19 marzo, 2009

Sillabe

La magia del reale è nel suono che si articola in Lògos. In latino "carmen" vale "canto", "incantesimo", "formula magica" e "poesia": da questo nucleo semantico si propagano onde di senso in molteplici direzioni.

Oggi è quasi del tutto smarrito l'alone sacro del linguaggio che crea e distrugge. Oggi il linguaggio è ridotto a volgare strumento denotativo sicché non siamo in grado di comprendere come il re Salomone potesse intendere le voci dei volatili o perché il dio Apollo, che presiedeva alla poesia ed alla musica, fosse anche un nume distruttore. Si è persa la com-unicazione con la natura, quindi la com-unione, il contatto anche con noi stessi, di cui non sappiamo auscultare l'eco penetrante che, simile ad un incerto riverbero, si perde in una caverna vuota. Oggi le parole non sono più alate, come erano in Omero, ma pesanti ed opache: sono vocaboli che fendono il silenzio, offendono la verità ed i suoi cercatori.

Se camminiamo in un parco o percorriamo il sentiero di un bosco il cinguettio flautato della capinera, il sibilo del merlo, l'argenteo tintinnio del pettirosso sono soltanto increspature del silenzio, quando un tempo erano aerei versi di liriche naturali. Soprattutto erano messaggi dall'ignoto, sillabe sibilline che l'uomo interpretava per attingere il senso altissimo delle dimensioni invisibili.

Giovanni Pascoli, uno degli ultimi grandi ascoltatori del pentagramma della natura, seppe leggere nelle onomatopee pure di passeriformi e rapaci notturni, frammenti di enunciati, prima che essi si trasformassero in un pulviscolo di note destinate ad impigliarsi nel ronzio letale delle basse frequenze.

Nota Marius Schneider in "Pietre che cantano": "Gli animali fungono da intermediari tra gli dei ed i mortali, poiché la loro espressione fonetica è più vicina alla lingua originaria di quanto non lo sia il discorso articolato dell'uomo. Perciò soltanto ai sacerdoti ed agli eroi, che comprendono la lingua degli animali, è concessa una conoscenza più profonda della natura acustica delle cose."

Forse è per questo che proviamo un'indefinibile nostalgia per quando il mondo non era muto nel suo assordante frastuono di immagini ma una musica di gemme preziose, un concento. I suoni sono diventati disarmonici: stridono in frasi malaccorte, in giudizi corrivi, in rumori duri.

Si incidono, simili a solchi, ma non lasciano il segno.

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5 commenti:

  1. Sai Zret, quando mi immagino su di un isola deserta, mi immagino in perenne silenzio non dovendo avere la necessità di proferire parola per essere compreso.

    Allora in quel silenzio inizio ad ascoltare, ascoltare il canto degli uccelli, il suono delle onde del mare e del vento sulle foglie.

    Immagino che dopo un certo periodo quella Natura possa nuovamente ricominciare a comprenderla come una volta, come mi hai fatto ricordare tu con il tuo post.

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  2. Ciao Iniziato, molto evocative le tue parole. Forse un giorno impareremo a decifrare le sillabe del Silenzio.

    Ciao e grazie.

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