06 luglio, 2016

Fine del male?



La saggezza popolare identifica nella morte la fine di ogni sofferenza. “Ha smesso di soffrire”, “E’ passato/a a miglior vita”…: queste frasi esprimono il convincimento che, dopo il decesso, o perché subentra il nulla o in quanto l’anima si libera dai gravami terreni, ogni forma di dolore sparisce.

Quanto è plausibile tale convinzione? Se hanno ragione i materialisti, secondo i quali la fine del corpo è la fine di tutto, non si pongono problemi, ma se avessero torto?

Adepti di talune confessioni cristiane asseriscono che solo un’esigua minoranza degli uomini sarà premiata con l’eterna beatitudine, mentre miliardi di reprobi già dimorano nell’inferno dove sono destinati a precipitare quasi tutti gli appartenenti alle attuali generazioni della Terra.

Sono sempre più numerosi i ricercatori che vedono nella luce avvolgente, nella sensazione di beatitudine ricordate da chi ha avuto un’esperienza di pre-morte un inganno arcontico: gli Arconti (o i demoni alias alieni malevoli) attirerebbero l’anima in una trappola per poi riciclare la psyché, reintroducendola in un nuovo involucro. In questo modo gli Altri possono proseguire a parassitare le loro vittime e ad usarle per trasferire le memorie da un cervello ad un altro.

Non sappiamo se tale ipotesi sia credibile: vero è che trova il suo fondamento in alcune idee della Gnosi antica, spesso l’unica fonte da cui si sono attinte conoscenze in gran parte avvalorate da ricerche recenti in relazione alla natura umana, al ruolo dei Dominatori, alla vera essenza del Potere.

I molteplici vissuti di pre-morte (in inglese near death experiences), anche di Musulmani, Buddhisti, Induisti etc. evocano sovente non solo il Regno dei cieli, ma pure il Tartaro e di solito curiosamente lo raffigurano secondo l’iconografia cristiana (più che cattolica, poiché il Purgatorio è presenza rara). Se nel caso di “redivivi” cristiani tale scenario, dove figura sempre Dio e compare spesso il Messia, si può giudicare come filtro culturale con cui si interpreta e, in parte, si modella una realtà trascendente, come si può spiegare questo canovaccio quando a raccontare la sua avventura nell’aldilà è, ad esempio, un fervido seguace del Profeta?

Il racconto dell’adolescente Nathan, israeliano, pur riferendosi all’Empireo ed alla Gehenna in cui i veri Ebrei non credono accenna pure al Messia, ma non proprio nel modo in cui lo intendono i Cristiani. Di conseguenza il quadro si complica.

Pare purtroppo che vedere nella morte la fine di ogni male tout court sia un’illusione, mentre è possibile che, o in un altro livello o in un altro soma, si debba seguitare, se non a soffrire, comunque a resistere prima della liberazione definitiva.

E’ ovvio che siamo nel campo delle mere speculazioni: nessuno può dispensare la verità assoluta su questioni tanto liminali e vertiginose. Non sappiamo, verbigrazia, se esista il Paradiso: avrà ragione Agostino a considerarlo un “luogo” bellissimo ma semideserto?

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5 commenti:

  1. 'E quando io avea imparato a vivere, dovea imparare a morire'
    Stiamo percorrendo il breve e fugace 'transito terrestre' per giungere altrove, donde proveniamo? Forse l'illusione si fonda sulla mancata percezione del prima più che del dopo. In questo settore gli orientali sono millenni avanti a noi e forse dovremmo dargli più ascolto. Nel mondo occidentale invece questi pensieri sono stati rifiutati ed occultati dal potere, pensiamo alla persecuzione dello gnosticismo e suoi derivati oppure dal materialismo e dallo scientismo ossessivo dei nostri tempi.
    Più che riuscire a sfuggire agli arconti della soglia estrema quindi, dovremmo forse approfondire le sfuggenti pieghe del nostro passato e chiederci chi ci ha tolto la memoria? Chi gestisce il corso di questo fiume? Ciao

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    1. Domande molto intelligenti, Ghigo, molto opportune. Anni fa un autore si chiedeva: Esiste la vita dopo la nascita? Si capovolge la prospettiva anche rivolgendosi al passato, un passato che potrebbe essere lo specchio del futuro in una specie di eterno ritorno del quasi uguale.

      Ciao

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    2. Siamo qui per fare esperienza (vedi Malanga) oppure per compiere delle scelte (libero arbitrio) per poi ripiombare nella ruota del Samsara? E se questa condizione fosse una parentesi felice che non sappiamo o vogliamo comprendere?
      In fondo si tratta di uno scenario pieno di emozioni, seppure siano ben poche quelle positive. Mi viene in mente lo stato simil-mortifero dello yoga e delle pratiche meditative e religiose e rituali in generale. Tutte alludono alla morte ed alla rinascita oppure ad una simulazione di una stasi psicomotoria non vitale, com'è mai? Ciao

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  2. Una bellissima sintesi Antonio, complimenti!
    Ho apprezzato molto l'accenno all'ipotesi della "trappola" cara ai gnostici - e ripresa anche in parte dai seguaci della dottrina di Scientology - nella quale mi sono spesso imbattuta e che mi fa pensare ;)
    Le nostre percezioni non ci consentono altro che rimandare le risposte, a miglior vita, alla prossima reincarnazione etc.. ma nessuno ha le risposte. Diffidiamo dunque di tutto? E proviamo a vivere questa vita, che potrebbe essere anche l'unica che possiamo conoscere come tale, nel segno della crescita e dell'ampliamento della coscienza, pur accettando questi stessi limiti?
    Una cosa è certa: nel dubbio, non seguirò la "luce".
    Poi si vedrà. Forse! :)

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    1. Riusciremo a non essere ingannati, Catherine? Lo spero.

      Ciao

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