10 giugno, 2008

Labor

Labor, lavoro, in realtà, etimologicamente, fatica, travaglio, sofferenza. Che cos'è il lavoro, nella società contemporanea, se non la ripetizione alienante ed assurda di attività spesso inutili, tautologiche? Fatica di Sisifo, il lavoro è divenuto nel nostro mondo immondo uno strumento per impedire ai cittadini di pensare, di agire contro il sistema, di riservare uno spazio alla cultura, alla famiglia, agli amici ed alla riflessione.

Così molti sono costretti a turni estenuanti, a svolgere mansioni ora pericolose ora snervanti e monotone, pur di buscarsi il pane, come diceva Giovanni Verga. Lavoro in ambienti insalubri, tetri, in luoghi asettici e freddi, lontano dalla vita, dalle pulsazioni di una natura eclissata, negata, negletta. Lavoro come antitesi della felicità, della manipolazione della materia, del gesto creativo. E’ tutto come in un quadro che ingenuamente celebra il macchinismo, come un affresco dipinto da Fernand Léger.

Espropriati del prodotto gli operai, defraudati di un senso, di un’attività gratificante gli impiegati, costrette a corvées le casalinghe... e poi la turba dei disoccupati che aspirano ad un posto qualsivoglia: la tortura del lavoro è sempre preferibile al tormento del vuoto, della noia, del senso di inutilità.

Aneliamo ad essere crocifissi: i giorni lavorativi sono simili alle teorie di croci che i Romani eressero lungo le vie consolari, dopo aver sconfitto gli schiavi guidati dall'intrepido ed intelligentissimo Spartaco. Spartakusbund, la Lega di Spartaco, il primo nucleo del K.P.D., il Partito comunista tedesco che tentò di opporsi, pur tra mille contraddizioni e tentennamenti, sia al Leninismo sia al Nazionalsocialismo.

Utopia delle ideologie umane, troppo umane. I comunisti che condannavano il sistema capitalista, fondato sul lavoro alienante, sullo sfruttamento e sull'usura, poterono soltanto edificare lo stesso mostruoso sistema, cambiando il colore delle bandiere, anche se generosamente Rosa Luxembourg e Karl Liebnecht morirono per il loro ideali, mentre oggi i "comunisti" vivono tra lussi scandalosi, dimentichi di ogni ideale. Costoro plaudono a quasi tutte le iniziative abominevoli dei governi che una volta venivano definiti "clerical-fascisti". La loro timida, fiacca opposizione al sistema li rende peggiori di chi fingono di criticare. Genia di ignavi!

Ore ed ore di lavoro e poi? In coda nel traffico spaventoso, a casa tra quattro mura, in appartamenti-loculi semiblindati, davanti alla scatola diabolica. Se questa è vita. Uscire? E' tardi, si è stanchi, distrutti. Uscire? L'aria è ammorbata di veleni e traboccante di nulla.

"Il lavoro rende liberi": ironica sentenza adatta agli ingressi dei Lager, ma che si addice pure alle carceri di oggi, siano stabilimenti, sedi di uffici, studi di professionisti, scuole... Se non esistesse il signoraggio bancario, ignobile truffa, sarebbe sufficiente lavorare una quindicina d'anni per poi dedicarsi alle proprie passioni, mentre gli esecutivi, mentendo, affermano che occorrono 35-40 anni di contributi per ricevere una pensione minima. Le bugie hanno le gambe lunghissime e sono le verità degli idioti, il 98 per cento della popolazione.

"Chi non lavora, infatti, non mangi", dicono il Vangelo di Tommaso (frammento papiraceo, log. 27 in una glossa dello Pseudo-Ignazio, Lettera ai Magnesii 9) e Paolo, nella (posteriore o anteriore?) Lettera ai Tessalonicesi.

Almeno potessimo mangiare cibi genuini…




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11 commenti:

  1. Il lavoro rende le persone schiave del loro senso di colpa. La società per anni inculca nelle menti il concetto di dignità e lavoro, un concetto che ormai è il vero vangelo moderno. Le tue riflessioni sono le stesse che ho fatto mille volte, un uomo che fatica per non pensare, un uomo che si rende schiavo volontariamente, anche se nato libero.

    Certo il lavoro serve per mangiare, ma non sarebbe più bello condividere le nostre abilità e mettere le nostre vite a l servizio dell'altro in modo diverso?

    Noi alimentiamo lo stesso sistema che combattiamo lavorando. Giustifichiamo i crimini delle banche sottoscrivendo mutui e investimenti. Praticamente ci freghiamo con le nostre mani, semplicemente perché ci hanno raccontato una bella favola a lieto fine.

    Peccato che il lieto fine arriva solo per quelli che si adeguano a tale schifo e sfruttano la vita dei lavoratori per trarre sempre maggiore profitto.

    Chi non la pensa così deve morire, schiacciato da un macchinario, precipitato da un impalcatura, o semplicemente esaurito e gobbo dopo 10 ore davanti ad un computer.
    Una prospettiva di vita umiliante.

    Se questa è vita, allora preferisco essere disoccupato.

    Ciao

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  2. Ciao Free, è un tema che hai spesso trattato con intelligenza. In effetti, nessuno o quasi nessuno è innocente: ad esempio, un "innocuo" investimento bancario è, sebbene indirettamente, la causa della morte di un bambino su una mina. Col lavoro noi rafforziamo il sistema che ci stitola sempre più, in cambio del denaro-simbolo, sacro ed esecrando. In mille altri modi, inconsapevolmente, alimentiamo (verbo non casuale) il diabolico sistema. Come uscirne?

    Ciao e grazie.

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  3. Il lavoro come lo si intende ora e´ una rinuncia forzata alla creativita´, all´autorealizzazione, al "metto a disposizione il meglio di me e a beneficio della collettivita´".

    Siamo dei polli da allevamento :-(

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  4. Alexy, polli di batteria, neanche galline ovaiole.

    Ciao!

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  5. Eppure il pollo può diventare un'aquila. Disse qualcuno.

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  6. Vorrei rispondere con le parole di Silvano Agosti, il discorso tipico dello schiavo: http://youtube.com/watch?v=7pEjwMiswOo

    Donnie.

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  7. No, non è una frase contenuta nei Vangeli che afferma più o meno 'Chi non lavora non mangi', ma si legge tale sentenza in una delle lettere attribuite a Paolo, figura fumosa se non leggendaria, in pratica mai esistita.

    Anche se, a dire il vero, dietro diversi passi della letteratura epistolare neo-testamentaria si nasconde un personaggio gnostico di spicco che si spaccia appunto per 'Paolo'.

    Ad ogni buon conto la radice 'lab' sta alla base del termine latino 'labor' nonchè del verbo 'labare' ovvero 'vacillarre', 'cadere'.

    La pena del lavoro dunque che ricollega direttamente al tema della caduta originale, concetto sotteso pertanto anche dal retaggio culturale indo-europeo.

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  8. "Chi non lavora non mangi" mi pare sia una frase di un Vangelo non canonico, forse degli Egizi. Mi documenterò e domani ti farò sapere.

    Doveroso il richiamo al collegamento tra labor ed il verbo labi che significa vacillare, scivolare da cui anche labile.

    Ciao e grazie.

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  9. "Chi non lavora, infatti, non mangi" è nel logion 27 del Vangelo di Giuda Tommaso, secondo quanto riportato dallo pseudo-Ignazio nella Lettera ai Magnesii, 9.

    Ciao

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  10. Mi spiace, Zret, ma ho ragione io. L'aforisma da te citato si trova in 2 Tess.3,10.
    E' lo pseudo-Paolo che scrive ad una comunità ovviamente mai esistita e che emana alcune norme comportamentali per i fratelli del...quarto secolo.

    Ciao

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  11. Allora si vede che Paolo l'aveva tratto dal Vangelo di Tommaso che molti esegeti considerano il più antico o che l'autore del Vangelo attribuito a Giuda Tommaso lo trasse da Paolo. E' una questione di cronologia: quale dei due testi è più antico? Forse il detto risale alla fonte Q cui entrambi attinsero.

    Grazie comunque della precisazione.

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