28 maggio, 2015

Da Sallustio a Sallusti

Nello storico latino Sallustio (Amiterno, 86 a.C.- Roma 35 a.C.) è incommensurabile la distanza tra la reale condotta politica ed i proclamati princìpi etici. Dopo aver ricoperto la questura ed il tribunato della plebe, Sallustio fu espulso dal Senato per indegnità, anche se vi fu reintegrato mercé l’intervento di Cesare di cui fu fedele seguace. Nel 45 a. C. lo scrittore fu accusato di concussione per gli atti compiuti come governatore dell’Africa nova e, solo grazie all’intervento di Cesare, poté evitare il processo.

La figura di Sallustio ed il suo contegno come funzionario sono esemplari: ci spronano a rifuggire da una facile ed ingenua idealizzazione del passato. Nell’antica Roma delitti quali la concussione, il peculato, i brogli elettorali... erano sintomi di una corruzione dilagante tra le classi dirigenti, la medesima disonestà che è connaturata al sistema attuale.

Nel De coniuratione Catilinae Sallustio offre un’interpretazione moralistica della storia romana: la crisi politica e sociale, di cui la congiura di Catilina (63 a.C.) è un esempio emblematico, è il prodotto della decadenza etica dovuta alla ricchezza ed alla potenza stessa di Roma. Nel Bellum Iughurtinum, la causa del declino della res publica è individuata con maggior precisione nella fine della concordia tra popolo e Senato, accordo che in passato era stato garantito dalla paura dei nemici (il metus hostilis), paura dissipatasi con la distruzione di Cartagine nel 146 a.C.

Con le tirate moralistiche di Sallustio stride il suo contegno spregiudicato (egli fu un proconsole disonesto e rapace): è il divario che separa quasi tutti gli odierni amministratori della cosa pubblica, a parole fautori della rettitudine e della giustizia, nei fatti rotti alle più abominevoli turpitudini e proclivi ai più nefandi crimini.

Di recente un piccolo ma significativo saggio di codesta incongruenza ci è stato fornito da Roberto Formigoni, il catto-ipocrita affiliato a “Comunione e Liberazione”, ex presidente della Regione Lombardia, protagonista di una volgare ed imbarazzante performance nell’aeroporto di Fiumicino. Le pubbliche virtù, magari ammantate di etica “cristiana”, si sbriciolano alla prima occasione, mettendo a nudo vizi laidissimi, sostanziati di protervia e di trivialità. Così non devono sorprendere né la tracotanza del senatore fuor di senno né il suo eloquio da taverna: sono entrambi le inguaribili tare di una declassata classe “politica” di cui Formigoni è icastica, perfetta sineddoche.

Tuttavia un abisso divide il passato dal presente: se Sallustio fu uomo non propriamente specchiato, al tempo stesso, fu scrittore sapiente e vigoroso. Il suo stile, improntato a brachilogia ed inconcinnitas, è testimonianza imperitura di indiscusso talento letterario.

Si snidi oggi un “politico” che, pur immerso nel brago della degradazione, sappia pensare, esprimersi e scrivere in modo lineare e perspicuo, senza incorrere nelle atroci deturpazioni linguistiche in cui eccelle la genia dei “giornalisti” italo-beoti. Paradossalmente troveremo oggi qualche politico integerrimo e sollecito del bene collettivo, ma invano cercheremo tra i cosiddetti potenti (ministri, magistrati, burocrati, dirigenti...) un uomo che padroneggi i rudimenti dell’”idioma gentile”. Anche questo è un segno dei tempi sudici in cui siamo costretti a vivere.

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