18 gennaio, 2013

Un ricco nel regno dei cieli

Si demonizzano la ricchezza ed i ricchi. E’ vero: “E’ più facile che una gomena entri in una cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli”. Tuttavia anche fra i poveri talora albergano la malizia e l’invidia. [1]

Il denaro di per sé non è esecrando, purché sia risultato del proprio ingegno e del proprio lavoro, purché non provenga dall’usura e dalla frode. Il problema si pone quando si è sopraffatti dalla cupidigia, dalla sfrenatezza, dalla spilorceria: il denaro possiede facilmente chi lo possiede. Ce lo insegna, ad esempio, il bellissimo racconto “La giacca stregata” di Dino Buzzati, il cui protagonista si arricchisce, dopo che un mefistofelico sarto gli ha cucito una giacca. Nella tasca dell’abito, l’uomo trova mazzi di banconote che si materializzano magicamente ogni qual volta sono perpetrati dei delitti. Sono banconote insanguinate.

Si obiurgano i detentori di capitali, le persone che vivono negli agi, ma se sono imprenditori onesti che creano occupazione, contribuendo al benessere del consorzio umano, perché deplorare che amino le comodità? Perché condannarli, se si tolgono qualche capriccio? Se gli indigenti avessero molta pecunia, deciderebbero di vivere in modo spartano? L’oppressione fiscale che toglie a tutti per rinsaldare un sistema iniquo non è forse più detestabile del desiderio di una vita confortevole? Immense risorse sono risucchiate da banditi che locupletano sé stessi ed i loro maggiordomi (i “politici”) in modo abietto. Questa ricchezza è vergognosa: è la conseguenza di un ladrocinio legalizzato, di un furto di stato.

Gli asceti ed i fautori del pauperismo hanno alcunché di fanatico. Tuonano contro lo sfarzo in cui forse vorrebbero nuotare. Lasciamo ai doviziosi le loro ville, le tenute, i panfili, i gioielli, i quadri… Se essi traggono felicità dalle cose, che se la godano. Se la felicità è altrove, non li invidieremo, sapendo che essi cercano quanto nessuno trova facilmente. Se sono tanto attaccati alla “roba”, il distacco da essa sarà per loro assai più doloroso che per chi ha imparato a dare il giusto valore ad ogni bene.

Sarebbe auspicabile che ognuno potesse vivere in modo decoroso, lontano sia dalle ristrettezze sia dalla magnificenza più pacchiana. Sfortunatamente le sperequazioni sono la norma: masse di diseredati in tutto il mondo languiscono, mentre pochi privilegiati oziano tra lussi sibaritici.

Non sarà, però, qualche nuovo, esorbitante balzello sui redditi più alti ad instaurare la giustizia sociale.

[1] La sentenza “E’ più facile che un cammello entri in una cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli” è l’effetto grottesco di un grossolano errore nella traduzione.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

2 commenti:

  1. Cupidigia, dal latino "cupio", desiderare ardentemente, un circolo vizioso del potere per il potere.

    I non ricchi ostentano questo modo di potersi elevare a una condizione più alta della società al di sopra del buon gusto.

    Tutto questo è indice di arretratezza umana che non si è ancora elevata, con una brama che è affine all'avido avaro e ingordo che non è necessariamente ricco ma, solo una tara dei nostri tempi.

    Per alcuni politici è una sanie che infetta l'amministrazione pubblica, nel privato è la sanie dell'invidia di una gelosia morbosa che vediamo tutti i giorni nelle piccole cose.

    Possiamo definire la "Sanie" rapportata al denaro come una materia purulenta che infetta la vita di tutti i giorni.

    Ciao

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  2. Sagge parole, Wlady. I peggiori sono i parvenus, coloro in cui l'ostentazione più volgare è associata alla rozzezza di ex villici, all'arroganza più bieca.

    Esemplare la descrizione di codesta genia nel romanzo di Gadda, "La cognizione del dolore". Nell'opera questi arricchiti sono bollati come "manichini ossibuchivori".

    Ciao

    RispondiElimina

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