24 agosto, 2011

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Qualche sera fa, un canale ha mandato in onda un programma sull’eutanasia nella Germania nazionalsocialista. E' stato inevitabile il corollario di immagini con i campi in cui prigionieri languivano per gli stenti: teste inteschiate su corpi scheletriti. Sono le immagini che, con insopportabile retorica, vengono additate alle nuove generazioni affinché inorridiscano di fronti ai crimini del Terzo Reich. Quando si esibiscono tali spettacoli di abbrutimento e di morte, si sottolinea sempre la distanza, una distanza abissale: i binari che muoiono nei luoghi di concentramento, i crematori, il filo spinato, le sevizie... appartengono ad un’epoca sideralmente lontana, irripetibile, congelata in una durata atemporale.

Sappiamo che non è così: non è neppure necessario seguire un dossier sui campi dove sono rinchiusi profughi di questo o quell’altro gruppo etnico, sventurati che fuggono dalle guerre e dalle carestie, poiché è sufficiente entrare in un nosocomio o in un ospizio per assistere a scene di indicibile sofferenza e di umiliazione. Pazienti abbandonati in letti luridi, malati smunti e piagati, corsie tetre e maleodoranti, reparti squallidi dove non entra mai un filo d’aria: sono questi i protagonisti e gli spazi di un mondo che “vive” accanto a noi.

Che pensare poi delle stalle, delle porcilaie, dei macelli, delle carceri, delle caserme, della camere di tortura, degli opifici? L’inferno è (quasi) qui, appena dietro l’angolo, nella sua distante vicinanza, nella sua intangibile contiguità. Nelle residenze principesche dei maggiorenti la morte, quando entra, ha passo felpato ed è paludata in modo solenne. La morte è una livella? In parte.

Paradossalmente l’età che ha collocato l’uomo sul piedistallo, esprimendo un antropocentrismo inflessibile, è la stessa che l’ha reificato, assimilando un quarto di carne ad un arto mozzato: stanno bene insieme sul piano marmoreo di una macelleria, magari con un ciuffo di prezzemolo che esalti il rosso del sangue.

No. I filmati e gli scatti, con cui era immortalata l’agonia di semivivi ad Auschwitz, non sono molto diversi dalle istantanee dei nostri tempi destinati a diventare teatri della crudeltà sempre più truculenti. Oggi quasi tutti hanno una macchina fotografica digitale, spesso incorporata nel telefono cellulare.

Per testimoniare, se ancora qualcuno vuole essere testimone, è sufficiente un click.

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

5 commenti:

  1. Hai ragione caro Zret, gli orrori del terzo reich non sono finiti, si sono solo trasferiti in altri luoghi e sotto altri nomi. Il programma va avanti lo stesso incurante di chi siano gli attuatori o in che luogo si metta in scena. Ciao, G.B.

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  2. Hell is behind the corner, Ghigo.

    Gli orrori oggi per lo più vengono nascosti, ma non sono meno orribili, anzi.

    Ciao

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  3. Anni fa avevo scritto, e retto in più occasioni, uno striscione contro il carnivorismo che recitava: “Il nazismo non è finito, oggi si chiama zootecnia”.
    Non so quanti passanti lo capissero, per mancanza di conoscenza di ciò che avviene negli allevamenti industriali, o lo condividessero.
    I lager zootecnici vengono alla ribalta della cronaca solo in occasione di qualche contaminazione o pandemia, vera o presunta.
    Il buon vecchio Roberto Marchesini, veterinario espulso dall’Ordine, scrisse un libro dal titolo “Oltre il muro”. La casa editrice Edagricole, di Bologna, dove Marchesini vive, glielo respinse e il libro fu stampato a sue spese.
    Dunque, c’è una precisa volontà da parte dell’Establishment a tenere il popolo nell’ignoranza (come ha fatto la Chiesa per secoli), affinché non venga a sapere come si produce il “cibo” carneo e non si lasci tentare da reazioni moraliste che potrebbero danneggiare gl’introiti di macellai & affini.
    “intangibile contiguità” è un ossimoro elegante e delizioso: una botta di creatività tipica di Zret.
    Ciao

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  4. Freeanimals, oggi, ripensando alle riflessioni tue e di Corrado sulla radicalità del male, mi è venuto in mente un aforisma di Pareyson, filosofo che andrebbe valorizzato. Egli scrive ad un dipresso: "La sofferenza abita nel cuore stesso dell'universo".

    So che Angelo ed altri scriverebbero, invece, che c'è del buono sia fuori sia dentro e ciò è, in parte vero, ma mi chiedo se e come tutto questo sangue e tutta questa crudeltà possano essere conciliate con una visione solare del cosmo. Forse non aveva torto Anassimandro.

    Siamo alle solite: appena si scrive un saggio scomodo, ecco che gli editori si defilano, anche se nessun libro ha mai inciso più di atnto.

    Ciao

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  5. “Le cose da cui proviene la nascita alle cose che sono, peraltro sono quelle in cui si sviluppa anche la rovina, secondo ciò che deve essere: le cose che sono, infatti, subiscono l'una dall'altra punizione e vendetta per la loro ingiustizia, secondo il decreto del Tempo”.

    Anassimandro citato da Aristotele

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