loro steli grigi verso la larva della luna, sfiorati dalle sue dita di ghiaccio.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

26 gennaio, 2012

Casi e significati

Si fronteggiano due concezioni irriducibili: una visione è incentrata sul caso; l’altra è imperniata sul senso. La prima è propugnata da molti scienziati accademici e dai filosofi nichilisti; la seconda da chi, nonostante tutto, non si arrende all’assurdo. Forse alcuni eventi sono fortuiti ed altri logici? Tra le due visioni esiste qualche punto di contatto? Invero, è arduo conciliare l’inconciliabile. Qualcuno si è cimentato nell’intrapresa con risultati deludenti.

Il significato ed il suo contrario, il non-senso, non si concettualizzano, ma si vivono a volte non solo nello stesso giorno, ma nel medesimo istante che assurge a paradosso esistenziale. Il valore della vita (di ogni vita anche quella infinitesimale) coesiste con la sua mancanza (percepita?) di senso: è una superficie profonda, una prospettiva piatta.

Ogni esperienza (anche la più dolorosa ed inesplicabile) insegna; sovente, però, segna in modo indelebile. Non è tanto la sofferenza a dichiarare la contraddizione, poiché sappiamo inscriverla in un progetto, quanto l’arbitrarietà degli accadimenti. Per quanto tentiamo di interpretarli, resta in questi un nocciolo illogico. Rinunciare all’aleatorietà, significa intravedere un disegno, la filigrana del destino. Nel deserto finalmente appare l’oasi, ma nel luogo in cui doveva essere. Anche in tale circostanza, si potrà individuare un trait d’union tra “caso e necessità”, ma a costo di quali acrobazie speculative?

Sebbene i confini siano labili e benché siano per lo più tracciati dagli uomini, rimane uno zoccolo duro: non ci si libera tanto facilmente del dualismo, poiché la dualità è nell’essere.

Occorre giustificare tutto, dalla galassia che ruota negli spazi immensi alla goccia di pioggia che stilla da un filo d’erba. E’ necessario motivare la morte ed il male: è come quadrare il cerchio, con il rischio di collocare valenze razionali in àmbiti irrazionali.

Il percorso dell’esistenza corre su due binari che talvolta possono avvicinarsi fin quasi a confluire, ma non si toccano mai.

Così si è gettati in un’oscura voragine: la luce che si intravede lassù sarà quella di un astro o di un fuoco fatuo?

Non sappiamo dove si situi il senso ultimo né se esista. Tuttavia, anche se sappiamo che forse non lo troveremo mai, continuiamo a cercarlo.

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24 gennaio, 2012

Concordia discors

Absit niuria verbis

La sera del 13 gennaio 2012, la nave di crociera “Costa Concordia", salpata da Civitavecchia, urta tra le 21:20 e le 21:40 gli scogli a 500 metri dal porto dell'Isola del Giglio. Il naufragio è preceduto da un black out. Nella murata si apre uno squarcio di 70 metri: i morti sono 13, mentre è imprecisato il numero dei dispersi. Il comandante, Francesco Schettino, è prima sottoposto a fermo giudiziario, poi arrestato con l'accusa di omicidio colposo plurimo, naufragio e abbandono della nave. Dopo pochi giorni gli vengono accordati i domiciliari.

Questa è, in estrema sintesi, la cronaca del disastro, stando alle fonti ufficiali. Qui non si intende tentare di comprendere se il naufragio della nave sia stato un incidente, causato dall’imperizia e dalla superficialità del comandante o un caso orchestrato come l’incidente del "Titanic" che affondò il 14 aprile 1912, dopo aver cozzato contro un iceberg. Nella sciagura morirono, tra gli altri, alcuni pezzi grossi contrari alla fondazione della "Federal Reserve", l’istituto di credito privato che, con il sistema del signoraggio, tiene in pugno e scortica i contribuenti statunitensi. I sospetti circa l’’affondamento del transatlantico si concentrano sulla Compagnia di Gesù. [1]

Bisogna, invece, denunciare il pressappochismo di quei gazzettieri come Vittorio Zucconi (nomen omen) che subito si sono precipitati a screditare le interpretazioni, secondo cui dietro la tragedia del "Costa Concordia", potrebbe nascondersi la mano dei soliti noti. Ora, prescindiamo pure dalla malafede dei vari pennivendoli che sono capaci pure di contestare la storicità della congiura ordita in Firenze dai Pazzi: si deve, però, con forza sottolineare che costoro non conoscono la differenza tra cronaca e storia. I vari apologeti del sistema, frodando i lettori, subito trasformano i fatti dell’attualità (un’attualità sovente controversa ed oscura) in storia, una storia scritta da loro ad uso e consumo dei potenti da paggi grafomani. Ormai i cronisti non esistono più né gli editorialisti: Vittorio Zucconi è solo un travet più inutile che patetico. Eppure si atteggia a scriptor rerum, laddove, se la semplice cronaca richiede onestà intellettuale, coraggio, obiettività, fiuto, la storiografia esige una capacità di discernimento e di indagine, del tutto precluse agli imbrattacarte.

La storia vera, come ci insegna Victor Hugo, è quella segreta: è una storia vergognosa nei cui meandri, sprovveduti arroganti come Zucconi, non sono in grado di gettare nemmeno uno sguardo dei loro occhi offuscati. Un giornalista serio, ma dureremo fatica a trovarne anche un solo nelle redazioni dei media di regime, analizza i “fatti”, prima di trinciare giudizi che, tra l’altro non sono di sua competenza. E’ necessaria la prudenza, mentre dominano l’avventatezza e la superficialità. In questo modo sfuggono i particolari coincidenze (certe combinazioni suscitano molte perplessità) significative: se Schettino uscirà pressoché impunito dalle vicende giudiziarie (i domiciliari suonano piuttosto strani, per quello che ha causato) o se sarà colpito da un “provvidenziale” infarto, si potrà pensare che il comandante è stato il classico “utile idiota” per compiere un piano nefando. Si possono rintracciare altri indizi che potrebbero deporre a favore dell’ipotesi del disastro organizzato: alcuni sono labili, ma altri sembrano eloquenti. Ad esempio, l’abboccamento del 14 gennaio tra Fool Monti ed il mefistofelico pontefice Benedetto XVI. Il presidente del coniglio ha omaggiato il suo augusto ospite di una riproduzione degli "Atlanti nautici" realizzati da Francesco Ghisolfo nel XVI sec. L'antico codice consta di carte nautiche con le rotte oceaniche verso il Nuovo Mondo. “Il libro”, ha commentato il papa con un sorriso sornione, “ha un valore simbolico".

E’ comunque presto per pronunciarsi: occorre raccogliere testimonianze e resoconti, sceverare le fonti, esaminare la documentazione disponibile, prima di collocare in un contesto plausibile l’incidente in cui è stato coinvolto il “Costa Concordia”. I veri ricercatori dovrebbero imparare ad usare il condizionale, ad evitare la sicumera ed i dogmi: è proprio l’atteggiamento apodittico dei disinformatori a condannarli alla non attendibilità, ammesso e non concesso che essi, in qualche rara occasione, siano coerenti. Come possono detenere e dispensare la verità su tutto ed il contrario di tutto? Quali prodigiosi doti di chiaroveggenza consentono loro di conoscere “i labirinti de’ politici maneggi”?

E’ un errore gravissimo liquidare le supposizioni non ufficiali, vista la serie incommensurabile di accadimenti che la feccia mondialista ha diretto e provocato o, per lo meno, propiziato affinché potessero essere sfruttati, attraverso il solito schema triadico, “problema, reazione, risoluzione”.

Non attendiamoci, però, che Vittorio Zucconi e gli altri ottusi negazionisti siano in grado solo di sfiorare un’ombra di verità purchessia. Se dalle pietre non si cava il sangue, codeste sono zucche senza neanche una fibra di polpa. Buone solo per Halloween.

[1] Pare che i Gesuiti fossero interessati, con la complicità di Edward Smith, capitano della nave, a sua volta affiliato alla congregazione, a sbarazzarsi dei potenti Astor, Guggenheim e Strauss, tutti scomodi oppositori del progetto bancario che fu attuato di lì a poco, nel dicembre 1913, con l’istituzione della "Federal Reserve".

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20 gennaio, 2012

Illusione ottica

“Ero felice, non ci si accorge mai di esserlo, Angela, e mi chiesi perché l’assimilazione di un sentimento così benevolo ci trovi sempre così impreparati, sbadati tanto che conosciamo solo la nostalgia della felicità o la sua perenne attesa”. Così scrive Margaret Mazzantini in “Non ti muovere”.

L’autrice coglie il carattere inafferrabile della felicità, confinata in un passato perduto per sempre o proiettata in un futuro che non si realizza mai. E’ questo l’umano destino: rincorrere una gioia che non appartiene al presente, che non appartiene a nessun tempo. Ghermire l’attimo? E’ possibile? A volte, strappiamo una gratificazione a qualche istante che viviamo, ma la felicità è altra cosa. Vorremmo eternare quei rari momenti di serenità: è il sogno che culliamo invano, il miraggio che fluttua innanzi ai nostri occhi. Se la gioia fosse imperitura, la distingueremmo dal dolore e dal tedio? Solo quando l’esultanza spicca sulla grigia pagina della noia, se ne discerne il vivace colore. Eppure…

Il desiderio della felicità, desiderio sempre risorgente e sempre frustrato, è umano proprio come la necessità di stare con gli altri. Si può essere felici da soli? Il detto “beata solitudo, sola beatitudo” si applica agli spiriti sublimi che hanno imparato a trascurare i piaceri caduchi, siano pure quelli più nobili, generati dalla socievolezza e dall’amicizia. Fatto è che, se abbiamo appreso a tollerare sofferenze indicibili ed a nasconderle a noi stessi ed agli altri, quando siamo felici, desidereremmo condividere quei magici momenti con qualcuno. Il dolore è solitario; la letizia ama la compagnia. Il dolore condiviso resta intatto nella sua intensità; se rendiamo partecipi gli altri della nostra contentezza, essa si espande. Gli altri, però, se non sono mossi da invidia, non capiscono; non possono capire ed immedesimarsi nel nostro stato di grazia. Così la felicità, se mai la si sfiori, pare condannare alla solitudine, tramutandosi nel suo contrario.

Che pensare della fantasia che trasfigura e, per così dire, spiritualizza i piaceri effimeri e li colloca nella dimensione dell’eterno? L’esigenza insopprimibile alla felicità, che non è la volgare soddisfazione dei bruti, ma un compimento della natura umana, dimostra che la vita è tale, solo se sostanziata di senso e di gratificazione. Se vagheggiando lo stato prodigioso, andremo incontro a cocenti delusioni, è ancora più triste rassegnarsi ad esistere, senza più l’anelito alla bellezza, alla verità, all’appagamento. Ciò anche se in cuor nostro sappiamo che la felicità è solo un’illusione ottica della coscienza.

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16 gennaio, 2012

Un'esperienza di pre-morte raccontata da Gregorio Magno (seconda ed ultima parte)

Leggi qui la prima parte.

“Un certo soldato della nostra città fu colpito dalla peste. Uscì dal proprio corpo senza vita, ma ben presto ritornò e riferì quel che gli era capitato. A quel tempo, queste cose accadevano a molti. Egli disse di aver visto un ponte sovrastante un fiume nero, lugubre, che esalava un olezzo insopportabile. Di là dal ponte, invece, erano dei campi meravigliosi tappezzati di erba verde e di fiori profumati, che fungevano apparentemente da luogo d’incontro di una folla vestita di bianco. V’era nell’aria un odore così piacevole, che bastava da solo a soddisfare quei signori che passeggiavano. In quel luogo ciascuno aveva una sua dimora piena di una luce splendente. Inoltre, vi stavano costruendo una casa di dimensioni sbalorditive, in mattoni d’oro, ma egli non riuscì a capire a chi fosse destinata. Sulla riva del fiume v’erano altre dimore, alcune delle quali contaminate dall’olezzo proveniente dall’acqua, altre nemmeno sfiorate da questo.

Il ponte costituiva il banco d’esame: se a cercare di attraversarlo era una persona iniqua, questa scivolava e cadeva nell’acqua scura e puzzolente, mentre i giusti, non essendo ostacolati dalla colpa, procedevano facilmente verso quel mondo di delizie. Rivelò di aver visto Pietro, un anziano della famiglia ecclesiastica morto quattro anni prima, nell’orribile melma al di sotto del ponte, oppresso da un’enorme catena di ferro. Alla domanda del perché, gli fu data una risposta che richiama alla mente tutto quanto sappiamo della vita di costui.

Gli fu detto: ‘E’ stato punito in questo modo perché, quando eseguiva l’ordine di punire qualcuno, lo faceva con spirito di crudeltà piuttosto che di obbedienza’. Chiunque l’abbia conosciuto sa quanto questo sia vero. Vide anche un presbitero raggiungere il ponte ed attraversarlo con tanta sicurezza nel passo quanta era stata l’onestà della sua vita. Sempre lì, pare abbia riconosciuto quel tale Stefano del quale s’è parlato prima: nel tentativo di attraversare il ponte, Stefano era scivolato ed ora la parte inferiore del corpo era lì penzolante. Dal fiume, degli uomini orrendi lo afferravano per i fianchi per tirarlo giù, mentre altri uomini splendidi, vestiti di bianco, lo tiravano su per le braccia. [1]

Durante questa lotta tra spiriti benigni e spiriti malvagi, lo spettatore di tutto ciò rientrava nel proprio corpo: così, non poté mai conoscerne il risultato. Quel che succedeva a Stefano, comunque, può spiegarsi in termini di vita: egli, infatti, era sempre stato conteso tra i peccati della carne ed i benefici della carità. Il fatto che venisse trascinato giù per i fianchi, ma contemporaneamente tirato su per le braccia, dimostra chiaramente che egli amava sì la carità, tuttavia non sapeva astenersi completamente dai vizi che lo trascinavano in basso. Quale aspetto ne uscisse vittorioso, non fu dato sapere al nostro testimone; né risulta più chiaro a noi che a colui che vide tutto ciò e ritornò alla vita. E' certo comunque che Stefano, pur essendo andato all’inferno e ritornato come si è detto, non corresse del tutto il suo modo di vivere. Di conseguenza, quando molti anni dopo egli lasciò il proprio corpo, aveva ancora da affrontare un combattimento all’ultimo sangue.

[1] Un angelo ed un demonio che si contendono un’anima sono descritti, tra gli altri, da Dante nel XXVII canto dell’Inferno. Qui l’anima di Guido da Montefeltro alla fine viene ghermita dal diavolo e precipitata nel girone dei consiglieri fraudolenti.

Fonti:

Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2009, s.v. Gregorio I Magno
R. Moody Jr, La vita oltre la vita, Milano, 1989, pp. 99-100


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13 gennaio, 2012

Agenda

Non uso agende da anni. Quando le impiegavo, tendevo a dimenticarle in ogni dove o a smarrirle: sintomo freudiano... “Agenda” vale letteralmente “cose che devono essere fatte”: è un significato che implica una coercizione insopportabile. Altri tenga con sé codesti taccuini cartacei o elettronici per annotare impegni, appuntamenti, scadenze. Per quanto mi riguarda, ritengo che la condizione di grave schiavitù che schiaccia l’umanità odierna cominci dalle piccole costrizioni. Le catene ed i ceppi, prima di diventare tali, erano lacci. Le incombenze sono già insopportabili: non attribuiamo loro l’importanza che non meritano. I conformisti sono tali, non in quanto si sono adeguati all’ideologia imperante, ma giacché ne condividono i disvalori che hanno introiettato.

Non ci si può certo aspettare che l’uomo medio cominci a ragionare in modo autonomo e ad agire in maniera consapevole. Non basta! Oggigiorno sono rarissimi atti ed i discorsi che dipendono, non da coscienza, ma anche solo da una posa anticonformista. Chissà, potrebbe essere l’abbrivo per qualcosa di più sostanzioso.

Sono soprattutto le nuove generazioni ad essere irretite, ad essere vittime dell’omologazione: la mente di adolescenti e giovani è assemblata nelle fabbriche scolastiche. Gli “studenti” non hanno scampo: nella maggioranza dei casi sono plagiati da insegnanti a loro volta già condizionati. E’ un circolo vizioso. I pochi allievi che manifestano un barlume di personalità sono deviati verso lo scientismo, spacciato per strumento rivoluzionario, di critica dell’esistente. Negli istituti e negli atenei ormai imperversa la “scienza”, a danno delle discipline umanistiche. Reputate inutili, le humanae litterae sono state snaturate in decenni di didattica pseudo-strutturalista.

Si forgiano le leve destinate ad ingrossare le coorti degli apologeti del sistema: tanto ignoranti quanto tracotanti, essi subito indispongono a causa della loro morbosa passione per le formule, per l’ossessione per la retorica fine a sé stessa, per la mania della furbizia dialettica, soprattutto per l’abitudine ad evitare i problemi per concentrarsi sulle quisquilie. Non pensiamo, però, che costoro si distinguano dalla massa: non appena smettono i loro abiti “scientifici”, si confondono nel mucchio. Il conformismo e l’acquiescenza all’ideologia del potere sono la grigia sostanza di chi non ha materia grigia. La loro preparazione evapora, non appena il sito cui attingono a piene mani, per un motivo o per un altro, non è consultabile. All’apparenza liberi pensatori fno alla dissacrazione, sono, invece, integrati nella struttura dominante, più realisti del re.

Dove troveremo chi si ribelli? La ribellione è il rifiuto di accordare il proprio consenso al potere, anche quando si è costretti a subirne le angherie. Per ribellione non intendo una rivoluzione plateale, ma soprattutto l’ironia implacabile che denuncia e mette a nudo le ipocrisie degli apparati. L’ironia sia il pungiglione che resta conficcato nel corpo dell’aggressore, anche se l’imenottero cessa di vivere.

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10 gennaio, 2012

Un’esperienza di pre-morte raccontata da Gregorio Magno (prima parte)

Gregorio Magno nei “Dialogi” riferisce un episodio meraviglioso che oggi definiremmo, usando l’espressione coniata dal dottor Raymond Moody Jr, “esperienza di pre-morte”. [1] E’ proprio Moody Jr a riportare il passo tratto dai “Dialogi”, per dimostrare che le near death experiences non sono un fenomeno peculiare dei nostri tempi, poiché se ne rintracciano testimonianze anche nell’antichità (si pensi al cosiddetto mito di Er, dipanato da Platone nella “Politeia”) e nel Medioevo. In effetti, l’aneddoto inserito nell’interessante saggio “La vita oltre la vita”, manifesta non pochi tratti tipici dei resoconti dovuti ai “redivivi”, sebbene in un’ottica religiosa, laddove le dichiarazioni dei “resuscitati” attuali sono pervase da una spiritualità alquanto lontana dai dogmi delle religioni positive. Gli stadi delle esperienze al confinetra la vita e la morte, sono stati individuati dagli studiosi e così, di solito, elencati:

- Cessazione dell'attività cardiaca

- Uscita dal corpo fisico e collocazione del corpo astrale sopra la posizione reale del soma

- Visione degli eventi che occorrono nella sala operatoria ed impossibilità di comunicare con le persone ivi presenti

- Sensazione di un benessere indescrivibile

- Viaggio improvviso attraverso l'oscurità (spesso descritta come tunnel) con allontanamento dalla zona in cui è posto il corpo fisico

- Esame e considerazione delle esperienze della propria vita

- Ingresso in un luogo ricco di particolari luminosi e colorati, con sensazioni di serenità e di amore che avvolgono il nuovo arrivato

- Incontro con entità disincarnate, che possono essere i propri congiunti già deceduti o entità spirituali ignote, o divinità della propria religione

- Ritorno, spesso contro voglia, nel proprio corpo fisico, dopo l'avvertimento di non aver ancora concluso la propria avventura terrena

- Riluttanza a raccontare ad altri il tipo di avventura vissuta

- Nuovo modo di concepire la morte

- Nuova scala di valori

- Cambiamento del modo di vivere [2]

Gregorio Magno racconta di un soldato che ritorna dalla “morte”: vivida è la raffigurazione dell’aldilà e della sorte d’un uomo d’affari, Stefano, originario di Costantinopoli. La relazione, che manifesta molte analogie con i vissuti dei “resuscitati” esaminati da Moody e da altri ricercatori, se ne discosta, laddove è rappresentato il ponte, struttura che, nella tradizione mazdea ed islamica, lo spirito del defunto attraversa. Se costui è malvagio, il ponte si assottiglia sempre più, finché l’anima precipita nell’Ade, se il trapassato è un giusto, invece, avanza senza difficoltà verso il Paradiso. Archetipi, reminiscenze di episodi realmente vissuti, invenzioni letterarie? Ciascuno giudichi liberamente.

[1] Gregorio I Magno (Roma, 540- ca 604), papa dal 590 all’anno della morte, di famiglia patrizia, fu prefetto di Roma (573) e, dopo la conversione alla vita monastica (578), diacono e nunzio di Pelagio II a Costantinopoli, alla corte del basiléus Tiberio. Eletto al soglio pontificio, valorizzò l’esperienza politico-amministrativa acquisita, riordinando il patrimonio della Chiesa, provvedendone ai bisogni di Roma colpita dalla peste e minacciata dai Longobardi. Inviò in Britannia, ai fini di evangelizzare l’isola, una missione di monaci guidata da Agostino, il futuro arcivescovo di Canterbury. Delle sue numerose opere si ricordano le Epistole, in 14 libri, i Dialogorum libri IV de vita et miraculis patrum Italorum et de aeternitate animarum, notevoli per la biografia di Benedetto da Norcia, il Liber regulae pastoralis, dove è delineato il ritratto del “perfetto vescovo”, un commento in 35 libri a Giobbe (Moralia in Iob), numerose omelie. Scritte in uno stile piano ed elegante, le opere di G.M. esercitarono un influsso determinante sulla cultura del Medioevo.

[2] Un’altra scansione, più concisa e che differisce in un solo aspetto, comprende le seguenti tappe: percezione di un suono, attraversamento di una galleria, senso di pace, inesprimibilità, abbandono dellinvolucro materiale, assunzione del corpo “sottile”, incontro con esseri spirituali, colloquio con l’essere di luce, film della vita, ritorno sulla terra.


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07 gennaio, 2012

La caduta degli angeli imbelli

Caddero. Pensavamo di poter ancora scivolare fra venti ormai fiacchi ed appiccicosi, ma il cielo s’era impantanato. Le loro ali erano pesanti di gromma e di fuliggine. Appena li sollevavano dalla terra, con le sue putride gore, con le inferriate su cui stenti rovi tendevano gli artigli. Un giorno gli angeli si schiantarono, stremati, su campi d'asfalto.

Erano stati espulsi dai mondi eterei, non per alterigia ma per viltà. Vili e imbelli, avevano dimenticato gli astri, le sillabe d’oro che colorano il silenzio degli spazi siderei. Avevano tradito gli dèi da cui avevano ricevuto qualche secolo in più, affinché si corrompessero nella volgare disperazione degli apostati.

Delle loro ali, un tempo maestose, restano oggi solo brandelli: si putrefanno al suolo come frutti spiaccicati.

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03 gennaio, 2012

La svolta

Che cosa spinge certe persone a dileguarsi? Rinunciando alla vita “normale”, alcuni decidono di sparire all’improvviso. Quanto è fragile l’equilibrio della “normalità”! Forse non esiste altro viaggio che la fuga. Se la fuga non avviene, nei modi più disparati, nell’alveo della quotidianità, essa si concreta nell’allontanamento. Diserzione? Distacco? Si dà una svolta definitiva, irrevocabile.

Può essere una svolta con cui si imprime alla vita un nuovo corso, una via per trovarsi e per perdersi. In verità, mai come oggi, l’esistenza è imprigionata nell’inautenticità, nel vuoto che fagocita tutto. All’insufficienza ontologica del vivere, sempre proteso veso un senso inattingibile, si somma il disvalore aggiunto della meccanicità che sclerotizza il mondo contemporaneo. I giorni si susseguono in uno stillicidio ghiacciato, immobili come cippi miliari.

La frattura della dipartita (“partire” è letteralmente “dividersi”) è preceduto da tanti traumi spesso invisibili, ma nell’invisibile si staglia l’essenza. Per questo motivo accade di colpo, solo se guardiamo l’esterno. Una laboriosa, silente gestazione precede gli atti più significativi.

Se non è una causa o una circostanza cogente a dirigere le scelte estreme, è la ricerca di una dimensione vera, di uno spazio che non subisca più la tirannia del tempo e delle sue scadenze. Il fine non è il viaggio (i cieli sono uguali in ogni dove), non è la meta, ma il proprio essere, quello che sfugge ad ogni definizione. Strappare le radici, cancellare ogni traccia, il passato non ha futuro.

Le definiscono sparizioni, ma non si erà già invisibili prima? Ora che si è scomparsi, il profilo spicca sulla superficie omogenea dell’assenza.

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