07 settembre, 2011

Angelology

Può l’orrore irradiare luce? In che cosa risiede la fascinazione del male? Sono le domande che, come proiettili, colpiscono il lettore di “Angelology”, opera prima dell’italo-statunitense Danielle Trussoni. L’autrice, con questo romanzo fastidioso e coinvolgente, irrigidito nei cliché, eppure in parte insofferente dei soliti steccati, ci conduce nel sulfureo regno degli angeli prigionieri.

E’ naturale: bisogna chiedersi che senso oggi abbia il genere, ormai scaduto nell’intrattenimento più volgare ed effimero o, di converso, (ma è un’antitesi apparente) nei prodotti cervellotici ed ottusi di Umberto Eco, il cui ultimo conato, “Il cimitero di Praga”, è il cimitero di ogni speranza in una resurrezione del romanzo.

La letteratura contemporanea, se veramente affonda in questi tempi martoriati e folli, aborre dalla narrativa, perché non è possibile raccontare l’iterazione del non-senso che semmai si può affidare ad una fotografia, eternatrice della morte.

Così ci accontentiamo di abbozzi, di quasi-testi che, nella loro incompiutezza, spalancano abissi di pensieri. Ci beiamo di saghe interrotte oppure di opere come “Angelology”, il cui valore è nei frammenti che scheggiano gli specchi di consolidate percezioni e concezioni. Dimentichiamo dunque gli angeli tradizionali, quelli che finiscono, con tanto di diafane ali e di tuniche elegantemente drappeggiate, nei libri della New age. Figuriamoci, invece, creature (i Nefilim, gli Anakim ed i Gibborim) in cui una bellezza sfolgorante si congiunge ad una malvagità assoluta, quasi il divino (sia pure un divino decaduto) ed il diabolico si compenetrassero. Dimentichiamo i celestiali cori angelici sovrastati dalla musica che incanta ed uccide.

A differenza di molti autori d’oggi, la Trussoni non massacra la lingua (ma il verbo “posizionare” è una scelta delittuosa dei traduttori), anzi manifesta una certa vena poetica, quando indugia nella descrizione di New York, raggelata nei rigori invernali, nella pittura di interni ora sontuosi ora disadorni. La sensibilità muliebre le consente di evocare emozioni, intensità di sguardi e chiaroscuri di sfondi naturali, anche se la citazione delle marche (di scarpe, abiti, accessori) è fatuo snobismo.

Dopo alcuni capitoli psicologici, il romanzo si immette nel solco del thriller storico. I cerchi concentrici delle analessi e la decorosa costruzione di alcuni personaggi si innestano talvolta (e sono le parti migliori) sulla riflessione che ha al centro la ferocia del male, giunto sulla terra con gli alati Nefilim.

Per affrontare il tema vertiginoso delle tenebre che incombono sul mondo, occorre una tempra che la Trussoni non possiede, ma in alcune pagine l’autrice riesce a far vibrare le corde dello Spannung, mentre la melodia terribile della lira appartenuta ad Orfeo echeggia nelle pagine che dipingono la metamorfosi di Evangeline, la protagonista.

L’avventura può ora assurgere ad un volo tanto imponente, quanto solitario e pericoloso.

Ringrazio l'amica Lavinia per avermi consentito di venire al corrente del romanzo, grazie alla sua recensione su "X Times".

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3 commenti:

  1. Un misto alla Dan Brown, e all'Umberto sordo; forse ha scritto questo libro perché ha vissuto nel convento della zia o forse perché alla ricerca del paradiso perduto che nel romanzo fa trasparire alcuni cenni alla Bibbia.

    Che dire, dal Winsconsin dove non le stava bene che si svolgesse la storia ha preferito Milton, non a caso dove si trova l'autore del Paradiso Perduto.

    So che ha riscosso un notevole successo nel 2010, probabilmente come sempre succede, faranno anche il film; si sta già ventilando che la Columbia Pictures, sia interessata, guarda caso la "Columbia", chissà perché, eh?

    wlady

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  2. Sei stato implacabile, Wlady. Io, invece, ho provato a salvare qualcosa del romanzo che è sempre meglio dei vomitevoli brogliacci di Eco. Obietterai: "Ci vuole poco!!!" Tant'è...

    Ciao

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  3. Caro Zret, tutte le farneticazioni alla Malanga Plato Brown e, non ultima purtroppo, tale scrittrice, su temi così profondi, seri, determinanti per la vita degna che ogni essere dovrebbe anelare; ecco, dicevo tutto questo straparlare di angeli, non produce che confusione, disorientamento (ho già scritto a tal proposito). I nostri compagni celesti che ci seguono sul cammino che porta alla Luce, ma pure quando perdiamo la rotta non ci abbandonano, son quelli che pure ingenuamente ci venivano presentati al catechismo (ai miei tempi si chiamava 'dottrina') da piccoli. Ognuno di noi li ha sentiti, comunque; ognuno di noi può perfino vederli con gli occhi interni, belli fulgidi sottili strani. Mi tormenta il cuore assistere alla degenerazione della Tradizione (quella perenne senza patenti né steccati) causata da dei presuntuosi cialtroni che pur di spararle sempre più grosse invertono le cose, per stupire i borghesotti, viziati, annoiati. Vogliono riscrivere il testo sacro, distruggendo la devozione popolare con puttanate (scusa il termine) pericolose, che mirano a generare kaos nell'universo. Come se già non bastasse quello fin dalle origini. Carissimo Zret, la superbia è una brutta bestia e tali nuovi santoni della conoscenza, ne sono pregni.
    Un ultima cosa, se me lo permetti. Se hanno così seguito gli gnostici della domenica è perché i chierici da tempo hanno tradito. L'avversario è forte nella misura in cui ci indeboliamo. Le autorità ecclesiastiche -cattoliche protestanti soprattutto - non hanno più fede nella dimensione verticale, dimentichi della missione loro consegnata. Credono più nella previdenza che nella provvidenza.
    Perdona il mio sfogo.

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