12 gennaio, 2013

Ostraka


E’ la logica in sé ad essere superficiale.

Gli óstraka sono frammenti di coccio o di pietra usati, soprattutto in Egitto, come materiale scrittorio. Sono stati rinvenuti óstraka scritti in greco, in ieratico, in demotico, in aramaico, in copto ed abche in arabo. Una categoria speciale è rappresentata dagli óstraka tebani del Nuovo Regno che hanno conservato abbozzi di pitture. Ad Atene, per circa un secolo, gli ostraka furono impiegati nelle votazioni per decidere un’espulsione decennale ai danni di uomini politici sgraditi.

I cocci impiegati nella pólis sono potenti metafore della condizione umana. Graffiati con il nome ed il patronimico, con lettere angolose, sono i frammenti di un’unità scissa. Il destino personale è inciso per mezzo di segni su superfici concave, come protetti in fragili gusci. Siamo induriti nella materia a somiglianza di mattoni cotti al sole.

L’esistenza è esilio. Il vasaio ci ha modellato al tornio del tempo: ha poi rotto il vaso ed i frantumi sono sparsi sul selciato. Per questo motivo non ci riconosciamo in noi stessi. Avvertiamo il dissidio, ma non sappiamo ricomporlo. La natura spezzata, eppure intimamente concorde dell’uomo è intuita da Eraclito.

“E dentro di noi è presente un’identica cosa: vivente e morto e lo sveglio ed il dormiente e giovane e vecchio: infatti queste cose, una volta rovesciate sono quelle e quelle, dal canto loro, una volta rovesciate, sono queste”. [Frammenti 14 (A 5. 115)]

Dunque dualità ed intercambiabilità dell’essere: il trascendimento dei contrari produce un’armonica asimmetria. E,’ infatti, l’asimmetria che accoglie la vita. Lo sapevano gli antichi architetti ed i facitori di versi che cercavano nel ritmo lo sdrucciolamento da cui riprendere la regolarità del passo. Il ritmo della vita è scazonte.

L’essenza è nei disiecta, nella disintegrazione che rivendica l’unità. Il racconto acquisisce senso, quando la sintassi narrativa moltiplica le prospettive. Il linguaggio, soggiogato dalla logica, ostenta una saldezza che è insignificanza. Invece l’épos ed il canto dell’aedo proiettano sillabe di senso sull’intonaco della notte.

Attratti nell’orbita gravitazionale di un pianeta oscuro, incubiamo sogni disseccati a somiglianza di steli bruciati dal sole. Siamo agglutinati al cuore nero della terra.

Solo quando (e se) saranno stati dissepolti, una volta rimossi i sedimenti, gli óstraka luccicheranno come attimi di eternità.

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

2 commenti:

  1. Bellissima riflessione.
    Forse il cuore adesso ci sembra nero, greve di sedimentazione.
    In un certo senso l'ispirazione custodisce e nel custodire da significato e protegge il senso profondo della vita imprimendo alla gravità stessa una forza maggiore dei moti stellari, nel profondo delle molteplici combustioni, i molteplici centri del desiderio, cuori ardenti al pari di quello dell'Uomo rivelato a se stesso e in se stesso, qui appunto, la salvezza.
    Tutto il bario che potranno rilasciare nell'atmosfera produrrà solo una momentanea destabilizzazione che ad ogni modo non intaccherà il nucleo più remoto dell'essere.
    Thymos è il cuore - centro dell'emozione e della consapevolezza ardente - chi mai potrà realmente liquefare o plastificare l'identità universale?

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  2. Commento sublime, Giovanni, come sempre del resto.

    Incornicio le tue parole, il cui significato va ben oltre il senso letterale.

    L'ispirazione ha per confine solo l'infinito.

    Ciao

    RispondiElimina

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